7. Scuse?
Aurora
Mentre parcheggio nel vialetto di casa, mi arriva un messaggio sul cellulare. Spengo l'auto e prendo il telefono dalla borsa. È Nic. Mi chiede come sta andando la serata con Rita. Gli rispondo.
La serata è andata bene. Sono a casa adesso. Ci vediamo appena torni?
Un attimo dopo è già arrivata la risposta. Non deve divertirsi molto a casa dei nonni, penso con un sorriso.
Certo. Non vedo l'ora. I nonni stanno bene, ma io no senza di te. 'Notte, bella, ti amo.
Anche io. Ci vediamo presto, scrivo in fretta e premo invio scendendo di macchina.
In quel momento, un'altra auto entra nel viale del terratetto accanto. È l'auto di Massimo.
Il cuore mi balza in gola e inizio a sentire le gambe tremare. Ma che cosa ci fa qui? Non era anche lui dai nonni? Mi volto, sperando che Massimo non mi abbia vista, indecisa se fingere di non essermi accorta del suo arrivo e infilarmi in fretta in casa oppure salutarlo altrettanto in fretta prima di entrare e sprofondare a letto.
Come un'idiota rimango immobile senza sapere cosa fare. Alla fine, quando mi decido a voltarmi di nuovo, pensando che sia troppo scortese ignorarlo (dopotutto non sono cafona come lui), mi ritrovo a fissarlo dritto negli occhi.
«Ehi» dice lui, probabilmente sorpreso di vedermi lì fuori a quell'ora. «Che ci fai qui fuori?» chiede, come se niente fosse.
Mi stringo nelle spalle. «Sono uscita con la mia amica, non posso?»
Lui sorride e si appoggia allo sportello della mia auto. «Certo che sì. Strano, però, pensavo che tu uscissi solo con mio fratello.»
Eccolo di nuovo che mi provoca. «E io pensavo che tu fossi a trovare i tuoi nonni e mi illudevo che non avrei corso il rischio di vederti almeno fino a lunedì.»
Massimo ride. «Sai bene che non sono i miei nonni.»
«Se Nic è tuo fratello e i suoi genitori i tuoi genitori, non vedo perché i suoi nonni non dovrebbero essere anche i tuoi.»
«Aurora...» sorride, e io sento un brivido caldo scivolarmi lungo la schiena. «Tu sai che cosa intendo... O te ne sei dimenticata?»
Rimango in silenzio. Colpita e affondata. E anche un po' stordita per quel richiamo inaspettato alla nostra passata confidenza. Perché fa così? Perché all'improvviso sembra così tanto simile a quello che era un tempo? Perché invece non continua a ignorarmi e provocarmi come sempre? Almeno avrei un motivo semplice per non volerlo vicino. Invece così... Così è difficile. Se poi pronuncia anche il mio nome in quel modo... Visto l'effetto così fisico che mi ha fatto, potrebbe diventare tutto ciò che voglio dalla vita che lui pronunci sempre il mio nome come adesso.
Mi allontano di un passo da lui, turbata da quei pensieri. Possibile che li abbia davvero pensati? Abbasso gli occhi dai suoi mentre lui continua a parlarmi, sicuramente ignaro delle emozioni che quei pochi minuti di contatto tra noi hanno scatenato dentro di me.
«Sai che in quanto figlio adottivo non valgo un granché per loro. Il nipote vero è Nic, no? Chissà che sangue scorre nelle mie vene. Perché scomodarsi a voler bene a qualcuno che non sai nemmeno da dove viene..?»
Non mi sfugge il tono polemico e rabbioso con cui pronuncia quella frase. E non mi sfugge nemmeno l'occhiata maligna che mi rivolge. Ecco. Bravo. Era esattamente quello che ci voleva per riportare lucidità in me. Niente illusioni bella, questa è una lotta senza esclusione di colpi.
«Che cosa vuol dire quello sguardo, scusa?» gli domando irritata.
Lui sbuffa, lasciando andare indietro la testa. Sorride e guarda altrove. «Non importa» dice, «Stronzate, ok? Ho smesso di farmene un problema da un po' ormai.»
Segue un lungo silenzio. Stranamente, non so bene cosa dire. Mettiamo un attimo in pausa, d'accordo? E riflettiamo. Che cosa è appena successo esattamente? Non l'ho ben capito. Si è sfogato con me oppure mi ha rinfacciato qualcosa che non ho compreso? Lo guardo assorta finché non si accorge del mio sguardo fisso sui suoi bracci forti. E si lascia sfuggire uno di quei sorrisetti dei suoi.
Questo mi basta. Decido di lasciare perdere. Qualsiasi cosa sia successa, non deve importarmi. Lui non mi sopporta e io devo continuare a non sopportare lui se voglio preservare la mia salute mentale. Non devo lasciare che si approfitti di me, facendo leva sul mio animo tenero per sfruttare poi la mia debolezza quando sa che mi farà più male.
«Adesso devo rientrare» mi affretto a dire. Meno male che è buio e non può vedere il mio rossore. Non voglio che pensi che quello che stavo fissando mi piaceva.
Prima che io possa voltarmi, però, lui mi prende la mano e mi trattiene.
«Aspetta un attimo» dice.
Alzo di nuovo lo sguardo sul suo. Penso di avere gli occhi più sgranati dallo stupore che si siano mai visti. Che diamine sta facendo? Dall'espressione del suo volto sembra che quel gesto gli sia costato una fatica immensa.
Non so perché visto che avevo deciso di tenere una linea di difesa molto dura, ma quando le sue dita si intrecciano alle mie, lascio che accada senza opporre la minima resistenza. E qualcosa di molto simile al panico si impadronisce di me. Avvampo e il cuore inizia a martellarmi nel petto decisamente troppo forte. Sembro una bambina scema.
«Volevo dirti che mi dispiace» dice, guardandomi fissa negli occhi.
«Per cosa?» gli domando, totalmente inebetita da quel contatto.
«Per l'altro giorno, quando sei venuta in palestra. Mi sono comportato come uno stronzo. Mi dispiace. E grazie per non averlo detto a Nic, mi avrebbe fatto nero.»
Sorrido. Scuse e ringraziamenti? Questo non me lo sarei mai aspettato da lui. «Va bene» blatero, «scuse accettate...» Lascio subito la sua mano, perché mi accorgo che lui adesso sta guardando le nostre dita ancora incrociate. Forse si era aspettato che mi sottraessi subito, e si stava chiedendo perché non l'avevo fatto. In effetti, era una domanda che mi stavo ponendo anche io.
Chissà perché mi sento la mano ardere, come se avesse toccato il fuoco. Dovrei andarmene, ma lui mi trattiene lì come una calamita. Dovrei anche starmene zitta, invece sento la mia voce pronunciare, «Posso chiederti una cosa?». Accidenti a Rita e alle cose che mi dice. Finisce sempre che riesce a insinuarmele nella testa. E mi torturano.
Massimo annuisce, incrociando le braccia sul petto e allontanandosi quel tanto che basta a ristabilire una distanza appropriata tra noi. «Tutto quello che vuoi.»
«È una cosa che non ho mai capito. Sì, insomma, meglio approfittare adesso che hai deciso di ricordarti che esisto, prima che tu cambi di nuovo idea.» Esito a lungo. «Perché abbiamo smesso di essere amici?»
Lui sorride. È terribilmente sexy quando sorride in quel modo. Sento una strana sensazione alla pancia, e l'effetto calamita si fa più forte. Vorrei che mi prendesse ancora la mano. Ma non credo che sia normale.
«Perché siamo cresciuti» dice semplicemente. «Un tempo dormivi nel mio letto, ti ricordi?» Sorride vedendo la mia faccia. «Adesso ci verresti?» mi domanda.
«Nel tuo letto? A dormire?» chiedo, come una vera idiota.
E lui si mette a ridere. «Aurora...» chiama poi il mio nome. Di nuovo. «Non possiamo essere amici. Io non ho amiche donne. Almeno, non nel senso che intendi tu.»
«Ok» dico, subito agitata. Giusto. Giustissimo. Ma che cosa sto facendo? Mi sto rendendo ridicola. Mi odio per quello che gli ho chiesto. E per la mia domanda superidiota. Ma che diavolo mi è saltato in mente? Nel tuo letto, a dormire? A questo punto potevo anche dirgli che ultimamente sogno spesso di avere le sue mani addosso, sarebbe stato meno imbarazzante.
Sono arrabbiata con me stessa, so che dovrei finirla lì, incassare il colpo e andarmene in casa, al sicuro dentro la mia stanza, eppure non riesco a fermarmi. È scattato qualcosa dentro di me. Qualcosa che non riesco a gestire. È colpa di Massimo, come al solito. Lui mi fa sempre perdere il controllo, anche quando non vorrebbe.
«Quindi per te la nostra amicizia non è mai stata importante?» vorrei che suonasse come una domanda, in realtà passa più come un'affermazione. Massimo si incupisce e non risponde.
Questa volta sono io che mi metto a ridere. Vorrei ostentare freddezza e sicurezza, ma inutile dire che non ci riesco. «Che domande, è ovvio che non lo è mai stata» dico a bassa voce. Lo dico a me stessa ma è ovvio che lui può sentirmi. Torno a guardarlo negli occhi.
«Senti, hai ragione sai? Non possiamo essere amici. È molto semplice.Per esempio guarda adesso. Vorrei solo andarmene a letto senza arrabbiarmi, felice di aver ricevuto delle assolutamente inaspettate scuse, ma», riprendo fiato, «tu hai lo strano potere di farmi infuriare. Se mi ignori, mi fai infuriare. Se mi parli, mi fai infuriare. È ovvio che non possiamo essere amici. Stupida io che ti faccio anche certe domande. Buonanotte Massimo» mi volto e mi dirigo verso casa. Salgo gli scalini della porta d'ingresso e mi rifugio dentro, al sicuro da lui e soprattutto da me stessa.
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