57. Punto fermo
Massimo
Se n'è andata.
Ho sentito il portone chiudersi al piano di sotto. Ho il cuore a pezzi ma sono troppo arrabbiato, e troppo stanco di questa rabbia, per rendermi conto di quanto faccia male. Sono solo, di nuovo.
È questo il mio destino? La solitudine?
Mi butto sul letto, nascondendo la faccia nel cuscino trattengo il respiro fino a che non mi sento a un passo dall'esplodere. Vorrei soffocare la realtà, ucciderla e crearne una nuova. Una dove tutto questo casino non esiste.
Non esistono il tradimento dei miei genitori, l'odio di mio fratello, il disprezzo di Aurora. Tutto questo casino che mi ruota attorno... mi chiedo se esiste solo perché esisto io.
Forse non è la realtà ad essere sbagliata, ma io. Che creo sempre e solo problemi. Più vorrei evitarli, più li creo... è un incubo, una condanna alla quale non riesco a sottrarmi.
Nel silenzio, il mio smartphone riprende a squillare. In uno scatto d'ira, lo afferro e lo getto per terra. «Vaffanculo tutto! Vaffanculo pure tu!»
Un ultimo squillo e poi il dispositivo torna scuro. Mi siedo sul letto, subito pentito del mio gesto sconsiderato. Nascondo la faccia tra le mani, irritato da me stesso. Cercando di calmarmi, fisso lo sguardo sul telefono poco lontano da me. Qualche attimo e lui si illumina di nuovo, tornando a squillare.
Guardo bene lo schermo, leggo il nome che compare e mi acciglio, sorpreso. Mi alzo. Rispondo.
«Ciao Giorgio, qualche problema?»
«Ciao Massimo, scusa il disturbo, è solo che... per caso sei con Nic?» lo sento trattenere il respiro e la cosa mi preoccupa.
«No, è uscito più di un'ora fa per venire a casa tua. Non è ancora arrivato?» rispondo, un po' allarmato. Impossibile che non sia arrivato. Da casa nostra a casa di Giorgio ci sono dieci minuti di macchina.
«In realtà no... Non riesco a contattarlo. Il telefono squilla a vuoto, speravo che fosse insieme a te... Forse dovremmo andare a cercarlo. E se gli fosse successo qualcosa?»
Deglutisco, teso. «Non preoccuparti, vedrai che avrà avuto un contrattempo e ha il cellulare silenzioso. Adesso ci penso io. Provo ad andare a cercarlo.»
«Vengo con te.»
«No, lascia perdere, ti ringrazio. In questo periodo non tira buona aria tra me e Nic, e vorrei pensarci da solo...»
«Già...» annuisce lui sommessamente. «Per via di Aurora.»
Cerco di mantenere la calma. D'altra parte, lui che ne sa che è tutto molto più complicato di così?
«Sì, be', adesso devo andare. Ti faccio chiamare quando lo trovo.»
«Ok. Grazie Massimo... E scusa di nuovo, ma non sapevo chi chiamare.»
«Non preoccuparti. Ciao Giorgio» e riattacco.
Accidenti a Nic!
Quello arrabbiato sono io, io avrei tutto il diritto di fuggire e sparire, non lui. E invece no, non posso neanche permettermi il lusso di dare di matto, perché ci pensa mio fratello a farlo per me.
Ok Massimo, mantieniti lucido. Non farti sopraffare dalla preoccupazione.
Per fortuna i miei sono usciti, così non dovrò spiegargli il motivo della mia fuga repentina e inaspettata da casa.
Pensa. Dove potrebbe essere andato Nic? Dipende sicuramente da quello che è accaduto stamani, deve essere andato da qualche parte a sbollire la rabbia.
Mentre cerco di convincermi che è sicuramente così che stanno le cose, che è impossibile che gli sia successo qualcosa di grave, ho un'illuminazione.
Ma certo!
Quando Nic era piccolo e discutevamo, andava sempre a rifugiarsi al campo da basket nel parco a un quarto d'ora da casa nostra. Ci andava a piedi, senza dire niente a nessuno.
Era un posto frequentato per lo più da ragazzi più grandi e a lui piaceva. Rimaneva a guardarli giocare fino a che non rimaneva da solo, dopodiché recuperava il pallone che ogni volta abbandonavano lì e si sfogava con qualche tiro. Riusciva a distendere i nervi e a recuperare la calma. Quando tornava a casa era sempre sudato e sporco di polvere e nostra madre si arrabbiava tantissimo.
Uscendo di casa mi dirigo subito al parco, pregando di avere ragione. E infatti, per fortuna, dopo qualche centinaia di metri dal parcheggio lo intravedo seduto su una panchina poco distante dal campo. Tiro un sospiro di sollievo.
Mi vede, abbassa lo sguardo, rimane seduto ad aspettarmi. Lo raggiungo lentamente.
«Che ci fai qui?» mi domanda.
«Mi ha chiamato il tuo amico... era preoccupato per te. Che accidenti ti è saltato in mente Nic? Potevi almeno avvisarlo che non saresti andato.»
«Sì, avrei potuto, ma non l'ho fatto. Non avevo voglia di dare spiegazioni. E comunque sto bene, non c'era bisogno che venissi a cercarmi.»
«Se stavi bene saresti andato a pranzo con i tuoi amici, Nic.»
Ignora le mie parole.
«Qual è il problema?» gli domando, sedendomi accanto a lui.
«Il problema è che la vita fa schifo» risponde.
Rido. «Vuoi dirlo a me..?» ribatto sarcastico. «Non ti conviene sfidarmi a "chi ha la vita più schifosa", perderesti.»
Riesco a strappargli un sorriso.
Rimane per un po' in silenzio, poi mi guarda come se volesse chiedermi scusa. «Lo so, hai ragione. Dal tuo punto di vista non dovrei starmene qui arrabbiato a lamentarmi della vita... Ma sono davvero deluso Max. E arrabbiato. Tu lo sei sicuramente di più, ma lo sono anche io. Insomma, in un mese ho perso Aurora, mi sono sentito tradito da mio fratello e per di più ho scoperto che anche i miei genitori mentono... Ho perso qualsiasi punto di riferimento...»
«Se può consolarti, anche io ho perso i miei.»
«Ma almeno tu hai Aurora, adesso.»
«Fidati, no.»
Si volta di scatto verso di me. «Che vuoi dire?»
«Voglio dire che avevi ragione tu su tutta la linea. Non sono pronto per avere una storia seria, forse non lo sarò mai. E Aurora l'ha capito. Posso solo farla soffrire» mi lascio scappare un sorriso amareggiato. «Non è neanche iniziata, che praticamente è già finita Nic...»
Racconto a mio fratello quello che è successo. Ho troppo bisogno di sfogarmi con qualcuno per non implodere. Ho i miei limiti anche io, dopotutto.
«Devi parlarle, spiegarle tutto. Deve sapere che è stato un fraintendimento. Devi permetterle di starti accanto in questo momento.»
Annuisco. «So che dovrei, ma non lo farò. Non me la sento Nic, perché significherebbe prendersi un impegno che potrei non saper mantenere. La farei soffrire, proprio come hai detto tu.»
«La stai già facendo soffrire.»
«Appunto. Meglio fermarsi qui. Meglio una sofferenza piccola a una più grande, no?»
Nic scuote la testa, ma non insiste.
«Che pensi di fare con tuo padre?» mi domanda dopo un po', titubante.
Sbuffo. «D'istinto stamani quello che avrei voluto fare era prendere il telefono, chiamarlo e mandarlo personalmente a quel paese, chiedendogli di non farsi mai più sentire. Ma adesso... adesso non lo so più.»
«Dipende da quello che hanno detto mamma e papà, vero?»
Sì, dipende proprio da quello. «Già» rispondo. «Se lui mi aveva cercato anche in passato, le cose cambiano Nic... Rimane sempre il fatto che mi ha abbandonato, però poi gli hanno impedito di contattarmi... è questo che penso di continuo da quando ho saputo... che forse una possibilità potrei dargliela.» Guardo mio fratello, «tu che faresti al posto mio?»
Lui rimane a lungo in silenzio. «Penso che se non conoscessi mio padre e mia madre, vorrei sapere chi sono, anche se dovessi scoprire che sono le peggiori persone esistenti sulla terra. La soddisfazione di dirgli in faccia "Ehi, stronzi, guardate cosa vi siete persi" vorrei togliermela!»
Ridiamo e le nostre risate spezzano l'ultimo baluardo eretto dalla nostra rabbia. Capisco subito che abbiamo fatto pace. Che questa delusione se non altro è servita per unirci di nuovo.
«Scherzi a parte, io vorrei sapere. Fosse anche solo per non avere rimpianti quando potrebbe essere troppo tardi.» Fa una pausa. «È della tua vita che stiamo parlando. Hai il diritto di ricomporre il puzzle, di dare un ordine alle cose, di scoprire la verità. Ti appartiene, Massimo, devi prendertela.»
Gli sorrido, grato. «Lo farò, ma a una condizione.»
«Quale?»
«Che tu smetta di essere arrabbiato con me, perché non posso affrontare la verità da solo. Ho bisogno di sapere che posso contare su mio fratello.»
Lui mi sorride. «E io ci sarò, perché anche io ho bisogno di te.»
Scende dalla panchina e recupera il pallone abbandonato lì vicino.
È buffo pensare che nonostante il tempo passi e, mentre passa, cambi tutto, alcune cose rimangono sempre uguali a se stesse: un punto fermo in mezzo alle turbolenze della vita.
Nic mi butta il pallone e io lo afferro.
«Che dici? Ce li facciamo due tiri, fratello?»
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