7. Non sarei dovuta venire
Aurora
La sua fidanzata.
Quelle parole rimbombano come un tuono nella mia testa. D'istinto ritraggo la mano dalla sua, pentendomene immediatamente dopo. Calmati Aurora, preserva le apparenze. Cerca di essere affabile e di mantenere il controllo della situazione. Provo a rimediare al mio gesto improvviso, ho visto che a Rachele non è sfuggita la mia ritrosia. Probabilmente, non solo a lei. Le sorrido, «Piacere mio» dico.
Nel frattempo il cameriere è arrivato con il mio coperto. Lo guardo grata per avermi, seppur inconsapevolmente, offerto un diversivo per distogliere l'attenzione da quella novità cui ero impreparata e che mi turba. Terminato di sistemare le mie cose, mi invita gentilmente a sedermi e io obbedisco, ringraziandolo.
Non riesco a togliermi dalla tesa quelle parole. La sua fidanzata. Ma che significa, esattamente? Massimo ha forse dei progetti a lungo termine insieme a questa ragazza? Il solo pensiero mi stordisce. Non ha mai voluto saperne di storie serie, per anni è stato il ritornello che usava con me: non posso darti quello che cerchi. Quanto si sarebbero rivelate profetiche quelle parole, solo che nessuno dei due poteva immaginarsi in che modo...
Cerco di scuotermi e di porre fine a quel silenzio che ancora pesa in mezzo a noi. E al mio torturarmi interiore. Che senso ha rivangare certi pensieri? Nessuno. Non ce l'ha nemmeno concentrarsi sulla sensazione di smarrimento e sul desiderio di andarsene. Ormai sono qui, ormai sono in gioco, tanto vale giocare.
Mi schiarisco la voce, cercando qualcosa da dire di intelligente. Ma per fortuna, c'è chi inizia la conversazione al posto mio. Mio padre.
«Aurora non puoi capire il sollievo di averti qui, di guardarti, di vedere che stai bene Mi sembra impossibile! Siamo stati così in ansia per te in questi anni, dove», esita, «dove sei stata?»
Ripenso a tutte le telefonate dei miei genitori alle quali non ho mai risposto. Sono durate giorni, settimane, mesi. Ripenso a quando, all'apice del mio dolore, non sopportando più che mi cercassero, li ho liquidati con un messaggio, dicendogli che li detestavo perché mi avevano ferita nel profondo e che quella ferita non si sarebbe mai rimarginata ho chiesto loro di non cercarmi mai più. E ho buttato via il cellulare.
«Ecco, io», inspiro esitante a mia volta, «a Milano, poi a Parigi, e da qualche tempo sono tornata a Milano. Mi sto specializzando lì, nel frattempo per pagarmi gli studi ho trovato un posto nella redazione di una rivista di moda».
«Oddio, hai vissuto a Parigi?» chiede curiosa Rachele, guardandomi ammirata. «È una città meravigliosa! Ci sono stata tantissimo tempo fa, ma vorrei tornarci un giorno.»
Annuisco, sforzandomi di sorridere con disinvoltura. «Sì, è davvero meravigliosa» confermo. «Ci ho vissuto per un paio di anni, subito prima della laurea e subito dopo. È stato bellissimo» mi lascio andare a quella confidenza.
Rita mi guarda e si mette a ridere, «Parigi... Hai sempre voluto andarci!» esclama. Lo vedo che si trattiene dal dire altro, so che avrebbe voluto aggiungere che la vita è davvero strana: era a Parigi che io e Nic dovevamo andare l'estate del diploma, nella città più romantica del mondo per festeggiare la fine del liceo.
Le sorrido, ringraziandola con lo sguardo per non aver detto ciò che avrebbe voluto. E sorrido anche a Nic, che a sua volta sembra improvvisamente agitato. No, decisamente meglio non rivangare stasera ricordi di quell'estate. Potrebbe essere l'inizio della fine.
«Ti stai specializzando, quindi» dice mia madre. «Sono felice di sentirlo» sorride.
«In che cosa esattamente, Aurora?» chiede Marta, sorseggiando un bicchiere di vino. La osservo e osservo anche Riccardo, sembrano entrambi un po' più rilassati rispetto a quando sono arrivata.
«In comunicazione e marketing della moda. Mi piace, anche se devo ammettere che il lavoro in redazione è a dir poco folle» confesso. «Però non riesco a vedermi altrove, è il mio mondo.» Bevo anche io un bicchiere di vino.
Il cameriere torna per prendere le nostre ordinazioni. Qualche minuto dopo se ne va, lasciandoci di nuovo soli alla nostra conversazione.
«Anche Niccolò e Massimo si stanno specializzando» è Riccardo a riprendere la conversazione. «Sai che Nic ha sempre avuto l'ambizione di diventare medico, e in effetti sta percorrendo quella strada. Massimo invece ha scelto di frequentare giurisprudenza, credo sia tutto merito di Diego» dice, mettendosi a ridere.
Diego annuisce, ridendo a sua volta. «Be', detta così sembrerebbe che io l'abbia costretto.»
Seguono le risate degli altri. Tranne le nostre. Nessuno di noi quattro sorride a quelle battute. Né io, né Nic e Rita, né tantomeno Massimo. Mi sento a disagio. Come riescono a essere così spontanei? Sono sinceri oppure è tutta apparenza?
Non riesco ad avere la forza di guardare Massimo negli occhi. Percepisco anche così la sua frustrazione. Credo che pensi la stessa cosa che sto pensando io: che è una situazione a dir poco assurda...
Nic deve intuire che si è ricreata una certa tensione. «Aurora sapeva di me, ci siamo incontrati alla stazione di Milano mentre tornavo da un corso di aggiornamento universitario.» Si mette a ridere. «A dire la verità, più che incontrati ci siamo scontrati e anche presi a male parole prima di riconoscerci!»
«Sul serio?» chiede mia madre.
Annuisco, non riuscendo a trattenere un sorriso. «Sì, è così. A dire la verità è Nic che mi ha investita, stava correndo come un pazzo per prendere il treno e non si è accorto di me... mi ha quasi rotto una spalla!»
Nic sembra non credere alle proprie orecchie. «Che cosa? Ma se sei tu che correvi come una furia su quei tacchi improponibili e mi hai travolto. Tutto quello che avevo in mano è praticamente volato in aria, tanto forte è stata la botta!»
«Peso a malapena cinquanta chili Nic, con quanta forza potrei mai averti travolto?» scherzo, ed entrambi scoppiamo a ridere. E non siamo i soli. L'unico che continua a non fare il minimo sforzo per partecipare alla conversazione è Massimo. Lo so che non accetta la situazione. Non la accetto nemmeno io. Ma che altro potrei fare? Mettermi a urlare?
Comunque mi sento - inaspettatamente - un po' meglio. L'aneddoto raccontato da me e Nic sembra aver ulteriormente disteso i nervi e sciolto la tensione. Se la serata continua così, credo che tutto sommato non sarà stata un completo disastro.
Le nostre ordinazioni arrivano e iniziamo a cenare e, tra una conversazione e l'altra, per un po' sembra andare tutto piuttosto bene.
Finché...
«Ma perché te ne sei andata Aurora?» è Rachele a pormi quella domanda e a far tornare intorno a noi un silenzio teso che, di nuovo, gela gli animi.
Nic inizia a muoversi nervosamente sulla sedia. Rita mi fissa, con gli occhi sbarrati dal terrore. Diego, toccandosi nervosamente il sopracciglio, lancia al figlio un'occhiata d'intesa che colgo senza volere e che significa chiaramente "resta calmo".
Rimango a lungo in silenzio. Non so che cosa dire. Possibile che l'abbia chiesto? Possibile che la mia assenza di anni non sia mai stata spiegata, nemmeno con una bugia? Sono tutti così bravi a viverci in mezzo alle menzogne, mi riesce difficile credere che non ne abbiano trovata una per giustificare al mondo che me ne ero andata.
Guardo Massimo, lui mi restituisce lo sguardo senza fiatare. Nessuno pare trovare le parole per rispondere a quella domanda, in apparenza tanto semplice.
Inizio a balbettare, sperando di farmi venire in mente qualcosa di sensato da dire. «Ecco, perché... perché scoprire che avevo vissuto dentro a una bugia per tutta la vita mi ha sconvolto» dico alla fine. La verità, dopotutto, anche se solo a metà.
«Aurora...» mia madre chiama il mio nome.
Sì, mamma, adesso siamo tutti riuniti qui a fare finta che tutto questo sia normale. Ma la verità è che non è normale per niente, e che io sono ancora sconvolta. Anzi, adesso lo sono più che mai. Non mi rendo conto che mentre le penso, in realtà, la prima parte di quelle parole l'ho anche pronunciata.
Mi fissano tutti sgomenti. Ecco. L'ho fatto. Ho rotto l'incanto, la finzione, e tutto è piombato di nuovo nel nero della verità. Scuoto la testa, interdetta.
«Scusate», dico. «Mi dispiace, non volevo dire quello che ho detto in modo tanto brusco.»
Nel silenzio generale, mi alzo in piedi.
«Penso che sia arrivato il momento per me di andarmene, credo sia meglio così», concludo. «Forse stasera non sarei nemmeno dovuta venire...»
«Invece rimarrai» all'improvviso la sua voce.
Il mio sguardo, come quello di tutti gli altri, si posa su Massimo. Lo fisso a lungo in silenzio, sconvolta dalla perentorietà della sua affermazione. Dopo tanto silenzio, questo è il modo con cui si rivolge a me?
«Come hai detto, scusa?» domando, incredula. «Fammi capire, sei rimasto chiuso tutta la sera nel tuo ermetico silenzio e adesso te ne esci fuori così?»
Ricambia il mio sguardo e sorride con quel suo sorrisetto di sfida che, a giudicare dall'effetto che ha su di me, non ha smesso di turbarmi. E probabilmente non smetterà mai di farlo.
Massimo ignora la mia sfida. «Non funziona così, sai?» continua. «Non puoi sparire per cinque anni dalla nostra vita, tornare all'improvviso una sera e poi andartene di nuovo come se niente fosse.»
Silenzio.
Percepisco Nic e Rita agitarsi sulle sedie vicino a me. Rachele sta guardando Massimo con aria interrogativa. Probabilmente non sta davvero capendo ciò che sta accadendo, mentre tutti gli altri presenti sì. Sanno tutti quello che c'è tra noi, il non detto, il non vissuto, il vero motivo per cui io me ne sono andata. Sanno tutti che probabilmente è sempre tutto lì, che la brace ancora non è spenta ma che potrebbe rinfocolarsi da un momento all'altro. Lo sanno tutti, anche se nessuno lo dice. Tutti, tranne Rachele, che ci osserva senza capire.
«Sparire dalla nostra vita per cinque anni?» ripeto, basita. «Fammi capire, sarebbe colpa mia adesso?»
«Perché, invece sarebbe colpa mia?» ripete lui fissandomi intensamente negli occhi.
Tutto quello che non dice mi fa tremare dentro. All'improvviso mi manca il respiro.
«Da quello che ho sentito stasera, non saresti qui se Nic non ti avesse incontrata per caso. Saresti mai tornata, altrimenti? Io l'ho fatto quattro anni fa.»
Sul serio? Che cosa mi stai dicendo davvero Massimo? E quella rabbia che percepisco nella tua voce dipende dal fatto che sono scomparsa per cinque anni o dal fatto che sono ricomparsa stasera?
«Perché, ti importava? Non mi risulta che tu abbia mai provato a cercarmi» mi lascio scappare.
Lui ride. «Non mi risulta che chi l'ha fatto abbia ottenuto qualche risultato, comunque. Sarebbe cambiato qualcosa se ti avessi cercato io?»
Non ci credo, non posso credere che l'abbia detto. All'improvviso la rabbia mi divampa nel petto. Chiunque altro non è lui, comunque. Certo che sarebbe cambiato qualcosa se mi avesse cercato. Sarebbe cambiato tutto. Ma questo non posso dirglielo. Mi sgomenta che non lo capisca da solo.
Il primo impulso di rabbia, però, si placa appena emerge un pensiero: dopotutto, perché Massimo avrebbe dovuto cercarmi se l'ultima volta gli avevo detto che sarei stata disposta a fregarmene di tutto pur di stare con lui? Il suo rifiuto era stato netto, non riusciva nemmeno a guardarmi. Cercarmi, quindi, non avrebbe forse significato l'indicibile?
«Ok» interviene Nic, nel tentativo di calmare le acque prima che la situazione degeneri. «Che ne dite se ne parliamo in un altro momento? Dopotutto, Aurora, sia io sia Rita davamo per scontato che ti saresti trattenuta per un po'.»
Immediatamente gli fa seguito Riccardo. «Ma sì, ragazzi, non è il caso di discutere adesso no? Di tempo ne è passato, ma ne avremo in abbondanza da adesso in poi se Aurora deciderà di trattenersi. Lo farai, vero Aurora?»
«Ti prego Aurora» gli fa eco mia madre, probabilmente sconvolta e turbata dalle parole appena pronunciate. Angosciata dai miei pensieri, a mala pena mi accorgo che mi sta parlando. «Rimani con noi, adesso che sei qui almeno dacci una possibilità... Vorrei provare a... rimediare al mio errore.»
Rimediare.
Quel verbo è come una pietra. Una pietra scagliata con violenza sopra al mio cuore. Davvero crede che si possa rimediare a un errore del genere, dopo quello che è successo?
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