23. Nota stonata
Aurora
L'ora di pranzo è arrivata in fretta. Per fortuna senza troppi intoppi. Sono riuscita a godermi in santa pace il sole, ho fatto un sonnellino, ho letto, chiacchierato con Rita... Se non stessi vivendo dentro a una specie di incubo, ripensando a quelle ore di relax potrei quasi illudermi di essere una persona normale. E invece... Invece da un po' siamo tutti qui, riuniti intorno al tavolo del ristorante del bagno, e non posso fingere di dimenticarmi che di normale, qui, non c'è proprio niente. Niente di niente.
Fortunatamente, siamo al caffè. Ancora pochi minuti e potrò tornare a eclissarmi sul mio asciugamano sotto al sole. Massimo ha detto che Rachele arriverà domani, Marta e Riccardo sono sembrati molto contenti. Non sono sicura che la conoscano bene, non mi hanno dato questa impressione. Però "sono felici che Massimo abbia trovato finalmente la ragazza giusta", così ha detto Marta, parlando di lei. Ho dovuto fare appello a ogni forza possibile per non mettermi a urlare. Soprattutto quando Riccardo ha aggiunto, "La ragazza giusta che gli ha fatto mettere la testa a posto".
Hanno sorriso tutti, tranne noi quattro. E Diego. Diego non ha sorriso. Si è limitato a guardarci, con sguardo assorto, pensoso, e ad accendersi una sigaretta. Non so se si rendono conto delle cose che dicono, quando le dicono. Forse no, rifletto, non ce li vedo Marta e Riccardo ad essere così maliziosi per intento. Che motivo avrebbero?
Li osservo tutti quanti alzarsi da tavola, recuperare le proprie cose, sereni di una serenità a dir poco irritante.
Questo pranzo è riuscito a mettermi di cattivo umore. Penso di aver pronunciato a malapena qualche monosillabo. Finché alla fine hanno smesso di tentare di coinvolgermi nella conversazione. Forse si aspettavano di più da me, pazienza. Non sono dispiaciuta di averli delusi. La felicità e la sensazione di normalità provate questa mattina se ne sono andate ben presto.
Mi alzo anche io, imitandoli. Ma mentre Marta, Riccardo e Diego si allontanano insieme, tornando verso il loro ombrellone, mia madre e mio padre si trattengono con noi quattro.
Li guardo sospettosa. Mio padre si avvicina a me, e sorride a Nic, Rita e Massimo. «Ragazzi, vi dispiace? Vorremmo parlare un attimo con Aurora...»
Subito mi irrigidisco. Loro annuiscono e, in un titubante silenzio, si incamminano a passi lenti verso la spiaggia. Guardo mio padre, poi mia madre. Ho già capito che vogliono dirmi qualcosa di importante. Qualcosa che so di non aver voglia di ascoltare. Per principio.
Anche mia madre si avvicina, prova a sorridermi ma non ricambio la sua affabilità. Anzi, adesso che siamo soli, io e i miei genitori, posso far cadere del tutto la maschera che uso quando siamo insieme agli altri e indossare i panni che più mi rappresentano: quelli di una furia vendicatrice. Ricambio il suo sorriso con uno sguardo truce, mi immobilizzo incrociando le braccia sul petto.
«Che cosa c'è?» scruto a turno prima lei, poi mio padre. Entrambi sembrano esitare.
«Ecco, Aurora, noi stavamo pensando che forse, una di queste sere, potremmo andare a cena fuori insieme...» dice mia madre. «Noi tre soltanto», precisa, «e parlare... Ci sono così tante cose che dobbiamo dirti, e così tante che vogliamo sapere».
Mio padre annuisce, mi fissa esortando con lo sguardo una risposta. Per qualche attimo rimango in silenzio e immobile, a guardarli come se fossero alieni. Poi scoppio a ridere. Recupero la mia borsa dalla sedia, la indosso.
«Davvero me lo state chiedendo?» sbotto. Loro si guardano tesi, senza capire. È chiaro che non si aspettavano che la mia reazione sarebbe stata questa. «Sul serio pensate che sia così che deve andare? Che tutto possa risolversi con una cena insieme?»
«Perché no? È un'occasione per parlarsi», cerca di spiegare mia madre, «... per chiarirsi».
«Quello che è successo non si può chiarire in due ore, cenando in un bel ristorante sul mare. Ci parliamo un po' e dopo? Pensate che sarò pronta a giocare alla famiglia felice? Non so nemmeno se basterà un vita intera, per chiarire quello che è successo, quindi di sicuro non sarà sufficiente qualche chiacchiera educata seduti a un tavolo. Se davvero credete che sia possibile, allora non avete capito niente di quanto male mi avete fatto», la rabbia mi fa arrossare gli occhi di pianto.
Mio padre cerca di avvicinarsi a me, ma mi ritraggo. «Non vi azzardate a toccarmi» dico, ferita e arrabbiata. Lui si blocca, sconvolto dalla mia reazione.
«Io... Aurora, scusami. Scusaci, noi vorremmo solo passare del tempo con te e provare a ricostruire i pezzi della nostra vita. Non ci illudiamo che basti una cena, speravamo potesse essere però un primo passo. Ma abbiamo sbagliato, hai bisogno di tempo, siamo stati troppo affrettati».
Scambia uno sguardo con mia madre, sembra quasi volerla rimproverare, e capisco. È lei che ha insistito, mentre mio padre, cauto e acuto, avrebbe preferito lasciarmi del tempo. Adesso cerca di rimediare all'errore di non essere stato più fermo nella sua convinzione.
«Credimi, sappiamo molto bene quanto ti abbiamo ferita...» dicendo questo abbassa gli occhi dai miei. Rassegnato, stanco. Ma non solo. Intravedo un'altra emozione in lui, ma quale? Non riesco a metterla a fuoco. Sembra quasi una nota stonata ben nascosta in uno spartito perfettamente scritto. Il tempo di percepirla e già non la trovo più. «Aspetteremo tutto il tempo che serve...»
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