17. Un barbecue in famiglia


Aurora




Mi guardo un'ultima volta allo specchio, stiro meglio il vestitino rosso che ho indossato per cena e sistemo i capelli con le mani.

Inspiro e trattengo il fiato.

Sono rimasta chiusa tutto il pomeriggio in camera, uscendo solo per mangiare rapidamente un panino, il mio triste pranzo, e per una doccia che speravo mi togliesse di dosso le scorie della giornata.

Purtroppo, a parte un sollievo momentaneo, non ha sortito l'effetto sperato. Adesso che dovrei uscire dalla mia zona sicura e scendere di sotto per cena mi ha assalito il panico. Non vorrei farlo, ma devo.

Espiro.

Ok Aurora, stai tranquilla, mi dico. Il peggio ormai dovrebbe essere passato. Che cosa potrebbe mai succedere ancora? Prendo coraggio ed esco di camera per scendere di sotto.

Quando qualche ora fa sono scesa per il mio magro pranzo, mi hanno detto che avrebbero preparato un barbecue in giardino quella sera, una specie di festa d'inizio vacanze. Adesso sono tutti lì fuori, impegnati con i preparativi.

Mia madre e Marta sono rientrate dalla loro passeggiata in centro con alcune bottiglie di prosecco, patatine e noccioline. Le ho sentite arrivare dicendo che hanno preferito portare l'aperitivo a casa, per condividerlo con tutti, invece di farlo da sole. Gli uomini le hanno accolte con un applauso.

Li ho spiati dalla finestra.
Vederli mi ha fatto male. Eppure, sotto sotto devo ammettere che li invidio. Sono tutti così spensierati, riescono a convivere con leggerezza con il peso di ciò che è accaduto. Io non riesco a vivere leggera con questo macigno sul cuore che mi schiaccia l'esistenza. Da una parte provo verso di loro una rabbia feroce, ma dall'altra vorrei essere come loro. Come fanno? Mi costa molto ammetterlo, ma credo di essere invidiosa del loro equilibrio.

La porta di casa è aperta, la oltrepasso ed esco fuori. In giardino l'aria è fragrante, come solo l'aria delle sere d'estate sa essere, e c'è ancora un bella luce avvolgente. Mi guardo rapidamente intorno, torturandomi le mani nervosa. Mia madre, Marta e Riccardo stanno sistemando il tavolo degli aperitivi. Nic e Massimo stanno parlando seduti poco lontano da lì. Scherzano e ridono, sorseggiando delle birre. Ci sono già proprio tutti e a quanto pare stavano aspettando soltanto me. Gli hamburger e le salsicce sono disposti su un vassoio, pronti per essere arrostiti, vicino al barbecue presieduto da Diego e da mio padre. Non so che cosa fare...

«Ehi, tesoro!»

Mentre li osservo mio padre si accorge di me e mi fa cenno di raggiungere lui e Diego. Obbedisco e mi avvicino a loro, salutandoli con un largo, seppur incerto, sorriso.

Devo provare ad essere conciliante. È ciò che ho promesso a Nic, questo pomeriggio, alla fine della nostra furiosa litigata. Finisce sempre per ottenere ciò che vuole, Nic. Anche questa volta è riuscito a utilizzare la mia rabbia contro di me e a convincermi a provarci, promettendomi di nuovo che sarebbe andato tutto bene.

«Eccoti, stavamo aspettando te per iniziare. Ti sei riposata?»

Annuisco e prendo il flûte che Diego mi porge e che riempie di prosecco. «Grazie», lui in risposta mi fa l'occhiolino.
Sorrido. Mi soffermo per un attimo a fissarlo. Chissà che cosa pensa di questa situazione, chissà che cosa pensa di me. Se sa più di quello che credo...

«Posso fare qualcosa per aiutare?» chiedo, per cercare di distrarmi dai miei pensieri.

«Oh no» è mia madre a rispondere. Ci raggiunge in quel momento, seguita da Marta e Riccardo, che portano un altro vassoio di carne, dell'insalata e il cesto del pane. «È tutto praticamente pronto, siediti e rilassati ok? Goditi la serata Aurora» lo dice con dolcezza e, inaspettatamente, il suo tono e il suo sorriso riescono a rilassarmi davvero.

Annuisco e mi volto verso Massimo e Nic. Mi accorgo che mi stanno guardando. Dovrei raggiungerli invece di rimanere ferma impalata dove sono. Inspiro ed espiro con forza, per farmi coraggio. Sono ancora irritata con Nic e con Massimo, beh, dovrei averci a che fare il meno possibile. Però davvero non posso ignorarli. Quindi mi decido, li saluto con un cenno, che loro ricambiano, e mi avvicino.

«Ciao» mi saluta Nic. «Sei riuscita a scendere, alla fine. Ancora dieci minuti e sarei salito a prenderti», sorride. Solleva il bicchiere verso di me. «Sei ancora arrabbiata?» domanda.

Sorrido. «Lo sono» ma avvicino il mio bicchiere al suo fino a toccarlo. «Ma posso lavorarci su, se mi garantisci che non mi giocherai mai più uno scherzo del genere.»

Lui annuisce, «Garantito» si porta la mano destra sul cuore. Mi strappa un sorriso. È evidente che non riesco a rimanere arrabbiata con lui a lungo. Allento la tensione e mi siedo al suo fianco.

Prima di sedermi ho lanciato a Massimo una rapida occhiata. È bello, maledizione. È sexy. E io vorrei solo gettare le mie braccia attorno al suo collo e baciare quelle labbra pazzesche.
Se già adesso sento pungere quel desiderio scomodo di lui, come potrò affrontare senza impazzire i giorni che seguiranno?
Mi faccio violenza per sforzarmi di non guardarlo ancora. Finirei per tradire quello che sento, e non posso permettermelo.

«Sei... sei riuscita a riposare?» mi domanda.

«Sì, molto bene» rispondo, tenendo lo sguardo fisso davanti a me. Niente contatto visivo, Aurora, mi ripeto tra me e me.

Segue un silenzio che pare interminabile.

«È... è strano essere qui», confesso dopo un po'. «Lo è anche per voi oppure sono l'unica a sentirsi a disagio?»

Non rispondono, ma dal loro silenzio capisco che è così anche per loro. Questo mi calma, almeno un po'. Mi fa sentire meno sola nella mia solitudine. Bevo ancora un po' del mio prosecco.

Pensando al prosecco, la mente si sofferma su mia madre e Marta. Mi schiarisco la voce, tesa per la domanda che sto per fare.

«Lo fanno spesso?» chiedo. Entrambi mi guardano senza capire. «Voglio dire le nostre...» mi blocco.

«Le nostre madri?» continua Nic per me.

Oddio.
Assorbo il colpo. È un concetto davvero strano da esprimere adesso, non ha più lo stesso significato neutro di un tempo.

«Esatto... Escono spesso insieme?»

Nic si stringe nelle spalle, si scambia un'occhiata con Massimo. «Sì, loro sono diventante molto amiche.»

Annuisco, cercando di assimilare l'informazione. Certo, penso, dopotutto hanno un figlio in comune...

Quel pensiero mi fa male. Chiudo gli occhi e aspetto che la fitta al petto passi, sperando che nessuno dei due noti il mio disagio.

«Sono molte le cose che non so», cerco di sorridere. «Dovrò abituarmi all'idea. Magari potete farmi un riassunto?» provo a scherzarci su. Sorridono, è un buon segno.

«E Diego? Va tutto bene tra te e lui?» chiedo a Massimo. Se non altro, nessuno potrà rinfacciarmi di non averci almeno provato.

Massimo mi guarda, evidentemente sorpreso dalla mia domanda. Forse sta pensando che è proprio a Diego che eravamo rimasti, cinque anni fa.

Mi ostino a non ricambiare il suo sguardo. Non so per quanto tempo ancora riuscirò a farlo senza sembrare inopportuna.

«Beh, lui passa con me più tempo che può» risponde, dopo il primo momento di smarrimento. «Ha comprato un appartamento in città, vicino a casa nostra, vado spesso a stare con lui.»

Annuisco. «Bene. Sono contenta che abbiate trovato un equilibrio. Che lo abbiate trovato tutti» sorrido, ma forse un po' troppo forzatamente e loro se ne accorgono.

Segue di nuovo un lungo silenzio, che è Nic a interrompere. «Ehi, Rita ti ha detto che domani ci raggiungerà e starà con noi qualche giorno?» mi domanda.

Scuoto la testa, «No, non me l'aveva detto!» esclamo, finalmente una bella notizia.

Lui ride. «Tienila per te tutto il tempo che vuoi, ho già subito due ramanzine per il mio scellerato comportamento, la tua e la tua», dice indicando a turno prima Massimo e poi me. «Non ho affatto voglia di subire anche la sua!»

Ridiamo.

«Evidentemente tre ramanzine sono ciò che ti meriti!» ironizzo.

«Fidati, si meriterebbe molto più di questo», interviene Massimo. «La sua fortuna è che per qualche assurdo motivo nessuno di noi riesce a rimanere arrabbiato con lui troppo a lungo», sorride. In quel momento non riesco a resistere e poso lo sguardo su di lui.

Mio Dio, il suo sorriso è più stupendo di come lo ricordavo...

«Sarà merito del mio fascino» scherza Nic e, ridendo, si alza in piedi. «Vado a prendere delle patatine. Voi aspettatemi qui, continuando a conversare come due persone normali nel frattempo. D'accordo?»

Io e Massimo lo guardiamo allontanarsi in un silenzio piuttosto imbarazzato.

Sbuffo. «Come se non fossimo capaci di conversare come due persone normali...»

Massimo mi guarda, sorride. «Perché lo siamo mai stati?»

Ricambio il suo sguardo, trattenendo il fiato. Quello che ha detto mi destabilizza. Ha ragione... Non siamo mai stati in grado di parlare come due persone normali, se non le rare volte che siamo usciti insieme e, beh, parlare non era l'unica cosa che facevamo.

Il mio pensiero d'un tratto è invaso dal ricordo dei nostri corpi avvinghiati, dei nostri baci, del modo in cui lui mi toccava. Bevo d'un fiato il resto del prosecco.

Il ricordo fisico di quei momenti si è acceso violento, inaspettato, e mi fa male. Spero se ne vada al più presto. Chissà se anche Massimo è tornato con la mente a quei ricordi. Forse sì, perché ha abbassato gli occhi da me e adesso li tiene ostinatamente fissi sul suo bicchiere, mentre con le dita si tormenta il sopracciglio. È nervoso, è evidente.

Cerco di dirottare la conversazione su argomenti meno scomodi. Mi schiarisco la voce, «Quindi diventerai avvocato...» dico.

«A quanto pare. Chi l'avrebbe mai detto, vero?» ironizza.

Non gli rispondo. Dovrei dirgli che l'unico a non credere nelle sue capacità era lui stesso, non certo io, ma non lo farò.

«E la boxe? La pratichi ancora?» sposto i capelli di lato con la mano libera.

Lui osserva il mio gesto, il suo sguardo è indecifrabile. Sorseggiando la sua birra, annuisce. Sembra essersi rilassato rispetto a pochi attimi prima.

«Sì, certo. La boxe mi ha salvato la vita in un paio di brutti momenti, in passato. Non potrei farne a meno.»

So per certo che in uno di quei momenti ci sto dentro anche io. L'ho capito dal modo in cui ha pronunciato quella frase, che quelle parole mi riguardavano. Continuo a guardarlo in silenzio, senza sapere che cosa dire.

Per fortuna in quel momento Nic ci raggiunge di nuovo, portando con sé una ciotola di patatine. Menomale, perché la tensione tra me e Massimo in un attimo si era fatta più densa.

«Ma Rachele vorrebbe che smettesse...» interviene.

Rachele.

Quel nome è come una pugnalata al cuore. Massimo mi guarda, io distolgo immediatamente lo sguardo da lui. Non deve rendersi conto che sono gelosa.

«È perché crede che finirò per farmi seriamente male...»

«È perché non sopporta che tu passi parte del tuo tempo in palestra invece che con lei, Max» polemizza Nic.

Massimo lancia a Nic uno sguardo di rimprovero. «Smettila Nic», lo ammonisce.

Nic alza le mani, «Ok», concede. «La smetto, ma è così. E tu lo sai».

Non sono sicura di voler sapere che cosa c'è dietro la loro piccola, inaspettata discussione a tema Rachele. Quindi sono felice che Massimo abbia chiesto a Nic di finirla lì. Preferisco non essere coinvolta in una querelle sentimentale che riguarda Massimo. Potrei dire cose di cui mi pentirei.

«Verrà a trovarti?» domando, trattenendo il fiato. Chissà perché ho fatto questa domanda. Non ce ne erano altre più neutre per continuare a parlare del più e del meno? E poi la risposta è ovvia. Certo che verrà. E sarà un incubo vederli insieme.

«Sì. Martedì, si tratterrà un paio di giorni», Massimo sembra teso.

Annuisco.

Oddio, penso, e dormirà nella tua camera? Per fortuna quella domanda rimane inespressa. Che cosa sarò costretta a sopportare? Non voglio pensarli insieme.

«E... c'è qualcuno anche nella tua vita?» chiede, ma subito dopo si passa una mano sulla faccia, per nascondere un sorriso imbarazzato. Si è pentito della domanda che mi ha fatto.

Rido, nervosa, senza riuscire a trattenermi dal fare della pessima ironia. «Vuoi sapere se anche io ho un fidanzato da sfoggiare, che possa accorrere qui in mio supporto?»

Non mi aspetto che lui risponda. Scambio con Nic una veloce occhiata. Lui sa che non c'è nessuno. Glielo ho detto chiaramente quando ci siamo incontrati alla stazione che per me c'è solo Massimo. Ma non posso rispondere alla domanda di Massimo in questi termini.

«No, nessun fidanzato» mi limito a dire, per poi ripensarci qualche secondo dopo e aggiungere «La mia vita non è andata avanti come la tua».

A Nic per poco non va di traverso una patatina.

«Ok» esclama, schiarendosi la voce con qualche colpetto di tosse. «Perché non riavvolgiamo il nastro?» suggerisce. «Oppure se preferite parlare adesso di come sono andate le vostre vite in questi anni, posso lasciarvi soli. Però, vi prego, non costringetemi ad assistere!»

Io e Massimo ci fissiamo negli occhi. Lui non risponde alla mia provocazione, io non insisto. Non ne ho affatto voglia. 

Ho promesso che avrei provato ad essere conciliante, è vero, ma provare non significa riuscire. Ho ancora troppe cose dentro che premono per uscire e non è facile reprimerle. Che cosa pretendono da me? Sto già facendo uno sforzo enorme per non pensare a quello che Massimo mi ha detto ieri sera, non sono in grado di passare pacificamente sopra a tutto il resto. Di certo, non sono in grado di passare sopra all'esistenza di Rachele.

Mi alzo in piedi. «Nic, non preoccuparti, non c'è niente di cui parlare», mi affretto a dire, per smorzare il peso della mia scomoda affermazione. Mi sforzo di sorridere, guardando Massimo. «Non fraintendere quello che ho detto. Sono felice che ci sia qualcuno nella tua» mento, spudoratamente. 

Lui annuisce, prova a sorridere a sua volta.

Mentalmente cerco una scusa che non appaia tale per congedarmi senza imbarazzo. «Vado da mio padre, vorrei assicurarmi che non cuociano troppo la mia carne. Ci vediamo a tavola» sorrido e, in fretta, mi allontano.

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