16. La camera
Massimo
Insieme a Nic raggiungo Aurora, Laura e Pietro.
Pietro sta scaricando dall'auto i bagagli, mi avvicino per dargli una mano. La tensione che c'è tra loro si percepisce chiaramente, e anche la rabbia di Aurora. L'ho salutata con un veloce cenno, incapace di dire o fare nient'altro. Lei non ha ricambiato, si è limitata a lanciare uno sguardo furioso a Nic.
«Possiamo parlare?», gli ha domandato perentoria.
Li osservo con discrezione. Quando poco prima Laura si è avvicinata a me per salutarmi con un bacio sulla guancia ho notato chiaramente il disagio di Aurora, la sua apparente freddezza non è stata sufficiente a dissimularlo. Gesti del genere sono divenuti ormai abituali per me, ma mi è facile immaginare quanto possano turbare e ferire lei. Io stesso ci ho messo molto tempo prima di abbassare la guardia, di permettere a Laura di avvicinarsi a me a tal punto. Quanti giorni sono dovuti passare prima che iniziassi ad accettarlo e il disagio e la sofferenza iniziassero ad attenuarsi.
«Adesso?» le domanda in risposta Nic, voltandosi e indicando me e Pietro come a dire che forse sarebbe più utile desse una mano a portare dentro casa le valige.
Aurora incrocia le braccia sul petto. «Adesso» conferma, senza staccare gli occhi da lui.
Pietro chiude la bauliera, mi porge un paio di valige e ne prende altre due. «Ragazzi intanto portiamo dentro queste, ok? Torniamo a prendere il resto» e mi fa cenno di andare. Dal modo in cui mi guarda, capisco che è il caso che lo segua dentro. Non ho idea di che cosa si siano detti durante il viaggio in auto, ma di sicuro il padre di Aurora ha ben capito che cosa stia passando per la testa di sua figlia e vuole lasciarle spazio, darle tempo. Sa che per lei sono un problema, sa che adesso è furiosa. E che è meglio che si sfoghi con Nic, invece di avere intorno me.
«Hai bagagli che vuoi che ti portiamo dentro?» le domando, passandole vicino. Vorrei provare a essere gentile, come ha detto Nic.
«Soltanto due piccoli trolley» risponde lei, seccamente. «Non era in programma una vacanza al mare, e comunque non rimarrò molto» dice. «Posso cavarmela da sola, grazie» soltanto a quel punto mi guarda, gelida.
Ok. Ignoro il fatto che quella risposta assomigli tanto a una provocazione. Aurora è ferita, e turbata, e arrabbiata. E io devo solo essere comprensivo e gentile. La carta dello stronzo me la sono giocata ieri sera ed è giusto che adesso la giochi lei. Annuisco, in silenzio, e seguo Pietro, lasciando Nic e Aurora da soli. La porta di casa non fa in tempo a chiudersi che già li sento litigare.
«È molto arrabbiata, vero?» chiedo a Pietro.
Lui sorride, alzando gli occhi al cielo. «È infuriata, direi» risponde. «Ma lo sarei anche io al suo posto. Chi di noi non lo sarebbe? Ma conosco mia figlia», esita, per qualche attimo abbassa lo sguardo dal mio. «O almeno, la conoscevo. Spero che nascosta dietro tutta quella rabbia esista ancora la mia Aurora... Ha voluto affrontare il suo dolore da sola, ma aveva bisogno di affrontarlo con noi per superarlo. Adesso siamo insieme, dobbiamo solo darle tempo ed essere pazienti. Le passerà.»
«Già», sospiro. «Ci siete già passati con me, dopotutto.»
Pietro annuisce, mi dà una pacca affettuosa sulla spalla. A volte ancora mi fa strano. Quell'uomo un tempo balbettava teso al solo vedermi mentre adesso... adesso sembra volermi bene.
«Questa volta è diverso però...» mi lascio scappare.
Lui sospira, serio. «Perché dovrebbe esserlo?» domanda. So che conosce la risposta, come tutti d'altronde, e che preferisce ignorarla. Sarà diverso perché questa volta saremo insieme. Insieme, a convivere con il carico dei nostri sentimenti.
Mi stringo nelle spalle. «Non sarà imbarazzante per voi?» ho esitato a lungo prima di fare quella domanda. Andiamo, certo che sarà imbarazzante. Ci piacevamo! Sul serio non vi chiederete mai se per caso ci piacciamo ancora?
Ma Pietro non fa in tempo a rispondere. Diego e mio padre lo chiamano al piano di sopra, a quanto pare c'è un'emergenza nel bagno.
«Ci pensi tu a recuperare le altre valigie?» mi chiede, dandomi un'altra pacca sulla spalla e decretando chiuso l'argomento.
«Certo», annuisco, rassegnato, «me ne occupo io». Sempre che Nic e Aurora smettano di litigare, penso.
Rimasto da solo mi avvicino alla finestra del soggiorno, scosto la tenda per guardare fuori e li osservo. Stanno litigando davvero di brutto. Di fronte alla loro veemenza mi passo la mano sulla faccia, già sfinito al pensiero di quella battaglia che ancora devo iniziare a combattere.
***
Vado io ad aprire quando Nic suona al campanello di casa. Dietro di lui c'è un'Aurora piuttosto provata. Vedo subito che ha gli occhi lucidi. Non so se abbia pianto, e se lo ha fatto non so se le sue fossero più lacrime di dolore o di rabbia. Molto probabilmente entrambe le cose. Faccio finta di niente. Nic ha con sé un paio di valigie, Aurora i suoi due trolley.
«Vado a prendere i bagagli che restano» dico, facendoli entrare in casa. Al mio rientro sono tutti nell'ingresso. Nic deve averli chiamati a raccolta per accogliere Aurora.
«Siamo felici che tu abbia deciso di venire, tesoro» mia madre la stringe in un forte abbraccio. Le è sempre piaciuta tanto Aurora, lo so. Era come una figlia, per lei. «Ci sei mancata» le dice, accarezzandole una guancia.
«Immagino ti ricorderai la casa» dice mio padre. «Quando eravate piccoli vi piaceva così tanto passare qui le vacanze.»
Lei annuisce, sforzandosi di sorridere. «Sì, certo che mi ricordo. Era... bello» conferma.
Un brivido mi percorre la schiena. Era bello. Sì, davvero lo era. Durante le ultime estati che abbiamo passato lì insieme, io e lei ci avvicinavamo talmente tanto che ci esplodevano dentro i sentimenti. Mi piaceva giocare con lei, arrivare ogni volta a un passo da baciarla senza baciarla mai. Nic mi aveva detto quello che provava, sapevo che Aurora non era per me. Ma quelle settimane al mare erano come una pausa dalla vita vera, una zona franca, una parentesi durante la quale ogni cosa era possibile. Arrivare a un passo dal farla succedere era elettrizzante. Tutto, qui, in questa casa, è impregnato dei nostri momenti, del nostro gioco segreto, pericoloso ed eccitante. Ne è impregnato il centro, la strada che porta al mare, la spiaggia. Ogni cosa ci rinfaccia quei giorni...
Mi schiarisco la voce, turbato da quei ricordi e dalla consapevolezza che gli stessi pensieri stiano occupando la mente di Aurora in questo momento.
«Portiamo sopra i bagagli, che dite?» chiedo. «Così finalmente anche voi potete sistemarvi» guardo Laura e Pietro, che annuiscono sorridendo.
«Grazie Massimo», dice Laura, «Marta mi ha promesso un giro in centro prima di cena, almeno così posso sistemarmi senza fretta.»
Mia madre annuisce, eccitata. «Sì, non vedo l'ora! Mentre gli uomini preparano cena, le donne fanno shopping» sorride. «Aurora, devi venire con noi ovviamente. Per la spiaggia hai un costume? Che ne dici se andiamo ad acquistarne uno insieme e poi ci concediamo un aperitivo?»
Mi tormento il sopracciglio. Questo non corrisponde molto al "darle tempo ed essere pazienti" di cui parlava poco fa Pietro. Osservo Aurora. Sembra a disagio.
«Mamma, forse non è il caso» tenta Nic, che deve aver a sua volta colto il disagio di Aurora. «Magari Aurora è stanca, può comprare un costume domani, adesso vorrà riposarsi. L'aperitivo potete sempre farlo un'altra volta, no?»
Aurora sembra sollevata. «Marta ti ringrazio ma è esattamente come dice Nic. Sono piuttosto stanca e vorrei riposare, per oggi.»
Mia madre non si offende. «D'accordo tesoro, sarà per un'altra volta» le fa l'occhiolino. «Per te abbiamo preparato la camera che dividevate da piccoli, spero ti vada bene.»
Aurora annuisce. «Sì, certo, benissimo. Grazie» cerca di sorridere.
«Massimo, la accompagni tu?» mi invita mio padre.
Annuisco, «Ok. Sì, certo».
«No, non importa» rifiuta Aurora. «So dove devo andare, non importa che mi accompagni.»
«Oh no, saremmo davvero dei pessimi padroni di casa se ti mandassimo da sola», mio padre insiste. «Porti tu i suoi bagagli, vero Massimo? Sono piccoli, ma sembrano pesanti.»
Lei sospira e mi porge i due trolley, evidentemente controvoglia. Io li prendo e le faccio cenno di precedermi per le scale. Senza aggiungere altro, la seguo e nel silenzio generale saliamo al piano di sopra, consapevoli che gli occhi di tutti sono ben puntati su di noi.
Aurora si ferma di fronte alla sua stanza. «Come vedi, ricordo bene dove dormivamo da piccoli» dice, abbassando lo sguardo.
Sorrido. Non ne dubitavo. Che notti abbiamo passato in quella camera. A ripensarci adesso, sembra un'altra epoca. Abbiamo fatto le prime ore piccole della nostra vita tutti e tre lì dentro, a chiacchierare, a ridere, a scherzare per ore e ore. Abbiamo sperimentato lì le prime trasgressioni dell'adolescenza come bere i primi alcolici acquistati di nascosto dai genitori. Ci abbiamo dormito abbracciati, io e lei, su quel letto.
«Puoi ridarmeli adesso», dice indicando i bagagli e interrompendo provvidenzialmente i miei pensieri. «Posso portarli dentro da sola, ce la faccio.»
«Ok», glieli rendo. Aurora li afferra e, entrando in camera, li trascina vicino al letto. D'istinto, entro insieme a lei.
«Potresti non oltrepassare la soglia?» domanda voltandosi verso di me e facendomi cenno di rimanere fermo dove sono con la mano stesa davanti a sé.
«Che cosa?» chiedo, credendo di non aver capito.
«Preferirei che tu non entrassi qui, Massimo.»
Sorrido, sorpreso. «Va bene. Non lo farò» alzo le braccia e torno sui miei passi.
«Mai» aggiunge lei, abbassando gli occhi da me. «Non dovrai entrare mai in questa camera, ok?»
Il sorriso sulle mie labbra si spegne lentamente, il mio sguardo si fa serio. Rimango a lungo in silenzio, fissandola mentre lei, consapevole dei miei occhi puntati su di sé, si ostina a tenere bassi i suoi. Dentro quel "mai" ci stanno un sacco di cose...
«Ok» concedo.
«Grazie», apre uno dei trolley e inizia a tirare fuori le cose che ha con sé. «Nic mi ha detto che se mi trovo in questa situazione è solo per colpa sua, che tu non c'entri.»
Sospiro, sollevato. «Già, è... è così. Mi dispiace, avrebbe dovuto dirtelo.»
Aurora ride. Si volta verso di me e mi si avvicina.
«A quanto pare nessuno dice mai ciò che dovrebbe» dice.
Ci fissiamo a lungo negli occhi in silenzio. Nessuno dice mai ciò che dovrebbe, è vero. Io adesso dovrei poterti dire che sei bellissima, e che vorrei poterci entrare ogni volta che lo desidero nella tua camera. Ma non posso e non lo farò. A volte non dire è esattamente ciò che si deve fare.
«Vorrei rimanere sola, Massimo. Voglio riposarmi e farmi una doccia» dice lei dopo un po', interrompendo il nostro contatto visivo. «Grazie di avermi accompagnata.»
Mi spinge indietro con il pugno serrato e, senza aspettare che risponda, mi chiude la porta di camera in faccia.
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