13. Una nuova, inaspettata, sorpresa


Aurora



Ho parcheggiato l'auto a pochi passi da casa mia e adesso sto aspettando il coraggio per uscire e incamminarmi sul marciapiede verso il cancello del cortile, varcarlo e attraversare il giardino fino a raggiungere il portone d'ingresso. I miei genitori mi aspettano, sicuramente impazienti. Non sono ancora sicura di essere pronta ad affrontarli da sola. Eppure sono qui, ieri sera ho deciso che sarei rimasta, e non ho cambiato idea. Soltanto che è più difficile di quanto immaginassi mettere da parte le mie paure.

L'ultima volta che ho percorso quel tratto, cinque anni fa, è stato per fuggire: lì si era appena consumata la tragedia della mia vita. Non sopportavo più la vista del prato, del vialetto, della mia casa e di quella a fianco. Non avrei mai immaginato che, tra tanti pensieri che mi agitavano per il ritorno, quello di rivedere quel luogo un tempo amato, ma divenutomi all'improvviso così odioso da darmi la nausea, mi avrebbe turbata così tanto. 

Cerco di rimanere calma. Piano piano, mi incammino. Ripenso a ieri sera, alla disperazione e al panico che mi hanno assalito una volta varcata la soglia della camera d'albergo. Sono scoppiata a piangere e non ho smesso per un'ora. Il peso delle emozioni della serata trascorsa mi ha schiacciato il petto, è esploso tutto insieme, mi ha dilaniato. La rabbia e il dolore, di nuovo l'altalena emotiva del passato. Mi sono sentita così sola con quella ferita nel cuore che si è allargata e ha ripreso a sanguinare copiosa.

Come ho fatto a resistere, durante la cena? Quale forza mi ha sorretto, se nella mia camera d'albergo non ho fatto altro che singhiozzare accasciata sul letto in posizione fetale? Massimo, che ha ripudiato con tanta disinvoltura il nostro passato e si è rifatto una vita, evidentemente avrebbe perfino preferito non tornassi per preservare quel suo nuovo, assurdo, equilibrio familiare. Tutti si aspettano che diventi anche il mio.

Se mi sentivo poco preparata a rivederlo, figuriamoci a trovarlo insieme a una ragazza. La sua ragazza. Una relazione seria, dato che era seduta al tavolo con il resto della famiglia. Irrazionalmente, ho desiderato che sparisse. 

Un pensiero ha iniziato a intrufolarsi nella mia testa: che cosa ha questa ragazza di tanto speciale da aver meritato che Massimo, proprio lui che ha sempre rifiutato qualsiasi rapporto autentico e duraturo, la volesse nella sua vita? Inutile mentire a se stessi, non ho fatto altro che pensare a questo a ogni mio disperato singhiozzo. 

D'un tratto, poi, mi sono stufata di piangermi addosso. Improvvisamente calma, ho asciugato via dagli occhi le ultime lacrime che li avevano bagnati, ho preso in mano lo smartphone e ho scritto un messaggio a Nic. Mezz'ora dopo, Rita stava bussando alla mia porta. L'ho accolta con un sorriso larghissimo e ci siamo abbracciate, stringendoci con forza. Non rimaneva già più niente della mia recente disperazione. 

Abbiamo chiacchierato tutta la notte, ma non della serata trascorsa. Il bisogno di normalità, che mi ha spinto a chiedere a Nic se per caso Rita avesse voglia di raggiungermi, per fortuna ha prevalso su qualsiasi sentimento autodistruttivo. Ho voluto che mi raccontasse di loro due, di quello che aveva fatto negli ultimi cinque anni e le ho chiesto finalmente scusa per averla lasciata senza una spiegazione, come se di lei non mi importasse. 

In risposta, Rita mi ha abbracciata di nuovo, più forte di prima. «Non importa più Aurora», mi ha detto. «Basta pensare a quello che è stato, ci ha già fatto anche troppo male. Adesso pensiamo solo a ricostruirci un presente insieme.» Alla fine ci siamo addormentate e, per quel che rimaneva della notte, con la mia amica vicino sono riuscita a dormire più serena.

«Sei forte Aurora, molto più di quello che pensi», mi ha detto Rita mentre, appena un quarto d'ora fa, la stavo riaccompagnando a casa. «Fidati di me. Altrimenti non saresti qui. Anche tu vuoi mettere un punto a questa storia, lo so. Ce la farai a sopravvivere all'incontro con i tuoi, non ho dubbi», mi ha sorriso prima di scendere di macchina e salutarmi. «E se avrai debolezze, non dovrai fare altro che chiamarmi.»

Le parole di Rita mi hanno dato la giusta forza. Se tutti si aspettano da me che smetta di pensare al passato, Massimo per primo, d'accordo, mi impegnerò per farcela. Dopotutto, forse hanno ragione. Anche se quello che è successo fa schifo, non è giusto che distrugga il nostro presente e, soprattutto, il nostro futuro. Questo, in fondo, l'avevo ben chiaro in mente quando ho deciso di ascoltare il consiglio di Nic e smettere di fuggire.

È alle parole di Rita che ripenso costantemente adesso, mentre mi avvicino alla porta di quella che un tempo è stata la mia casa e mi appresto a suonare il campanello. Respiro a fondo. Prima di premerlo, e annunciare la mia presenza, rivolgo con il cuore in gola uno sguardo alla casa accanto. Mi sorprende vederla chiusa. Le persiane sono serrate e nessuna auto è parcheggiata nel vialetto. Chissà dove sono, mi chiedo, pensando che, sì, è domenica ma non così presto perché tutti quanti stiano ancora dormendo. 

Decido che, comunque sia, non è una questione che deve riguardarmi, soprattutto adesso. Prima di poterci ripensare su, suono il campanello e attendo trattenendo il fiato. Percepisco da dentro casa un certo trambusto, è evidente che mi stavano davvero aspettando con ansia. Mio padre e mia madre non ci mettono molto, infatti, ad aprire la porta e ad accogliermi con i loro migliori sorrisi. A turno, con slancio, mi abbracciano tenendomi a lungo stretta. Mia madre singhiozza, incapace di trattenere l'emozione. Io, invece, non riesco a reagire altrimenti che con distacco.  

«Finalmente eccoti qui» esclama mio padre, prendendo tra le mani il mio viso e baciandomi sulla fronte con affetto. Gli sorrido. «Non credevamo possibile che avresti deciso di rimanere davvero, siamo felici che tu ci abbia ripensato» dice, facendomi entrare in casa.

«Ben tornata a casa Aurora» mia madre fissa i suoi occhi nei miei e sorride. Se possibile, sembra ancora più tesa e agitata di me.

«Grazie» mi sforzo di rispondere. 

Distolgo da lei lo sguardo e lo poso invece su quanto mi circonda. Tutto è rimasto come era, niente sembra cambiato rispetto a quando me ne sono andata. Mi lascio sfuggire un sorriso. Ritrovare la mia casa, stranamente, ha un effetto balsamico. L'ingresso, il soggiorno sulla destra, la cucina sulla sinistra, le scale che portano al piano superiore, alla mia cameretta. Ancora i mobili della mia adolescenza: tutto è rimasto immutato, lì dentro, tanto che per un attimo ho l'illusione che il tempo si sia fermato, che non siano davvero trascorsi cinque anni, che non me ne sia mai davvero andata di lì. Sento una morsa allo stomaco a quel pensiero. Sarebbe davvero bello, se così fosse. Perché significherebbe vivere in una realtà diversa, in cui forse io e il ragazzo di cui sono innamorata staremmo insieme.

Caccio via quel pensiero e torno a concentrarmi sui miei genitori. Mia madre mi chiede se voglio un caffè, accetto volentieri e ci accomodiamo in cucina. Mentre lei prepara la moka ci sforziamo di fare conversazione. 

«Niccolò ci ha fatto davvero un gran regalo», dice mio padre, euforico. «Sinceramente, Aurora, temevamo che non ti avremmo più rivisto» confessa, con un nodo alla gola che non riesce a nascondere. 

Non rispondo. Non so che cosa dovrei dire. Sì, papà, pensavate bene, perché era quella la mia intenzione se Nic non mi avesse incontrata per caso. È solo perché mi ha convinta a tornare dicendomi che era arrivato il momento se non altro di prendere in mano la mia rabbia e sbatterla in faccia proprio a voi, che avete giocato con la mia vita, che sono qui. Ma non sarebbe il piede giusto con cui iniziare, quindi reprimo l'istinto e rimango in silenzio.

Mi sforzo solo di sorridere.

«È stato... molto strano, per te, trovarci tutti insieme ieri sera?» domanda mia madre, esitante, poggiando la moka sul fornello e accendendo il fuoco. Il rituale della moka mi è sempre piaciuto. Adoro il rumore del caffè che esce e l'odore buonissimo che si sparge per tutta la cucina. Chissà come, riesce a rilassarmi. Mi rilassa anche adesso, dopo quella domanda scomoda. Mi accorgo che i miei genitori si scambiano uno sguardo enigmatico, ma decido di ignorarlo.

Mi stringo nelle spalle. Non so che cosa rispondere nemmeno a te, mamma. Certo che è stato strano. Come potrebbe non esserlo stato? Prendo tempo, ma poi decido di dimostrarmi disponibile al dialogo, cerco quindi di rispondere con sincerità ma con tatto.

«Sì, è stato strano», abbasso lo sguardo, «ma è normale, dopotutto lo sarebbe stato per chiunque. No? Credo sia stato strano anche per voi vedermi arrivare, all'improvviso, dopo cinque anni di silenzio e di assenza».

Sia lei sia mio padre sorridono, ma scuotono la testa. «Oh no», dice mia madre, «per noi è stato un miracolo, non sai quanto siamo stati felici» conclude.

A quel punto mio padre si fa serio. «Aurora, speriamo davvero che tu riesca a perdonarci per non averti detto la verità quando avremmo dovuto» esita, vedendo che ho iniziato ad agitarmi sulla sedia. 

«Dobbiamo davvero parlarne adesso?» domando, con il cuore in gola. Davvero vogliamo parlane così? Non possiamo almeno aspettare un attimo, il tempo necessario perché io prenda almeno un po' confidenza con il fatto di essere tornata?

Lui ignora la mia replica. «Non sai quante volte siamo stati a un passo da dirti tutto, da dirvi tutto, ma non l'abbiamo fatto perché avevamo paura di perderti. Più il tempo passava, più il nostro segreto si faceva grande, fino a che non abbiamo capito che si era fatto troppo tardi e la verità, se si fosse saputa, ci avrebbe divorato la vita.»

Deglutisco a fatica. Peccato che poi sia esattamente quello che è successo. Soltanto che il vostro segreto non ha divorato solo la vostra vita, ma anche la mia...

Non do voce al mio pensiero, anche se lo meriterebbero. Non ancora, almeno. Mi sono ripromessa di farcela, che li avrei affrontati mantenendomi calma e concentrata su me stessa. Anche se l'unica cosa che vorrei, di nuovo, è urlare rimango in silenzio. Posso ascoltare quello che hanno da dire, purché non si aspettino che gli conceda adesso il mio perdono. Non lo farò.

Nel frattempo il caffè, uscendo dalla moka, offre a tutti e tre un diversivo. Mia madre spegne il fuoco e versa la bevanda nera e bollente in tre tazzine. Me ne passa una, sorridendomi con dolcezza. Per un poco rimaniamo in silenzio. 

È mia madre a romperlo. In uno slancio di entusiasmo, mi prende una mano e la stringe nella sua. «Allora, sei pronta per partire? Si sta facendo tardi e tra poco dobbiamo andare.»

Trasecolo. Per poco il caffè non mi va di traverso.

Ok. Fermi tutti. Devo aver perso un passaggio. Se sono appena arrivata, perché mai dovrei partire? E, soprattutto, per andare dove?

«Temo di non capire. Dobbiamo andare dove?» domando. Il mio sguardo smarrito li coglie evidentemente impreparati. Si scambiano uno sguardo perplesso.

«Oddio, Niccolò non te lo ha detto?» domanda mia madre.

«E nemmeno Massimo, a quanto pare» aggiunge mio padre, contrariato e anche evidentemente preoccupato. Ignoro il brivido che mi provoca sentir pronunciare da lui, con tanta familiarità, il nome di Massimo.

«Che cosa», mi schiarisco la voce, turbata, «che cosa avrebbero dovuto dirmi?». 

I miei genitori si guardano a lungo in silenzio. Mia madre sospira e si fa coraggio. «Marta e Riccardo ci hanno invitato a passare un po' di tempo tutti insieme nella loro casa al mare, in Liguria.»

Quella rivelazione ha l'effetto di un elettroshock su di me. La nuova, inaspettata, sorpresa mi agghiaccia. Tutti insieme nella casa in Liguria? No, non posso crederci, deve essere solo uno scherzo di pessimo gusto...

Guardo mia madre con lo sguardo terrorizzato, lei sembra incapace di dire alcunché. Vedo il disagio aumentare sul suo volto. Ritrae la sua mano dalla mia, «Pensavamo che quando hai deciso di rimanere lo sapessi» aggiunge, a bassa voce. Credo intuisca che cosa sto pensando, e forse solo in quel momento di fatto lo realizza: io e Massimo nella stessa casa, ventiquattro ore su ventiquattro a strettissimo contatto l'uno con l'altra. 

Ma i miei timori vanno già ben oltre. Non saremo a stretto contatto in un territorio neutro ma nella casa delle nostre vacanze al mare del tempo in cui, all'oscuro di tutto, scoprivamo di piacerci, un luogo che riporterà costantemente alla nostra mente ricordi di quel passato scomodo che dovremmo dimenticare. Non credo che lei arrivi a capire perfino questo, ma lo capisco io e il pensiero mi terrorizza.

Mio padre si schiarisce la voce. «Sono già tutti lì, sai? Sono partiti stamani presto. Io e tua madre avremmo dovuto viaggiare insieme a Massimo e a Diego, ma poi dato il tuo ritorno abbiamo aspettato che ci raggiungessi, e loro ci hanno preceduti. Ci stanno aspettando...»

Nel silenzio che segue, all'improvviso mi lascio andare a una risata nervosa. 

«State scherzando. Vero?» esplodo, sgomenta. 

I loro volti assumono improvvisamente un'espressione più sconvolta della mia. 

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