22 - Lieto fine?

Justin mi scosta delicatamente i capelli dal collo, inumidendosi le labbra. Mi studia mentre si avvicina alla mia gola, guardingo come un gatto. È titubante, un po' imbarazzato, ma non si ferma nemmeno quando sussulto, dopo aver avvertito la sua mano sulla coscia. Si fa avanti facendo pressione in quel punto, usandomi come appoggio, ed è pericolosamente vicino, tanto che non sono certa che riuscirò a resistergli ancora a lungo. Ha le labbra gonfie e, quando mi sfiorano la pelle, le sento incredibilmente calde. È così dolce, gentile e il suo profumo mi sta dando alla testa.

Non avrei dovuto chiedergli se avesse fame perché adesso, mentre schiude la bocca e avverto i suoi denti graffiarmi, provo delle emozioni contrastanti. So che al piano di sotto ci stanno aspettando Tay e Maddie, che non dovremo farli attendere troppo, che probabilmente sono preoccupati per avermi vista capitolare in avanti e che attendono mie notizie. Sono consapevole anche della presenza di Mia, che potrebbe aver sentito il casino di poco fa e che potrebbe aprire la porta da un momento all'altro. E poi so di aver sbagliato, di averlo giudicato male, anche se per un solo momento, e che non mi merito affatto le sue carezze, i suoi baci bagnati sul collo, la sua lingua che continua a esplorare il mio corpo e semplicemente lui. Non mi merito Justin, perché so di averlo ferito.

Ma come ho detto provo emozioni contrastanti.

Arrampicarmi sull'albero non è stata l'idea più brillante che potessi avere. Era una follia e ne ero consapevole, ma detestavo il pensiero di lasciare le cose con lui in quel modo, in sospeso tra Paradiso e Inferno. Finalmente avevamo raggiunto un equilibrio e volevo - voglio - mantenerlo, per questa ragione sto piegando il collo e lo lascio fare, dandogli tutto lo spazio che gli serve.

«Sai perché volevo chiamarti in modo diverso dagli altri?» mi domanda d'un tratto, interrompendo la sua scia di baci.

Si allontana leggermente, sfiorandomi la guancia con i capelli e mi fa il solletico, però sono troppo agitata per ridere. Ho il cuore sottosopra e, se Justin continuerà a toccarmi in questo modo, temo che mi servirà un intervento chirurgico per riprendermi.

«Perché vuoi chiamare la tua ragazza in modo diverso da tutti gli altri?» rispondo, cercando di fare mente locale per tornare a quel giorno. Pare passata un'eternità da quando ha conosciuto i miei amici, non posso credere che invece sia tutto il contrario.

Justin ridacchia, poi ribatte: «Ci hai creduto sul serio?»
Io faccio per rispondergli che - sì - allora avevo dato credito al suo tono così sincero e sfacciato, ma mi interrompe con una sola occhiata. Non mi ero mai posta domande in proposito, credevo che quella fosse la verità senza alcun dubbio. Ora però mi ha incuriosita e, quando alza lo sguardo per guardarmi negli occhi, ha un sorrisetto impertinente che gli incornicia le labbra, tanto bello che il mio cervello stacca la spina.
«Come potevo avere delle preferenze in proposito? Sei la mia prima e unica partner.» mi dice, lasciandomi senza parole.

Ero convinta che quella volta facesse sul serio, quindi mi ha colta alla sprovvista.

«Allora perché An?» chiedo e lui si allontana ancora un pochino, per potermi guardare meglio. Mi prende una mano, mi accarezza le nocche, intreccia le nostre dita.

«Winter.» confessa.
«È una bozza. Dovrei prestartela.»

«Che vuoi dire?» domando e lui mi fa cenno di guardare nel cassetto del comodino.

«Mi era tornato in mente, quindi l'ho riletto di recente.» è quello che mi dice, mentre io scivolo indietro sul pavimento per poter arrivare al mobile. Oltre alla Switch Lite con cui abbiamo giocato, trovo un libro. La copertina - una semplice pagina inizialmente bianca di un manoscritto a un primo impatto anonimo - è talmente consumata da risultare giallognola e la carta ai bordi è tagliata e rovinata, si vede che l'ha letto tante volte. Non c'è uno sfondo, solo un titolo nero con il nome dell'autore in alto: Silenzi e sospiri, Winter.

Mi giro verso di Justin, ancora in ginocchio sul pavimento gelido e lui continua a sorridermi in quel modo enigmatico, compiaciuto. Ha le gote rosse, è in imbarazzo, ma l'emozione che gli fa brillare gli occhi mi rende partecipe di uno spettacolo bellissimo: io, lui e questo istante.

«Pagina quarantadue.» mi incoraggia e io apro il libro, stordita e curiosa, trovando lettere battute sulla macchina da scrivere, impronte di dita, numeri in basso a destra. Continuo a sfogliarlo con ingordigia, le parole mi sfrecciano davanti agli occhi, confondendomi. Vorrei leggere ogni riga, ma è la pagina quarantadue a tentarmi di più.

Arrivo alla mia meta, inizio a leggere ma è qualcun altro a parlare per me, a esternare ciò che ho davanti. Proprio come quella volta, al parco, quando ero seduta su quella panchina e mi sentivo tanto sola, perché avevo iniziato a pensare che non ci sarebbe stato alcun principe azzurro pronto a salvarmi. Nessuno disposto a capirmi.

«Volevo essere l'unico a poter dire il suo nome, ma ero troppo imbarazzato per farlo. Non mi ritenevo all'altezza forse, ma il mio cuore era implacabile e alla fine mi decisi. Aprii bocca e ciò che ne uscì stupì me per primo.»
I miei occhi tornano su Justin, che giocherella con un filo sfuggito alla sua manica. È orgoglioso, non distoglie lo sguardo da me, ma le sue mani catturano la mia attenzione. Perché è lui ad avere questo scritto? Perché ne è così felice? Perché è tanto imbarazzato? E poi capisco.
«In un impeto di coraggio, sfacciatamente la chiamai An, perché chiamarla angelo avrebbe reso il mio amore più vero e ciò mi terrorizzava più della morte. Più dell'Inferno.»
Winter.

Spalanco la bocca, stupita e tremante, il cuore palpitante. Mi fischia nelle orecchie, rendendomi sorda. Tutto ciò che sento è Jus, la sua bocca dolce come lo zucchero e la voce calda. Il mio amore mi rende cieca, tutto ciò che vedo sono le sue braccia aperte e invitanti, il suo sguardo fisso su di me.

«I vampiri odiano il sole.» ammette.
«L'inverno ci si addice di più.»
Non resisto oltre, mi faccio avanti, con il manoscritto premuto al petto. Mi fiondo su di lui, posando la testa nell'incavo del suo collo, mentre le sue braccia mi circondano, protettive.
«Hai voglia di sentire una storia?» mormora fra i miei capelli, pacato come sempre, mentre io muoio per lui.

«Tu-» mi fermo. Ho paura di rovinare questo momento, che sia tutto un sogno.
«Ti ascolto.» mi arrendo.

Lo sento muoversi, mi sfiora le ciocche e inizia ad accarezzarmi come se fossi la persona più preziosa del mondo. Muove le labbra sulla mia testa, scompigliandomi qualche capello, gioca con me, mi tocca, mi strega e racconta la sua storia.

«Anni fa c'era un vampiro che amava i libri. Specialmente quelli che parlavano di mostri molto più spaventosi di lui, perché lo facevano sentire più forte.» inizia così, con la parte che già conoscevo.

«Suo padre non era un vampiro, ma si fingeva tale per il suo bene, mentre la mamma vegliava su di lui e gli cucinava le cose più buone. Il vampiro amava il colore rosso e le fragole, la cheesecake alla frutta era il suo dolce preferito e prese l'abitudine di mangiarla spesso.» dalla voce sembra sorridere, preso da quei ricordi, e mi rilasso su di lui, con la testa china.
«Un giorno però suo padre lo abbandonò e sua madre era disperata. Gli disse che sarebbe tornato, che la loro condizione era momentanea, che i vampiri non perdono la vita.» si interrompe con una nota dolente e la sua presa aumenta, ma basta una mia carezza sull'avambraccio per farlo calmare, almeno un pochino.

«Il vampiro conobbe la morte da un giorno all'altro. Era una compagna indesiderata, triste e ingombrante. Lo accompagnava come un'ombra e da lì a poco iniziarono le botte.» deglutisce, si ferma, prende un altro po' di tempo.
«Erano solo bulletti di quartiere, ma lui si sentiva debole e inutile.» continua.

«Non poteva continuare a essere un mostro solo di nome, se voleva sopravvivere, quindi iniziò a ricambiare i colpi. Crebbe, si fece male, crebbe ancora. Sua madre però non riusciva a sopportarlo, era sempre così depressa, così in ansia.» sospira, si fa coraggio.

«Il vampiro allora arrivò a una conclusione tanto ovvia che non poteva credere che gli fosse sfuggita per tutto quel tempo: doveva solo smettere di relazionarsi con gli altri. A che sarebbe servita la loro presenza? Quelli erano solo sporchi umani e non lo capivano. Lo odiavano perfino.» sbuffa, si interrompe ancora una volta. Gioca con una delle mie ciocche, me la tira un pochino, ma non lo fa apposta. Se la sta attorcigliando attorno al dito, sospeso in chissà quali pensieri.

«Iniziò a buttare la sua frustrazione su carta, doveva sfogare la sua rabbia in qualche modo e parlare della morte, di tragedie, di amori inconcludenti e stupidi, lo faceva sentire un po' meglio. Aveva l'illusione di non essere l'unico a soffrire. Fu in quel momento che incontrò un certo Mark, un nuovo amico di sua madre. Quel tale era stregato dalle sue parole, le voleva per sé e lo pregò di spedire uno dei suoi libri a una casa editrice. Un solo tentativo.» scuote il capo, lo inclina un pochino, continua ad accarezzarmi.

«Ma diventò pesante quando il vampiro ebbe successo. Voleva sapere di più, leggere qualcos'altro, diventare il suo migliore amico. Forse voleva perfino la sua identità, il suo talento. Era assillante. Ossessivo. Folle.» si ferma. Prende fiato.
«Il vampiro allora esplose e tornò il mostro di prima. Lo mandò all'ospedale e Mark sparì perfino dalla vita di sua madre, lasciando solo una denuncia. Il vampiro aveva capito che non poteva scappare dai suoi demoni, né cambiare.» conclude tristemente.

«Ma da solo sarebbe impazzito. Si rese così conto che l'unica cosa di cui aveva bisogno era una persona speciale. Una partner che lo comprendesse. Iniziò a cercarla, ma non riusciva a trovare qualcuno così puro da conquistarlo.» si allontana dai miei capelli, torna con gli occhi sui miei, poi fissa lo sguardo sul mio mento, sulla mia bocca.
«E finalmente sei arrivata tu, An. Su quella panchina, con il mio libro in mano. Eri perfetta.» sorride, sfiorandomi la guancia con le labbra, mentre io arrossisco, deglutisco, mi godo il momento. E penso di essere morta e finita in Paradiso. Si ricorda. Si ricorda di me, di quel giorno.

«Ma ho scoperto della tua anemia e sono andato in paranoia. Ho pensato che il destino mi stesse dicendo che non andassi bene e ho cercato ancora. Ti ho ignorata, mi sono detto che eri solo una mortale fra tante mortali, che eri banale.» fa spallucce e pone fine a ogni contatto, alzandosi in piedi. Mi allunga una mano e aspetta che io la afferri per trascinarmi nuovamente verso di lui.
«Ma la verità è che non ho fatto nemmeno in tempo a sceglierti, An. Mi hai catturato molto prima che potessi farlo.»

«Jus...» mormoro sul suo petto.

«La tua è davvero una maledizione.» sospira.
«Spero che te ne assumerai la responsabilità e non mi lascerai, Angel.» conclude, calcando sul mio nome, come a sfiorarlo con la punta della lingua.

«Io... Tu sei Winter?» è tutto quello che riesco a metabolizzare e lui ride di gusto, lasciandomi libera.

«Adesso vuoi un autografo oltre alle mie mutande? Dopotutto sei la mia fan numero uno.» mi prende in giro, per poi aggiungere a voce più bassa: «Stalker.»

Mi passa la maglietta e mi invita con un gesto a rimetterla, cosa che faccio - consapevole che se rimanessi ancora in intimo nessuno dei due riuscirebbe più a trattenersi. Anche mentre mi fissa con i suoi occhi famelici, facendomi quasi pensare che sia davvero un vampiro per l'intensità con cui mi squadra, non faccio che pensare alle sue parole.

Vorrei ribattere alla sua battuta con un'altra, sorridere con lui e non dare così tanto peso alla sua mano che stringe la mia, mentre mi trascina fuori, ma non ci riesco. Sono sopraffatta dalle sue parole, dalla sua storia, da ciò che mi ha nascosto. Lui è il mio idolo, colui che mi ha tenuto compagnia nelle fredde notti in cui mi sentivo sola e triste, e allo stesso tempo è il mio primo amore, colui che mi ha salvata. Vorrei piangere e ridere al tempo stesso, crollare su Justin, assorbire tutto il dolore che ha patito e guardarlo scrivere, sentirlo leggere.
È successo tutto troppo in fretta.

«Gli altri ci aspettano, giusto?» mi chiede, sorridendo come un bambino e io riesco solo ad annuire in risposta.

Mia ci ha intravisti in corridoio, mentre correvamo fuori. O almeno credo. L'ho notata con la coda dell'occhio, ma non ci ho fatto caso più di tanto, troppo presa da ciò che provo, dal cuore che sta per uscirmi dal petto. Se ci ha visti davvero, non ha detto una parola.

«Angie! Justin!» urla Madison non appena ci vede. Scioglie le braccia che aveva conserte e ci viene incontro, mentre Tay mette via il cellulare.

«Siete in ritardo.» ci fa notare subito Tyler, ma sta sorridendo. Non è arrabbiato.

«Potevate anche andarvene.» ribatte Jus, ma so che non lo pensa davvero. Non l'ho mai visto così sorridente e solare. Ho paura che dovrò iniziare a mettermi gli occhiali da sole, tanto è radioso.

«Perché? Perdoni lei e non noi?» sbuffa Maddie, puntando i piedi.

«Guarda che non ti compro il gelato!» continua Tay, minacciandolo con un'espressione talmente seria che nemmeno Justin riesce a resistergli.

«Lo voglio alla fragola.» gli dice e Tyler si illumina.

Tutto quello che succede mi passa davanti come se stessi guardando un film. Sono ancora scossa. Confusa. Stordita. La mia testa è altrove. Non riesco a parlare. Assisto alla scena come una spettatrice. Come dovrei reagire? Cosa dovrei dire? Quello che ho di fronte è uno scenario allegro, ma Jus è ancora triste? Il suo sorriso è una maschera?

Pare di no, ma voglio fare qualcosa - qualsiasi cosa - per allontanare la malinconia del suo passato. Per questo gli stringo forte la mano. Faccio un passo in avanti. Entro nel film, nello scenario allegro. Starò con lui.

«Potevi anche scegliere due gusti.» borbotta intanto Madison, per poi aggiungere: «Nocciola, stracciatella e pistacchio.»

«Perché dovrei offrirti un gelato?» domanda Tay, scocciato dal fatto che Maddie gli abbia appena afferrato un braccio, per tirarlo più vicino a sé.

«Perché ieri sera ho vinto.» ribatte.

Sono quasi certa che stiamo parlando di un videogioco. Quei due passano la nottata a giocare a chissà cosa, per questo Tay ha quasi sempre due occhiaie enormi. Per quanto riguarda Madison, le copre con il trucco.

«Stavi barando.» la accusa Tyler, scocciato.

Odia perdere perché succede raramente e quando accade la sconfitta è molto più amara da buttare giù. Anche Justin è così. In questo sono abbastanza simili.

«Non hai le prove.» sorride Maddie e lui prende un grosso respiro, come a enfatizzare quanto stia soffrendo.
«Ti brucia, vero?» ghigna poi, contenta.

«È un covo di matti.» sussurra Jus, intrecciando le sue dita con le mie, con così tanta nonchalance che non posso non arrossire.

«Parli proprio tu.» gli dico, poi mi rendo conto di un piccolo dettaglio. Qualcosa che mi era sfuggito, perché ero troppo presa da... Beh, da tutto il resto.
«Come sapevi che eravamo qui?»
È tornato a casa di fretta e furia, con addirittura il fiatone.

Justin fa spallucce.
«Un certo cavernicolo temeva che se lo avessi scoperto più tardi non sarei riuscito a perdonarvi.» sbuffa, contrariato dal fatto che sia stato Alex a rendere possibile tutto questo.
«Gli devo un favore.» ammette.

Prima che possa rispondergli, qualcuno mi interrompe.

«Voglio un cono alla vaniglia.» borbotta la voce di Alexander, alle nostre spalle.

Sobbalziamo, stupiti che fosse così vicino, e lui alza un sopracciglio, come a dire "che reazione esagerata".

«Da quanto sei qui?» domanda Jus.
«I lupi mannari sono due?» aggiunge poi, però rivolto più a se stesso che a uno di noi, lanciando un'occhiata a Tay, che fa spallucce.

«Sono appena arrivato. Questo quartiere è un labirinto.» risponde Alex, osservando le nostre mani unite. Il suo non è uno sguardo cattivo, solo un po' triste, e non dura molto a lungo. Capisco che è davvero felice per me nel momento in cui mi sorride.

«Allora? Questo gelato?» chiede e Tay si fa avanti, come un vero paladino del cibo.

«Comunque, il gusto migliore è il Kinder.» mi intrometto nella conversazione, facendo scappare una risatina a Justin, mentre Tyler mette un braccio sulle spalle ad Alex e Maddie gli saltella intorno.

In fondo non è male essere circondata da pazzi.
È il miglior lieto fine che potessi sperare.

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