Levi (9)
Il mattino seguente fece involontariamente per sporgersi verso sinistra e per qualche secondo rimase disteso in modo scomposto.
Piano piano però, cominciò ad ingranare e presto capì che ci mancava qualcosa... o meglio qualcuno.
Alzò il capo in cerca del corpo in movimento di Erwin ma non lo vide da nessuna parte, al suo posto però posò gli occhi sulla sveglia e quasi non gli venne un coccolone.
Perché diavolo era spenta? E come era possibile che non si fosse svegliato in orario come sempre?
«Ma che cazzo...»
«Buongiorno» sentì dire dalla voce bassa e baritonale del suo ex.
Al mattino era rilassata e leggermente roca, suonava proprio come qualcosa di meravigliosamente caldo.
Scosse un po' la testa per scacciare quell'odioso pensiero e guardò a mezzo occhio il corpo scolpito poggiato sulla porta che lo stava guardando impassibile.
Segno positivo, voleva dire che si era già ripreso.
«Non dovresti essere a letto dolorante?» ributtò la testa sul cuscino e decise di strofinarsi gli occhi fino a staccarseli.
Li sentiva terribilmente pesanti.
«Ti sembro uno che si lascia uccidere dai postumi di una semplice sbornia?» abbozzò un ghigno fiero e si staccò dalla porta per porgergli una tazza di tea fumante.
Tea nero, il suo preferito.
«L'ho lavata come mi hai insegnato e ti ho preparato il tuo preferito non sapendo cosa bevi in questo periodo»
«Tsk! Vestiti ed esci da casa mia» prese la tazza in modo brusco e girò il viso altrove pur di non doverlo affrontare. In quel momento odiava profondamente la sua presenza, lo confondeva terribilmente.
Certo non lo amava più, ma si poteva diventare indifferenti ad una persona così da un momento all'altro?
Qualcuno potrebbe dire che non è da un momento all'altro, sono passati sei mesi!
Ma cosa sono sei mesi in confronto a tre anni?
Nascose un sospiro come un soffio nella tazza.
«Andiamo a lavoro insieme?» gli chiese.
Dopo qualche secondo di silenzio decise di prendere in considerazione la sua ostinata noncuranza.
«Levi, se ho fatto qualcosa ieri sera... dimenticala per favore, non ero in me, sinceramente non riesco nemmeno a ricordare di essere arrivato qui, quindi figurati se ricordo cosa è successo»
«Alla faccia della semplice sbronza»
«Si ok, mi sono alzato presto e ho rimediato con tanta acqua, caffè e qualcosa nello stomaco!»
Lo aveva ammesso!
Era un altro passo avanti.
«Ormai sei qui, sarebbe insensato spedirti da solo in ufficio se poi comunque devo seguirti facendo la stessa strada, ma che sia l'ultima volta che succede. Non è successo nulla, ti ho solo preparato un bagno, poi da bravo hai fatto tutto da solo. Hai trovato i tuoi panni puliti?»
Avrebbe dovuto sembrare più incazzato di quello che era, ma proprio non gli riusciva.
Gli faceva immensamente piacere vederlo a posto.
Lo sentì ridacchiare e alzò lo sguardo per guardarlo negli occhi.
Una cosa tanto rara per lui, un dono inestimabile, anche un semplice gorgoglio lo avrebbe registrato per poterlo riascoltare per sempre.
In tre anni che erano stati insieme pochissime volte aveva riso di gusto rivelando la sua risata, ogni tanto a letto si era lasciato scappare qualche risatina o semplice sorriso, ma mai nulla di scontato.
Quella era una delle cose che gli piacevano di più di lui.
Ciò che mostrava era sempre qualcosa di raro e prezioso, nulla di ovvio.
«Cosa ridi?»
In risposta prese un cuscino e lo buttò contro la sua tazza, che per miracolo tenne stretta e si salvò dalla strage.
«Oi, lo sai che se mi cadeva il tea sul letto non uscivi vivo da questa stanza, vero?» sbottò per poi ributtargli il cuscino come un bambino indispettito.
Stavolta rise di più continuando però a trattenersi.
«Te la faccio passare io la voglia di ridere!» minacciò alzandosi agilmente dal letto.
Si inseguivano stupidamente come due ragazzini, fino a quando si ritrovarono a girare intorno al divano in salotto.
Si guardarono negli occhi e a quel punto l'espressione di Erwin cambiò, si fece più incerta e sembrava quasi volesse ammettere qualche colpa.
Probabilmente quel risveglio di coppia sarebbe finito male.
«Non devi sentirti in colpa, non è la prima volta che ci ritroviamo nudi uno difronte all'altro.» lo anticipò.
«Non mi preoccupa questo, ma io...»
«Non ti dai ancora pace. Vuoi sapere perché ti ho lasciato giusto? È per questo che ti sei ubriacato, perché dopo 6 mesi non sapevi come affrontarmi? Certo che in poche ore sei riuscito a farmi vedere molti lati del tuo carattere che non conoscevo minimamente!» sbottò.
Era arrabbiato.
Lui passava il suo tempo a colpevolizzarsi e nel frattempo Erwin faceva stronzate per farlo sentire ancora più in colpa.
Diventava sempre più difficile ignorarlo!
Lo vide appoggiarsi alla spalliera del divano per farsi più vicino, si guardarono per un po', poi Erwin cercò di ridere, anche se uscì più un rantolo di sofferenza.
«Ho avuto un momento di debolezza, gradirei tu non mi giudicassi per questo» si piegò ancora di più per ritrovarsi davanti il suo volto.
«Invece penso che tu sia proprio un imbecille!» sussurrò ringhiando di rabbia.
Il compagno si fece improvvisamente serio, comportamento che non portava mai nulla di buono.
«È facile dirlo quando si è quello che è andato avanti dopo aver trovato un'altra persona da amare!» ribatté glaciale.
Sembrava aver perso la titubanza di prima.
Per poco non sentì le gambe cedergli.
Come poteva sapere di...
Un momento, lui non aveva mai parlato del moccioso, non si frequentavano, come poteva aver capito che ci fosse qualcun altro nei suoi pensieri?
«Cosa stai dicendo?» gli chiese confuso.
«Quello che ho appena insinuato!»
Deglutì in difficoltà poi indietreggiò per girare attorno al divano e andargli in contro.
«Tu come... Quando lo hai...»
«L'ho capito e basta, ma preferirei sentirmelo dire da te, sapere la verità»
Era vero che si era invaghito di un altro, ma non era stato affatto facile per lui ammetterlo, dopo parecchio tempo si stava ancora colpevolizzando per il modo in cui lo aveva lasciato, perché aveva smesso di amarlo, in quel momento perché lo aveva reso vulnerabile, perché gli stava spezzando il cuore. Si sentiva uno schifo costantemente per quello che gli stava facendo e lui lo stava rimproverando, lo stava facendo sentire come uno stronzo doppiogiochista insensibile!
«E quale verità dovrei raccontarti!» rispose a tono ora alterato quanto lui e pronto ad attaccare.
«Che guardi il tuo vicino come se fosse il tuo cibo preferito! Che a lavoro non sei minimamente concentrato! Che quando andavamo al bar nell'ultimo periodo non facevi altro che fissargli il culo! Davvero Levi, mi hai preso per uno stupido!?»
Per l'ennesima volta rimase stupito, aveva notato tutte quelle cose e non gliele aveva mai dette? Non le aveva nemmeno usate come accusa quando gli aveva detto di volerlo lasciare...
Si sentiva atterrito.
«E allora?» provò a mostrarsi indifferente come sempre.
«Non provare a fare il finto tonto con me Levi» minacciò avvicinandosi ancora, trovandosi vicinissimo a lui «Adesso sono pronto per sapere le tue motivazioni»
«E a cosa ti servirebbe saperle» lo fronteggiò, nonostante fosse almeno 30 centimetri più alto di lui e due volte più prestante.
«Qualsiasi sia il motivo, me ne farò una ragione e andrò avanti con la mia vita»
Non ci fu bisogno di specificare perché avrebbe dovuto farsene una ragione, era chiarissimo.
Infatti se possibile si alterò ancora di più.
«Cosa dovrei dirti, hai già capito tutto. Mi piace... il moccioso» lo disse talmente a bassa voce che sembrò non essere uscito suono dalle sue labbra. Voleva fare la parte del sicuro, ma in verità non avrebbe mai voluto ammetterlo proprio davanti ad Erwin e in condizioni così poco chiare come si trovava in quel momento.
Gli sembrava quasi di fargli un torto, non solo lo lasciava, ma poi per cosa? Una stupida storiella? Non poteva essere così.
L'espressione dura che scaturì sul volto dell'ex compagno lo ferì profondamente ma allo stesso tempo fece esplodere la rabbia che stava reprimendo.
«Io non sono andato avanti facilmente! Come ti permetti?» gli puntò un dito sul petto «Per chi mi hai preso? Per uno che si diverte a cercare piacere altrove senza avere riguardo dei sentimenti altrui? Come puoi aver pensato che io ti abbia scartato con tanta facilità!» finì per urlare, ferito da quel nuovo sentimento.
«Tsk! Cosa credi che non ci abbia pensato mille volte prima di decidermi a parlarti, a dirti che era finita? Credi che non abbia provato ad andare avanti con noi prima di fare questa follia? Credi che io adesso sia felice e sereno guardandoti in faccia dopo quello che ti ho fatto!?» affondò ancora una volta il dito nel suo petto, reprimendo delle stupide lacrime che lo stavano tradendo.
Non avrebbe pianto, non gli avrebbe mai mostrato quella parte di sé, non in quel momento.
Per quanto il volto non lasciasse trasparire nulla, i suoi occhi celesti erano chiaramente carichi di comprensione, dispiacere e allo stesso tempo di felicità, probabilmente derivata dal fatto che adesso sapeva di fare parte dei suoi pensieri.
Solitamente quei magnifici occhi così chiari e profondi lo rassicuravano, ma in quel momento non gli fecero nessun effetto.
«Esci da casa mia» disse soltanto Se ne infischiava del lavoro, di lui e delle fottute lacrime.
«Ti prego, parliamone...»
«Esci da casa mia!» disse stranamente calmo, sembrò quasi tuonare la sua voce.
Si girò e tornò in camera da letto, deciso a non lasciarla per le prossime ore.
Il povero gatto non fece altro che sopportare le sue torture per tutto il giorno, in silenzio acciambellato sul letto, proprio dove aveva dormito Erwin quella notte.
Stava assorbendo il suo odore e ciò lo rendeva talmente nervoso da strapazzare sempre di più quel povero gatto innocente.
In quel momento avrebbe voluto vedere il moccioso solo per capire ancora una volta i suoi sentimenti, per sentirsi sicuro della sua scelta invece che continuare a rimurginarci sopra senza nessuna certezza.
Si fece una doccia veloce, si vestì e una volta controllato l'assenza del suo ex compagno, uscì di casa per recarsi al bar.
Era quasi sicuro di non trovarlo ancora lì dopo la prima incursione che aveva fatto per rintracciarlo, ma almeno poteva fare finta di ripercorrere la routine che ormai andava avanti da un po' di tempo, pur di vederlo.
Il biondino che sicuramente oltre che un collega era anche un amico stretto del suo moccioso, stava mettendo a posto qualche tavolo, ormai vicini all'orario di chiusura.
Non appena lo vide si bloccò per qualche istante.
«Oi tu, dov'è il tuo capo?»
«In ufficio, se vuole glielo chiamo»
Lo squadrò da capo a piede, poi gli spuntò un sorriso a trentadue denti sul volto.
Quel piccolo mostro gli stava davvero sulle scatole, non aveva mai capito cosa ci trovasse tanto da ridere su di lui, gli faceva venire la voglia di prenderlo a sberle fino a farlo sanguinare.
«Fa nulla, chiedo direttamente a te. Quando ha intenzione di tornare il tuo amico?»
L'altro sorrise «Domani sarà a casa»
«Bene» si accese una sigaretta.
«Gli dirò di passare da lei non appena rientra se ne ha bisogno»
«Tsk! Pensa piuttosto a fare il tuo lavoro. Quella tovaglia è sporca, testa di paglia!» disse prima di voltargli le spalle e tornarsene a casa.
Spazio tempo
Perché ho pubblicato due giorni di seguito?
Perché oggi è il compleanno di Renata, la patata che mi segue e aspetta con ansia ogni capitolo. renatadestefano1 Auguriiii ❤️❤️❤️ 😘 questo è il mio regalo.
Volevo anche dirvi che sono su instagram, seguitemi e io vi seguirò, sono Designer_untalented.
Chu~💙
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