Eren (1)

La sveglia decide di suonare alle sei del mattino precise, per fortuna in casa alleggia un buon profumo di dolci che mi sveglia col sorriso sulle labbra, mi stiracchio tendendomi all'inverosimile per smuovere i miei poveri muscoli indolenziti e mi metto seduto.
Prendo un po' di tempo per contemplare la vita poi vado ad aprire la finestra e il sole mi investe in pieno, bruciandomi non solo gli occhi, ma anche quei pochi neuroni rimasti in testa. Pessima idea!
Sento mia madre urlare di scendere per la colazione e nella mia testa scatta un campanello d'allarme.
Mia madre?
Io non vivo più con mia madre!
Fu così che si alzò in preda al panico, già perfettamente cosciente di aver fatto un tremendo ritardo.
La sveglia segna le sette e mezzo, l'ora in cui la saracinesca del bar dovrebbe essere issata.
Bestemmie decisamente poco cordiali piovono insieme i poveri vestiti nell'armadio che vengono gettati con foga ovunque alla rinfusa nella stanza.
Eren si placò per un istante.
Si sentì per un attimo il protagonista di uno stupido libro, di quelli sfigati gettati giù dal letto da una malefica sveglia e una vita da comparire, susseguita da una serie di sfortunati eventi.
Rise isterico dopo aver visto finalmente la malefica divisa da lavoro che stava cercando, la prese con rabbia e cominciò a vestirsi.
Ormai gli succedeva di continuo, sognava di alzarsi in orario, di avere la colazione pronta e la sua famiglia ad aspettarlo.
Più o meno era settimana che andava avanti.
Aveva bisogno di una pausa compresi di bella dormita e magari una vacanza.
Molto improbabile.
Doveva ringraziare di avere già quel lavoro nel bar a pochi passi da casa grazie al padre, migliore amico del proprietario, figurarsi avere i soldi per una vacanza.
Ma poi il tempo!
L'università chi l'avrebbe portata avanti?
Certo fosse stato per lui l'avrebbe abbandonata, ma doveva fare felice il padre, laurearsi in legge e proseguire la dinastia degli avvocati Jeager.
Di base odiava tutto ciò che riguardasse il campo amministrativo, legislativo, giudiziario e quanto altro ma ormai era al secondo anno con una collezione di trenta su trenta, avrebbe sopportato altri tre anni.
Stava finalmente scendendo le scale del palazzo a velocità super sonica pregando mentalmente di non aver dimenticato nulla, uscì dal portone e corse verso la sua modestissima macchina, gioiellino generosamente regalato dalla madre all'insaputa del padre, e partì con tutta fretta.
Mentre guidava non poteva fare a meno di guardare di continuo l'orologio satellitare della macchina gli ricordava il disastroso orario... le 8.15! Sperando quasi fosse tutto uno scherzo e che l'orario cambiare magicamente per riportarlo indietro nel tempo.
Era vero che ormai era dipendente da due anni e il proprietario gli voleva bene come un figlio, però era l'ennesimo ritardo e Marco era uno di quegli uomini angelici sempre, ma alla goccia di troppo sapeva diventare Satana in persona.
Stavolta era sicuro di perdere la vita.
Dopo due minuti netti, tra semafori rossi saltati e qualche segnaletica stradale di troppo, arrivò sano e salvo al Marcus cafè, cosciente di doversi aspettare qualche raccomandata salata nei giorni avvenire.
Non fece neppure in tempo a mettere il naso all'ingresso che una voce fin troppo familiare gli fece rizzare i peli sulle braccia.
«Ma buongiorno!»
Un buongiorno che sapeva di sangue.
Dall'alto del suo metro e ottanta il proprietario lo stava incenerendo con lo sguardo e probabilmente gli stava anche chiedendo di tornarsene a casa prima di potergli fare qualcosa di cui si sarebbe presto pentito.
Sospirò, pronto ad essere umiliato davanti a tutto il bar.
«Vediamo Eren, è la quarta volta che succede?» fece finta di pensare con un cipiglio minaccioso.
«Sesta» rispose velocemente... come un vero cretino che si rispetti!!
Maledetta lingua!
Ok, era decisamente fritto.
Quando Marco aprì la bocca non urlò e questo fu anche peggio, con una calma glaciale gliene disse quattro fino a concludere con «... questa è l'ultima volta, alla prossima riferisco a tuo padre».
Se lo avesse licenziato sarebbe stato meglio.
Suo padre! Lui farebbe peggio che ucciderlo, gli avrebbe tagliato l'assegno mensile in due e a quel punto addio vita, certo l'università l'avrebbe sicuramente continuata a pagare ma lui come avrebbe potuto vivere??
Certo non poteva lamentarsi, alla fine godeva di un'ottima stabilità finanziaria, ma lui in ogni caso era esonerato dalla comodità familiare, gli era concesso lo stretto necessario per studiare e basta, perché era lo sfaticato e inetto di casa.
A detta del genitore, cavandosela da solo sarebbe maturato, avrebbe messo la testa a posto e forse un giorno si sarebbe meritato anche lui i soldi facili.
Andò nel retro sconsolato per posare la borsa che aveva con sé e girandosi si trovò il suo amico e collega Ermin con in volto stampata una faccia da "Mi dispiace".
Mi abbraccia.
«Buongiorno Eren»
«Buondì»
«È ovvio che ha detto quelle cose per farti rigare dritto, non parlerà mai con tuo padre, sa a cosa andresti in contro» provò a tranquillizzarlo.
Fece una smorfia e si staccò riluttante.
Molto probabilmente era vero, ma anche lui si sarebbe licenziato, non ne faceva una buona.
Uscirono fuori, dove i soliti clienti mattutini si prendevano due minuti per gustare un caffè prima di correre anche loro al lavoro.
Qualche sguardo incuriosito verso di lui gli fece capire di aver appena collezionato la prima grandissima figura di merda della giornata
«Immagino di aver appena dato spettacolo, vero?»
«Un po' e adesso che ti guardo meglio credo che ti stiano guardando anche per la divisa»
«Cosa c'è che non v...»
L'aveva infilata al contrario!
Si diede altre mille volte del cretino e corse di nuovo nel retro a cambiarsi velocemente prima che Marco ritornasse dall'ufficio senza vederlo ancora in sala.
Che palle! La sua vita era già abbastanza una figura di merda!
Quando uscì di nuovo decise di mettersi al lavoro senza pensarci, prese il taccuino, la penna, il coraggio che gli mancava e si avviò... o al meno tentò, visto che Armin lo bloccò subito tirandolo per la maglia.
«È arrivato il tuo svolta mattinata, signor Catastrofe Naturale» gli disse all'orecchio facendo cenno con la testa verso il tavolo più vicino all'ingresso.
Probabilmente l'ennesimo neurone del suo cervello smise di vivere dopo aver trattenuto il fiato di colpo.
No, quella giornata era decisamente un susseguirsi di sventure.
«Su vai, altrimenti il "Signor Ackerman" si spazientisce» mi stuzzica con tono malizioso, continuando a sogghignare guardare in sua direzione.
«Abbassa la voce!» protesto.
Ci mancava solo che li sentisse e si sarebbe potuto sotterrare.
Il signor "Ackerman" era per fortuna o disgrazia il suo vicino di casa e cliente abituale del bar.

Un anno prima, quando il padre lo aveva praticamente cacciato di casa, si era trasferito nella vecchia casa di sua sorella Mikasa nel condominio lì vicino.
La prima volta che vide quel burbero e silenzioso coinquilino di pianerottolo, Eren si rese conto di essersi cotto il cervello.
Da allora divenne un chiodo fisso e ogni qual volta lo incrociava faceva la figura dell'idiota, o perché non sapeva cosa dire o perché il colorito delle sue guance lo tradiva condannandolo ad una figura di merda dietro l'altra.
Armin lo riscosse dai suoi pensieri prendendolo a spallate, cercava di spingerlo a muoversi per poterlo vedere in azione.
Sospirò ormai sconfitto, stirò delle pieghe immaginarie al vecchio grembiule che indossava e si avviò al tavolo, sperando di non inciampare, cadere, fare disastri o altro lungo il percorso.
«Buongiorno signor Ackerman, cosa le porto?» parlò troppo velocemente.
"Non ci pensare, concentrati"
...
"Su Eren, probabile non se ne sia neppure accorto!"
Il vicino alzò lo sguardo per fissarlo col suo solito sguardo inespressivo e sembrò fargli una radiografia da capo a piede.
"O santi numi! Le guance, le guance!!"
«Il solito» rispose soltanto.
Corse come un latitante dietro al bancone per nascondersi dal suo maledetto sguardo e notò Armin, dall'altro lato della sala, sghignazzare di gusto mentre prendeva le ordinazioni di un altro tavolo.
Levi era talmente cliente abituale che ovviamente sapeva esattamente cosa volesse, anche perché quell'uomo non è che poi avesse questi gusti fantasiosi, ma decisamente unici nel suo genere.
Al mattino prendeva sempre un caffè rigorosamente amaro, il pomeriggio, quando passava dopo il lavoro verso le cinque, un thè rigorosamente amaro e la sera quando gli capitava di passare di tanto in tanto per comprare le sigarette dal tabaccaio di fianco, prendeva un altro thè rigorosamente amaro.
Per Eren, amante dei dolci, era impossibile capire gusti simili, ma appunto, i gusti sono gusti.
Una volta per distrazione scambiò il caffè della signora Bennet, altra cliente abituale e molto affezionata a lui, con quello del vicino.
Inutile dire che quello della dolce vecchina era addirittura addolcito con due bustine di zucchero.
Nessuno dei due disse niente ma il giorno dopo Ackerman se ne uscì con "Moccioso, cerca di non scambiarli di nuovo" ovviamente con la sua innata gentilezza, mentre la gentilissima signora lo corresse con amore.
Per raccontare una delle tante figure di m...
Si avviò col vassoio, sempre pregando i dei del cielo di non giocargli brutti scherzi, per portargli il suo caffè.
Ogni volta si rendeva conto di quanto quell'uomo mettesse soggezione, non capiva perfettamente se era una sensazione che avvertiva solo lui e forse dipendeva dal fatto che si sentiva continuamente studiato e osservato in ogni piccolo movimento da quello sguardo glaciale, che poteva forse essere normale per lui, ma risultava quasi accusatorio per Eren, come se facesse continuamente qualcosa di sbagliato.
«Levi!» sentì parlare il suo capo alle spalle.
Per poco non gli cadde da mano il vassoio per lo spavento.
Era troppo teso.
«Come mai così fuori orario stamattina?» gli chiese ormai al mio fianco.
«Oggi non lavoro» parlò senza neppure guardarlo.
«Sul serio? E come mai? Levi che salta il lavoro è davvero strano da sentire sai? Hai qualcosa di importante da fare?» ammiccò in modo strano, ma soprattutto confidenziale!
«Nulla che ti riguardi» borbottò.
«Socievole come sempre! Okay, okay buona giornata, vecchio»
«tsk!» rispose indignato.
Marco se ne andò ridacchiando.
«E tu moccioso, cosa fai ancora qua!?» lo rimproverò guardandolo fisso negli occhi.
Quegli occhi!
Color ghiaccio, cristalli che sembravano congelare qualcosa nel tempo, penetranti e intimidatori.
«Allora?»
Scosse leggermente il capo per riprendersi.
«Ehm... vado signore, mi scusi»

Che figura di ...
Tornò dentro consapevole di essere già a quota 3.
Armin al suo fianco dietro al bancone continuava a ridersela di gusto sotto i baffi, ignorando le occhiatacce che il povero mal capitato gli stava riservando, cercando di fuggire dalla voglia di sprofondare li terra e scavarsi una fossa sotto la lavastoviglie.

Quando finalmente rincasò ormai alle due, non mangiò nemmeno, si immerse direttamente nei libri per distrarsi.
Oltretutto la data del prossimo esame si avvicinava e a lui non piaceva ridursi all'ultimo per studiare, voleva finire in anticipo, avere il tempo di ripetere e andare davanti la commissione col cuore leggero e la testa libera di preoccupazioni.
Non sapeva neppure lui perché ci tenesse così tanto che andasse bene, ma almeno non si stressava da solo.
Forse perché non voleva sentirsi dire la solita frase dal padre "sei il solito scansafatiche, non combinerai niente nella tua vita e rimarrai anche ignorante"
Non era certo un genio ma a darsi dello stupido ci teneva a farlo da solo.
Perso ormai nello studio sfrenato si rese a malapena conto che qualcuno bussò alla porta di casa, si stiracchiò un po' gli occhi per abituarsi a qualcosa di diverso delle righe del libro e si alzò per andare ad aprire.
Per poco non gli venne un coccolone.
«Salve moccioso, hai del caffè per caso?»
Fra le dita una sigaretta probabilmente accesa in quel momento, in dosso solo una maglia nera con un grande scollo a V che lasciava vedere più del necessario e un pantalone di pelle nero attillato che risaltava i magnifici muscoli ben scolpiti di quel piccolo ma tonico corpo, messo un po' troppo giù sui fianchi per i suoi gusti, lasciando in bella mostra la V inguinale che si perdeva in essi.
Penso di sentirsi male e strinse la maniglia della porta convulsamente prima di far ripartire l'ossigeno nel cervello.
«Allora? Gia ci hai messo un eternità ad aprire...»
«Entra, te lo preparo io»
Lo lasciò all'ingresso senza dargli possibilità di replica e andò in cucina a metter su la macchinetta.
Santo cielo!
Forse non tutto l'ossigeno era arrivato a destinazione, si sentiva leggermente assente a se stesso.
Il suo vicino era nel suo salotto!
Il "bip" delicato della macchinetta gli diede come uno schiaffo mentale, si riprese del tutto, preparò le due tazzine con garbo e le portò in salotto insieme ad una posacenere, sicuro che gli sarebbe servita.
Poggiò tutto sul tavolino davanti la TV e lo guardò un po' spaesato, non ricordava neppure dove avesse messo il telefono e in casa non usava orologi.
«Che ore sono?» chiese più a sé stesso che al vicino.
«Le Cinque» rispose lui prontamente.
Le cinque?
Oh mio dio, aveva perso completamente la cognizione del tempo
«Accomodati, hai intenzione di bertelo in piedi il caffè?» vedendolo ancora in piedi di fianco il divano.
Si sedette tranquillo e poggiò la sigaretta nel posacenere di vetro, prese la tazza e bevve un po' di bevanda scura.
«Ti ho interrotto in qualcosa?» domandò guardando la bolgia di libri, fogli, quaderni ed evidenziatori sparsi più in là.
«Oh! Io bhe... Stavo studiando. Ma non preoccuparti, anzi mi hai riportato alla realtà, mi ero concentrato un po' troppo» si grattò la nuca in imbarazzo.
«Che studi?-»
«Legge»
Per poco non sputò il caffè
«Scherzi??? Mi prendi in giro moccioso?»
Sul viso gli spuntò un mezzo sorrisetto beffardo che in un attimo fece uscire fuori di testa Eren.
«Si, perchè?»
Posò la tazza sul tavolino e lo guardò negli occhi con la sua solita espressione indecifrabile
«Sembri tutto fuorché capace di stare dietro le persone, non riesci neppure a gestire te stesso»
Si impose di mantenere la calma.
«Con il lavoro del bar riesci a pagarti questo appartamento e a studiare?»
«L'appartamento è mio, o meglio, era di mia sorella, penso tu la conosca, ma poi me lo ha lasciato quando si è sposata. I soldi del bar mi servono per vivere, gli studi me li paga mio padre».
«Un moccioso in tutto e per tutto»
«I miei vogliono solo darmi una mano, cosa c'è di male in questo??» perché si stava giustificando?
«Quanti anni hai?» continuò non contento.
«Venti» rispose con un tono che non riservava più gentilezza.
«E vuoi farti "aiutare" da loro per sempre?»
«Non ho detto questo» ringhio.
«A me sembra solo tu sia un moccioso viziato»
«A me invece sembra semplicemente assurdo che a vent'anni mi debba ritenere già auto sufficiente!»
«Potresti sempre provarci, magari in un appartamento con altri studenti e pagandoti i tuoi bisogni con le tue forze»
Si alzò come una molla impossibilitato a trattenersi oltre.
«A me sembra che tu stia esagerando, non credo tu sia nessuno per entrare in casa mia e potermi giudicare!»
Anche lui si alza per poterlo guardare negli occhi e solo in quel momento Eren si rese davvero conto della minima distanza che li separava.
Senza volerlo abbassò gli occhi sulle sue labbra e il respiro si fece improvvisamente corto.
Il suo volto, però, leggermente schifato lo riportò bruscamente alla realtà.
«Tu, Ackerman dei miei stivali, chi ti credi di essere? Mi conosci? Allora come fai a parlare. Ti ho offerto un caffè non chiesto di giudicare la mia vita!- gli puntò un dito sul petto senza curarsi del fatto che stava toccando proprio lui, l'uomo che per cui aveva perso la testa senza nessun logico motivo.
Uomo.
Faceva un po' strano pensarlo, aveva sempre immaginato la sua vita un po' come quella della sorella, sposato con una bella donna, qualche mormocchio qua e là, un posto di lavoro tranquillo e stabile... tutto normale insomma.
Invece no, non aveva mai provato attrazione per nessuna ragazza, si era sentito parecchie volte diverso e strano perché i suoi amici in un modo o nell'altro trovavano sempre qualche ragazza che li attraesse.
Si era ripetuto tante volte che probabilmente stesse aspettando quella giusta e quindi non gli interessava guardare chiunque, ma quel vicino gli aveva smontato anche quell'ultima convinzione, quel briciolo di normalità che sperava ancora di ottenere.
Tutto di quell'uomo solo a guardarlo gli scaturiva desideri mai provati.
La sua tonicità nonostante la stazza piccola, il culo a dir poco perfetto, la sua altezza che lo rendeva quasi dolce e persino quel suo essere tremendamente distaccato, misterioso e burbero.
Gli occhi... di un colore unico.
Le labbra piccole che sembrano così delicate.
Bello come non lo era mai stata nessuna donna.
«Levami le mani di dosso» si mise a scandire bene le parole senza minimamente scomporsi.
Cercò di ricomporsi guardandolo male, anche se ormai quei mille pensieri lo avevano già calmato.
«Lo so okay? Mi adagio sugli allori, sono uno stupido, un inetto e tutto quello che vuoi, ma sono io, cerco di cambiare ma sono così e... Mi dispiace, me la sono presa troppo» e aveva appena fatto la figura dello sfigato.
"Complimenti Eren”
"Dov'è la bara?"
Ma poi, come ci erano arrivati ad urlarsi contro??
Il vicino lo afferrò per il collo della maglia e si alzò sulle punte, avvicinandosi pericolosamente al suo viso.
Il respiro di Eren si bloccò per l'ennesima volta...

~Actor~
Levi: Quella scena era abbastanza imbarazzante...
Eren: Puoi dirlo forte! Avevo paura mi cadesse la tazzina di mano!
Levi: Pensa se mi avessi sporcato la camicia
Eren: Come minimo mi avresti ucciso
Levi: Peggio *sguardo pervy*
Eren:  @'-'@

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top