Prologo [P.1]
N/A fatta dopo mesi aver completato la storia, cioè verso fine settembre 2019: sto revisionando piano piano la storia, cercando di rendere anche i "primi" capitoli più simili per stile e livello di qualità agli ultimi, con i quali c'è molto divario.
Spero che la versione revisionata possa essere di gradimento a chiunque sia nuovo per questa storia; perché so bene che vedere nei primi capitoli di una storia molto lunga molti piccoli elementi scorretti possa scoraggiare la lettura.
Per questo, ripeto, proverò a fare, pian piano, del mio meglio per revisionarli e renderli migliori.
Finito questo avviso, vi lascio all'inizio di questa storia.
Thomas fu svegliato da una voce femminile, squillante, che ripeteva le stesse parole, mentre la persona a cui apparteneva la fastidiosa nenia lo scrollava insistentemente.
<Ariana, dai, lasciami dormire un po' di più!> esclamò il kitten, un poco scontroso.
Ma alla fine cedette si mise a sedere coi capelli corvini scompigliati, da cui spuntavano due orecchie nero pece come la coda alla fine della schiena che scattava scontenta.
Si ritrovò quasi col suo naso contro quello della castana davanti a lui, i suoi occhi verdi che fissavano dentro quelli castani di lei.
<Sono le otto passate! Oggi tocca a te procurare del cibo, mentre io insegno ai piccoli.> e la ragazza si ritirò leggermente, per dare un po' più di spazio vitale all'amico.
<Comunque, non credo che capirò perché noi kittens ci ostiniamo a fare figli, sapendo a che li condanniamo...> borbottò successivamente la ragazza, ancora decisa a rimanere sul letto dell'altro, in ginocchio.
Le orecchie da gatto di lei si rizzarono appena ebbero captato un rumore provenire dall'esterno della stanza, dal piano inferiore della casa.
Thomas la imitò, i padiglioni auricolari ben aperti.
<Sono dei passi...> notò Thomas, notando che dovessero appartenere a più persone.
<Sono i piccoli! Riconosco i loro passi all'istante! Vado da loro e facciamo lezione al piano terra, tu va fuori e ruba qualcosa ad un qualche market in giro. Ricordati di travestirti bene!> raccomandò Ariana, alzandosi finalmente dal letto mezzo rotto del moro.
Guardò l'altro, severa come farebbe una vera madre, con le mani sui fianchi e la ondeggiante coda castano chiaro, della stessa tonalità delle orecchie; in netto contrasto con i suoi capelli e occhi, di un castano di diverse tonalità più scuro.
Poi però si sciolse in un dolce sorriso.
Prese il moro dalle ascelle, lo alzò in piedi e lo abbracciò stretto al petto, schiacciandolo contro il suo seno, e lui avvampò per quello, a differenza della ragazza che non ci diede peso.
Lei sussurrò: <Sta attento, ok?> e poi si staccò.
<Se esci tu, fra un po' non mi avverti neppure perché sei così sicura di te, se esco io ti agiti manco volessi correre nudo per la strada...> bofonchiò arrabbiato il moro.
<Io ci vado molto più spesso di te fuori, e so sempre come cavarmela e passare inosservata. Sono una kitten forte.> ed in quel momento la ragazza si interruppe, mordendosi qualche istante il labbro.
Le costava sempre dimostrare di essere debole, ma alla fine lo faceva. Perciò continuò: <Anche tu esci, ok, ma per me sei troppo... troppo speciale per lasciarti in qualsiasi modo rischiare la tua libertà. Sei troppo dolce, buono e "innocente" per stare là fuori... e semplicemente rischiare tutto.> concluse Ariana, tenendo lo sguardo fisso avanti a sé, come sempre quando andavano a parare su quell'argomento..
Ariana e Thomas si erano conosciuti da piccoli e da quel momento non si erano più staccati. Erano fratelli, ma per scelta e non per sangue.
E Ariana era sempre stata un pochino iperprotettiva a causa delle loro esperienze: Thomas aveva avuto la fortuna di ricordare, spesso, solo brandelli sparuti anche se molto vividi e pregni di dolore. Ariana invece ricordava bene quegli eventi, ritrovandoli orribili e sentendo i sentimenti negativi ritornare indietro con una marea.
<Mi tratti come i bambini a cui ORA dovresti insegnare, ho ben 18 anni e ad agosto li compirai pure te...> ribatté il ragazzo.
Ariana sospirò, andando sull'uscio: <Però sei alto un metro ed un succo di frutta e sei dolcissimo, come i bambini. Comunque ci vediamo dopo, nanetto.> salutò la ragazza.
<A dopo...> la salutò il moro con un sorrisetto, comunque un pochino offeso per il commento sulla sua altezza.
Solo perché Ariana era poco più di un 1,70m di altezza e lui solo circa 1,60m non voleva dire che dovesse rimarcarlo spesso e volentieri, no?
Rovistò in un piccolo armadio se c'era qualcosa al caso suo.
Fuori c'era freschino, ma non quel freddo per usare la scusa della cuffia senza risultare sospetto...
Decise di dedicarsi prima alla ricerca di una maglietta e un paio di pantaloni decenti, poi si sarebbe preoccupato di nascondere le orecchie.
Mise a forza la coda nei pantaloni, sentendosi scomodo: odiava farlo ma se non voleva essere catturato...
A quel pensiero rabbrividì e fece una smorfia: non doveva pensarci.
Era orribile quello che accadeva.
Quando i cacciatori trovavano dei kittens, li prendevano e li trasportavano a qualche asta (chissà dopo quanti giorni rinchiusi in luoghi stretti, umidi e bui) per essere poi venduti come bamboline ai più porci e ricchi interessati al kitten di cui si sta facendo la compravendita.
Si distolse da quei pensieri, mentre prendeva un cappello di una qualche squadra di baseball della zona, ripescato tanto tempo prima insieme ad Ariana da un sacco di vecchi vestiti buttati via.
Tutto lì dentro era raccattato da altri posti; se non da dentro casa, da sacchi appena buttati via da gente che poteva permettersi simili sprechi, salvezza loro.
Si guardò alla finestra, sporca e sudicia, ma che rifletteva una sua figura a tratti indistinta.
Beh, non poteva pretendere tanto da quella costruzione in decadenza mai abbattuta o ristrutturata, che usavano come rifugio lui, Ariana e tanti altri kittens.
Da quel che intravedeva nel proprio riflesso, per fortuna sembrava un comune umano.
Scese al piano di sotto, cercando attraverso l'udito, anche se abbastanza limitato dal cappellino, dove Ariana quel giorno insegnasse.
Per fortuna la castana aveva una voce abbastanza squillante e fu facilmente rintracciabile.
Bussò un colpo sulla porta mezza scardinata prima di sentire un coro di bambini che diceva: <Avanti!> e aprì la porta.
<Ehi, sono solo passato a salutare...> si annunciò Thomas, come al suo solito timido, mentre Ariana si girava dal muro usato come lavagna e, col pezzo di pietra che usava come gesso in mano, andò verso l'amico e lo abbracciò di nuovo con moltissimo affetto.
Thomas perse qualche secondo a lasciarsi a quell'odore familiare, che sapeva di un miscuglio improbabile di odori che lì tutti avevano; eppure per lui quello di Ariana era speciale, diverso e... importante.
<Attento, ok? Lo so, l'ho già detto e faccio la mamma ma mi preoccupo tantissimo ogni volta che esci. Tengo troppo a te. Tu sei il mio tutto.> sussurrò Ariana dolce, alzando leggermente il cappellino all'amico cosicché potesse sentire bene.
Le guance del moro si tinsero di rosso a quella dimostrazione di affetto, lo faceva sempre e non riusciva mai a trattenersi.
Intanto le risate dei bambini risuonavano per la stanza.
<La maestra Ariana e zio Thomas stanno insieme! La maestra Ariana e zio Thomas stanno insieme!> cantilenavano.
Ariana si staccò e, mettendosi le mani sui fianchi con cipiglio esasperato in volto, disse: <Come vi devo dire che io e lui siamo come fratelli? Che siamo compari? E ora, Thomas, potresti andare prima che la situazione degeneri?>
Thomas annuì e si diresse subito fuori dalla stanza, mettendosi a posto il cappellino, sentendo le risate dei bambini mentre si allontanava.
Uscì dallo sgangherato e abbandonato edificio, arrampicandosi sugli alberi ormai diventati incontrollabili come l'edera sui muri dell'edificio, e arrivò fino in cima ai rami che si stavano riempiendo di foglie.
Era arrivato metà marzo e quel giorno era tiepido, segnale che alla bella stagione non mancava così tanto (si sperava).
Si arrampicò grazie ad altre sporgenze su case accanto, per ritrovarsi sui tetti.
Con la rapidità ed agilità dei felini saltò da un tetto all'altro, fino ad arrivare vicino ad un parco, dove scese grazie ai grandi alberi che crescevano lì.
Ogni tanto sembrava che gli umani, con i loro piccoli spazi verdi, li aiutassero nei loro intenti.
Andò in un particolare Market e, con buste prese lì, iniziò a riempire quattro borse con quello che sarebbe servito per un po'.
Non per tantissimo, ma per almeno qualche giorno.
Tanto non sarebbe stato l'unico ad andare a "fare la spesa" quel giorno.
Tenne la testa china tutto il tempo, onde evitare di essere ripreso da eventuali telecamere.
Preso tutto quello che doveva, si preparò in una posizione che ricordava vagamente quella dei corridori, scattò e corse fuori dal market in più in fretta possibile senza pagare, mentre l'allarme anti furto suonava peggio della sirena della polizia.
Optò per andare in una serie di stradine, saltando e schivando bidoni, passanti e auto parcheggiate.
Arrivò ad un apparente vicolo cieco mentre sentiva le persone in lontananza avvicinarsi.
Bussò ad una particolare porta e un uomo sui venticinque anni annuì appena lo vide, prese le borse, chiuse la porta ed entrambi corsero per la casa, uscendo dalla porta secondaria.
Lì si ritrovarono per lo spazio verde di prima e si arrampicarono sugli alberi.
Poi fecero la strada di andata di Thomas a ritroso, per scendere dall'albero davanti la casa fatiscente; il loro rifugio.
<Grazie mille per esserti proposto di aiutarmi, oggi.> disse solo Thomas; mentre l'altro kitten, facendo un cenno con la testa e un sorriso sincero, rispose: <Non è stato nulla di impossibile.>.
<Io vado a fare un giro prima che Ariana si accorga che la spesa è magicamente arrivata.> lo avvisò Thomas.
<Ok, non farò rumore o almeno ci proverò, così guadagniamo minuti prima che lei ti "scopra". Cerca di non stare per troppo tempo in giro, comunque. È pur sempre rimanere immersi nel pericolo.> ricordò l'uomo.
Thomas annuì frettoloso prima di sbucare sulla strada e camminare tranquillamente cercando di non sentire il fastidio della coda che voleva ondeggiare fuori dai suoi pantaloni, ma che non poteva perché o il fastidio o la propria libertà. E preferiva mille volte quel fastidio.
Camminò senza rendersene conto fino ad arrivare a stradine quasi senza traffico e silenziose, come piacevano a lui.
Dopo qualche minuto che gironzolava per vie del genere, riuscì a trovare la posizione più comoda per la sua coda, continuando a camminare molto distratto, non sapendo cosa aveva fatto involontariamente e cosa stava per succedergli.
Sentì il rumore di un'auto costeggiare poco dopo di lui, ma non ci fece granché caso: c'erano tanti appartamenti lì, poteva darsi che qualcuno ritornava dal lavoro presto o che avesse chiesto di fare il turno corto per dei problemi familiari o che stava ritornando da un lungo turno iniziato a notte fonda.
Provò a girarsi solo al sentire di passi pesanti avvicinarsi a lui da dietro, peccato che con la sua esile figura fu preso da dietro in una stretta e potente morsa che lo bloccò, impedendogli di dimenarsi convulsamente e vedere in viso il suo assalitore.
Provò a ribellarsi comunque, però subito un panno imbevuto gli fu premuto contro il naso, facendogli perdere quasi subito i sensi tra le braccia del suo assalitore.
N/A: ecco qua il primo capitolo di una storia di cui mi vergognerò...
Vabbè, la cavolata l'ho fatta.
Alla prossima.
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