Capitolo 8

Jonathan andò in camera sua e si cambiò velocemente cercando di non pensare al kitten in atti sconci, se non voleva eccitarsi troppo.

Riuscì a sistemarsi in poco tempo rispetto ai suoi standard e afferrò dall'armadio, in un cassetto in basso, una valigetta, personalizzata con una placchetta dorata in cui vi erano incise le sue iniziali.
Si ricordò il telefono, che mise in silenzioso per evitare momenti spiacevoli più tardi, e afferrò le chiavi di casa dalla ciotola sulla scrivania.

Scese le scale e afferrò le chiavi dell'auto dal tavolo in soggiorno, mentre le due cameriere pulivano silenziose.
Però aveva sentito mentre scendeva le scale le loro risate, sintomo che si erano appena zittite.

Se proprio non erano perennemente al 100% della loro professionalità, che realmente gli importava fin lì, almeno avevano contegno davanti a lui. Per lui il rispetto era tutto, quindi potevano pure ridacchiare, ogni tanto, per quanto gli pareva
Bastava che non ridessero di lui e davanti a lui.

Uscì di casa chiudendo dietro di sé, andò nel piccolo garage sul retro dalla quale estrasse la sua auto nera (non quella che usava per lavoro) e andò in strada, alla volta della città.
Ma il viaggio non si sarebbe concluso lì, no: avrebbe dovuto oltrepassare l'intera città per andare ancora più in là.

Sbuffò pensando al quantitativo immane di tempo che avrebbe dovuto passare a guidare mentre partiva una canzone dal CD che gli aveva prestato l'amico; con su alcune canzoni che gli piacevano.
Almeno c'era la musica ad accompagnarlo nel lungo tragitto.

Però perché quella cliente abitava così lontano?
Come, praticamente, tutti da cui andava per lavori di quel tipo.

Un pochino era una sua sfortuna e maggiormente era il fatto che non voleva vivere in città, ma in campagna perché odiava lo smog e le città grandi stesse.
Anche se così si dava la zappa sui piedi perché la città era al centro di tutta la provincia, mentre lui era più scostato verso est.

Dopo ben tre quarti d'ora, in cui il CD con la trentina e passa di canzoni che aveva era quasi a metà delle tracce, arrivò finalmente davanti alla lussuosa villa di una delle sue clienti.
Quella lì era una zona per ricchi.
Lì stavano molti dei suoi clienti.

E ora la domanda sorge spontanea nella testa di chi sta provando a leggere questa storia di sesso e amore e problemi: "Perché diavolo non si trasferisce lì? È comunque un posto fuori dalla grande città"
E io vi rispondo che lui odiava il modo snob dei residenti di tale zona.

Preferiva farsi i cazzi suoi in campagna, lontano da tutti, andando ogni tanto in città a ridere e bere coi suoi compagni.
E dico che, anche se non dovrei intromettermi, a parer mio faceva pure bene: era solo controproducente andare ad abitare in un luogo che gli portava malumore, se poteva evitarlo.

Suonò al numero civico 14 della via J. F. Kennedy e, dopo mezzo minuto, il cancelletto si aprì e sulla porta di casa, che era su un balconcino, comparve una signora di quasi 60 anni vestita firmata di tutto punto.

Jonathan salì le scale, con la valigetta in mano, facendo un piccolo inchino quando raggiunse il balconcino e la signora.
Però sembrava molto giovane grazie alla sua fortuna (ma soprattutto per le 789 chirurgie plastiche fatte) e ne dimostrava una trentina.

<Mademoiselle> salutò Jonathan usando il suo charme e facendo il baciamano alla signora.
La donna ridacchiò dicendo: <Suvvia! Non sono più così giovane!> per scostare la mano solo dopo il bacio da gentiluomo del cacciatore.

<Ma la sua bellezza è sempre come se fosse nel fior della gioventù> ribatté recitando il castano, usando il suo charme che ebbe effetto sulla donna che si stupì e gli rivolse un: <Grazie, che complimento!> quasi del tutto sentito.
Right sospirò internamente, almeno sapeva che non aveva perso il suo modo di fare.
Era solo il kitten a schivarlo.

<Comunque, come ben sai, starò via fino alle 20:00 e vorrei che riuscissi a far eccitare senza però soddisfare, se non dopo tanto, il mio kitten. Come per punizione dopo quello che mi ha fatto oggi. Poi, poco prima che ritorni, dovrebbe farlo eccitare cosicché sia ben "pronto" al mio ritorno> ridacchiò la signora mentre scendeva le scale.

<Certamente.> confermò il castano.
Beh, era il suo secondo lavoro, no?
Istigare i kitten per i padroni per poi ritrovarseli anche belli caldi al loro ritorno dopo essere andati in giro a farsi i cazzi proprio.

Oppure per punirli senza doversi scocciare loro: alcuni erano pigri pure quel quello.
Era diventato perciò un mestiere e ogni tanto veniva chiamato, visto che era reputato tra i migliori pure in quello.
C'era qualcosa di sadico in quel lavoro nel solamente chiederlo a qualcun altro, però per loro sembrava non esistesse quell'iceberg di malignità.

Jonathan entrò in casa, pensando che quella donna aveva avuto già due matrimoni e di sicuro sarebbe andata in qualche locale a divertirsi e sperare di trovare un altro da accalappiare.

Stette un pochino a farsi i cazzi propri nel grande ed illuminato soggiorno con grandi vetrate e tanti oggettini di lusso.
Poi salì le scale, sapendo dove doveva andare.
Glielo aveva detto per telefono.

Entrò in una stanza e quasi fu disorientato dal buio che vi trovò, che era tanto rispetto al resto della casa, così illuminata.
Sul letto c'era un kitten che avrà avuto la sua età, tirò ad indovinare.

Chiuse dietro di sé la porta a chiave mentre andava ad aprire un pochino le finestre coperte da spesse tende.
Che diavolo, i kitten ci potranno vedere pure al buio, ma lui no.

Quando tirò le tende, e finalmente la luce entrò, notò meglio il kitten steso su un grosso letto a baldacchino, messo su una parete.
Il kitten lo guardò freddo, e il castano pensò che avrebbe dovuto usare maniere molto "seduttive" prima di andare verso il letto con nei passi e nello sguardo una sicurezza e sadismo da far raggelare il sangue.

Quel kitten, dai capelli biondo cenere e gli occhi azzurri, sgranò gli occhi al riconoscere chi fosse.
E Jonathan ghignò divertito, mentre prendeva per i polsi il kitten, lo teneva seduto con la schiena rivolta contro lo schienale del letto, e si sedeva sul suo bacino.

Il kitten guardò storto, molto storto, il castano. D'altronde era stato lui a catturarlo, come quasi tutti i kitten che avevano i ricchi dei dintorni.
<È questa la mia punizione? Vedere la tua orrenda faccia?> fece sprezzante il biondo.

"A quanto pare 'sto qua non è davvero uno di quelli semplici..." pensò il castano mentre, mettendosi meglio sopra il kitten, sussurrò nell'orecchio dell'altro: <Ah, vediamo come mi implorerai fra un quarto d'ora di smettere. E mi pregherai...>

Il biondo ebbe un attimo un sussulto, per poi continuare sprezzante: <Io non imploro nessuno.>
<C'è sempre una prima volta a tutto...> notò divertito Jonathan, per iniziare a fare leva su dove preferiva... la mente.

•~-~•

Intanto Thomas, guardando Jonathan uscire dalla camera, sospirò riafferrando la camicia e ri-indossandola.
Sbuffò mentre si coricò sul letto, fissando il soffitto.
Non poteva solo dormire.

Doveva muoversi, anche se aveva a disposizione solo il bagno e la propria stanza.
Sospirò pensando che, quando abitava in quella casa in città, poteva sempre divertirsi ad arrampicarsi per le travi di un piccolo edificio annesso, oppure salire sui rampicanti cresciuti sui muri della casa, o salire sull'albero e insegnare ai bambini come farlo al meglio.

Doveva trovare il modo per divertirsi pure lì.

Sì, le sue priorità erano davvero strane.
Però anche solo pensare al scappare era improbabile.
Non c'era via di fuga da quelle due stanze.

Quindi era meglio concentrarsi su altro di fattibile che su cose impossibili o crogiolarsi nella disperazione fin troppo.
Si alzò dal letto e vagò per la stanza con lo sguardo, nella speranza di notare un appiglio "naturale".

C'erano delle mensole in alto e l'armadio quasi raggiungeva il soffitto ma era possibile raggiungerlo scalandolo solo con artigli.
Cosa che lui non aveva.

Si tolse la camicia e si alzò il meglio possibile i pantaloni, per avere comodità, mentre prendeva la carica da metà stanza.
Il suo obiettivo era raggiungere una mensola e aggrapparsi lì anche solo per qualche secondo.
Era molto in alto e, per lui, era possibile raggiungerla solo con un salto e provando ad usare il muro come ulteriore punto di appoggio e salto.

Prese la rincorsa mentre dietro di lui la coda si muoveva ondeggiando ad un ritmo lento: era come se rispecchiasse la concentrazione del moro.

Thomas iniziò a correre concentrandosi solo sulla mensola da raggiungere.
Poco prima di sbattere la faccia contro il muro spiccò un salto verso l'alto.
Sentì l'adrenalina salirgli al cervello e dargli forza mentre appoggiava l'altro piede alla parete e spiccava un altro salto, cercando di andare verso l'alto.

Purtroppo si mandò un po' indietro e quindi riuscì a raggiungere l'altezza della mensola, ma non a toccarla perché era andato troppo in là.
Ritornò coi piedi sul terreno con un leggero tonfo ovattato, mettendosi sui quattro arti come i gatti.

Si rialzò sulle gambe mentre pensava a come sfruttare il muro a suo vantaggio, o almeno come evitare di andare troppo indietro col salto sul muro.
Ci riprovò molte altre volte tutte di seguito, ma senza grande successo.
L'ultima volta quasi cascò invece di atterrare su mani e piedi.

<Dannazione> fece in un sussurro il kitten, mentre respirava a grandi boccate.
Si era stancato, ma voleva fare di più: quando voleva fare qualcosa lo voleva fare bene.
Forse se fosse salito all'armadio e poi da lì avrebbe provato a darsi la spinta per raggiungere la mensola ce l'avrebbe fatta...

Peccato che l'armadio era dall'altra parte della stanza e senza artigli provare ad avere stabilità al muro (o sul mobile stesso) era impossibile.
Però Thomas sorrise mentre negli occhi verdi qualcosa brillava: la grinta nel riuscirsi.

Era una sfida solo con sé stesso, ovviamente, ma non poteva mica arrendersi, no?
Era una di quelle volte in cui si poteva dire che avesse uno spirito forte, e cioè quando una cosa la voleva portare a termine.

Corse verso il muro che faceva angolo con l'armadio.
Spiccò il salto appena prima di andare contro il muro e, sfruttando il muro stesso e l'andare all'indietro che ne conseguiva,  si diede una spinta col piede sulla parete.

Nel saltare si girò e riuscì ad aggrapparsi ai bordi superiori dell'armadio con tutti gli avambracci.
Per sua fortuna si era aggrappato anche alla parte vera e propria dell'armadio, e non solo alla parte superiore delle ante.

Ora doveva solo alzarsi e rannicchiarsi sopra l'armadio, nel piccolo spazio che separava il mobile dal soffitto.
Fece leva sulle magre braccia e riuscì a mettere pure un ginocchio sopra.

Salì del tutto e si acquattò lì, fissando la mensola dall'altro lato del muro, pensando a un modo efficace per raggiungerlo.
La parete era perfettamente liscia e quindi nessun appiglio naturale, lui artigli addio... come diavolo poteva fare?

Voleva però riuscirci a tutti i costi, era il suo obiettivo.
Fece un respiro profondo mentre si affidava alla pura fortuna: avrebbe dovuto saltare e poi darsi in qualche modo una spinta sul muro verso l'altro lato.

Si mise meglio, con una gamba pronta a scattare; poi saltò.
Riuscì ad arrivare sul muro e a darsi una spinta verso la mensola, andando verso l'esterno.
Arrivò un poco prima della mensola, e più spostato verso il centro della stanza.
Atterrò per terra sui quattro arti come prima.

Sospirò, arrabbiato.
Senza artigli era meglio provare altro.
Provò a fare qualche esercizio e poi andò a farsi una doccia.

Aveva chiuso ovviamente la porta del bagno (ci aveva messo davanti pure uno sgabellino trovato lì) ed era appena entrato in doccia che sentì la voce della bionda dire dall'altra stanza: <Kitten... ti va di parlare finché quello lì non ritorna a casa?>

Però le due non videro nessun kitten nella stanza, ma non c'era nulla di forzato nella stanza e non c'era possibilità che fosse scappato.
Thomas rispose, prima che la bionda accennasse solo ad agitarsi, avvisando: <Sono in doccia! Dovrete aspettare un po'!>

<Se vuoi usciamo e ritorniamo più tardi...> propose Elizabeth, andando vicino la porta del bagno per farsi sentire meglio.
<Nah, faccio veloce!> tranquillizzò il kitten che si lavò velocemente e si rimise i vestiti addosso e, coi capelli, orecchie e coda leggermente gocciolanti, uscì dal bagno.

Le due cameriere erano sedute sul letto e sorrisero quando entrò.
In realtà Cassandra era distesa sul letto e si mise a sedere appena l'altro arrivò.

<Non avete nulla da fare oggi?> domandò Thomas, sedendosi imbarazzato per qualche motivo sul letto.
Avere vicino quelle due ragazze, con cui aveva stretto "amicizia", lo stava rendendo in quel momento quasi vergognoso di chissà cosa.
Decise di allontanare quella sensazione dalla mente.

<Nah, già iniziato e al massimo mettiamo la polvere sotto i mobili se non abbiamo voglia...> notò Cassandra, mentre Elizabeth la sgridava: <Cassy!>
<E che c'è?! Io faccio così! Scusa se ho generalizzato...> fece Cassandra col sorriso sulle labbra.
Anche Thomas lo aveva, divertito.

<Comunque...> cambiò discorso Elizabeth <Di che vuoi parlare, Thomas?> chiese subito dopo.
<Sono curioso su come vi foste incontrate e su come, insomma, siete amiche e siete qui. Sembrate così agli estremi ed è strano visto che siete ottime amiche e poi sono curioso su come siete finite a lavorare per un cacciatore di kittens come cameriere...> notò il moro con negli occhi semplice curiosità.

<Sempre che vogliate, sia chiaro!> quasi si affrettò a dire il moro, alzando lo sguardo, serio, sulle due cameriere.
<Nah, non è un segreto. Semplicemente ci siamo incontrate in prima superiore a scuola. Lei ha fatto la primina (ha iniziato un anno prima) e ci siamo ritrovate in classe insieme. All'inizio ognuna stava con il "proprio gruppo", poi verso gennaio abbiamo iniziato a parlarci per un progetto comune e.. BOOM!> fece un gesto con le mani Cassandra, mimando un'esplosione.

<Siamo diventate subito amiche, anche se così diverse ci capivamo alla perfezione. Poi, finite le superiori, abbiamo cercato subito lavoro, uno qualsiasi andava bene in quel momento. Ci siamo trovate solo questo che ci accettassero con solo il nostro titolo di studi. Abitiamo in città in un piccolo appartamento e ogni giorno ci svegliamo presto per arrivare fin qui in orario per fare tutto e ritorniamo a casa tardi. È vero, abbiamo ferie e giorni in cui siamo autorizzare a fare orari più comodi però... non sono così tanti.> notò Elizabeth, con un velo di tristezza sul finale.

<Scu-scusate... non volevo farvi sentire tristi...> si dispiacque Thomas, con le orecchie che si chinarono sulla sua testa e la coda che si muoveva lenta.

Cassandra sorrise notando: <Ti perdonerei subito pure se commettessi un delitto: quel faccino dispiaciuto mi mette K.O.>
Thomas arrossì sulle guance all'istante, imbarazzato.
<Ho detto qualcosa di sbagliato?> chiese confusa la bionda.

<No no... sono solo io...> fece Thomas, guardandola sorridente cercando di tranquillizzarla.
<Thomas, sempre se non ti dispiaccia, ti andrebbe di parlarci di come era la casa in cui abitavi con tutti quegli altri kitten? E come l'hai trovata?> chiese Elizabeth, sperando di non fare danni.

Il moro fu un attimo melanconico al pensiero di raccontarlo, ma lo volle comunque fare: non era così difficile e poi così, forse, avrebbe sentito meno il male dentro il petto.

•~-~•

Ad un certo punto la porta della villetta si aprì e rientrò la proprietaria, civettando: <Sono tornata~!>
Jonathan andò direttamente verso l'ingresso che verso il salotto e le fece ancora un baciamano come un vero gentleman.

La donna ridacchiò come una sgradevole cornacchia e notò: <Avete appena finito, signor Right?>
<Esattamente.> confermò l'uomo.

<Oh, bene. Ecco a lei.> fece la donna estraendo i soldi dal portafoglio.
Andava in giro con tutti quei soldi e non solo?
Bah, non erano cazzi suoi d'altronde.

<Buona serata, mademoiselle.> si congedò l'uomo e uscì dalla villetta e mise in moto l'auto, per andare a casa.
Sarebbe arrivato a casa che sarebbero state le 21:00... vabbè, tanto si era mangiato qualcosa alla villa precedentemente e aveva fatto in modo che sembrasse che nulla fosse stato toccato.

Si stupì di non aver trovato camerieri o altro.
Ma ancora una volta si disse che non erano cazzi suoi, mentre usciva fuori dalla cittadina con altissima concentrazione di snob.

•~-~•

Thomas si stese sul letto mentre le due cameriere lo salutavano, chiudendo la porta dicendo che comunque erano obbligate. E il kitten capiva.
Tra l'altro, se fosse scappato di lì... come avrebbe fatto a tornare a casa se non sapeva neppure dove era?

Avrebbe dovuto aspettare di raccogliere in qualche modo informazioni su dove era situato.
Si perse un attimo a sentire le voci e i passi delle due ragazze affievolirsi al suo udito mentre scendevano le scale.
Stavano andando a casa e lo avevano salutato visto che Jonathan non c'era ancora.

Si appisolò, con solo la luce della luna e delle stelle filtrante dalla finestra a illuminare la stanza.

•~-~•

Jonathan rientrò con il silenzio assoluto in casa.
D'altronde aveva avvertito le cameriere di non fare la cena per lui, quel giorno.
Andò subito verso il piano superiore, ma non verso camera sua, se non per togliersi le scarpe.

Subito dopo aprì la porta della stanza del kitten e lo osservò un attimo dormiente al chiaro di luna, prima che il moro aprisse i due grandi occhi verdi e lo notasse.
Si raggomitolò chinando la testa in modo quasi impercettibile, ma il castano ghignò a quel gesto timoroso nei suoi confronti.

Si sedette accanto al moro e lo accarezzò un attimo dietro le orecchie, e il più piccolo produsse delle basse fusa per tutto il tempo di quel contatto.
Il castano poi si girò verso il kitten e lo mise a sedere, mettendosi a baciarlo subito con la lingua, tenendolo vicino a sé.

Thomas non si oppose, tenendo solamente chiusi gli occhi sperando di andare altrove con la testa.
Solo per non avere l'amara consapevolezza di essere lì.
Jonathan si staccò dal bacio del kitten di scatto, come gli aveva dato il via.

Thomas riaprì gli occhi, e si sorprese nell'osservare praticamente solo del nero e del bianco: gli occhi del cacciatore.
Erano ancora quasi naso contro naso.

Il kitten si sentì vagamente arrossire e si risaltò il contrasto di colori a causa della luce biancastra della luna che gli illuminava metà volto già pallido di suo.

Jonathan poi iniziò a baciarlo e mordicchiarlo lentamente sul collo, facendolo sospirare dal piacere contro la sua volontà, mentre il castano gli slacciava i bottoni della camicia.
Gliela tolse velocemente e lo fece distendere, questa volta con lui sopra, mentre gli toccava tutto il petto.
Thomas si muoveva leggermente sotto quel tocco, gemendo cercando di trattenersi invano.

Jonathan adorò sentire sotto di sé gemere il suo kitten, che si muoveva senza rendersene conto contro il suo bacino, che erano a contatto.
Continuò a baciarlo e morderlo sul collo, facendolo gemere e sentendo nel basso ventre qualcosa ridestarsi.
Il kitten continuò a mugugnare mentre il castano iniziava a stuzzicarlo per i capezzoli.
Il moro sentì il cervello andare in panne, mentre si muoveva contro il castano senza davvero rendersene conto.

<Piccoletto... sei così eccitante...> gli fece in un soffio vicino alle orecchie da gatto e Thomas le sentì rizzare, mentre si irrigidiva per un attimo.
Jonathan ghignò facendo girare entrambi, mise sopra il proprio bacino il kitten, il quale arrossì vistosamente mentre la coda si muoveva frenetica.

<Coricati sopra di me.> ordinò il castano e Thomas si mise col petto scoperto sopra quello ancora coperto di Jonathan e tentò di tenersi con le mani sul materasso leggermente sollevato, ma il castano gliele prese e gliele mise sui propri fianchi.

<Mi piace averti così vicino a me... così piccolino e caldo a contatto contro di me...> gli sussurrò con tono suadente il castano e il moro si ritrovò ancor più rosso all'istante per poi essere baciato con la lingua subito.
Il castano iniziò ad esplorare la bocca del moro con molta passione, mentre il più basso era "schiacciato" e con le mano sui fianchi dell'altro.

Thomas voleva staccarsi ma non poteva: era come avvolto dal cacciatore, che lo costringeva a tenere quel contatto; l'unica parte del suo corpo che protestava apertamente senza conseguenze era la coda che si agitava infastidita.

Il bacio si dilatò nel tempo per sua sfortuna e quando Jonathan smise gli ordinò: <Fa come di solito faccio io sul tuo collo, piccoletto.>
Il moro storse il naso a quel nomignolo, ma sospirò mentre iniziava con dei baci delicati a sfiorare il collo del castano, sapendo che opponendo resistenza avrebbe solo peggiorato la situazione.

Il moro continuò così per tutto il collo, sempre imbarazzato, per un bel po'; finché Jonathan non gli sussurrò nell'orecchio, sfiorandolo un attimo per la coda: <Con più forza dai, mordicchia la pelle come ti faccio io; ovviamente senza lasciare troppo il segno. Voglio sentire quanto riesci ad essere bravo con quella boccuccia>
Thomas si irrigidì quando il castano gli sfiorò la coda e a causa di quello che gli aveva detto, commentando con un piccolo e sussurrato verso scontento mentre si faceva coraggio.

Ce la poteva fare; rispetto a tante altre cose accadute nella sua vita quello era ancora niente.
Prese tra i denti un piccolo lembo di pelle, per poi leccarlo leggermente ed infine baciarlo; successivamente staccarsi dalla pelle appena "torturata" per continuare con un'altra parte.

Continuò così, sempre vergognandosi di sé stesso, mentre Jonathan sospirava per quella bella sensazione che il kitten gli stava facendo provare, tenendo il moro premuto su di sé mettendogli una mano sulla schiena.

Ad un certo punto, quando fu abbastanza soddisfatto, gli ordinò: <Basta.> e il moro smise all'istante, contento di potersi interrompere.

Il moro, sentendo la presa sulla sua schiena svanire, si mise a sedere; togliendo le mani dai fianchi del castano e mettendole sulle propria ginocchia.
Era ancora seduto a cavalcioni sul cacciatore (e questo lo imbarazzava tantissimo), ma non avrebbe potuto neanche provare a scappare visto che Jonathan teneva comunque una mano sul suo fianco e lo stava osservando da quell' "ottima posizione".

Il kitten arrossì ancor di più, mentre lo sguardo languido del castano passava per il suo petto lentamente e poi si fissava per un po' su dove i pantaloni cingevano i suoi fianchi.
Sembrava che volesse spogliarlo con gli occhi di quel che gli rimaneva addosso e Thomas, quasi stupidamente, fu grato al mondo per il fatto che almeno quello non poteva accadere.

Però rimaneva il fatto che comunque era arrossito per chissà quale emozione e per chissà quale motivo: neppure lui sapeva il perché lo stesse facendo, era diventata come una cosa naturale che il suo viso si tingesse di bordeaux in quelle due giornate.

Jonathan si mise a sedere, tenendo sopra di sé il kitten, e gli mordicchiò per le ultime volte per quella sera il collo sussurrando: <Sei così bello mentre arrossisci: sembri un ragazzino alle prese con le prime cotte e non un kitten nelle tue condizioni; sembri solo ancora più bello. Sei fantastico comunque e per tutto, ovvio: hai un corpo da favola.> e gli passò una mano sulla schiena, percorrendo la spina dorsale con le dita.

Il moro ebbe un brivido al contatto prolungato e sperò che il cacciatore si fosse dimenticato della cicatrice di cui aveva chiesto spiegazioni la mattina.
Il castano lo baciò con la lingua un ultima volta, poi si alzò dal letto, togliendosi il kitten da sopra le gambe, e uscì dalla stanza chiudendo la porta a chiave.

Aspettò di udire un'altra porta aprirsi e poi chiudersi per muovere un solo muscolo.
Riprese la propria camicia e se la rinfilò, provando dolore quando il tessuto si schiacciò sopra il grande livido viola: ci provava davvero uno strano gusto a farglielo risultare più fastidioso da sopportare o cosa?

Thomas si sdraiò sul letto con uno strano sospiro di sollievo: la cosa importante, che non chiedesse della cicatrice, si era avverata.
E per lui per il momento bastava.
E poi pensò, quasi ottimista ma melanconico allo stesso tempo, che finché doveva fare quello a cui era costretto per il momento era pure più sopportabile vivere lì, anche se lontano da chi voleva più bene e senza una propria libertà.




N/A: grazie tante per le oltre 300 letture, siete davvero fantastici.

Se avete critiche da fare, scrivetele.
Di sicuro devo migliorare di tanto e i suggerimenti sono sempre molto accetti.

Tra l'altro, se volete, commentate.
Anche solo per sparare cazzate, fatelo.
E ora, dopo le mie rotture di coglioni, vi saluto.

Alla prossima settimana.

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