Capitolo 53
Esiste un proverbio che dice "Il diavolo crea le pentole, ma non i coperchi", e sta a indicare che solitamente si creano i problemi, ma non si sa mai come risolverli.
Beh, il Mondo era meglio del diavolo del detto e, infatti, sapeva benissimo come creare dei perfetti coperchi da mettere sulle proprie pentole.
Il Mondo, inoltre, per Thomas non aveva sicuramente pianificato di dargli quella triste fine, in un bagno, ferito e cambiato per sempre o morto.
Quello era poco ma sicuro.
E il coperchio della situazione, beh, almeno una sua parte, era Elizabeth.
Infatti la rossa era entrata da sola nella stanza del moro per chiamarlo e farlo stare con loro, mentre Cassandra stava parlando nel corridoio con Right, a convincerlo a tirare fuori le palle e parlare a quattr'occhi con Thomas.
Vedendo che non era nella camera, andò verso il bagno, semplicemente curiosa. Al massimo lo avrebbe disturbato mentre si faceva la doccia...
Ma quello che vide dalla soglia la fece urlare, terrorizzata.
L'urlo raggiunse i due in corridoio che accorsero, spaventati da quel grido che aveva squarciato e messo a tacere il litigio dei due.
Jonathan sfrecciò fino all'ingresso del bagno, venendo seguito dalla zoppicante Cassandra, che si reggeva al bastone. Per poco la bionda non perse l'equilibrio a vedere quella scena.
Elizabeth era dentro il bagno, di fianco a Thomas, tenendogli con una mano il polso che stava per essere tagliato e con l'altra stringeva l'avambraccio che teneva stretto nella corrispettiva mano il bisturi.
Per il castano e la bionda non fu difficile fare due più due.
<Thomas... perché?> fece solamente in un sussurro disperato la rossa, fissando coi propri nocciola chiaro quelli smeraldini del moro. Gli occhi del kitten si spalancarono, come rendendosi conto solo allora della cazzata che stava facendo.
Stava per buttare via la propria vita.
("O comunque stavo iniziando a farlo")
Stava per gettare via quello per cui Ariana si era sacrificata come se fosse un inutile straccetto.
("Non posso sprecare il suo dono")
Stava per rifiutare quello per cui le cameriere e Jonathan avevano dato il tutto per tutto, con Cassandra che ne era uscita ferita.
("Non si meritano un simile ringraziamento")
E, cosa più importante, stava per fare un affronto a sé stesso.
Sì, esatto, stava per farsi un affronto, togliendosi la vita perché non voleva andare avanti.
"Ariana non sarà una perdita facile da superare. Ma é una ferita e, come tutte le altre, si può ricucire. Io... io..." pensò, mettendosi poi a singhiozzare nella realtà.
<Sono proprio uno stupido...> sussurrò, con la voce rotta dal pianto.
Il bisturi gli cadde di mano e, con qualche piccolo rimbalzo metallico, andò a finire a una ventina di centimetri da lui.
Le gambe smisero di reggerlo e finì coi ginocchi a terra, soffocando un gemito di dolore a causa del busto ferito. Se non ci fosse stata Elizabeth stretto a lui, la caduta sarebbe stata più dolorosa. Ma per fortuna la rossa c'era e lo accompagnò piano nella caduta, finendo vicino a lui, mettendosi anche lei in ginocchio, osservando Thomas.
Thomas iniziò a piangere senza remore o bisogno di nascondersi, mostrando quelle lacrime con la stessa istintività e spontaneità dei bambini.
La rossa gli lasciò il polso e l'avambraccio, per poggiare una mano sulla coscia e l'altra sul braccio, sfregando piano, in un segno di vicinanza fisica ed emotiva.
Thomas, capo chino, tra le lacrime che gli finivano inesorabilmente sulle gambe, continuò a ripetere sottovoce di essere uno stupido, mentre sentiva il dolore del lutto attenuarsi un poco tra quelle lacrime mostrate senza remore.
L'acqua salata attenuava quel fuoco ruminato per giorni.
E il moro si stava beando di quel piccolo contatto con la rossa che, dopo giorni in cui aveva schivato tutto, gli pareva dall'effetto di un balsamo curativo.
Ma il coperchio, come già detto, non era solo Elizabeth.
Infatti Cassandra si avvicinò al moro e, rimanendo in piedi (sorregendosi con un braccio al bastone), gli mise una mano tra i capelli e gli grattò fra le orecchie, rilassandolo.
Thomas, a quella piccola dimostrazione di un così grande affetto, sorrise.
Però c'era ancora un vuoto da riempire, almeno in parte, almeno momentaneamente. Le due cameriere, continuando le carezze amorevoli, guardarono Right con uno sguardo duro, monito di minaccia in caso di cazzate fatte dal cacciatore.
Jonathan non ci pensò due volte ad avvicinarsi. Non l'aveva ancora fatto per paura della reazione di Thomas, ma sapeva anche che se continuava ad essere distante non si sarebbe mai più ripreso la sua fiducia (figurarsi l'amore!). Perciò, col cuore pieno di tanto contrasto, si avvicinò al moro e si inginocchiò accanto a lui, dall'altro lato rispetto Elizabeth e fece qualcosa che voleva fare da quando Thomas era ritornato lì.
Lo abbracciò.
Lo fece piano, in modo delicato onde evitargli dolore, lasciando comunque spazio per le carezze delle due cameriere.
Stretti in quell'abbraccio caldo, che per Thomas era un evento che non capitava da quasi due settimane, si sciolsero le loro barriere.
Thomas si mise a piangere a dirotto sulla spalla di Jonathan, dimenticando per qualche istante che fosse il procuratore di una parte dei suoi mali. Invece Jonathan, non intenzionato a lasciare il moro, si mise a fare su e giù per la sua schiena con una mano, ripetendo a voce bassa, udibile solo ai sensi sviluppati di Thomas: <Mi sei mancato>
Erano tutti e tre il coperchio perfetto per la pentola dei problemi e del dolore di Thomas.
Anche se aveva dei problemi con la pressione...
Infatti Jonathan riuscì a "rovinare" tutto, dicendo: <Perdonami, Thomas.>.
Non aveva detto qualcosa di davvero sbagliato o orribile, ma per il moro era come aver toccato un punto troppo scoperto e sensibile e reagì malamente.
Si scostò dalle ragazze e dal cacciatore in fretta, dimenandosi, per poi finire con forza con la schiena al muro, spinto lì dalle sue stesse gambe.
Ovviamente il petto gli aveva fatto male a quei movimenti, ma la sua rabbia erano ben più forte del dolore, e questo fuoco gli ardeva nel verde dell'iride.
Jonathan capì di aver detto la cazzata che aveva fatto scattare il moro ma, conscio di non poter continuare a rimandare e schivare, fece, alzandosi in piedi: <Cassandra, Elizabeth... potreste uscire? Devo parlare con Thomas.>
Le due cameriere lo guardarono fiere, orgogliose che avesse trovato la forza mentale di parlargli, e uscirono dal bagno più in fretta possibile; socchiudendo la porta dietro di loro.
Si avvicinò a Thomas, ancora raggomitolato e dolorante.
Guardare il kitten ridotto in quello stato era doloroso per il cacciatore: il moro era rannicchiato su sè stesso, con le spalle tremanti dai singhiozzi, la schiena che si espandeva e restringeva appena per via dei polmoni che inmettevano ed espellevano aria, le orecchie confuse tra i capelli per quanto basse erano, la coda avvinghiata in quel momento ad un avambraccio, come a stringersi ancora più a sè.
Semplicemente non ce la faceva a vederlo così.
Provò ad allungare una mano e ad accarezzarlo, per fargli capire che era lì con lui, che gli era vicino fisicamente ed empaticamente. Thomas, però, non voleva quei contatti. Ancora una buona parte di lui, quella ferita e mutilata, cercava di proteggersi, dando colpa a tutto di Jonathan. Per via di quei puri attimi di crudeltà dello stupro, insieme all'aver mentito spudoratamente, Jonathan (nella testa del moro) si era ritrovato addosso la colpa della morte di Ariana, dell'essere stato rapito e violentato da Lee almeno 10 volte in 24 ore o poco più e del dolore che sentiva per via della ferita.
Anche se il colpo non lo aveva sparato lui.
Anche se lui non sapeva nulla di Lee e mai glielo avrebbe permesso.
Anche se di sua spontanea si era frapposto fra il cacciatore e il proiettile.
Ma la coscienza, quella voce che gli diceva almeno di sentire le ragioni di Jonathan e che sosteneva quelle verità, era cacciata in un triste angolino. Perciò, al tentativo di contatto di Jonathan, il moro ebbe l'istinto di allontanarsi ma, sapendo di non poter fare scatti improvvisi, urlò: <NO!>
Jonathan lasciò la mano a mezz'aria, maledicendosi in quel medesimo istante per quella sua dannata insicurezza, mentre Thomas si spingeva lontano dal muro e, aggrappandosi ad un cassettone a terra in bagno, si alzò, con le gambe tremanti.
Jonathan si alzò a sua volta, richiamandolo gentilmente: <Thomas...>
E per quella parte del moro che amava ancora Jonathan nonostante tutto, era già abbastanza per buttarsi a braccia aperte tra quelle del cacciatore. Ma la parte impaurita, che controllava l'istinto di sopravvivenza, gli martellava il ricordo di quel pomeriggio, ripetendo "amore violento" o "amore sbagliato".
Perciò Thomas scosse la testa e si voltò, dando le spalle a Jonathan.
<Non mi parlare, mostro!> gli gridò, senza guardarlo negli occhi. Jonathan era muto davanti quelle parole, l'apparato vocale andato in ferie senza preavviso.
Quel "mostro" gli aveva fatto ben più male di quanto si sarebbe aspettato. A parole come "stronzo", "coglione" e "figlio di puttana" (a quello si arrabbiava internamente per come definivano sua madre) ci aveva fatto il callo, una volta diventato cacciatore.
Ma quella semplice parola, neppure un insulto colorato, lo aveva scosso perché l'aveva detta proprio Thomas e con tono arrabbiato, per giunta.
Se fosse stato più attento avrebbe notato subito l'inflessione disperata, sinonimo di pianto imminente.
<Sei solo un bugiardo, un violento ed uno spregevole! Sei solo un dannato mostro! Sei orribile, sai fare solo del male!> Thomas continuava ad urlare dandogli le spalle, mentre la vista gli diventava doppia e lo sguardo appannato: le lacrime stavano premendo per uscire.
Strinse gli occhi e riuscì a rimandare indietro le lacrime, per il momento, mentre toglieva lesto l'unica goccia sfuggitagli.
Jonathan gli fissava la schiena, fermo e muto. Non aveva possibilità di riappacificarsi con Thomas: l'aveva combinata grossa e Thomas non pareva intenzionato a perdonarlo o solo ascoltarlo (e, in fondo, sapeva di non poter dargliene una colpa). Allora il suo lato pessimista spuntò dall'ombra e iniziò a sussurrare alla mente del cacciatore, ripetendo che era inutile, che il kitten era perso e che avrebbe dovuto mettersi il cuore in pace. E Right si stava cullando in quelle parole.
Eppure... Jonathan si accorse di un particolare.
La coda di Thomas. Era stretta alla gamba del ragazzo. Non era ritta, come le orecchie.
Era lì, contro la pelle del ragazzo.
"Quando é triste la coda o è floscia o si stringe ad un arto in segno di conforto!" si ricordò il cacciatore e tutto gli divenne più chiaro.
<Sei ancora lì? Non sei uscito? Non hai detto qualche cattiveria delle tue? Non hai ancora ferito me o qualcun altro? Che ti é successo, Right? Il gatto ti ha mangiato la lingua?> fece sprezzante Thomas, senza comunque girarsi, ma in un angolo di sé stesso fiero della mezza battuta.
Però una grande parte di lui stava morendo dentro, perché non ne poteva più di soffrire: voleva solo essere guarito, ma sapeva benissimo che così si stava autodistruggendo.
Eppure quella parte ferita non voleva demordere, anche se sapeva di starsi trascinando giù nel dolore.
<Nessun gatto mi ha mangiato la lingua, ma il gatto davanti a me mi ha rubato il cuore.> rispose Jonathan, dolce, piano, però sentito nel silenzio del bagno.
Gli occhi di Thomas si spalancarono, stupiti, mentre continuava a fissare il pavimento.
"Cosa sta facendo? Perché lo sta facendo?" erano i suoi pensieri principali, che vennero interrotti dalla ripresa del parlare di Thomas.
<Questo gatto, ladro del mio cuore, che ho davanti a me...> e camminò, Right, verso Thomas, per mettersi di fronte a lui e vederlo in faccia e non più la schiena <è fantastico. Dopo anni mi ha ricordato come ci si sente ad esternare emozioni, a godere di quelle positive e mi ha fatto capire che, in fondo, nulla é così troppo traumatizzante per smettere di voler bene, di amare. Amare. Una sensazione che pensavo di non provare da anni e che é ritornata con il gatto che ho davanti, che mi ha rubato il cuore e che ancora lo tiene senza saperlo.>
Ecco, Right era davanti a Thomas. Mancava il passo finale e forse ce l'avrebbe fatta. Gli alzò lo sguardo, prendendogli delicatamente il viso tra le mani, sollevandolo.
Gli occhi verdi del più basso erano spalancati, meravigliati e incredibilmente stupiti, e si ritrovarono a fissare le iridi nere di Right senza volerlo e con l'effetto di un'onda d'urto. Quello che luccicava nelle iridi d'inchiostro del cacciatore era sincerità, quella sincerità disarmante che ti stupisce perché non la ritieni vera. E infatti le parole seguenti di Jonathan gli sembrarono incredibili.
<Tu, Thomas sei colui per cui ho ri-imparato ad amare, che ho amato e che tutt'ora amo. Sei il gatto che mi ha rubato il cuore e che voglio tenga per sè, perché so che il mio cuore è dove stai te. Il mio cuore sei tu.> fece, guardandolo dritto dentro l'anima, sorridendogli dolce infine.
Thomas era fermo, stupito da quelle parole, le labbra leggermente socchiuse.
Jonathan, cogliendolo come un invito, avvicinò i loro visi e lo baciò, piano, a stampo.
Peccato che non era quello che il moro voleva.
Infatti, Thomas si staccò da Right con lo sguardo dardeggiante di rabbia.
No, quelle parole non gli erano bastate. Non bastavano per riparare le profonde ferite create nell'anima.
Semplicemente, con così poco, non poteva.
<Beh, riprenditelo, perché io non lo voglio! Tu sei la causa del perché io sto così di merda qua dentro!> e si indicò il petto, più o meno ad altezza del cuore, che sentiva battere velocissimo nelle orecchie. Non era mica perché Jonathan lo aveva baciato, anzi, gli aveva sfiorato le labbra?
No, impossibile! Non si può accettare!
Thomas, però, non si mise troppo a fare congetture, perché riprese ad urlare: <TU avresti dovuto essere colui senza segreti per me e invece TU sei stato il primo a nascondermi qualcosa e a mentirmi. TU avresti dovuto andare contro la cattura dei miei simili e invece TU sei stato il primo, in avan scoperta, a casa dei miei amici. TU avresti dovuto curarmi dopo la morte di Ariana e invece TU per primo mi hai ferito ulteriormente, violentandomi pure! Come posso perdonarti?! COME?!>
Gli occhi erano lucidi dalle lacrime, sia di rabbia che di dolore.
E poi sentì una specie di vuoto.
Voleva solo essere capito.
Voleva solo essere curato.
Voleva solo essere sè stesso.
Non ne poteva più di quel dolore che si era avvinghiato alla sua anima da quando era lì, a casa Right, dopo essere stato salvato dal rapimento di Lee.
Però la rabbia era sciumata via con quelle parole, dopo giorni che era rimasta oppressa dalla tristezza. Dentro di sè non aveva più una fiamma pericolosa, solo dei cocci di quello che era il suo cuore.
Per fortuna, Jonathan era lì.
Infatti non perse tempo e lo abbracciò. Non parlò per qualche secondo e non lo lasciò in quegli attimi in cui Thomas provava a ribellarsi, anche se dentro di sè adorava risentire quel calore dentro e fuori (specialmente dentro).
Poi, finalmente, Right si decise a parlare, dopo aver raccolto tutto il coraggio che aveva perché, sul serio, quello che stava per dire lo avrebbe reso nudo davanti all'anima di Thomas.
E non era una cosa facile da fare, neppure se con la persona che si amava.
<So di aver sbagliato. So di aver fatto le cazzate più grandi della mia vita. So di averti ferito. E ho sentito il vuoto sotto i piedi quando, quella sera stessa, mi sono accorto del madornale errore che ho fatto. In quel momento ho avuto paura che non mi odiassi e quello è stato un orribile colpo al cuore. Ma il non trovarti a casa, rientrato, è stato ben peggio. Ho avuto paura di averti perso per sempre. Quando il giorno dopo ho scoperto che eri nelle mani di Lee ho avuto terrore per te perché sapevo come era quell'essere, come era legato a te e cosa ti aveva fatto: ho avuto paura di non rivederti mai più e di saperti morto dentro. Quando ti sei preso il colpo destinato a me... ho pensato di morire io, piutrosto che te. Ho avuto paura di perderti senza neppure averti chiesto scusa.> disse, a voce bassa ma scandita.
Quelle parole quasi portarono al limite Thomas perché lo sapeva, se lo sentiva nel profondo, che erano assolutamente vere.
<Perché, Thomas, sei colui che amo e farei di tutto pur di riaverti al mio fianco ma se ti rendesse più felice andartene... dimmelo e ti lascerò stare. Perché infondo amare é questo, no? Mettere la felicità dell'altro prima della tua. Ed io, Thomas, te lo assicuro, voglio solo che tu sia felice.> continuò Right, mentre Thomas sentiva il proprio corpo tremare, mentre gli occhi gli stavano pizzicando terribilmente.
<Perciò distruggi il mio cuore che tieni tra le mani, se questo ti fa nascere il sorriso sulle labbra: la mia felicità ormai non dipende più totalmente da me.> concluse Jonathan, tenendo stretto a sè Thomas, memorizzando ogni singola emozione che gli pervadeva il petto al sentirsi così vicino a chi amava.
E Thomas scoppiò a piangere.
Quelle parole, quel calore e quella sincerità lo avevano scosso nel profondo ed era scoppiato, abbracciato a Jonathan.
<T-t-ti perd-d-dono...> singhiozzò Thomas e lo sguardo di Right si spalancò al sentire quelle parole.
Si allontanò leggermente, quanto bastava per vederlo in volto.
Il moro stava piangendo, ma sorrideva, perché sentiva un peso togliersi e lasciarlo libero e... felice.
<Mi e-e-eri... mancato...> sussurrò dalla commozione il moro, mettendosi in punta di piedi, supplicando con gli occhi una certa cosa. Jonathan non se lo fece ripetere due volte.
Si avventò sulle sue labbra, leggermente umide dalle lacrime, e lo strinse forte a sè.
Thomas allacciò le braccia dietro il collo di Right, rimanendo in punta di piedi, mentre il csstano scendeva con le mani dalle spalle, al busto, ai fianchi fino al culo, che afferrò con fermezza e strinse piano, facendo mugolare dal piacere Thomas.
Jonathan pensò che, se non si tratteneva, avrebbe fatto l'amore con lui sul pavimento del bagno senza troppi ripensamenti, ma...
Un rumore di foto scattata e borbottii (imprecazioni) sussurrate distolsero i due dal bacio (rimanendo però avvinghiati), facendoli voltare verso la porta del bagno.
Jonathan aggrottò le sopracciglia, seccato, mentre Thomas ridacchiò leggermente.
Dio, quanto gli era mancata la sua risata... Ok, non si doveva incazzare.
<Cassy, Eli... entrate pure...> le incitò Thomas e la porta del bagno di spalancò, facendo vedere le due cameriere leggermente imbarazzate da essere colte con le mani sul fatto.
<Ci volete dare una colpa per aver sbirciato, inizialmente, attraverso la serratura? Siamo fundashi, non ci possiamo privare di assistere ad una scena yaoi reale davanti ai nostri occhi!> si difese all'istante Cassandra, incrociando sotto il seno solo il braccio non impegnato ad appoggiarsi al bastone.
Thomas ridacchiò ancora una volta, piano. <Certo che no, non ve lo vieterei mai, pazze fundashi. Capisco che siamo l'unica coppia yaoi che conoscete abbastanza bene da invaderne la privacy senza troppi rischi di denuncia...> ironizzò il moro, ridacchiando ancora.
Quella risata era mancata a tutti e tre, infatti tutti gli umani distesero le labnra in un sorriso dolce e sereno.
Però poi Right aggrottò di nuovo le sopracciglia, questa volta confuso, e chiese: <Ma che significa "fundashi"? E "yaoi"?>
Le facce delle due cameriere si dipinsero di stupore (esagerato apposta per essere un po' tragiche-comiche).
<Jonathan Right! Questo è un durissimo colpo al mio povero cuore!> recitò Cassandra, portandosi teatralmente una mano sulla testa, nocche contro la fronte, per dare una esagerata reazione di svenimento (finto, palesemente).
Invece Elizabeth scosse la testa, come sconsolata, dicendo: <Dovremo dare lezioni anche a te, a quanto pare...>
<Aspetta... tu sai che significa?> chiese Jonathan, rivolgendosi a Thomas.
<Essere molto amico di quelle due comporta certi rischi.> commentò Thomas, alzando le spalle, tenendo il gioco delle due ragazze, come a dire: "Eh, capita!".
<Ehi, noi non siamo pericolose! Noi siamo fa-vo-lo-se!> e Cassandra mosse i capelli ricci in un atteggiamento fintamente vanesio, che fece ridere gli altri tre, seguiti dalla bionda stessa.
Il peggio era stato scampato.
E tutto pareva aver riacquisito un suo equilibrio.
N/A: finalmente un po' di respiro, eh?
Sono un essere sadico, ma infondo sono una brava persona (e avere a che fare con lettere minatorie non mi andava).
Beh, se pensate che sia finita la storia...
Vi sbagliate!
Avete visto la parola "FINE"?
No?
Bene, allora vuol dire che c'è ancora un altro po' da dire, gente!
Alla prossima settimana!
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