Capitolo 51
[N/A: prima di lasciarvi al capitolo, ci tengo a farvi sapere che, in questi giorni, questa storia compie un anno.
Ebbene sì, questa storia l'ho iniziata un anno fa. È quasi strano dirlo...
Comunque, ora che ho "dato omaggio" a questo anniversario, vi lascio al capitolo!]
Se Regulus Lee pensava di sfuggire a loro, sfrecciando come un pazzo per le strade meno trafficate della città, volendo andare verso le campagne, beh... si sbagliava di grosso.
Sia Jonathan che Elizabeth stavano ribollendo di una rabbia cocente, non ragionando lucidamente (cosa piuttosto strana nel caso di Elizabeth). Aveva quasi ucciso Thomas (anche se Jonathan era beh conscio che il colpo era destinato a lui stesso) e quei suoi simpaticissimi sottoposti avevano ferito Cassandra (cosa che, per vendetta, la rossa avrebbe potuto uccidere pure per lapidazione).
Le emozioni dei due feriti, però, più che essere rabbia, senso di vendetta e furia omicida erano disperazione, spossatezza e dolore. La prima emozione era più che altro solamente di Cassandra, dato come si stava comportando il moro.
Infatti Thomas stava sussurrando ripetutamente, in preda a delle allucinazioni, diverse parole: <Ariana... mamma... papà... sono qui...>
Appena Cassandra le udì distintamente, urlò: <No, Thomas! No no no! Non andare verso la luce in fondo al tunnel, ok?! Girati e va dall'altra parte. Vieni verso la mia voce, il buio! Per una buona volta segui il fottuto buio, porca Madonna!>
La bestemmia e le parole della bionda raggiunsero distintamente l'abitacolo del conducente e del passeggero davanti. E per qualche attimo sembrò che fossero tornati alla normalità, avvolti da una bolla bellissima ma fragile di quotidianità.
Niente era più quotidiano di un bisticcio delle due cameriere.
La rossa, infatti, la richiamò come una madre: <Cassandra!>
<Sta farneticando sui genitori e sull'amica morta!> protestò Cassandra, senza però muoversi. La gamba le faceva un male cane e non poteva rischiare che quel precario equilibrio in cui Thomas stava perdendo poco sangue fosse spezzato e ricominciasse a zampillare senza un freno.
E, in mezzo a quel disastro, il modo di essere della bionda non era variato.
<A pensarci bene... se ne sta parlando, vuol dire che pure i genitori sono morti, cioè, non più schiavi ma morti morti? Di solito, in questi casi, si farnetica su chi ti è caro ed è schiattato...> notò poi la bionda, come se fosse davvero pensosa, facendo finta di lisciarsi una lunga barba.
<Quello ha davvero importanza adesso?! Io per ora mi preoccuperei di uccidere Regulus e poi trovare un modo per salvare te e Thomas, porco Dio!> urlò Jonathan nervoso.
La bolla di quasi tranquillità si era rotta, grazie al totale ritorno alla realtà di Jonathan, con l'aggiunta di una seconda bestemmia risuonante per l'abitacolo.
<Evvai anche te di finezza, alé...> notò ironica la rossa; l'unica tra i tre coscienti in quell'abitacolo a non aver tirato in ballo (e giù dai cieli) un componente della Trinità o la Madonna o i Santi.
L'auto che stavano pedinando, iniziò a fare come un serpente, andando a zig zag e Right, non si capiva se di aiuto o di disturbo, urlava ordini alla guidatrice.
<Gira a destra!> urlò il castano e la rossa lo fece, facendo girare di scatto il furgone; e di questo ne risentirono soprattutto i due feriti, dietro.
<Già Thomas sta più di là che di qua, se gli vuoi pure dare un aiuto fa' con comodo! Se vuoi ti aiuto io ancora di più buttandolo direttamente giù dal furgone in corsa, guarda!> notò acida Cassandra, mentre stringeva il tessuto contro lo stomaco di Thomas, che stava perdendo sangue con più portata di prima, anche se di poco.
"Avrà già perso più di un litro e mezzo di sangue..." si disse Cassandra e, preoccupata, richiamò uno dei due davanti: <Jonathan...>
<Che c'è, Cassandra?> domandò a sua volta Jonathan, con nella voce una preoccupazione enorme. Cassandra sperò di non fargli scemare via tutta la rabbia in quel momento.
<Jonathan... l'apparato circolatorio dei kittens è uguale al nostro o ci sono anche solo lievi differenze?>
Jonathan ripescò le nozioni studiate per poter prendere la licenza da cacciatore e, ritrovando nei meandri della sua mente le informazioni, col termine tecnico un po' perso nel tempo, rispose: <Il sangue dei kitten è molto più concentrato e ad alta pressione, perciò anche i loro vasi sanguigni sono molto più resistenti dei nostri. Infatti hanno delle vene resistenti a molti colpi, é difficile infatti che scoppiano internamente, e il loro sangue é sui sette/sette litri e mezzo; a differenza di noi che ne abbiamo cinque o poco più.
Right sapeva benissimo il perché l'avesse chiesto e Cassandra, intuendo la sua ansia, fece: <Ok, ha perso un litro e mezzo di sangue, mi pare. Per noi sarebbe già molto critico, no? Quando lo sarebbe per lui?>
<Sarebbe preoccupante sui due litri o i due litri e mezzo. Adesso é grave, ok, ma non così tanto. > rispose lapidale.
Però fu il commento di Elizabeth a ridestarlo, dato che lei era concentrata sulla strada.
<Right, gli siamo molto vicini. Se vuoi agire, fallo ora!> quasi ordinò la ragazza e il castano non se lo fece ripetere.
Abbassò totalmente il finestrino del suo posto e, col fucile da caccia in mano, si sporse oltre la portiera. L'aria gli rendeva difficile vedere bene, ma lui aveva solo bisogno di forare almeno una delle gomme dell'auto inseguita.
Cercò di prendere al meglio possibile la mira e sparò qualche colpo. Dalla poca distanza, udì perfettamente il rumore di camera d'aria scoppiata e vide bene come l'auto, senza più stabilità, sbandò e cadde nel canale.
Lasciò il fucile ai suoi piedi e prese la rivoltella, messa metà fuori e metà dentro al vano porta oggetti.
Tolse la sicura e caricò.
<Restate qui. Farò in fretta. Tanto è da solo.> notò il cacciatore mentre scendeva dall'auto e si avvicinava a grandi falcate verso l'auto ribaltata. Ad ogni passo sentiva una fiamma dentro di sé bruciare con più forza.
Jonathan aprì con uno scatto rapido la portiera del passeggero davanti, scoprendo quel lurido essere che stava cercando di raggiungere quel luogo per uscire. “Peccato” che da lì non ne sarebbe più uscito.
Il castano freddamente gli puntò la pistola alla fronte. Due centimetri massimo avranno separato la canna dell'arma e la carne del bersaglio.
Regulus, vedendo per bene quell'arma, si spaventò sul serio e provò a muoversi, ma una gamba, ferita profondamente dall'incidente, si incagliò ancor più di prima e lui emise un miagolio soffocato di dolore. Il mafioso si accasciò leggermente di più verso il posto conducente, trascinato dalla forza di gravità.
Il cacciatore si sporse di più dentro l'auto, tenendo ben puntata la pistola. Come se volesse che la fronte di Lee e la sua pistola fossero più vicini che mai sotto il suo sguardo davvero inquietante.
Probabilmente, se si fosse potuto vedere, si sarebbe incutito timore da solo. La faccia marmorea e distaccata, indifferente a tutto: alla polvere di cartongesso che gli ricopriva gli abiti, al sangue non suo con cui si era macchiato sul petto, al dolore dei muscoli nello stare in quella scomoda posizione...
Poi c'erano gli occhi; neri e giganteschi, le iridi ricoprivano quasi tutta la sclera.
Non sembrava però un assatanato; solo... mostruosamente spaventoso e freddo. Più terrificante degli esseri informi che popolavano da sempre gli incubi dei bambini appunto perché con quelle fattezze umane trasudava una mostruosità a malapena trattenuta.
Il malavitoso rantolò, volendo negoziare e pregare per la propria salvezza, ma le parole gli morirono in gola.
Era la sua ora, lo sapeva bene, e non la poteva rimandare a più tardi; ormai. La Morte non avrebbe mai permesso a Jonathan Right di lasciarlo senza la giusta vendetta, in quel momento. Il piano perfetto del mafioso era finito in fumo davanti ai suoi occhi, che sapeva che si sarebbero spenti di lì a pochi secondi.
Jonathan disse con la voce ancor più fredda del ghiaccio: <Meriteresti ben di peggio di una morte rapida solo per tutto quello che hai fatto a Thomas nella sua vita e per ciò che gli hai fatto ieri e poco fa...> e un ghigno crudele gli increspò le labbra <...ma il Karma fa pagare sempre i debiti. Ci rivediamo all'Inferno, stronzo; e fino ad allora... ti auguro atroci sofferenze> e poi sparò.
Il colpo risuonò per tutto l'abitacolo e pure fuori.
Elizabeth lo sentì appena appena dal furgone a causa della portiera del passeggero aperta.
Il castano si rialzò dal relitto dell'auto nel canale e ripose nella cintola la canna fumante.
Notò come la benzina era fuoriuscita nell'urto subito.
E pensò che fosse una cosa carina purificare totalmente il mondo da quel pezzo di merda. Per fortuna, teneva sempre con sè degli acciarini, nella tasca dei pantaloni da caccia.
Non si sapeva mai quando sarebbero ritornati utili: e quello era un ottimo caso.
Accese un fiammifero, lo lanciò e vide il fuoco divampare in fretta, mentre lui ritornava verso il proprio mezzo.
Sentiva in lontananza il rumore delle sirene della polizia. Dovevano andarsene prima che li vedessero, dato che altrimenti sarebbero stati fregati.
Ma, avendo voluto bruciare l'auto e il cadavere, non potevano sapere che era stato proprio lui, Jonathan Right, membro illustre della società, ad aver sparato.
<Il fuoco purifica... e ti para il culo.> notò quasi sovrappensiero il castano a bassa voce, pulendosi le tracce di sangue da vicino alla bocca e risalendo in auto.
<Andiamo a casa. Dobbiamo curare Thomas e Cassandra. Sono la priorità, adesso.> fece severo il castano ed Elizabeth rimise subito in moto l'auto, dirigendosi verso la villetta.
Mentre sfrecciavano verso casa, Jonathan stava pensando a come medicare i due feriti.
Nessuno di loro aveva un dottorato o aveva mai tentato medicina e di sicuro non potevano semplicemente disinfettare le ferite e avvolgere tutto in garze e bende, specialmente se avevano dentro un proiettile!
In frustrazione, tirò fuori il cellulare, come a sperare di trovare una soluzione, che gli si palesò sottoforma di messaggio da Jack.
"Ehi, ieri non mi hai detto nulla. Non hai ancora parlato con lui? Dato che ad aspettare solo te rischi di perderlo, é meglio se vengo, appena avrò finito con un tizio per esporre i miei dipinti nella sua galleria d'arte (ti piacerebbe venirci?). Finirò fra mezz'ora, appena quel tizio si degna di farsi vivo, e poi mi metto in moto per te!"
Poi un secondo messaggio, poco dopo.
"É qua. Venti-venticinque minuti e poi parto! (E non ignorare i miei messaggi, Jon, leggendoli dalla tendina)"
Gli era arrivato più di venti minuti fa, quindi di lì a poco Jack avrebbe lasciato casa e sarebbe arrivato a tutta birra da lui, sicuramente preoccupato. Per qualche secondo il panico lo colse.
No, non poteva fare vedere a Jack tutto quello... come glielo avrehbe spiegato?!
Poi gli venne in mente una cosa.
Jack, non sapendo bene che fare, subito dopo il liceo, aveva tentato medicina; volendo davvero provare (in parte, almeno) a diventare dottore. E proprio nei campi degli interventi chirurgici, quelli che ti salvano il culo, non quelli che te lo rendono più bello.
Aveva fatto ben due-tre anni prima di lascare tutto e dedicarsi all'arte, avendo fatto molti stage utili sul lavoro durante quegli anni di studio.
Poteva aiutarlo, ancora una volta.
"É un'emergenza" scrisse, veloce.
Se mandava i messaggi troppo tardi Jack non li avrebbe visti.
"Porta tutto il materiale medico buono che hai ancora in casa (so che ce l'hai). Ti spiego tutto. Promesso."
Dopo pocho secondi, un semplice "Ok." comparve come risposta del pittore.
E Right quasi sentiva lo sbuffo sconsolato di lui.
•~-~•
Davanti casa, preferirono parcheggiare il furgone sul retro ed usare una porta secondaria, onde evitare di essere visti.
Riuscirono a trascinare i due ragazzi sui divani, dove misero sotto di loro delle coperte; onde evitare che si creasse troppo caos e che la vista di troppo sangue sparso per il salotto li facesse ammattire.
Pochi minuti dopo il loro arrivo, Jack bussò alla porta, dicendo: <Jon, Jon! Sono qui! Cosa è successo questa volta?>
Fu però Elizabeth ad aprirgli e che, con sguardo funebre e disperato, riuscì a dire, nell'ansia: <Stanno morendo! É successo un disastro! Hanno una pallottola dentro!> sbrigandosi ad andare in soggiorno, seguita da un ansioso Mondpint.
Lì la scena che trovò lo fece preoccupare. Come cazzo era successo tutto ciò?
Guardò Jon che, accanto a Thomas, carezzandogli una guancia più pallida del solito, pregava con gli occhi aiuto; senza dire una parola.
<Dove hanno preso la pallottola?> chiese Jack, trovando una sorta di tono professionale.
Era ritornato di qualche anno addietro, qiando aveva fatto lo stagista e si era ritrovato ad assistere molte volte ad interventi a persone arrivate con l'ambulanza (e due o tre volte, pure in eliambulanza).
Tono calmo e sguardo analizzatore.
<Coscia e stomaco.> rispose brevemente la rossa, indicando rispettivamente i due feriti.
Jack annuì, capendo. <Portatemi la cosa più alcolica che c'è in questa stanza e Jon, levati! Se vuoi che salvi sia lui che la ragazza, spostati!> ordinò, tono severo.
Il castano si disincantò e, levandosi, si diresse verso il mobiletto accanto al muro, dove teneva diversi alcolici.
Trovato quello dalla gradazione più alta, lo porse a Jack. Il pittore lo afferrò e ne fece bere un po' a Thomas, sotto gli occhi confuso dei due coscienti.
<Quando non c'erano anestetizzanti, si usava l'alcool. E si usa tutt'ora, se i mezzi tecnici scarseggiano.> rispose Mondpint, aprendo la propria valigetta e mettendosi dei guanti di lattice.
Poi estrasse un rocchetto di filo (di ferro, anestetizzato, e ancora in confezione) e un ago apposito, insieme a lunghe bende.
<Acqua ossigenata.> disse Jack ed Elizabeth, scattante, gli porse ciò richiesto; una delle poche cose che avevano lì in casa.
Jack si morse il labbro superiore dalla concentrazione, mentre almeno disinfettava la ferita all'esterno. Poi prese un piccolo bisturi, un coltellino, e recise un po' di più la carne sotto gli occhi preoccupati del cacciatore, che voleva urlargli: <Ma sei coglione?!>.
Però si fidava dell'amico e lasciò fare, mentre l'ansia gli divorava lo stomaco.
Jack allora usò delle pinzette prese dal borsone e iniziò a calarle nella apertura creata, trovando quasi subito il proiettile, che afferrò.
Con tocco deciso, veloce, preciso, uguale ad una pennellata data per sfumare, rimosse il proiettile dal corpo del kitten, senza farsi troppe domande. Non era il momento per interpellare Jonathan.
Stava facendo una operazione e per nulla semplice.
Controllò, per quello che poté, se avesse lenito organi importanti, ma notò che aveva solo ferito capillari e vene un poco più grandi, che già si stavano richiudendo e facendo scorrere il sangue dentro i tubicini. Constatando che quello che poteva fare, l'aveva fatto, prese ago e filo e, puliti per bene per sicurezza, iniziò a cucire la ferita di Thomas, che gli avrebbe segnato lo stomaco come una lunga e pallida striscia.
Sospirò, come di sollievo, appena ebbe finito di cucire.
<É salvo. Non deve muoversi da sé, almeno fino a fine giornata. Poi si deciderà. È anche vero che, con quello che gli ho fatto trangugiare, starà tranquillo per un po'...> rispose Jack. Jonathan voleva fiondarsi su Jack e abbracciarlo (e forse pure dargli un bacio a stampo, esagerando) dalla gioia che provava.
Però Elizabeth, molto preoccupata anche per altro, fece: <Cassy. Ora tocca a Cassandra.> ed indicò col capo la bionda mezza incosciente sul secondo divano.
<Ok.> Jack buttò non curante i guanti di lattice sul pavimento e, messi un paio nuovi (gli ultimi rimasti), fece: <E via col secondo.>
[...]
Anche con Cassandra era andato tutto ok.
Per fortuna non aveva colpito nessuna vena importante. Il proiettile neppure c'era. Era un colpo di striscio che, guarda te la piccola sfiga, aveva preso una via sanguigna giusto un filo più grande dei normali capillari e aveva leggermente ferito un muscolo ma niente di irriversibile.
Giusto un po' di riposo alla gamba, con attorno una fasciatura con una steccatura (indubbiamente di fortuna) per mantenere la gamba rigida et voilà, tutto a posto.
Jonathan volle ospitare le due cameriere a casa sua per sue paranoie (in realtà, dato che le due insistivano per ritornare a casa loro, le "costrinse" a stare lì), aprendo i divani che all'occorrenza potevano diventare dei divano-letto. Non potevano usare la stanza degli ospiti in due perché ci avevano (Elizabeth e Jonathan) trasportato Thomas, dato che non sapevano come avrebbe reagito il kitten al risveglio e lasciargli spazio sembrò loro la migliore delle soluzioni.
Dopo che ebbero fatto tutto questo, Cassandra era sul divano a riposare, ancora intontita dall'alcool e dalla stanchezza, ed Elizabeth stava facendo un viaggio veloce a casa loro solo per prendere il minimo indispensabile (dopo mille proteste e ansie di Jonathan, che aveva troppa paranoia di un eventuale attacco alla rossa da parte dei sottoposti di Regulus, decisi a vendicarlo).
Intanto Jack e Jonathan erano nella stanza di quest'ultimo, con la TV in sottofondo che parlava, attraverso il TG delle 13:00, di manifestazioni per i diritti sui kittens (che già andavano avanti da tempo), che però erano in secondo piano rispetto alle domande di Jack a cui voleva risposta.
E allora Jonathan gli spiegò, calmo e quasi freddo (non voleva rivivere a palpebre chiuse o aperte ciò capitato, no, non avrebbe retto in un momento di spossatezza nel genere), cosa era capitato in quella giornata e mezzo da quando non s'erano più visti. Arrivati alla comparsa di Lee, Jonathan dovette aggiungere che era proprio da quella persona che, in gioventù, aveva provato a trovare uno scopo alla sua vita; venendo salvato dal pittore (ex-aspirante medico) davanti a lui.
Quando Right finì il racconto, l'amico sospirò; prendendosi la radice del naso e massaggiandola ad occhi chiusi, come ad elaborare per bene le informmaazioni ricevute.
Dopo un minuto o due carichi di silenzioso nervosismo per Jonathan, Mondpint decretò: <Non dirò nulla a nessuno, se proprio vuoi. Ma dovresti spiegare tutto alla polizia prima che sia troppo tardi: non siete passati inosservati, con quell'inseguimento in auto, probabilmente sarà sul TG di stasera e sicuramente sul giornale di domani, e non ci vorrà troppo prima che capiscano chi c'è dietro. Hai ucciso un uomo per pura vendetta, vero, ma il fatto che fosse un mafioso e che volessi evitare che creasse altri danni al mondo saranno delle attenuanti, no? Comunque... io ti difenderei sempre e comunque, anche nel torto marcio.> e il pittore si levò in piedi, gli occhi aperti puntati in quelli del cacciatore
<Anche se so benissimo che é sbagliato. Ma, nonostante tutto, non riesco ad allontanarti o a farti del male. In qualche modo, sei riuscito a conquistarti la mia anima, Jonathan, prendendoti la mia assoluta fedeltà a te.>
Jonathan si avvicinò e lo abbracciò d'improvviso.
<Se mi denunciassi, mi andrebbe pure bene, sai? Sono stanco di vivere di merda. Se fino solo all'inizio di questo anno non avevo scopo nella vita degno di essere definito tale, se non essere superiore agli altri perché era diventato il mio unico modo di essere. Ma, dopo essermi innamorato di Thomas... voglio solo che lui stia bene. Non importa cosa capiti a me. Lui deve stare bene.> disse con tono intrinseco di un dolore represso.
E si era interrotto perché la voce si stava incrinando.
Però... No.
Non poteva accadere ciò.
Lui era comunque Right, Jonathan Right.
L'uomo impassibile.
L'uomo di ghiaccio.
Il senza cuore.
Sapeva che se avesse parlato, se avesse detto ciò che gli veniva dall'anima più pura e profonda, avrebbe perso quella sua immagine che si era costruito alla perfezione negli anni successivi alla morte della madre.
Jack lo abbracciò a sua volta, trasmettendogli un calore che urlava: «Sfogati.»
E si può dire che fu in quel momento che la maschera di ghiaccio di Jonathan Right si sciolse per sempre, velocemente, senza lasciare traccia, tra le mani del cacciatore, lasciando spazio al vero sè; represso per troppo tempo.
E parlò, parlò a ruota libera, parlò seguendo il cuore: <Non importa se mi lancerà quando si sarà svegliato. Se mi ferirà. Se fuggirà lontano da me. Se mi odierà con tutto sè stesso. A me basta che sia felice, davvero felice. Contento di vivere e di ciò che ha. Mi basta quello. Anche se sarò lontano da lui. Anche se sarò in prigione. Anche se sarò morto. Basta... che lui sia felice. Perché l'amore é questo, no? Mettere la felicità di chi si ama davanti la propria, sempre e comunque.> e poi si lasciò ad un pianto sommesso, ma liberatorio.
Jack, stupito leggermente dal pianto, però non si staccò.
Rimase lì, stringendo leggermente di più il cacciatore e dandogli leggere pacche sulla schiena.
Quando Right si riprese, si staccò da Jack e, asciugandosi gli occhi, disse con voce ancora leggermente rotta: <Grazie Jack. Io non so come faccia tu a volermi così bene e a sopportarmi (oltre che supportarmi) sempre.>
Mondpint gli diede una pacca sulla schiena, dicendo sorridente: <Sarà per sempre un mistero. Ma... ti do un consiglio prima di andare. Parla con Thomas come hai fatto con me adesso, col cuore in mano, e ti assicuro che non ti odierà mai. Se vedrà scusarsi il vero Jonathan, quel Jon che ha visto sotto la tua maschera di ghiaccio, il Right di cui si é innamorato... vedrà che sei davvero pentito. La scelta di come fare è, appunto, tua. Io ho dato il mio parere. E adesso, mi spiace> e prese su la valigetta da medico che si era portato fino nella camera <ma devo andare. Ariadne mi ammazza se non sono da lei in tempo.>
Aprì la porta della camera di Jonathan, pronto per scendere le scale e uscire da quella casa senza bisogno di accompagnamenti di cortesia, fermandosi un attimo prima a fissare Jonathan.
Gli sorrise incoraggiante.
<Fagli sentire come é il tuo cuore, Jon!> lo incoraggiò, attraverso una metafora, e si allontanò da lì in fretta.
Il cacciatore annuì leggermente, come perso.
Forse... aveva davvero una speranza.
N/A: dai, finale un FILINO meno tragico del solito, no?
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