Capitolo 48
Quando Ylenia e l'uomo al telefono chiusero la chiamata, con la modella sociopatica informata delle novità e dei cambi di programma, si passò all'"azione".
L'uomo estrasse una scheda prepagata da 5 dollari, per poi frantumarla pestandola sotto al proprio piede. Volse lo sguardo al suo sottoposto, poco distante da lui, intento a distorcere le tracce captate dalle onde radio.
<Va ad avvisare anche gli altri, appena hai finito.> il capo ghignò, continuando a parlare <Questa sera é quella buona.> ed uscì dalla stanza; diretto alle sue camere.
•~-~•
Intanto, mentre Jonathan era a cena con Jack, a casa Right le due cameriere avevano appena finito di fare tutti i lavori e si stavano cambiando.
Erano esauste, più che altro psicologicamente. Vedere pure per l'orario di cena il kitten così triste aveva fatto piangere ad entrambe il cuore, essendo entrambe molto emotive. Il fatto era che Cassandra, anche se orgogliosa e testarda, davanti la rossa si era fatta vedere nella sua tristezza; mentre Elisabeth aveva trattenuto dentro di sè il dolore. La bionda, in puro istinto masochista, era riuscita ad estrarle il dolore da dentro e si erano abbracciate per un minuto o due; impotenti di fronte al dolore di Thomas.
Il kitten non aveva toccato cibo neanche per la cena, praticamente. Aveva sbocconcellato qualcosa, sì, ma proprio due bocconi; da contarli sulle dita di una sola mano!
Era appallottolato nelle coperte, le orecchie cosi basse da non spuntare tra i capelli mori, la coda così stretta attorno alla propria gamba in cerca di conforto, gli occhi verdi vuoti e con la sclera rossa dal pianto, il viso tirato e segnato dalle lacrime, il corpo tutto rannicchiato... Era un mucchio di dolore, disperazione e rimpianto avvolto in della carne pallida.
Anche se a Thomas i crampi della fame stavano risultando dolorosi, gli andava bene. Gli sembrava la pena minore a cui sottostare per aver fatto morire Ariana. Se fosse stato più veloce, se fosse stato più reattivo, se avesse avuto più forza nelle braccia... se solo fosse stato più utile di una zavorra.
Esaurite le lacrime da ore, ormai ripeteva con voce rauca parole sconnesse fra loro a causa del saltare parole secondarie; ripetendo fino alla nausea solo quelle più importanti.
"Ariana", "Scusa", "Cretino..." erano quelle sempre dette ed ogni tanto vi aggiungeva pure le parole "tanto" o "davvero". Infatti, in teoria, la frase intera sarebbe stata: «Ariana, scusa: sono davvero un cretino.».
Ma nel dolore non è che il kitten facesse molto caso alla sintassi del periodo; facendo come i bambini piccoli, usando gruppi di 3-4 parole per indicare il concetto di un'intera frase; creando spesso ambiguità. Insomma, Thomas usava "frasi telegrafiche" per esprimersi, in quel momento di puro dolore. Beh, in realtà, molta gente faceva come lui. Il dolore offusca la grammatica normale, a quanto pare, e ci fa regredire al livello di linguaggio dei bambini di 3-4 anni.
[N/A: questa piccola punta di cinismo è offerta dalla stronza me]
Continuando a piangersi addosso, non si accorse del pomeriggio intero che era passato. Uscite le cameriere da camera con il suo piatto ancora quasi integro, pensava fosse passato qualche minuto quando sentì le ragazze bussare alla porta di camera sua e la voce di Cassandra dire: <Ciao Thomas.> e andarsene lontano.
A quanto pare si era "pianto" addosso per un'altra mezz'ora o anche di più.
Sussurrò un «A domani» che faticò perfino lui stesso a sentire, prima di mettersi a fissare il soffitto. La testa era pesante dal pianto ma vuota dai pensieri. Il nulla aleggiava nella sua mente.
Anche nella sua anima sentiva quella sorta di vuoto.
Ariana era morta.
Ormai se lo era detto così tante volte che stava iniziando a perdere significato; poco a poco.
E si stava odiando.
Perché pensava che già sentire quel vuoto dopo così poco tempo per una persona così importante come lei... gli pareva strano.
Gli ci erano voluti giorni per digerire la morte dei suoi; più o meno.
Era anche vero che si concedeva qualche mezz'oretta al giorno e basta a quei tempi, data la continua ricerca del sopravvivere da solo in un mondo ostile.
Si sentiva comunque sporco; il semplice fatto di star già sentendo quel vuoto dopo, tipo, solo 12 ore circa lo faceva sentire... apatico.
E lui non era così, no, non lo era mai stato come tratto reale.
Eppure era capitato. Quel dolore stava già scemando in quella sorta di lunga insofferenza verso tutto e tutti, se non per i suoi sbagli che lo avrebbero assillato per dei giorni, se gli fosse andata bene. Conscio di ciò, sospirò ad occhi chiusi.
Gli ritornò in mente quello successo con Jonathan quella mattina, ricordo che lo fece rabbrividire.
E pure un pochino schifare.
Ma si ripeteva strenuamente che il castano non era in sé, che era impazzito.
Quello non voleva dire che lo aveva già perdonato, no, caso mai si fosse pentito avrebbe dovuto dire più di qualche "Scusa", ma voleva credere che quel lato non fosse della normale natura di Jon. Perché, se davvero il suo fidanzato (o quel che erano loro due in quel momento) aveva un lato del genere... avrebbe dovuto lasciarlo.
Non poteva rimanere con qualcuno di così dannoso. L'aveva già sperimentato sulla propria pelle da più piccolo con Ariana, che aveva provato quell'esperienza come un colpo ancor più doloroso del suo...
...Ariana...
Il suo semplice nome che gli passava per la mente era un colpo sordo e profondo al petto ogni volta. Era come se attorno al cuore avesse avuto una corda che andava via via a stringersi, comprimendogli l'intera gabbia toracica senza aver modo di diminuire il senso di oppressione.
Perso nei suoi desolati e sconsolati pensieri, non si era avvicinato alla finestra per fissare il cielo che si stava piano piano riempiendo di stelle (erano comunque le 21:30), come faceva solitamente.
Non aveva la forza psichica di rievocare il ricordo dei genitori alla nuova morte così vicina a lui.
Non si voleva così male.
Ma se si fosse sporto alla finestra, avrebbe notato l'insolito furgoncino nero acccostarsi vicino casa Right e delle figure vestite totalmente di nero (tra l'altro incappucciate e con dei passamontagna) uscirne fuori dai due posti davanti.
Però, appunto, non se ne accorse.
Non sentì neppure i due uomini usciti dal furgone a scassinare la porta d'ingresso.
Non avvertì i loro passi per le scale e per il corridoio che, se sentiti, l'avrebbero di sicuro fatto allarmare; perché non erano per nulla come i passi di una delle due cameriere o di Jonathan.
Non li udì borbottare a bassa voce "Capo, siamo davanti la porta" davanti camera sua; mentre comunicavano con una ricetrasmittente al loro capo, rimasto nel posto centrale del furgone; a tre posti.
Thomas iniziò ad accorgersi di cosa stava accadendo attorno a lui solo quando avvertì il rumore dello scasso della serratura di camera sua.
A quel suono scattò a sedere, allarmato, sul letto.
Non era il girare di chiavi nella toppa: né ci si impiegava cosi tanto tempo, né faceva quel rumore così disarmonico di ferraglia cozzata con altri metalli.
Si spaventò, mentre scattava in piedi, l'istinto di sopravvivenza da kitten a sovrastare la sua auto-commiserazione. La mente andava veloce.
Dove era meglio rifugiarsi come ultimo riparo: bagno o armadio?
Optò per l'armadio e, mettendo in pratica ciò che aveva provato così tante volte in quella stanza, mesi addietro, prese una leggera rincorsa. Poi avrebbe spiccato un salto, avrebbe usato la mensola come punto d'appoggio per un secondo, successivamente una spinta del piede in direzione dell'armadio e l'aggrapparsi trionfante sopra l'armadio. Lì sopra sarebbe dovuto resistere per un pochino.
Andare in bagno, si disse, sarebbe stato stupido. I due tizi gli avevano appena dimostrato di saper scassinare tranquillamente. E con ogni probabilità non si risparmiavano in quanto forza bruta.
Peccato che non riuscì nel suo piano.
I due incappucciati spalancarono la porta con forza, facendo un gran baccano, e Thomas si distrasse. Infatti, spaventato, aveva frenato la corsa per un secondo e ciò gli impedì di fare il salto abbastanza in alto da afferrare la mensola e avere ancora energia in stasi.
Perciò si ritrovò a lasciare la presa perché non era abbastanza in alto con il resto del corpo.
Era totalmente fregato.
Provò a sfuggire alle due figure, a cui non aveva volto un reale sguardo, che lo ingabbiarono con la loro stazza in quell'angolino di muro; senza via di uscita.
Prima che potesse anche solo tentate di sgusciare via da quei due omaccioni, uno dei due lo afferrò per le braccia, avvicinandoselo, facendo in modo che risultasse con le braccia dietro la schiena, la quale era a contatto con il petto dell'aggressore.
Il secondo tirò fuori un panno ed un flaconcino. Versò un po' del liquido sul pannetto che premette contro il viso del kitten; il quale tentò in tutti modi di scuotere il capo e dare calci scatenati con le gambe. Quello con il panno in mano gli mise il palmo libero sulla nuca, costringendolo con il naso ad inspirare di cosa era imbevuto il panno.
Thomas sentì velocemente la testa girare e la presa sulla realtà scivolare; era come un sonno indotto con la forza. Le sue gambe smisero di muoversi freneticamente e la testa iniziò a farsi pesante. Prima ancora di rendersene del tutto conto, cadde nel barato dell'inconscio, del sonno non voluto.
E perciò svenne tra le grinfie di quei due uomini nel giro di venti secondi scarsi.
•~-~•
Jonathan stava camminando per una viuzza e già vedeva casa sua non troppo distante, quando notò un furgone nero davanti l'ingresso.
Si preoccupò mentre i suoi sensi andavano all'erta.
Non gliene importava troppo se gli avessero rubato qualcosa quei ladri, rispetto al ricordarsi che lì dentro c'era Thomas: non poteva assolutamente rischiare che gli facessero del male.
Ma anche andare allo scoperto era da coglioni patentati.
La cosa più intelligente che trovò lì per lì da fare fu stare lì, mettendosi meglio dietro uno dei grandi alberi che costeggiavano la via battuta ma non asfaltata.
Vide dopo pochi secondi uscire da casa due uomini e uno dei due pareva trasportare tra le braccia qualcosa (non lo vedeva bene, era di tre quarti dandogli le spalle)... o qualcuno si ritrovò a dirsi, sperando piuttosto nella prima opzione.
Li vide caricare quel qualsiasi cosa fosse nel retro del furgone e, saliti davanti, andarsene via a tutta velocità.
Jonathan si mise a correre dopo qualche secondo di immobilità, con nel petto il cuore scalpitante dall'ansia e dalla paura.
Tutto ma non quello che la testa gli ripeteva, tutto ma non quello che la testa gli ripeteva, tutto ma non quello che la testa gli ripeteva...
Vide la porta d'ingresso accostata perfettamente (come se fosse ancora chiusa a chiave) ma, invece, si aprì appena spinse.
L'avevano scassinata senza lasciare segni, come se avessero usato la chiave.
Ma non poteva essere, a meno che qualcuno non gli aveva preso la chiave e duplicata a sua insaputa. Quello lo riteneva improbabile.
Scacciò le sue elucubrazioni mentali, correndo dentro casa (sbattendosi dietro poco gentilmente la porta) e salendo i gradini in tutta fretta.
Il cuore minacciava di uscirgli dalla gola.
Aveva paura.
Tanta, troppa.
Thomas poteva essere stato aggredito, rapito o... ucciso.
La terza opzione si rifiutò di prenderla come vera e propria ipotesi.
Aprì la porta della stanza di Thomas (anche quella solo accostata, ad aumentare il suo terrore) e dentro non c'era il suo kitten.
La stanza era vuota. L'unico segno che fosse accaduto qualcosa erano le lenzuola tutte sfatte ed un foglio (scritto al computer e poi stampato) appeso con una puntina alla parete opposta all'ingresso.
Jonathan si avvicinò e tolse il foglio dal muro.
«Non ti disperare, sciocco Right. Questo è solo l'inizio. Aspetta in silenzio. E non chiamare qualcuno. Noi lo sapremmo caso mai lo facessi. Ciao ciao.» recava scritto.
Jonathan stropicciò il foglio, sia incazzato che spaventato.
Incazzato perché non sapeva chi cazzo si permetteva di rivolgersi a lui così.
Spaventato perché, probabilmente, chi aveva rapito Thomas sapeva benissimo che a lui ci teneva e che avrebbe fatto di tutto pur di salvarlo. E perciò aveva in pugno entrambi.
Anche perché Jonathan era terrorizzato da cosa potesse star accadendo al suo kitten.
Ma per il momento non poteva fare nulla.
Solo stare lì in casa senza contatti ed aspettare il giorno dopo e... Cassandra ed Elizabeth! Le due ragazze sarebbero venute senza che lui le chiamasse, poteva farsi aiutare da loro (almeno se supplicava abbastanza, sapeva che le due erano inverse con lui).
Una speranza c'era.
•~-~•
Thomas si svegliò con un grande male alla testa.
Provò a ricordarsi, ad occhi chiusi, che cosa fosse successo.
Si ricordò delle figure nere incappucciate che facevano irruzione in camera sua e che lo facevano svenire.
Aprì gli occhi e provò a muoversi.
Capì di essere su un letto e di essere impossibilitato a sedersi.
Alzando lo sguardo sopra la propria testa notò di essere ammanettato e, attraverso una corda, legato ad una parte della testata del letto sopra al quale era disteso.
Vide, per quel che poté, di essere in una stanza piccola con solo il letto sul quale era, un comodino accanto a sé ma con sopra nulla e una scrivania senza neppure una sedia ma tanti cassetti.
Si mise a fissare il soffitto, mentre impediva alle lacrime di rigargli il volto.
Dove era adesso?
Era successo qualcosa a Jonathan?
Cosa volevano da lui i tizi che l'avevano portato lì?
Chi erano quei tizi?
Dopo dei minuti in cui nella testa gli frullavano quelle domande; la porta, di ferro, si aprì con un cigolio ed entrò una figura, che si richiuse la porta alle spalle.
<Guarda guarda, finalmente il piccolo kitten si è svegliato. A notte fonda, ma si è svegliato...> notò una voce palesemente divertita.
Thomas si irrigidì un attimo mentre girava la testa, in cerca del proprietario della voce.
L'aveva riconosciuta a distanza di anni, e l'avrebbe fatto tra altre mille voci e anche fra millenni.
Però non poteva essere la voce di quello lì, non voleva crederci.
Non poteva appartenere a quell'essere che gli aveva cambiato la vita per sempre, che lo aveva marchiato in modo indelebile sia dentro che fuori.
Appena vide in faccia chi fosse sentì la paura invaderlo definitivamente.
Per sua sfortuna aveva ragione.
Sulla soglia della porta c'era un kitten con un orecchio mozzato e la coda spelacchiata, il ghigno sulle labbra e lo stava scrutando con lussuria.
Thomas si sentì davvero mancare.
Forse era leggermente più vecchio, ma era lo stesso kitten che aveva fatto irruzione a casa sua con degli umani, aveva preso per poi vendere ad un'asta i genitori e lo aveva artigliato alla schiena quella piovosa sera di marzo quando aveva appena 9 anni.
N/A: tan tan taaaaan.
Colpi di scena!
Spero di avervi fatto salire l'ansietta pure questa volta (^v^)
-muhahahahaha "ψ(`∇')ψ-
Ehm, sì. Sono un essere malvagio che adora lasciare nella suspance. È la mia unica rivincita contro il mondo che mi ha fatto (e mi fa tutt'ora): aspettare secoli per le robe belle che voglio io.
Quindi, sorry not sorry se vi rigiro la frittata.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top