Capitolo 47
E mentre Jonathan chiudeva la telefonata fatta con Jack, altre due persone si misero in contatto.
Un "uomo" ed una donna, ad essere precisi.
<Ho sentito che é andato male il colpo di Right; o, beh, così hanno già riportato certi siti su Internet. Me lo puoi confermare?> chiese la donna, quasi seccata, battendo le unghie laccate di smalto rosso sul ripano della toeletta di legno di quercia, pitturato di bianco panna per accordarsi ai muri della propria stanza.
<Sì, proprio così. I miei sottoposti mi hanno riferito tutta l'operazione. A quanto pare erano scappati tutti i kittens, a parte due. Una morta, l'altro preso su da Jonathan.> spiegò l'uomo, mentre stringeva un attimo la mano a pugno.
Per poco il loro piano non rischiava di saltare per l'atto coraggioso del kitten moretto.
<Da quel che ho visto, é mica il tuo "gioiello" il kitten preso da Right?> chiese la donna.
<Sì, Laire, é il m->
<Non chiamarmi "Laire". Chiamami col mio nome, se proprio devi.> lo interruppe lei, seccata. Odiava quel soprannome da quando quello lì glielo aveva coniato in uno dei loro primi incontri.
<Mi scusi, signorina Ylenia Baudelaire, mi scusi.> se la ridacchiò l'uomo dall'altro capo del telefono, prima di continuare con: <Comunque sì, era il mio gioiello quello.>
<Vuol dire che il nostro piano salterà? L'affetto é un elemento fulcro, lo sai benissimo pure te.> quasi ringhiò, seccata, Ylenia, battendo il pugno con forza sulla toeletta.
<Calmati, Ylenia->
<Io non mi calmo, adesso. Abbiamo aspettato tempo per volere sempre di più, ed adesso rischiamo di non riuscire a compierlo nella sua interezza! A me, in tutta onestà, non interessa di lui perché é il tuo gioiello, non il mio. Ma odio essere in disparità con chi collaboro. E se tu non potessi prendere il tuo gioiello, sarei io in credito perché, mentre la mia vendetta é compiuta, i tuoi interessi non sono stati soddisfatti tutti. E con te voglio essere in pari. Così poi le nostre vite si separeranno e nessuno avrà scuse per rivedersi.> spiegò astiosa la donna, forse perfino confondendo le idee del suo collaboratore con quelle parole.
<Oh, non pensavo provassi affetto per me, mia cara.> la schernì l'uomo.
<Fraintendi tutto, tu. Mi é stato diagnosticato a soli cinque anni che sono una sociopatica irrecuperabile; te l'ho già spiegato. Io cose come l'affetto e l'amore non le provo sul serio, anche se col mondo fingo. Sono tutte farse.> gli ricordò la donna.
<Dovresti fare l'attrice, oltre la modella.> notò l'uomo, mentre sfogliava un taccuino accanto a sé, con pagine su cui c'erano scritti nomi e alla fine un orario preciso cerchiata di rosso: le 20:00.
<Mi basta e avanza la facciata che uso da modella... Comunque, ritornando a noi... perché sei così calmo? Il nostro piano potrebbe saltare in una sua parte. Per quanto ne sappiamo il tuo gioiello potrebbe essere bello che andato. Tipo morto o già in mano di altri. E allora si potrà uccidere Right ma niente gioiello.> ricordò la donna.
L'uomo ridacchiò e notò: <Oh, suvvia; non essere stupida, non ti si addice. So per certo come é andata la scena grazie ai miei sottoposti, che hanno registrato tutto. Jonathan Right avrà pure la facciata del freddo e facilmente crudele cacciatore, ma è abbastanza facile da leggere se sai i trucchetti giusti. E ti assicuro che tiene ancora al mio gioiello.>
Ylenia spalancò gli occhi un attimo, piacevolmente sorpresa, prima di ghignare: <Oh, bene bene. Sarà quindi domani sera l'irruzione?>
<In teoria era così, ma ho deciso di spostarlo a questa notte stessa...>
<Così, subito? Wow, perché tanta intraprendenza da Mr. "Non-si-sgarra-di-una-virgola-dal-piano"?> commentò ironica Ylenia.
<Ah-ah. Divertente Laire, proprio divertente...> roteò gli occhi l'uomo, chiamando la donna con quel nomignolo per dispetto; un po' come i bambini.
Si sentì alla perfezione anche attraverso il telefono lo sbuffo seccato di lei, anche se poi chiese con calma: <Come mai hai anticipato la giornata dell'azione?>
<Beh, sai, poter intercettare le onde radio è sempre comodo e sono riuscito a captare quelle di Jonathan. Ogni telefono ha le proprie onde radio e poi basta puntare la parabolica verso la fonte delle onde. Comunque ho deciso di spostarlo a questa notte stessa perché...>
•~-~•
<Questa sera non sono a casa per cena.> comunicò Jonathan dalla soglia della cucina alle due cameriere. Si stava appoggiando allo stipite per non far vedere il tremore nella gamba. Il sentirsi colpevole gli faceva sempre quell'effetto da piccolo; era da anni che non gli era capitato. Era la prima volta dopo secoli e anche quello c'entrava con Thomas.
<Se posso chiedere, con chi va?> chiese Elizabeth, usando il Lei, ancora seduta al tavolo a giocare a carte con l'amica. Non si erano scomodate a buttare le carte all'aria dall'ansia perché sapevano che Jonathan non si sarebbe arrabbiato per averle trovate a giocare.
Spesso, infatti, le due cameriere facevano tutto il dovuto in tempi record e avevano molto tempo da usare per cazzeggiare. E stare nello stanzino dove si cambiavano non le allettava, così rimanevano in cucina.
Ogni tanto facevano partite a briscola, altre a scopa, altre ancora a piripicchio, altre a qualche gioco che era una loro versione di solitario mischiato a spider.
<Con Jack. È da tanto che non ci vediamo per davvero e davanti un po' di cibo è sempre il modo migliore per vedere gli amici. Poi questa sera c'è una partita di basket, non della sua squadra preferita ma comunque importante, e la fidanzata non lo vuole urlante in casa propria.> spiegò Jonathan, mentendo sulla seconda parte. Fra un po' si era messo a supplicare l'amico di vederlo la sera stessa!
<Ok, grazie dell'informazione. Ok, dobbiamo solo cucinare per una persona...> replicò la rossa, borbottando qualcosa che neppure lei capì tanto bene, ma che Cassandra intuì (tirando a indovinare a che si riferisse) a differenza di Jonathan; anche se comunque si fece un dubbio di testa.
<Ha mangiato?> chiese dopo pochi secondi il cacciatore. Cassandra posò le carte, coperte, sul tavolo, per poi fissare il cacciatore in quegli occhi neri che le mettevano un po' di soggezione; ma per il loro amico quello era il minimo.
<A chi ti stai riferendo?> chiese retorica la bionda.
<A Th-... al kitten. Ha mangiato qualcosa?> chiese nuovamente il cacciatore, schiacciando via l'orgoglio.
<Quel kitten ha un nome che tu conosci molto bene. E di quel kitten non conosci bene solo il nome.> lanciò una sorta di frecciatina la bionda, sapendo di stare rischiando grosso; ma non poteva fare a meno di provare. Voleva vedere quanto Jonathan fosse ottuso ed orgoglioso.
<Ora non é importante il nome. Dimmi se ha mangiato sì o no.> impose il cacciatore, servendosi dell'incutere timore per mascherare la propria paura e le proprie debolezze.
<A malapena ha sfiorato cibo, se proprio ti interessa...> sbuffò la bionda, riprendendo le carte. Si stava spingendo oltre, non poteva rischiare troppo, data la sua coscienza che spesso non frenava gli impulsi.
<Come mai?> chiese Elizabeth, facendo risentire la sua presenza.
<Cosa?> domandò Jonathan, confuso.
<Come mai hai chiesto di Thomas?>
Jonathan stette muto qualche secondo prima di rispondere: <Uno schiavo sano é sempre meglio di uno malato.> ed uscì dalla stanza prima che potesse perdere la concentrazione a causa di ciò detto da Cassandra.
«A malapena ha sfiorato cibo...»
<Idiota orgoglioso.> intanto sbuffarono esasperate le due ragazze, riprendendo a giocare a scopa. Più di chiedere e cercare di smuovere un po' la terra non potevano fare. Dovevano affidarsi al migliore amico di Jonathan, Jack, e sperare che riuscisse a scavare fino in fondo al cacciatore, fargli capire cosa davvero avesse fatto e fargli ingoiare quel dannato orgoglio.
•~-~•
Jonathan era appena arrivato davanti al locale che aveva pattuito con Jack, un piccolo ristorante che proponeva hamburger di buona qualità, diversi e modificabili in base ai propri gusti. E poi era molto più vicino a casa di Jonathan e Jack aveva imposto che fossero vicini a casa del cacciatore, caso mai volesse costringerlo a ritornare a casa.
Più vicini erano, più semplice era.
Un rumore di ghiaia pestata svegliò dalla sua trance Jack, che si stava avvicinando a lui tutto sorridente.
<Allora, sarà una cena piena di dramma per le cretinate che hai fatto e movimentata perché sei il famoso Right e sei in un locale qualsiasi; inoltre vicino a casa tua; di cui nessun paparazzo realmente sa la locazione?> commentò ironico il pittore.
Jonathan lievemente sorrise.
Jack era straordinario con lui: qualche parola nel modo giusto e già era capace di farlo sentire meno una merda umana che camminava e respirava. Era un ottimo amico, non poteva chiedere niente di meglio dalla vita in quel campo.
E aveva anche un fidanzato amorevole, ma che aveva trattato da perfetto stronzo insensibile e da fuori di sé.
Si distolse dai suoi stessi pensieri, commentando: <Non sarà movimentata se tengo qualsiasi ficcanaso ad una distanza maggiore di un caloroso vaffanculo.>
<Oh, gentile e disponibile come sempre, Jon! Entriamo, su!> esordì Mondpint, aprendo la porta del locale. Jonathan lo seguì, dicendosi in un angolino della testa che "Jon" lo adorava sentire da un'altra persona; un kitten moro dagli occhi verde smeraldo, per essere realmente precisi.
Scosse per una seconda volta la testa. Doveva liberarsi la testa da quelle colpe e godersi la cena con Jack, per poi tirare l'argomento fuori dopo l'ammazza caffè.
Tanto sapeva che Jack non l'avrebbe mai tirato fuori di sua spontanea volontà.
E infatti passarono la cena tra chiacchiere e osservare dalla distanza la TV appesa ad angolo, commentando cinicamente uno stupido programma televisivo da persone che vogliono mandare a benedire i neuroni per sempre o per la durata dello show.
Quando i loro bicchierini di liquore arrivarono (già tutto pagato), Jonathan con un mirto e Jack con un limoncello, Right si ritrovò a racimolare la forza per parlare e raccontare a Jack cosa fosse successo e chiedere consigli.
Il pittore, senza che l'amico parlasse, domandò accorto: <Ehi, quando riesci a mettere in ordine nella tua testa fammi un fischio e me ne parli.>
Jonathan lo fissò di stucco. Era a conoscenza che l'uomo avanti a sé fosse davvero abile nel capirlo, ma in quel momento gli sembrava quasi un essere inumano, dotato di telepatia.
Jack gli sorrise e commentò: <A quanto pare so leggere il linguaggio dei segni della famiglia Right e, più nello specifico, il tuo. Quando stringi con forza le labbra e la mano destra stai cercando di raccogliere il coraggio.> e il pittore ridacchiò qualche secondo, commentando: <Non puoi capire quante volte te l'ho visto fare alle superiori quando la professoressa di letteratura diceva "Right, interrogato." e tu ti alzavi dal banco, sperando almeno nella sufficienza.>
Right si ritrovò a sorridere lievemente a quel commento.
Per Jack era un libro aperto, uno dei pochi a quel mondo che poteva conoscerlo come le proprie tasche e che l'avrebbe sempre supportato.
Per la seconda cosa forse era pure l'unico.
Perciò prese il coraggio a due mani, lo strinse forte e lo assimilò; trovando la forza di parlare e partire da un punto che poteva definire un inizio; la promessa con Thomas.
Poi aveva sorvolato su tutto quello successo dopo la promessa per parlare partendo dalla chiamata di Anderson, raccontando tutto ciò di importante accaduto nel mezzo fino allo sparo di Flint e la morte della compare di Thomas.
Poi si interruppe perché si vergognava di ciò fatto dopo.
Jack, che lo aveva ascoltato pacato per tutto il racconto, senza far trapelare nulla se non la curiosità, iniziò a chiedere con circospezione, tentando di estrarre con le pinze ciò successo dopo.
Jonathan, che continuava a dire una semplice frase basica (praticamente soggetto, verbo e uno o due complementi) di, al massimo, 10 parole, fu costretto a dire ciò che più lo stava vergognando di sè stesso.
<Ho ferito Thomas. Ma non nel senso di... botte, calci e pugni... Io... io...> Jonathan si interruppe non trovando la momentanea forza di dire le successive parole. Jack lo guardò, paziente, aspettando che parlasse.
Nel mentre del racconto si era avvicinato, arrivando con la propria sedia accanto a Jonathan. Le persone attorno a loro vi sorvolarono, avendo capito che uno dei due era Right e che era meglio non immischiarsi.
<Io... l'ho violentato> riuscì a dire Jonathan sottovoce, provando a guardare verso Jack, che lo fissava esterrefatto.
Jonathan si aspettava urla di sdegno o uno strisciare di sedia ed un uscita di lì, in silenzio e disgustato, o ancora il semplice silenzio a commentare il ribrezzo che il pittore provava per lui.
Invece un "ciaff" sonoro risuonò per la stanza, mentre Jack si alzava facendo rumorosamente strisciare la sedia. Tutti quelli nella sala si voltarono a quel rumore.
Jack fissava Jonathan in un modo indecifrabile, un misto tra disgusto, sdegno, rabbia, stupore e shock. Il cacciatore fissava il pittore con un'unica emozione barluccicante negli occhi: lo stupore.
Jack Mondpint, la persona più solare, pacata, pronta a risollevare gli animi, più per la mediazione che per la vittoria assoluta, colui che potevi definire incapace di ferire una mosca... gli aveva appena dato un sonoro schiaffo.
A lui.
Jonathan Right.
Il suo migliore amico dalle superiori.
Sembrava irreale come situazione.
Jack afferrò il proprio giubbotto di pelle nera ed uscì a passo pesante, con gli occhi di tutti lì a fissarlo. Jonathan sapeva che quel gesto poteva significare una sola cosa da parte di Jack: "se ne parla in privato".
Jonathan si alzò, ritrovandosi gli sguardi di tutti addosso. Tante domande e curiosità fremevano sotto quegli sguardi di differenti iridi. Jonathan, con le sue iridi nere pece, sondagliò la stanza e li fece raggelare tutti, con un monito negli occhi: "Azzardate a chiedere qualcosa e finite morti". E quelli nella sala ritornarono ai fatti loro, intimoriti dallo sguardo di lui.
Jonathan uscì, con la felpa già indosso, volendo sentire le parole di Jack.
La manata sulla guancia, non dolorosa dato che Jack non l'aveva data con l'intenzione di fare sul serio male, ricevuta da un elemento come il pittore gli fece capire quanto ancor più grave fosse la sua colpa. Ma sapeva anche che quel passo pesante lo faceva come a cercare la privacy, ad allontanare tutti e parlare apertamente.
Se mai avesse voluto lasciarlo lì, con una manata in quel caso potenzialmente dolorosa, avrebbe usato un passo molto più leggero e affrettato, come a dire "devo fuggire di qui".
Uscì dal ristorante.
E vide Jack appoggiato alla propria auto. Jonathan non era venuto né in moto né in auto. Quel locale distava da casa di Jonathan venti minuti buoni a piedi, ma il cacciatore li aveva voluti fare dato che camminare aveva un effetto balsamico sui suoi nervi leniti.
Jonathan si avvicinò all'amico, fermandosi a poca distanza da lui, e incrociando le braccia; ma non in segno di chiusura e diffidenza, piuttosto in simbolo di "ti sto ad ascoltare con tutta calma". E Jack non se lo fece dire a voce alta neppure mezza volta.
<TU. TU SEI UN EMERITO COGLIONE.> iniziò, altamente scioccato, dando un calcio alla ghiaia attorno a loro. Jonathan sperò che si andasse a calmare nel discorso. Non sperava in frasi pulite per quanto riguardava il linguaggio, ma sperava almeno nell'abbassamento di tono.
Sarebbe stato strano ascoltare Jack... così poco da sé.
<Come cazzo ti é saltato in mente di fare una cosa del genere? Sei un uomo o una bestia? Se non fosse tutto questo fottuto, assurdo e Thomas un kitten, e cioè non é protetto legalmente anche se ci stanno lavorando su, tu dovresti essere sbattuto in carcere per stupro. Stupro. S-t-r-u-p-o.>
Jack ne fece pure lo spelling, tanto era basito e arrabbiato. E il cacciatore lasciò che quelle parole entrassero dentro di lui, fra le crepe della sua barriera di ghiaccio stravolta dal suo fidanzato, annidandosi attorno al cuore in colpa con sé stesso e la propria irrazionalità, ancorandosi all'anima confusa e senza più una via certa da percorrere.
Ma si meritava tutte quelle brutte parole, perciò lasciò parlare a ruota libera il pittore anche perché aveva bisogno di una seria strigliata. E il fatto che Jack fosse molto empatico non faceva che aumentare l'enfasi con cui diceva quelle parole.
<Con che coraggio vuoi guardare in faccia colui che hai detto di amare e a cui hai promesso di proteggerlo dagli altri, se non riesci a proteggerlo da te stesso e dalla tua irrazionalità?!>
Jonathan guardò in basso e parlò, non per cercare scuse ma per tentare uno sfogo: <Tutta... la rabbia, lo stress, e... la negatività di una vita sono spuntate fuori a puro cazzo di cane e... mi hanno fatto... violentare Thomas. Hai fottutamente ragione a dirmi quelle parole, faresti bene a dirmi di peggio, a ferirmi di più di quel semplice schiaffo...> ed alzò lo sguardo, gli occhi neri lucidi anche alla pallida luce del manto stellato e dell'unico lampione nei paraggi, un poco lontano da loro.
<... ma sono qua per supplicarti di aiutarmi. Perché non posso vivere con questo rimorso e con Thomas che mi odia. Non potrei. Non quando credo di aver trovato chi davvero mi ama. Nonostante tutto e tutti. E non voglio che la possibile causa del nostro separarsi sia proprio io...>
Jack lo fissò attonito, stupito nel profondo. Jonathan che si faceva sentire sull'orlo delle lacrime con la voce incrinata era una cosa che non sentiva da tanto tempo. In discoteca, quella notte in cui aveva scoperto la natura di Thomas, Jonathan era stato supplicante, era vero. Ma quella voce che sembrava implorare l'estrema pietà, l'estrema preghiera in punto di morte... l'aveva sentita l'ultima (e per la prima) volta anni addietro.
Era accaduto quando Maria Esposito era prossima alla morte. Allora Jonathan, un pomeriggio, dopo un rapido peggioramento della madre, era andato a casa dell'amico e quasi l'aveva pregato di rassicurarlo che la madre sarebbe guarita e che tutto non era ancora perduto, come dicevano i medici.
Jack ritornò con l'espressione più addolcita, sorridendo in modo paterno. Era ben chiaro e intuibile quanto davvero Jonathan ci stesse soffrendo. E di sicuro, da amico quale era, non l'avrebbe lasciato lì nei propri pasticci da solo.
<Non conosco Thomas, non so neppure se sarà disposto a perdonarti dopo ciò che ha subito. Ma se vuoi un consiglio su come scusarti... fa il possibile e l'impossibile per lui. Chiedi fino a stare male "Scusa". Mostragli di amarlo, abbraccialo, cerca anche solo un piccolo contatto fisico, come baci sulle guance e sulla fronte o baci casti sulle labbra. Tienitelo stretto e ripetigli quanto sei stato cretino. Non importa quanto ti farà male, tu non lo allontanerai perché lo rivuoi accanto a te come fidanzato, come pari. Come persona di inestimabile valore. Datti pure una coltellata nelle palle se aiuta la causa, cazzo!> provò a smorzare il momento, facendo incurvare un pochino le labbra all'insù al cacciatore, che annuì lievemente.
Il pittore finì il discorso: <Se ti mostrerai persistente davanti tutto... forse capirà. Ti accetterà. Piano piano, poco a poco; con ogni probabilità. Ma probabilmente lo farà. E lo riavrai indietro.>
Jonathan annuì e gli mise una mano sulla spalla. <Grazie mille, Jack.> fece, sentendolo davvero dal cuore.
<Di nulla, Jon. Ti ho visto felice e... te stesso come non ti vedevo da anni. Se qualcuno è capace di tale prodigio... non posso che consigliarti di tenerlo stretto e aiutarti in ciò!> esclamò il pittore, abbracciandolo velocemente, dandogli qualche sonora pacca tra le scapole.
Si staccarono e si guardarono negli occhi qualche secondo, sereni.
Ora Jonathan aveva il cuore un po' più leggero.
<Vuoi che ti accompagni a casa in auto?> chiese il pittore, rompendo il silenzio.
Jonathan scosse la testa.
Si girò e, andando via dal parcheggio acciottolato, fece senza voltarsi: <Preferisco camminare. Mi schiarisce le idee. E poi... voglio stare da solo per capire che parole dire a Thomas. Voglio che siano il più sincere possibili e il più libere da filtri.> e continuò a camminare, udendo distintamente la voce dell'amico salutarlo con: <Allora ti lascio alla tua passeggiata digestiva e riflessiva. Alla prossima, Jon.>
Un rumore di auto sbloccata, la portiera aperta, la portiera richiusa quasi subito dopo con un sonoro rumore, il motore acceso per partire, una breve retromarcia sull'acciottolato rumoroso, una leggera sterzata fra l'acciottolato e l'asfalto e poi la partenza sulla strada asfaltata, a velocità sempre crescente.
In pochi secondi Jonathan non sentì più il rumore delle ruote dell'auto di Jack. Allora, sicuro di poter rimanere coi propri pensieri, si allontanò sul serio dal ristorante; andando con passo tranquillo verso casa, immerso nelle proprie riflessioni e probabili future frasi.
Non sapeva ancora la scena che gli si sarebbe palesata al suo ritorno...
N/A: sorprese della reazione di Jack?
Spero di sì. (。・ω・。)
E l'ultima frase non è stata messa così a caso.
Nel prossimo capitolo aspettatevi tragedie.
Muhahaha “ψ(`∇´)ψ
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