Capitolo 46

N/A: oggi è San Valentino! Ci dovrebbe essere amore nell'aria e cose tutte fluff e pucciose... Io no. Io sono cattiva e faccio accadere robe brutte.

Buona lettura, comunque!



Jonathan era appena tornato a casa, riuscendo a sbrogliarsela e a riprendersi Thomas con scuse su mezze verità su totali bugie. Era un macello unico di cui neppure lui ricordava le cazzate dette. Ma quello non era importante, no, per nulla.

Quell'imprevisto risolto senza troppi problemi era il minimo.
IL MINIMO, GENTE.
Già poteva sentire certi programmi e leggere le testate di certe riviste a riguardo della caccia per tutta la città, miseramente fallita, e l'inizio di circolo di gossip su di lui. Ma anche quello non era così importante, a pensarci bene. Anche quello era secondario.

Quello che era primario era Thomas.
Thomas... come cazzo si era permesso di disobbedirgli?
Di prendergli la moto e andare come un razzo, rischiando di morire già lì, fino dai suoi vecchi amici, per cercare di salvarli? Fallendo pure nel salvare la persona che riteneva più importante?

Se fosse stato ragionevole, lucido, dotato di una quantità industriale di calma avrebbe compreso alla perfezioni quelle azioni; nel desiderio di voler aiutare chi si ama come una famiglia... Ma purtroppo era solo furibondo, accecato dal terrore, e totalmente in preda agli impulsi.

Secondo Freud, dentro di noi coesistono tre forze: Il Super-Io, l'Es e l'Io.
Il Super-Io è il totale raziocinio e l'insieme delle norme morali che da piccoli si ha appreso da figure adulte, spesso quelle genitoriali.
L'Es è l'insieme degli impulsi e dei desideri reconditi dell'incoscio, all'opposto del Super-Io.
L'Io, invece, è la forza che cerca di destreggiarsi fra le due potenze opposte, nell'obiettivo di mantenere una sorta di equilibrio nella persona, che rappresenta.
Se la si fosse voluta vedere come Freud sosteneva, in quel momento Jon avrebbe avuto il Super-Io calciato in un angolo della mente, lasciato lì inerme, mentre l'Es stava impartendo ordini all'Io che, succube di quell'unica influenza, eseguiva tutto celermente.

Ritornando a noi, Jonathan aveva perso il senno, praticamente, e neppure lui sapeva come riacquisire la sua solita calma interiore. Dico interiore perché all'esterno, cioè in casa sua, mentre percorreva più e più volte la lunghezza della sua stanza, all'esterno era talmente tanto freddo quanto dentro ribolliva di emozioni cocenti.
E, ve lo assicuro, vuol dire che era MOLTO freddo all'esterno.

Però, come appena detto, dentro si sentiva frastornato e confuso. Sul serio, in quel momento non era sè stesso.
Era una persona sadica senza alcuna etica morale, capace di provare piacere solo nel vedere soffrire chiunque altro, anche in chi amava.

E allora la sua mente lo dirottò verso certi pensieri orribili; amorali e crudeli. Ma nella sua mente, in preda ad uno sconquasso unico, avrebbe potuto dire che il sopra era il sotto e che quando c'era la Luna era giorno. Perciò quei pensieri non erano così orribili... e decise di metterli in atto.

•~-~•

Quando Thomas si svegliò, riconobbe subito la stanza nella quale era. Però sentiva gli arti dolenti e la bocca indolenzita e, provando a muoversi, non ci riuscì. Notò allora come era messo: era legato sul letto per braccia e gambe, creando una specie di X.

Provò ad urlare ma si accorse il perché avesse male alla mascella: un affare di gommapiuma gli era stato legato sulla bocca, tenendogliela aperta senza però poterlo far urlare.
Provò a chiamare aiuto, ma emise solo un piccolo mugugno.
Tentò di muovere le braccia, però subito i polsi gli fecero male perché legati con ruvide corde in modo troppo stretto.
Stessa cosa per le caviglie.

Voleva piangere dalla disperazione: Jonathan gli avrebbe fatto quello che il suo pessimismo lo dirottava a pensare?
Ora gli voleva male?
Ora lo odiava?
Non ebbe il tempo di versare una lacrima che la porta si aprì, mostrando il castano con in volto uno sguardo sia arrabbiato, sia sadico e sia perverso.

Questo fece rabbrividire il moro.
Tutto fuorché bello.
Jonathan chiuse la porta e si avvicinò con lentezza esasperante al kitten, il quale tremava per quanto potesse, quasi totalmente immobilizzato dalle corde.

<Oggi non sarò buono.> notò senza emozioni nella voce il cacciatore. Quello fece spaventare ancor di più il moro: era come la calma prima della tempesta.
<Verrai punito per avermi disubbidito> notò Jonathan, appoggiando vicino al letto una valigetta che il moro non aveva notato prima.
<Che poi, cosa hai ricavato disubbedendomi, se non la morte della tua migliore amica davanti ai tuoi stessi occhi a causa tua?> chiese retorico il castano, facendo risaltare nella testa del kitten quel momento.

Fece molto più male quello di una pugnalata al petto. Strizzò gli occhi, umidi al pensiero. Però sapeva che lui aveva infranto quella regola solo perché l'aveva fatto lui prima. E il movente era diverso, per il cacciatore era ulteriori soldi, per il kitten era salvare a chi riservava il suo affetto. Jonathan lo guardò sprezzante e fece una sorta di sbuffo, facendo ritornare alla realtà il moro.

<Sei solamente un debole che ora verrà ferito senza pietà. Come é giusto che sia trattato uno come te, come uno della tua razza.> notò freddo il cacciatore, mentre il kitten sentiva il proprio cuore incrinarsi.
Non voleva aver paura di chi amava od odiarlo, però la situazione lo stava rendendo difficile.
Aveva intuito in quei mesi di permanenza a casa Right che Jonathan a volte fosse ottuso e cieco... ma perfino fargli del male perché aveva infranto una promessa dopo che anche l'altro aveva infranto il proprio voto era troppo!

Jonathan gli slegò prima le caviglie e poi i polsi, tenendosi comunque a cavalcioni sopra il moro, il quale era visibilmente tremante. Gli tolse pure quel coso dalla bocca.
<J-J-Jon...> balbettò disperato e spaventato il kitten.
<Non chiamarmi in quel modo, sottospecie di essere vivente!> gli urlò il cacciatore e al kitten fecero più male quelle parole che lo schiaffo ricevuto subito dopo in pieno viso.

Quel dolore caldo, bruciante sulla pelle, era un soffio di brezza marina rispetto alle crepe che dentro la sua anima si stavano creando; minacciando di rompere il suo fragile essere con un soffio di vento.
Jonathan si avventò sulle sue labbra mentre gli toglieva le mani dai polsi e gli slacciava velocemente la camicia che gli buttò subito via. Si mise a stuzzicare il kitten per il segno violaceo sul collo, facendolo gemere dal dolore.

[N/A: da qui inizia una scena non proprio caruccetta dato che, beh... Jonathan si comporterà da pezzo di latrina (faccio la fine per una volta). Quindi, se non volete leggere cose che sfociano in violenze... saltate e ri-iniziate a leggere dopo la linea di asterischi lunga quando la Autostrada del Sole.]

Praticamente gli stava mordendo quei lembi di pelle ma non era come al solito: quando facevano l'amore o si scambiavano effusioni sotto le coperte quei morsi, anche se forti, erano pieni di affetto. Quelli erano solo morsi di marchio dolorosi, come a lasciare cicatrici per ammonimento, marchi fatti dalla rabbia e dal disprezzo, marchi creati per ferire mente e cuore, non per alleggerirli.

Piccole lacrime scivolarono per le guance del più piccolo, mentre Jonathan passava al petto e lo stuzzicava per i capezzoli, leccandoglieli. Pure lì non c'era la solita malizia o premura, solo freddezza e creato solo per eccitarlo a suo malgrado.

Thomas si mise a gemere senza riuscire a trattenersi mentre Jonathan gli ringhiava contro: <Gemi puttanella, gemi pure. Sai fare solo questo.> E ancora quelle parole ferirono come coltelli mentre comunque lo faceva gemere contro la propria volontà.

Jonathan poi riprese per i polsi il kitten, distendendogli le braccia sopra la testa mentre si mise a mordere forte la punta dell'orecchio del kitten, mentre lo teneva schiacciato col suo bacino.
<AHH!> urlò dal dolore il kitten come un ossesso, mentre provava a muoversi.
La pelle sensibile lacerata dai canini, l'improvvisa azione, il dolore acuto tutto d'un botto... un miscuglio micidiale.

Il cacciatore continuò a morderlo per tutto il bordo dell'orecchio sinistro senza pietà, sentendo sotto di sé il kitten urlare di dolore e pregarlo di smettere.
Gli faceva male, tanto male.
Qualche lacrima amara scorse per le guance del kitten, mentre Jonathan continuava a morderlo in quel modo. Senza pietà, forse senza remore.

Quando il castano capì che il kitten era quasi senza voce, smise di morderlo all'orecchio, togliendogli le mani dai polsi e mettendole ai fianchi, dove gli tolse rapidamente i pantaloni.
Scese con una scia di baci-morsi per il collo, aumentando di forza nel punto viola, facendo lacrimare di nuovo dal dolore il moro.
<T-ti pr-pre-prego... b-ba-basta...> singhiozzò il kitten disperato.

Ancora sperava nella pietà di chi lo stava torturando: lui amava il cacciatore. Davvero, non avrebbe mai infranto le regole, se Jonathan stesso non le avesse infrante per primo (e non se ne accorgeva e non lo capiva). Eppure quelle parole morivano in gola.
Thomas voleva a Jonathan un enorme bene che proveniva da quella poca parte di anima rimasta integra di cui il castano, oltre ad esserne custode, adesso ne era pure il distruttore.

<Ti meriti tutto questo. E ora sta zitto se non vuoi che ti faccia urlare fino a che non riuscirai più a spiccare parola> lo minacciò Jonathan e il kitten si ammutolì, piangendo il più silenziosamente possibile mentre il cacciatore continuava a morderlo nel punto violaceo.
Poi il castano iniziò a scendere coi morsi per il petto, leccandolo, toccandolo e mordicchiandolo sui capezzoli.

<Gh! Ghn!> emise suoni confusi e senza senso il kitten, mentre si eccitava tanto senza davvero volerlo. Poi Jonathan, arrivato ai boxer del moro coi baci e morsi, glieli tolse; notando quanto fosse eccitato il kitten.
<Anche se piangente ti eccito comunque, eh puttanella?> fece retorico il cacciatore, mentre prendeva in mano l'erezione del kitten e faceva lentamente su e giù con la mano, portandolo in una dolorosa ascesa all'apice. Ma il castano si fermò un attimo prima, mentre si spogliava velocemente, rimanendo nudo.

Il kitten quasi arrossì, intravedendo quanto fosse eccitato il castano, il quale si maledisse: anche se provava ad odiarlo lo faceva comunque eccitare con quei suoi versetti, con quel suo viso tutto rosso e accaldato...

Il cacciatore ritornò coi piedi per terra, rimise la maschera di ghiaccio, e divaricò di più le gambe al moro, posizionando la propria erezione davanti l'apertura del ragazzo.
Un brivido di paura percorse il moro, mentre il castano strusciava la propria erezione contro l'apertura del kitten, pronto ad entrare senza un minimo di preparazione. La paura del dolore imminente fece stringere di più le natiche al moro, anche se era la cosa peggiore da fare.

Lentamente Jonathan entrò dentro il moro, facendo forza sulle pareti interne del kitten richiuse dalla paura. Gli urli di Thomas, rauchi a causa di quelli già fatti, si levarono nella stanza straziando perfino l'udito delle cameriere, a inizio corridoio ad ascoltare timorose.
Il moro si sentì dilaniato dall'interno quando Jonathan entrò in lui completamente e subito dopo non fu meglio perché il castano mise a muoversi con forza e violenza dentro e fuori dal corpo del kitten, mentre questo continuava ad urlare.
Per farlo stare zitto, e farlo soffrire un altro po', il castano si mise a baciarlo rudemente, mordendogli le labbra fino a farle sanguinare, giusto per far risultare quegli urli meno forti nelle sue orecchie.

Dopo un lasso indefinito Jonathan venne dentro il piccolo, dal quale uscì definitivamente. Però Thomas era ancora eccitato nel basso ventre e questo lui lo sapeva. Infatti riprese l'erezione del moro nella mano e fece su e giù e, appena prima che il moro venisse, gli mise un dito sulla punta del pene, impedendogli di venire.
Thomas fece un verso scontento, mentre provava a rilassarsi.

Jonathan si divertì a fare il sadico, mentre teneva il dito lì sopra e rientrava, ma stavolta più lentamente, dentro il piccolo buco dilaniato del kitten.
Il moro pianse dal dolore per il fondoschiena e per il fatto che gli stava impedendo di provare piacere. Jonathan continuò a dare spinte, però facendo in modo lento, impedendo al kitten di potersi rilassare anche solo un pochino.

Però ad un certo punto tolse il pollice da lì e il kitten venne sul suo stesso stomaco, mentre Jonathan veniva una seconda volta.
Ri-uscì dall'apertura del kitten, si rivestì come se nulla fosse successo ed uscì chiudendo a chiave la porta; lasciando un povero sofferente kitten a piangere.

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A piangere per il cacciatore, che amava ancora, non capendo perché si comportava così e per il dolore che sentiva.

Jonathan, appena uscì da lì, sentì come uscire da una bolla di pazzia e ferocia nella quale era rimasto catturato ed ipnotizzato.

Ora che il Super-Io aveva ripreso la sua forza e aveva rimesso a posto l'Es, l'Io era frastornato; come Jon.
Cosa aveva fatto a Thomas?
Come aveva potuto definirlo in quel modo?
Come aveva potuto maltrattarlo ed usarlo come un giocattoli fino a quel punto?
Il moro era il suo piccoletto: era il suo amore che aveva trattato così di merda e neppure lui, infondo, aveva una ragione propria per averlo fatto.

Eppure... tutto quello era accaduto.
E non poteva rimediare con un semplice scusa.
Si chiuse in camera, tentando di capirci qualcosa.

Intanto, Thomas, ancora rannicchiato nel letto, sentiva non solo il corpo dilaniato ma anche l'animo. Ariana, la sua compare, la persona che più per lui era come un parente stretto; una sorella... era morta. Sul serio.

Aveva lasciato quel mondo, si era presa quella pallottola solo perché lui stesso non era stato abbastanza vigile nel sentire il colpo e schivare la pallottola.
Era tutta colpa sua.
Non era stato abbastanza veloce a casa, aveva litigato con lei... avevano litigato. Il semplice fatto che nell'ultima volta che si erano potuti vedere avessero anche avuto il tempo di litigare... lo fece stare ancora peggio.

Si sentiva realmente male, proprio dilaniato da quel dolore che trovava inconcepibile per un'unica persona in una sola volta.
Continuò a piangere, piangere e piangere disperato; quasi a sperare che con le sue lacrime la sua amica ritornasse lì, lo abbracciasse e potesse salvarlo da quel luogo che non era più casa e da quell'Inferno che aveva nel cuore.

Le due cameriere, in cucina, stavano animatamente parlando mentre preparavano il pranzo per Jonathan e Thomas. Erano stupite dal comportamento di Thomas, ma lo trovavano accettabile e si sentirono male pure loro al pensiero dell'amica morta di Thomas.
Per Elizabeth e Cassandra era come immaginare l'altra morta fra le braccia l'una dell'altra.

Era un dolore che solo ad immaginare era orribile e non osavano a teorizzare quanto fosse terribile vivere un'esperienza simile per il moro, specialmente dopo quel che Jonathan che aveva fatto.
Cassandra aveva una voglia matta di andare in camera di Right e prenderlo a ceffoni in faccia, dicendo: <Sei un emerito coglione.> e facendo corrispondere ad ogni lettera uno schiaffo in volto.
Dato possibilmente sempre con maggiore forza.

Ma, prima di fare avventatezze e rischiare di prendere la denuncia per aver quasi ucciso una persona solo a suon di ceffoni, Elizabeth cercò di parlare in modo ragionevole. In qualche modo la rossa aveva sempre un effetto tranquillizzante sulla bionda, che restò in cucina a preparare il pranzo, anche se dentro le vene il sangue le ribolliva peggio dell'acqua sul fuoco a 100°C.

Preparato da mangiare per i due, si diressero di sopra. Prima Elizabeth portò il cibo in camera di Right, trovandolo a fissare apatico e con gli occhi neri spenti (parevano assumere le sfumature del grigio scuro) la televisione; messa su un canale qualsiasi.
Alla rossa parve di sentire una sorta di alone di emozioni negative appena entrata nella stanza e si ritrovò a prendere un enorme boccata d'aria appena si richiuse la porta dietro di sè.

<Com'era?> chiese Cassandra, sinceramente stupita vedendo l'amica, con ancora il vassoio con sé. Volevano entrare insieme nella stanza del moro e provare a parlargli, confortarlo, cercare di schiarire l'oscurità che, senza ombra di dubbio, gli stava inghiottendo l'anima a voraci bocconi.

<Pareva ad un funerale. Faceva paura. Ma in modo diverso dal solito. Se di solito incute timore da "Adesso questo scava dentro di me, scopre le mie paure, le sfrutta a suo vantaggio e mi ammazza"; questa volta mi è parso più da "Mi soffocherà nella sua stessa disperazione se non me ne vado via da qua in fretta".> parlò per paragoni, buttandoci dentro un pizzico di ironia, la liscia.

La riccia annuì pensierosa, decretando: <Non credo che l'abbiamo mai visto con un'espressione del genere.>
<Secondo me ha avuto quella faccia solo al funerale della madre: lo sappiamo entrambe che è per quello che è cosi; Thomas ce ne aveva accennato, no?>
<Quelli sono dettagli secondari adesso, Eli. La cosa che mi stupisce è che forse si sta pentendo della cazzata fatta e sta cercando di metabolizzare l'atrocità che ha fatto, perché sì, è solo un'atrocità inammissibile quel che ha compiuto nei confronti di Thomas. Ritornando al fulcro della questione, secondo me ha bisogno di capire il tutto e decidere che fare.>
<E dato che non siamo così in intimità come Thomas o quel suo amico pittore, Jack, è meglio che noi stiamo di sfondo e lo lasciamo da solo coi suoi pensieri.>
<Io con Thomas così non voglio fare così, però. Poco ma sicuro.>
<Ti ricordo che non possiamo imporci, Cassy. In tal caso faremmo solo danno.>
<Lo so! Ma... Thomas è come un fratellino da proteggere... e mi fa male sapere che sta praticamente morendo dentro, mangiato dai suoi stessi demoni. Hai sentito bene pure te come ha continuato a piangere e farneticare cose dopo che Jonathan l'ha violentato!>

Elizabeth sospirò, stanca. Era stressante essere in mezzo ad una situazione così tesa e non poter fare nulla per aiutare.
<Entriamo, vediamo come sta e solo allora decreteremo che fare.> decise la rossa, cercando nello sguardo un segno di approvazione che arrivò senza tardare.

Bussarono piano, senza dire nulla, giusto per vedere che reazione ci sarebbe stata. Nessuna risposta.
Entrarono piano, dopo aver aperto con la chiave, e videro Thomas tutto raggomitoltato nelle coperte, nel letto tutto disfatto.
Era messo su un fianco. Aveva addosso dei vestiti che doveva aver recuperato a caso dall'armadio e stava dormendo, rilassato.

Cassandra appoggiò piano il vassoio sulla scrivania, mentre con la stessa accortezza Elizabeth accostava la porta. Si avvicinarono al letto, cercando di fare meno rumore possibile, aggirando il letto per vedere il volto di Thomas.
Le guance erano segnate dalle infinte lacrime che le avranno percorse, le labbra erano segnate da crosticine su alcuni punti (che se le fosse morse fino a farle sanguinare?) e i capelli erano un arruffo unico, tra i quali le orecchie da gatto erano chinati, in una posizione di tristezza.
Ma il volto era sereno.
Forse era melanconico. Beh, almeno sembrava più sereno, molto più di quanto le cameriere avevano teorizzato nel resto della mattinata, potendo solo sentire il moro senza vederlo.

Cassandra mosse una mano e si mise ad accarezzare piano la testa del moro, grattando leggermente fra le orecchie. Nei mesi precedenti in cui Thomas era lì avevano capito diverse cose su di lui, e fra quelle c'era anche che adorava essere grattato tra le orecchie e dietro quella sinistra. Ma non volle grattarlo lì dietro perché sapeva che quello specialmente glielo faceva Ariana.
E Thomas aveva bisogno di rilassarsi, riuscendo ad andare oltre il trauma dell'amica morta.

<Ariana...> fece in un sussurro il moro.
Aprì gli occhi verdi quasi di scatto. Per un secondo le sue iridi furono illuminate da una pura luce di gioia, quasi di speranza, perché per un attimo quello gli era sembrato il tocco della compare e che, perciò, fosse ancora viva.
Peccato che, appunto, durò solo un secondo. Infatti le sue iridi ritornarono più opache mentre notava che erano Cassandra ed Elizabeth vicino a lui, non la compare.

Thomas si mise a sedere, sotto lo sguardo delle due ragazze che avevano paura della sua reazione. Avevano sentito benissimo nel silenzio della stanza il nome detto dal kitten e avevano notato il suo cambio di espressione del giro di un battito di ciglio.

<Ehi, Thomas...> salutò in imbarazzo Elizabeth, sedendosi sul letto vicino al moro ma senza toccarlo. Questo, neanche fosse stato scottato, si ritirò e si appiccicò alla testata del letto. Prese il cuscino da accanto a sè e se lo strinse al petto come un bimbo terrorizzato dai tuoni farebbe col suo peluche.
Thomas si sentì uno stupido per aver pensato che fosse lei, Ariana, e aver mostrato quella sorta di disperazione alle ragazze.

Sapeva che erano in pensiero per lui e, facendo così, non aiutava la causa do mantenerle serene. Però non aveva energie per sforzarsi a stare bene, perciò fece: <Andate via. Voglio stare da solo.>

Elizabeth si alzò dal letto, dispiaciuta dal vedere il kitten ridotto in quello stato, e Cassandra si oppose a quella richiesta: <Col cazzo che ti lasciamo solo adesso! Noi siamo tue amiche e non ti lasceremmo mai da solo in momen->
<VOGLIO STARE DA SOLO!> urlò il moro, interrompendo Cassandra. Questa sbatté le palpebre più volte in veloce successione, incredula del comportamento del moro.
Thomas iniziò a tremare e, con la coda che si stava attorcigliando ad una gamba, piagnucolò: <Voglio stare da solo... vi prego.>

La voce era rotta, incrinata dai singhiozzi che premevano per uscire. Cassandra voleva ribattere, ma una mano ferma le prese il polso con forza, cercando di tirarla. Fissò Elizabeth negli occhi ambrati e notò una fermezza insolita in lei.
<Diamogli altro tempo.> sussurrò la rossa nell'orecchio della bionda, che annuì, e che si lasciò trascinare fino alla porta. Sulla soglia, prima di uscire, Cassandra disse: <Comunque ti abbiamo portato il pranzo, Thomas. Mangia qualcosa.>
<Certo...> rispose il moro, con lo sguardo assente fisso alle coperte.

Cassandra, guardandolo un attimo scettica, uscì dalla stanza e si chiuse dietro la porta a chiave.
Thomas non toccò cibo e le due ragazze lo constatarono quando ritornarono nella stanza tre quarti d'ora dopo circa. E non poterono parlare con Thomas perché si era chiuso in bagno.
Beh, in realtà avevano ottenuto un «Non posso aprire» dal moro, quando bussarono insistentemente alla porta del bagno.
Almeno sapevano che era ancora vivo.
Le due cameriere sospirarono arrese mentre uscivano dalla stanza con il magone alla gola per la tristezza e la disperazione che Thomas aveva e che espandeva attorno a lui.

Intanto, verso le quattro del pomeriggio, Right si decise.
Aveva bisogno del punto di vista di un occhio esterno e fidato.
Uno che potesse dargli un giudizio imparziale.
Uno di cui si fidasse ciecamente.

Afferrò il telefono e cercò il numero in rubrica. Fu abbastanza semplice, dato che non aveva molti numeri in generale e che c'era solo il suo numero sotto quella lettera.
<Pronto Jon?> iniziò la voce, pimpante e calorosa, dall'altro capo del telefono.
<Ehi, Jack...> iniziò Jonathan, tirando poi un pesante sospiro.
Jack, capendo l'antifona, agì di conseguenza.
<Ehi Jon, sono qui con te. Puoi dirmi tutto quello successo. Spara pure!> ricordò Jack, preparandosi psicologicamente a qualsiasi cosa avrebbe detto l'amico.








N/A: ed ecco che Jonathan ha fatto la cazzata del secolo e ha ferito il mio povero Thomas!
Se volete mutilare o ferire gravemente Right, lettori e lettrici, vi prego di trattenervi. Jonathan mi serve ancora vivo.

P.S.: e ancora una volta ringrazio il cielo di aver scelto uno scienze umane come liceo e di aver fatto l'anno scorso robe belle come la teoria di Freud a cui ho accennato nel capitolo. Beh, mi ha preso bene usare in questa storia concetti presi dal mio libro di psicologia.

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