Capitolo 44

Quando Jonathan scese velocemente dal furgone, vicino alla casa dei kittens, un minimo si stupì del silenzio. Perché, a meno che la paura non li avesse congelati, era strano.
Ci sarebbe dovuto essere un pandemonio o un parapiglia lì dentro a causa del stridio delle ruote, udibile dall'esterno come del baccano o, in caso di enorme autocontrollo, come un serpeggiante mormorio che invadeva tutta la casa e fuoriusciva pure all'esterno.

Ma né lui e i suoi colleghi poterono starci tanto a pensare, e neppure era concesso. I kittens, comunque, erano prede difficili perché, in tante cose, erano proprio come i gatti.

Erano agili, compiendo scatti degni di un centometrista e salti da atleti olimpionici. Erano sinuosi, sgusciando con eleganza dovunque, rendendoli prede interessanti, con quei movimenti ipnotici che molti avevano semplicemente camminando, mentre muovevano i fianchi.
Erano silenziosi, coi passi felpati, ovattati, difficili molto spesso da sentire per le semplici orecchie umane, mentre fra di loro si sentivano benissimo.
Erano inafferrabili, come pioggia che batte con forza ed insistenza su una mano aperta.

L'unico modo per catturarli, per gli umani, era mettere in moto ciò che li differenziava dagli altri animali, e per cui, anche se i kittens possedevano ciò (essendo fusione di umani e gatti), non erano sempre al loro livello.
L'unico modo per batterli, infatti, era usare la mente.

Coi kittens bisognava giocare d'astuzia, bisognava raggirarli e coglierli di sorpresa. Infatti, il fattore sorpresa, insieme all'astuzia, era quasi l'unico modo in cui si riusciva a catturare dei kittens nel 95% dei casi e forse anche di più.
Perciò i cacciatori non ebbero tempo per pensare, dato che quello era prezioso e decisivo nella riuscita o disfatta della loro operazione.
Infatti, appena sceso dal veicolo, il capo dei Cats' Layer diede un segnale e Right (pieno di rimorso in quel momento), il signor Anderson (quello che il giorno prima aveva avvisato Jonathan) e un uomo sulla quarantina, dai capelli corti e neri (perfettamente tinti) partirono in avan scoperta.

Brandivano i loro fucili, carichi di proiettili narcotizzanti (o almeno così avevano pattuito), mentre raggiungevano la porta, che Anderson sfondò con un calcio.
La porta di ingresso non resistette, era solo accostata, e sbatté contro il muro a lato della porta, oramai completamente mezza divellata; dato che il cardine cigolante e mezzo rotto era stato totalmente staccato dallo stipite in legno abbondantemente marcito negli anni.

Intravidero una figura indistinta, bassina e minuta con una coda nera, scattare via dalla cucina di fronte all'ingresso.
<Fermi, ibridi!> urlò Flint, il terzo uomo del gruppo di avanscoperta, che sparò verso la cucina un proiettile che andò a vuoto. Iniziarono a correre, inseguendoli, mentre a Jonathan la mente elaborava velocemente (e con giusto un piccolo pizzico di catastrofe) quel che aveva visto.
Una figura bassina come Thomas, minuta come Thomas, con una coda nera come quella morbida di Thomas...
Il panico allora lo colse.

Come era possibile che fosse lì!?
Thomas doveva essere a casa loro, a parlare con le cameriere o a guardare qualcosa sul digitale terrestre o su Netflix o ancora a scrivere appunti e studiare quei libri di astronomia e astrologia, materie diverse quanto intriganti per l'ibrido.

Tutto questo era in teoria... in pratica?
Era a casa, no?
Era sereno, no?
Era al sicuro, no?
Era ignaro di tutto, no?
Era lontano da lì, no?
NO?!

Quei pensieri vorticavano veloci nella mente di Right, che poté solo decidersi di schiarire la mente mentre inseguiva quei kittens insieme agli altri due temporanei colleghi.

Intanto i due compari kittens salivano veloci le scale, ora a due a due, ora a tre a tre e, ad ogni piano, qualche gradino come la normalità richiedeva. Ma quello non era un momento di normalità, anzi, in teoria sì: essere cacciati, in pericolo e spaventati, era la loro perenne condizione di esistenza; anche se era una normalità da cui cercavano il più possibile di estraniarsi.

I loro respiri erano veloci dall'ansia, come i battiti frenetici del cuore, che pareva premere con forza contro lo sterno, volendosi liberare dalla gabbia toracica, condivisa coi polmoni, i quali ancora non dolevano. Per fortuna erano atletici di natura e Thomas sapeva come tenersi allenato, avendo spesso fatto esercizi di apnea in casa Right, o continuato a correre nello spazioso seminterrato della villa, fino a non avere mezza molecola di ossigeno dentro il corpo.

I due compari correvano su, sempre più su, a raggiungere la bassa mansarda, più polverosa dei tre piani sottostanti, ma da lì potevano accedere al tetto in due maniere. O grazie ad una finestrella presente lì fin dalla costruzione ultimata o grazie ad un buco creatosi nel tetto in seguito ad un cedimento di qualche trave. Ovviamente la seconda opzione era quella che permetteva di essere più rapidi, anche se era la più insidiosa, date travi piene di schegge, pezzi di tegole rimaste lì per anni sul bordo del buco e altri piccoli problemi.

Thomas si continuava a ripetere che doveva salvare Ariana. Aveva salvato già tutto gli altri (almeno quella mattina) e non si sarebbe mai permesso che la sua compare, la sua migliore amica, la persona più simile ad una sorella che avesse fosse catturata. Tutto ma non quello.
Piuttosto preferiva morire lui, se ciò significava salvarla.

Qualche sparo dietro di lui, parole confuse dette a qualcuno.
Ariana che davanti a sé diceva qualcosa.
Non capiva, era come sordo a tutto.
La paura gli pompava con forza il sangue nelle orecchie, facendo in modo che quel suono frenetico sovrastante tutto il resto.
Pensava solo a correre.
A correre per la propria pelle e per quella di Ariana, da salvare senza se e senza ma.

Raggiunsero la mansarda, bassina ed angusta, in poco tempo. Non era così bassa ma era più facile stare a carponi che con la schiena incurvata, perciò, raggiunsero il buco da cui poi sarebbero usciti a "quattro zampe".
Ariana mandò giù un piccolo lamento di dolore, mentre sentiva la mano destra che, nell'appoggiarsi ad una trave per uscire, una parte appuntita le graffiò vistosamente il palmo, facendola sanguinare.

<Ariana!> si spaventò Thomas mentre vedeva delle gocce scarlatte colare dalla mano della compare, ormai mezza fuori.
<Non é nulla. Abbiamo problemi più grandi adesso. Dammi la mano ed usciamo di qui.> e gli porse quella sporca, dato che la sinistra (quella buona, tra l'altro la dominante), era aggrappata con gli artigli a delle tegole del tetto.
Thomas la afferrò, mentre sentiva dietro di sé i passi aumentare di rumore. Erano vicini, sempre più vicini, e coi fucili carichi. Aveva paura. E quello lo immobilizzò solo un attimo, ma spesso fatale in quei casi.

Ariana, terrorizzata e ansiosa, quasi urlò: <Afferra la mia mano, Tommy!> facendosi chiaramente sentire dai cacciatori, ed uno urlò: <Non sono lontani!> Thomas si ridestò e si fece aiutare dall'amica ad issarsi fin fuori sul tetto.

Intanto non poteva sapere che Jonathan era proprio fra quei tre cacciatori e che aveva sentito benissimo il soprannome detto dalla ragazza: Tommy. E il suo cuore si contrasse in uno spasmo dalla paura. Tommy... anche lui chiamava così Thomas... ma come era possibile che fosse lì?
Scosse la testa in modo risoluto, dicendosi che tanta gente si chiamava Thomas a quel mondo... o che aveva il soprannome di Tommy. Ma la paura viscerale, che lo stava attanagliando fin dal piano terra, andò a stringere la sua morsa sulla sua vittima, Right. Ma non poteva stare lì a rimuginare troppo. Quella casa era mezza pericolante ("Come fanno in una ventina a viverci qui? E dove sono gli altri? Per ora siamo certi che ce ne sono solo due o al massimo tre!") e non poteva non fare caso a dove mettesse i piedi.

Arrivarono in mansarda e, a carponi, si diressero verso il buco nel tetto, mentre Flint diceva alla ricetrasmittente che erano sul tetto e suggeriva agli altri di seguire poi i loro movimenti fra le case con le moto se fossero scappati. Riuscirono ad issarsi fuori dal tetto senza ferirsi, vedendo due kittens sul ciglio del tetto, quasi in procinto di saltare.

<Fermi!> urlò Anderson, sparando un colpo narcotizzante vicino ai loro piedi, senza volerli beccare.
Non potevano narcotizzarli in quel momento.
Sarebbero caduti giù per il tetto e loro non avevano quei trampolini dei vigili del fuoco.
Ed avere gli unici due kittens trovati morti spiccicati al terreno non li allettava per nulla.

<Diteci dove sono i vostri compagni e noi vi tratteremo con più cura!> aggiunse Flint (mentendo) ed uscendo anche lui dal buco sul tetto, il fucile carico, pronto a sparare per narcotizzarli (o almeno, beh, così credeva).
Poi uscì anche Jonathan Right dal buco, l'arma in mano, e si sentì morire dentro quando vide, sul bordo del tetto, il fidanzato.
Come era arrivato fin lì?
Che l'avesse sentito il giorno prima?

Adesso Thomas era in pericolo.
In un fottuto pericolo per cui non capiva vi si fosse immischiato.
Poi ricordò. Thomas gli aveva detto che quei kittens erano la sua nuova famiglia. Ed Ariana una sorella, non di sangue ma per scelta. E si disse che sì, allora capiva: per la madre aveva quasi perso il senno e, se fosse successo qualcosa a Jack, di sicuro non l'avrebbe lasciato lì.
Avrebbe ucciso pur di salvarlo. E, anche se con ciò capiva il perché di quel gesto, il terrore era enorme.

Ora Thomas era fregato.
Erano fregati entrambi.
Come poteva tenere per sé Thomas, al sicuro, se faceva così?
Perché aveva infranto quella cazzo di promessa?

Intanto, Thomas, vedendo il fidanzato lì, sul tetto, volle morire. Allora era davvero lì, in avan scoperta. Sapeva che ormai era ad un punto di non ritorno. Non poteva pentirsi e gettarsi tra le braccia di Jon, era impossibile. E poi, poco ma sicuro, non avrebbe mai lasciato Ariana sola. Senti Ariana che, con la mano ancora nella sua, gliela stava strizzando.
Lo stava avvertendo.

Si guardarono negli occhi.
Ariana voleva chiedergli come mai avesse assunto un'espressione così atterrita alla vista di Right, anche se aveva una mezza idea che poteva spiegarle tante cose, prima fra tutte il perché Thomas avesse mentito. Era quasi terrorizzata da quella sua teoria, che era stata rafforzata in un secondo dagli sguardi di entrambi.

Ma quello non era né il tempo delle spiegazioni, né il tempo delle chiacchiere secondarie. Era il tempo di sopravvivere e scappare. Un brivido di consapevolezza passò per le schiene dei due kittens, mentre i tre cacciatori avanzavano coi fucili alzati, ma senza voler sparare. I due compari sapevano benissimo a cos'era legato quel loro brivido. Era legato al sapere che sarebbe stata una corsa contro la morte o (peggio) la schiavitù. Una corsa per salvare la pelle a sé stessi e l'un l'altro. Una corsa contro il mondo, uguale a milioni di quelle fatte per anni, prima di arrivare nella casa dalla quale stavano scappando.
E ce l'avrebbero fatta anche quella volta, si dicevano.

Peccato che non ricordavano l'esistenza di un proverbio che diceva:"C'é sempre una prima volta per tutto"

Un microscopico passo indietro da parte di Ariana.
Le minacce di Anderson a fucile alzato e pronto a sparare.
E quegli attimi si dilatarono nel tempo.
Tutto era immobile, tranne...
... lo sguardo dispiaciuto di Thomas verso l'amato.
... il terrore cacciato dentro a forza di Jonathan.
... la grinta dirompente di Ariana.

E poi, accadde.

Ariana si girò e saltò giù prima che i tre umani lo registrassero con gli occhi.
E Thomas la seguì a ruota.
Ariana si aggrappò al muro della casa accanto con gli artigli di entrambi i piedi e di una mano. Quella libera la afferrò Thomas, che riuscì a darsi lo slancio verso l'alto, aggrappandosi un po' più sopra, e riuscendo a raggiungere il bordo del tetto con una mano. Si issò su ed aiutò la compare a salire, mentre scappavano un po' a zig zag e un po' senza un reale schema.

Intanto i cacciatori sparavano, provando a colpirli in punti come braccia e gambe con i loro fucili pieni di narcotici.
Poi un proiettile ritornò vicino al proprietario, Flint, che notò l'errore commesso quella mattina.
Quelli non erano proiettili narcotizzanti.
Ma lo ignorò, nella foga del momento e nell'avidità, mentre il collega avvertiva gli altri.

I due kittens scesero giù dalle case qualche metro più in là, affidandosi alle strade piene di gente ed ai vicoli bui. L'adrenalina che li percorreva aumentò quando sentirono dietro di sé moto rombanti e spari diretti verso di loro, mentre voci di cacciatori dicevano: <Scansatevi!> <Caccia in corso!> <Fermi, voi due!>
L'unica possibilità di salvezza per i due kittens era di nuovo arrampicarsi su un casolare e ci stavano riuscendo, sfruttando sia gli artigli di lei che l'agilità e leggerezza di lui.

Ma poi ci fu un errore fatale.
Una disgrazia di cui, come qualcuno potrebbe dire, il Fato ne aveva riso di gusto, complimentandosi per la sua stessa cattiveria.
Flint, dietro una moto guidata da Anderson (più basso di lui) stava puntando e sparando ai kittens, mirando agli arti, fregandosene che non aveva dei proiettili narcotizzanti ma veri e propri proiettili di piombo.
Pericolosi.
Mortali quasi subito se colpivano in determinati punti.

E Flint sparò, mirando alla spalla di Thomas, ormai in cima al tetto, mentre aiutava nell'ultimo momento della salita della compare.

Ariana sentì un brutto presagio prenderle la nuca. Un presagio orribile che le chiuse lo stomaco. E vide chiaramente il proiettile sparato come una freccia verso di loro, impossibile per Thomas da schivare, ancora così chinato.

Sarebbero morti entrambi o, nel caso peggiore, lei sarebbe stata recuperata ancora in vita e resa schiava.
Non poteva vivere in prigionia sapendo il compare morto.
Non ce l'avrebbe mai fatta.
E perciò fece ciò che le venne più spontaneo.

Si può definire quel giorno il secondo peggior giorno della vita di Thomas, in quanto perse per la seconda volta la sua famiglia.






N/A: sono cattiva.
I know.
Ma vi avverto... preparatevi gente.
PREPARATEVI.

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