Capitolo 42

[N/A: ed ecco il ritorno di un capitolo con più di 4000 parole, yeee

E, una sera, stavo controllando le mie storie e ho notato questo:

O. Mio. Dio. Primi sul tag #gay che ha giusto qualche migliaio di storie! -non so per quanto sarà durato ma anche solo esserci stati per 5 minuti scarsi è tanto per me-

"Ah ah fanfiction sui BTS, vi ho battuto, anche solo per poco! Tié"

Scusate, ma era d'obbligo nella mia testa dirlo. E vi ringrazio. Cioè... Anche adesso, che lo riguardo nello screenshot per la 10° volta non ci credo.
E anche perché, adesso, ho notato che abbiamo superato le 20K. Voi siete matti.

Va beh, ora vi lascio al capitolo]

La giornata successiva era già arrivata ma il sole non aveva ancora fatto capolino quando Thomas si era ridestato dal suo sonno leggero. Il moro era come se avesse una sorta di orologio interno che funzionava pure da sveglia: se voleva svegliarsi alle 4:00 del mattino, doveva addormentarsi pensando intensamente all'orario pensato e poi lasciarsi scivolare nel mondo dei sogni.
Quando si svegliò, si scoprì essere con le lenzuola leggere cacciate in fondo al letto e con la faccia spiaccicata contro il cuscino e il corpo a pancia in giù.

Stava osservando la schiena di Jonathan, e il castano era il più possibile scostato verso la sua parte di letto. Almeno non avrebbe avuto di mezzo il corpo di Jonathan per dover scendere. Si mise a pancia in su, ad osservare l'orario attraverso la proiezione della sveglia sul soffitto. In scarlatto erano segnate le 04:03.

Scese dal letto, evitando di svegliare Jonathan, e si ritrovò nel corridoio prima ancora di potersene rendere conto.
La vista al buio e i passi felpati tipici dei gatti lo stavano aiutando nella sua impresa; mentre l'ansia che cresceva ad ogni respiro fatto e il cuore che, palpitante, voleva fargli un foro nel petto erano tratti degli umani.
La mente, paurosa, lo supplicava di tornarsene a letto, di abbandonare quella idea che altro non era che una cretinata suicida e far finta di nulla. Ma il cuore, pieno dei ricordi e dell'affetto per gli altri kittens come lui, non gli avrebbe mai permesso di fare un singolo passo indietro e gli avrebbe fatto pesare per sempre la colpa se non fosse intervenuto.

Ripetendosi nella testa "Lo faccio per Ariana, i ragazzi e i bambini" scese fino in soggiorno.
Sentiva dentro di sè un dolore sordo nel fare quello alle spalle di Jonathan, infrangendo la promessa di non mettersi mai in pericolo. Ma, dicendosi che il fidanzato l'aveva infranta per primo e per scopi egoistici, si era riuscito a mettere il cuore in pace; più o meno.

Per prima cosa andò verso la ribaltina in soggiorno e, trafficando alla cieca, estrasse una chiave delle dimensioni delle tre nel porta oggetti sull'ingresso, che subito raggiunse. Grazie alla vista sovrumana e il tatto fine, riconobbe quella tutta seghettata e con un rinforzo di gomma con su in rilievo la "M" di "moto".

La prese e mise quella di rimpiazzo nel porta oggetti. A passo ancora più felpato di quello usato all'andata, risalì i gradini, ringraziando tutti gli dei che gli fossero venuti in mente perché non aveva fatto il minimo rumore udibile dalle orecchie umane di Jonathan.
Rientrò in camera, che aveva la porta aperta a metà dalla sera prima perché dormire con la porta chiusa era "un metodo di suicidio doloroso e da sadici" a detta del cacciatore.

Appoggiò le chiavi vicino la sveglia, sotto un pacchetto di fazzoletti che stava lì sul comodino da un mesetto. Poi, inspirando ed espirando lievemente, si poggiò prima con un gomito e con un ginocchio.
Jonathan si mosse e Thomas si pietrificò dalla paura. Per fortuna Jonathan si era solamente messo a pancia in su nel sonno.
Tirò un sospiro di sollievo interno e si appoggiò totalmente sul letto.

Solo quando vide scattare le luci vermiglie della sveglia sulle 04:50 finalmente i suoi si chiusero totalmente dal sonno e scivolò nell'inconscio.

•~-~•

<Fra poco esco. Devo fare una semplice capatina in bagno e poi vado. A dopo amore!> salutò Jonathan, dando un fugace bacio sulla guancia al moro e uscendo dalla loro camera da letto. Thomas avrebbe potuto giurare di sentire le labbra di Jonathan rigide mentre gli dava quel bacio.
"E se fosse così, ben gli sta!" si disse, perché pensava che fosse più che giusto che il fidanzato avesse almeno dei sensi di colpa.  Oltre ad una futura brutta sorpresa, dati i piani in fumo, ovviamente.

Appena avvertì i passi del cacciatore affievolirsi leggermente nel corridoio e la porta del bagno chiudersi ("Chissà perché andato in quello?" si chiese un attimo il moro), balzò giù dal letto (abbandonando incurante il libro di astronomia sul materasso) e andò verso la finestra spalancata per il caldo, con le chiavi della moto in mano. Appoggiò un attimo le chiavi sul piccolo ripiano di granito sotto la finestra e con le dita sottili riuscì a trovare e sbloccare il meccanismo della zanzariera.
Prese le chiavi tra i denti e si sedette un attimo sulla finestra, coi piedi pendenti nel vuoto. Per fortuna vide accanto a sé la grondaia e, aggrappandosi ad essa, scese veloce fino a terra, dove l'erba rigogliosa lo attendeva ad ammortizzare il terreno sotto i piedi.

Fece il giro della casa dal retro, coi piedi ricoperti da solo dei fantasmini bianchi, e ringraziò il cielo che Jonathan non fosse ancora uscito.
Invece, la moto era lì fuori, scintillante. Vide un casco appoggiato su uno dei manubri e se lo mise addosso: sapeva che era per sicurezza, e almeno con quello avrebbe coperto le orecchie da gatto. La coda era già avvolta al suo bacino solo grazie a sua imposizione, dato che aveva addosso solo una maglietta a maniche corte azzurrina e dei pantaloncini lunghi fino al ginocchio.

Impacciato, si mise a cavallo della moto.
Se stava in punta di piedi riusciva a toccare il terreno anche sopra a quella. Girò la chiave nella fessura e la moto rombò sommessa, come se anch'essa si sforzasse a restare muta. Vide un piccolo schermo in mezzo al manubrio e una domanda scritta: "Vuole impostare una destinazione?".
Cliccò il "" e impostò l'indirizzo salvato nella sua memoria.

<Bene. Metta in moto, vada in strada, verso sinistra e vada dritto fino a nuove direttive.> fece una dolce voce di donna. Thomas pregò che Jonathan fosse ancora in casa in quel momento.
Ora capitava la cosa più difficile: riuscire a partire senza fare stragi.

"Ok Thomas, è sempre questione di equilibrio. È come con quelle biciclette che tu ed Ariana avete “preso in prestito” quella giornata a quei bambini, a 12 anni, per imparare ad andarci. Solo che qui c'è un motore in aggiunta." si disse il moro.
E fece come il suo istinto (o come un insight* balzato nella sua mente in quel momento grazie alla provvidenza divina) gli aveva ordinato: alzò il cavalletto, piegò leggermente le gambe all'indietro, ingranò le marce e puntò verso la sua sinistra dove, una ventina di metri più in là, c'era una stradina che poi si ricollegava alla strada principale.

Thomas era tutto chino sul sellino, ma con gli occhi fissi davanti a sé e il polso tenuto leggermente piegato in avanti, per tenere quella marcia. Non sapeva con quale fortuna, ma stava riuscendo ad andare sulla moto e senza fare disastri. Pregò tra sé e sé che il viaggio e il piano andassero per il verso giusto e, girando leggermente verso destra col manubrio (senza mettere la freccia di cui non sapeva l'esistenza), andò sulla strada principale, dirigendosi verso la propria meta.

Sperava di arrivare in tempo, di salvare i suoi amici.
Non poteva permettersi di perdere loro, di fare in modo che anche loro, come tanti altri kittens, perdessero la libertà. E specialmente a causa della persona che amava e che aveva infranto la loro promessa.

A casa Right, appena Jonathan era uscito dalla stanza del kitten tutto solare, si era chiuso cinque minuti in bagno, a sciacquarsi più e più volte la faccia, provando a calmarsi; senza risultati. Era teso come una corda di violino e, quando era nervoso e/o ansioso, era molto più incline ad arrabbiarsi.

"Perché non ci siamo tirati indietro? Perché non l'abbiamo detto a Thomas? Saremmo potuti andare insieme prima, arrivando a casa sua partendo da dove l'avevamo preso quella mattina e avremo fatto disperdere i kittens et voilà! Piano mandato in fumo e Thomas ci sarebbe stato grato!" fece la sua coscienza, che con quelle possibilità lo stava ferendo ancor di più perché la realtà era diversa da tutto quello.
La vocina continuò mentre Jonathan stringeva spasmodicamente il lavandino: "Adesso invece abbiamo rotto la nostra promessa alle sue spalle e avremo per sempre il peso di aver fatto catturare gli amici di Thomas! Se un giorno chiedesse di andarli a vedere senza farsi scoprire e noi fossimo costretti a dirgli la verità perché le bugie non reggono più? O se la notizia del grande colpo di oggi giungesse alle orecchie di Thomas? Come immagini che sarebbe il suo viso? Segnato dal dolore? Piangente? Furioso? Non lo vedremo direttamente perché scappato via prima ancora che noi...?"

<Adesso basta.> disse a voce bassa il cacciatore, come a zittire quella sua stessa vocina.
Stava per impazzire, ne era sicuro. E tutto perché non aveva avuto abbastanza forza di dire un "Basta" al momento giusto. E adesso ne doveva pagare le conseguenze. Sospirò, e sentiva anche con solo quel semplice esalare che la voce gli stava tremando.

"Noi siamo Jonathan Right, noi non perdiamo il controllo." si disse e ad occhi chiusi, prima di alzare il volto e spalancare le iridi nere davanti lo specchio, che rifletteva la sua figura leggermente più pallida in volto del solito.
Però l'espressione era quella voluta: impassibile.

"Ormai il dado è tratto e non possiamo tirarci indietro. Che inizino le danze!" si disse nella testa, prima di uscire dal bagno. Scese i gradini con passo pesante e imprecò tra i denti quando vide Cassandra in salotto a pulire il lampadario sopra una scala.
Non voleva vederla perché sapeva che lei sospettava di qualcosa e se c'era una cosa che avesse capito della bionda era che era testarda. E in quel momento non aveva briciole di pazienza da dispensare a destra e a manca.

<Quindi ora vai in concessionaria con il furgone?> chiese la cameriera, continuando a pulire senza guardarlo in faccia. Jonathan sentì una leggera ansia risalirgli la schiena ma la ricacciò lontano.
<Sì.> rispose freddo.

<Mh, okay. Posso chiedere quale concessionaria vai a vedere vestito così?> chiese la ragazza, ancora non guardandolo direttamente negli occhi. In effetti non era vestito in modo molto professionale: ma d'altronde per cacciare i kittens non poteva mettersi un completo a tre pezzi nero e le scarpe belle. O comunque qualcosa di elegante e sofisticato come era solito fare quando usciva.
<Non mi ricordo il nome, ma ce l'ho scritto da qualche parte sul telefono. Me l'ha consigliata Jack e ha detto di andarci vestito "non come un pinguino" perché il proprietario non è un tipo molto sobrio o sofisticato... Però fa dei buoni prezzi.> si inventò il cacciatore, complimentandosi con sé stesso. Una perfetta scusa plausibile.
La bionda, d'altro canto, non poteva chiedere conferma a Mondpint!

Prese le chiavi dal portaoggetti sul tavolino accanto l'ingresso e fece, ironico: <Qualche altra domanda, Detective Cassandra?>
La bionda lo fissò con le sue iridi azzurro cielo e Jonathan si disse che non bisognava avere gli occhi neri come i suoi o azzurro ghiaccio per inchiodare qualcuno al suolo. Anche un azzurro così pieno e "caldo" come quello delle iridi della cameriera, che aveva gli occhi leggermente allungati di natura, erano capace di immobilizzare. E si disse che tutto quello era possibile solo per l'ansia che lo stava consumando e perché Thomas lo aveva fatto uscire fin troppo dal suo antro di ghiaccio.

Riusciva a farsi scombussolare internamente anche dall'occhiataccia femminile di Cassandra, ormai?
E si disse che, dannazione, ormai era dentro fino al collo nei sentimenti e che un'occhiata così indagatrice di lei (al pari di quella di una madre che vede il figlio uscire per andare in discoteca fino alle due di notte) bastava ed avanzava.
Incredibilmente, la ragazza sorrise e ridacchiò: <Finito l'interrogatorio, è libero di andare signor Right> e riprese a fare il proprio lavoro, canticchiando un motivetto a lui sconosciuto.

Jonathan uscì dalla propria casa e, salito sul furgone, strinse in modo esagerato il volante per mezzo minuto buono prima di fare qualsiasi altra cosa.
Doveva fare fluire via quella fottuta ansia.

Guardò fuori dal finestrino ed osservò i campi di grano mossi al vento, pronti ad essere mietuti. Chiuse gli occhi e potè rievocare nella sua mente le proprie risate e quelle della sorella Emma, mentre correvano, frusciando, nel campetto di spighe che crescevano spontanee nel terreno della loro proprietà in Italia. Ricordava i finti rimproveri, divertiti, del padre (che ancora teneva alla famiglia) che diceva loro di andare a farsi una doccia e il profumo della madre, uguale identico a quello che si diffondeva nella cucina, e cioè quello di torte e caramello.

Riaprì gli occhi e fu riportato alla realtà. Gli mancavano quei tempi, era vero, ma più che altro gli mancava quella serenità che da tempo era stata estirpata e che con Thomas era, dopo anni e anni di gelo, ricomparsa sempre più imponente sul resto. E che con le sue stesse mani stava distruggendo ciò, creandosi problemi e sensi di colpa.

Con il cuore pieno di quei ricordi dell'infanzia, anche se velati dalla malinconia, erano sereni e si rilassò.
Mente e corpo.

Inserì la chiave e mise in moto il furgone, impostando l'indirizzo che Anderson gli aveva mandato il giorno prima via SMS.
Non si era accorto che la moto non era fuori dal garage come avrebbe dovuto essere e non sapeva che quella ritrovata ma incredibilmente fragile calma sarebbe stata di nuovo spezzata. E, praticamente, dalla stessa persona che spesso lo rilassava con un suo semplice sorriso.

•~-~•

Thomas viaggiò almeno venti minuti in pace, con sporadiche case di campagna ogni tanto e viuzze sterrate o asfaltate che si diramavano dalla strada principale, diramandosi verso semplici casupole oppure frazioni talmente piccole che c'erano più abitanti in uno stesso condominio in città che in quei paeselli.

Ad un certo punto iniziarono i semafori e da lì, beh, ci furono diverse complicazioni. Sapeva che al rosso si doveva frenare, al verde si passava e che il giallo, a seconda della distanza da cui si era dal semaforo, o ci si fermava o passava.
Il primo semaforo rosso che beccò non si fermò... o almeno non in tempo. Si era agitato ed era riuscito ad inchiodare proprio al centro dell'incrocio, bloccando il traffico e beccandosi clacson di persone incazzate, fermatesi un attimo prima di investirlo.

Urlò uno: <Scusate!> in risposta prima di proseguire. E anche con il girare e le frecce.
Che disastro.

Proprio non capiva. Ok, vedeva che gli altri usavano delle lucine lampeggianti se volevano girare a destra o a sinistra, ma lui non sapeva come farle andare. La prima volta che tentò di usare le "manopole" (come le aveva rinominate nella mente), accese gli abbaglianti.
La seconda volta accese ambedue le frecce e, per fortuna, alla terza volta, azzeccò. Peccato che, per azzeccare, per poco non sbandava e cadeva dalla moto in corsa.

Quindi rinunciò ad usare le frecce, utilizzando le braccia come frecce, vedendo che i ciclisti facevano a quel modo. Anche se la gente lo osservava confuso, almeno capiva dove volesse svoltare e riuscì ad evitare altri incidenti.
Piano piano che si addentrava nella città, più gli pareva familiare, fino ad arrivare nella zona sua e della sua casa.
Affidandosi ancora un altro po' al navigatore (anche perché le vie da gatto in moto erano impossibili da fare) riuscì ad avvistare la casa mezza cadente, accerchiata da altre vuote o con gente che non ci veniva mai, che era casa sua.
La sua vecchia casa.

Si disse che era meglio non arrivare fino davanti all'ingresso con la moto, per paura che si disperdessero nella direzione sbagliata, andando dritti fra le braccia dei cacciatori.
E poi... voleva risentire la voce di tutti loro.

Specialmente di Ariana.
Diamine, se le mancava da morire la compare. Amava Jonathan, anche nonostante la promessa infranta, ma non poteva solo vivere di quell'amore. Anche gli amici e la famiglia erano amori necessari e quei kittens in quella casa costituivano entrambi quegli amori impossibile da ritrovare altrove.

Riuscì a fermare la moto e metterlo in un vicoletto cieco fra due casupole senza residenti. Si tolse il casco e, con le chiavi estratte, mise tutto nello spazio vuoto sotto il sedile della moto che aveva scoperto esistesse.
Aveva notato durante il viaggio che, quando saltellava leggermente per via delle buche sulla strada, gli pareva di rimbalzare su qualcosa di cavo.

Poi, grazie alla grondaia e alle finestre con una sporgenza, si inerpicò fino in cima alla casa, dal tetto spiovente. Un salto, era su quella vicina, da cui fece cadere una tegola che cadde e si infranse al suolo. Era la casa dietro, in diagonale, a quella dove abitavano.

"Diamine!" esclamò mentalmente "L'avranno sentito di sicuro!" aggiunse, mentre, a gattoni, camminava sul tetto della casa ristrutturata da pochi anni ma vuota. L'adrenalina gli scorreva nelle vene, mentre gli pareva di respirare dopo una lunga apnea.
"«Come metà umani camminiamo; ma come metà gatti ci arrampichiamo. Siamo entrambi e nulla. Non fare mai uno dei due perché si odia quella metà è da stupidi: noi abbiamo queste caratteristiche e così noi siamo. Noi siamo kittens: il miscuglio perfetto tra gatti e umani. E nessuna delle due specie può permettersi di decidere cosa noi possiamo fare o non fare.»" gli vennero in mente quelle parole pronunciate da James ad un bambino kittens che aveva trovato a scappare con una focaccia in mano e portato lì.
Quel bambino si rifiutava di camminare, andando sempre su tutti i quattro arti. E James, a forza di gentilezza e quelle parole, era riuscito a convincere il bambino a camminare sulle due gambe.

Dovette farsi il giro delle case ed arrivare da davanti: se voleva entrare, non poteva farlo a sorpresa.
Un altro salto e vide da davanti casa sua.
Represse per un attimo i ricordi della prima volta che vi era arrivato, timoroso, insieme ad Ariana, con un sorridente Nick (evento non proprio comune) che li incoraggiava a seguirlo.

Scese dalla grondaia della casa sulla quale era e camminò, praticamente in punta di piedi, fino all'ingresso della casa.
Nessun rumore dall'interno.
"Perciò hanno sentito la tegola." si disse il moro, varcando la soglia.

<C'è nessuno?> chiese a voce alta. Nulla. Qualche dubbio iniziò a fare capolino nella sua mente. Avanzò di qualche passo, attraversando l'ingresso ed affacciandosi in salotto. Niente di niente.

<C'è nessuno?> chiese di nuovo, mentre non sentiva ancora alcun rumore.
Per un attimo si lasciò sopraffare dalla disperazione e dalle idee che iniziarono a risuonargli con forza in mente.

Che fossero scappati, disperdendosi, senza neppure rifugiarsi in cucina come facevano sempre quando c'erano rumori estranei?
Che avessero già abbandonato la casa perché sapevano dei cacciatori?
Che in qualche modo i cacciatori fossero arrivati ben prima di lui, senza Jon?

Poi udì un rumore di passi vellutati, delicati, farsi sempre più vicini.
Il suo cuore pompò con più forza il sangue.
La tristezza e i timori vennero dissipati in fretta. Al suo posto si piazzò la gioia.

Quelli erano i loro passi. Ne era certo. Anche se da mesi che non li sentiva non li aveva dimenticati. Di persone come quelle non poteva dimenticare per semplice distanza di mesi.

<Ragazzi? Ehi, sono io... Thomas!> fece a voce alta e chiara per essere ben udito. Non voleva lasciare nel dubbio i suoi amici, pensando di aver udito male. No. Voleva far sentire che era lì, in casa loro, arrivato con qualche miracolo per avvisarli.
<Non è possibile!> esclamò una voce maschile, quasi sopraffatta da felicità.

Anche se stupito dalla risposta dell'amico (si sarebbe aspettato che prima lo vedessero e poi gli parlassero), si sentì riempire di speranza e felicità.
Erano ancora lì.
Lui era lì.
I cacciatori erano lontani.
Avrebbe potuto rivederli un'ultima volta prima di farli disperdere e non vederli mai più.
Accantonò un attimo quel pensiero.
Doveva concentrarsi.

<James! Sono io, Thomas! Sono qui! Sono riuscito a ritornare fino a qua!> il ragazzo fece un altro passo, cercando di non passare per un disperato.
Anche se, in fondo alla sua anima, lo era.

Disperato perché non credeva che fosse riuscito ad arrivare fin lì e trovarli ancora in quella casa.
Disperato perché non c'era tempo per passare altri bei momenti insieme.
Disperato perché quella sarebbe stata l'ultima volta che li avrebbe rivisti tutti insieme.

Dalla porta della cucina spuntarono Ariana, James, Luke e Nick con gli artigli tirati fuori e messi bene in mostra. E Luke, tanto per essere armato, aveva pure una trave di legno spessa in mano, lunga una cinquantina di centimetri.

<Come possiamo fidarci di te? Thomas è stato catturato da Jonathan Right ed è tenuto contro sua volontà lì.> la voce di Ariana era incrinata e Thomas si sentì male.
Non poteva assolutamente dire loro che si era innamorato del cacciatore, che ora stavano insieme amandosi; ma che adesso era saltato su questo problema, questa promessa infranta, e lui era scappato via per avvisarli. Ad una scusa costruita meglio avrebbe pensato più tardi.
Adesso doveva convincerli di essere davvero lui, dirgli del problema e farli scappare via, lontano dai pericoli.

<Sono riuscito a scappare. Non posso stare qui a spiegarvi i dettagli. Sono ritornato qui per avvertirvi! Jonathan Right, insieme ad altri cacciatori della zona, tra cui i Cat's Layer con ogni probabilità, hanno scoperto la vostra specifica posizione e che oggi, fra poco, verranno qua per catturarvi!>

<Non crediamo al primo che si spacci per Thomas! Quegli umani sono capaci anche di più di mandare qualcuno travestito con coda e orecchie, con pure il suo odore per poi portarci nella tana del leone.> rispose sospettoso oltre ogni previsione Nick.
<Mio Sole, Nick, sei davvero così paranoico? Mettetemi alla prova per vedere se sono davvero io.> dichiarò Thomas, risoluto.
"Non c'è tempo da perdere!" si disse.

<Zio Thomas!> una vocina proruppe e una chioma rossa con la coda e orecchie del medesimo colore si fiondò in cucina, per andare ad abbracciare il moro.
<No! Stai indietro! Non sappiamo se è lui per davvero!> la fermò James.
<Ma è il suo odore!> si lamentò la rossa.

<Lily! Sei cresciuta negli ultimi tempi! Tutto ok, stellina? Ah, e la macchiolina bianca che hai dietro l'orecchio destro com'è adesso? Si è allargata o cos'altro?> fece con la gioia nel cuore il moro.

Lily era la sua bambina preferita e quella con cui era più legato. Lei era stata abbandonata a 5 anni dai genitori perché questi erano stati scovati dai cacciatori, allora l'avevano nascosta in un angolo durante la loro fuga e la salvarono; anche se loro furono catturati poco più in là. Lily aveva sentito tutto.
Luke l'aveva trovata che piangeva, poche ore più in là dall'accaduto, era arrivata al rifugio solo l'anno precedente. La prima persona con cui si era aperta era Thomas, come sentendo che poteva ben capirla.
Ed era stato così.

<Sa della macchia! È lui!> esclamò contenta Lily superando la guardia di kittens e andando nelle braccia di Thomas che si sedette a terra, accarezzandola.
<Lily, cosa hai fatto?!> si agitò Ariana.
<Ary, come ti devo dimostrare che sono io?> fece tranquillo il moro.

<Descrivimi come passiamo i nostri momenti speciali.> dichiarò Ariana dopo una pausa di riflessione. Gli unici che lo sapevano erano loro due e James, che li aveva scovati poco dopo il loro arrivo e da lì era nato il finto fatto che loro due stessero insieme.

<Di solito andiamo su un tetto, in alto, come a toccare le nuvole. Tu ti siedi e io, coricato su un fianco, appoggio la testa sulle tue gambe, te mi fai i grattini nel mio punto sensibile sull'orecchio sinistro, facendomi fare le fusa, mentre io ti accarezzo con la coda. E in quei momenti o stiamo zitti o ci raccontiamo tutte le nostre ansie. Sono i nostri momenti speciali perché ci stacchiamo dal resto del mondo, entrando in un luogo a cui solo noi due abbiamo l'accesso.> spiegò fissandola negli occhi castano scuro che divennero lucidi.

Thomas si alzò, solo dopo aver sussurrato nell'orecchio a Lily di andare con gli altri.
<Thomas...> fu un sussurro da parte della compare, ma fu ben udito nel silenzio della stanza.
Il moro sorrise.
Sapeva che Ariana ora gli credeva.

<Deve essere un sogno... non è possibile...> continuò, singhiozzando, mentre ritirava gli artigli.

Poi si fiondò addosso al moro, stringendolo a sè.
Il kitten si ritrovò nella stretta della ragazza, a vedere a malapena da sopra la sua spalla. Lily e gli altri bambini (sull'ingresso, prima nascosti) si facevano avanti dicendo a gran voce: <Zio Thomas è tornato! Zio Thomas è tornato! Zio Thomas è tornato!>

Luke aveva lasciato cadere la trave a terra e si sosteneva a Nick, sconvolto e felice allo stesso tempo; mentre James (il più grande di tutti) sorrideva apertamente e mimava con le labbra: <Ben tornato.>

<Mi sei mancato così tanto Thomas, non ne hai neppure una pallida idea...> fece Ariana in un sussurro udito solo dal moro.
E Thomas sentì tutti i pensieri confluire via dal suo cervello con una scarica. L'ansia, la paura, il tempo che sgocciolava... tutto via in quell'abbraccio, momentaneamente.

La castana lo strinse ancor più forte a sè, come se avesse paura che sarebbe scomparso appena l'avesse lasciato. Thomas pensò che di lì a poco avrebbe avuto una mancanza di ossigeno e le ossa del petto avrebbero fatto reclamo per dolore a causa di quella morsa così chiusa di lei.

Ma Thomas si strinse di più a lei, cercando di emularla in quella morsa e qualche lacrima di gioia scivolò giù dal suo volto, con la stretta sulla sua vita che andava sempre più ferrea.
Ma lui era felice.

Dio, se gli erano mancati i bambini.
Se gli erano mancati James, Luke e Nick.
Se gli era mancato Ariana.
Ariana, la sua compare, che stava abbracciando come se fosse indispensabile come l'ossigeno per respirare. E mai si sarebbe voluto separare da quell'abbraccio, perché significava che quel momento di giubilo dell'essere ritornato sarebbe tramutato subito in un momento di ansia e di addio.

Ma represse quei pensieri, per qualche secondo, lontano dalla mente. Voleva godersi quel momento. Quell'abbraccio. Quella vicinanza con la compare, che era come una sorella.
Voleva imprimersi nella mente quell'attimo con Ariana.
L'ultimo davvero bello.

D'altronde, cosa gli importava se un abbraccio gli incrinava le costole ma gli aggiustava il cuore?


N/A: per chi non lo sapesse...
*Insight: improvviso atto intelligente che sblocca una situazione problematica.
[-grazie mille psicologia che mi fai usare parole phelle-]

E, ritornando alla storia, ci sono giusto un po' di guai, eh? Come sempre, per sapere come andrà in seguito, bisognerà attendere la prossima settimana. Ma, vi chiedo, secondo voi che cosa potrebbe accadere? Come potrebbe andare a finire?

E, dopo avervi rotto abbastanza le scatole, vi saluto e vi auguro una buona giornata! Alla prossima settimana!

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