Capitolo 37

La mattina dopo, le due cameriere quando entrarono nella camera del cacciatore con la colazione per entrambi... trovarono una sorpresa.
Lo stato della camera faceva intuire solo una cosa, dato che tutti i vestiti dei due ragazzi erano sparsi per la stanza e la coperta, non totalmente tirata su, lasciava libero il petto di Jonathan, usato come cuscino da Thomas, che aveva le spalle libere da ogni indumento.

Cassandra ed Elizabeth appoggiarono delicatamente i vassoi col cibo sulla scrivania e si guardarono con un sorriso che solo delle fujoshi potevano intuire e replicare. La bionda iniziò a frugare nelle tasche alla ricerca del cellulare per una foto, visto che ovviamente non aveva potuto mettere cimici sotto costrizione della rossa; che aveva ancora un senso della privacy altrui.
Cassandra però, nell'estrarre il cellulare, lo fece cadere a terra con un bel tonfo e non si trattenne dall'imprecare un: <Porca puttana!>, seguito da un facepalm di Elizabeth per la sua impacciataggine.

Peccato che quei pochi rumori furono captati alla perfezione dal kitten che, dal sonno molto leggero, si svegliò seduta stante, sbattendo le palpebre più volte. Era stato un brusco risveglio, per così dire.

<Cassy... Eli...> borbottò sfregandosi il pugno su uno degli occhi, mentre ancora non si rendeva totalmente conto di essere sopra al petto di Jonathan, nudo. Le cameriere però non tardarono a prenderlo per frecciatine e, fintamente innocente, la bionda chiese: <Serata movimentata ieri, mh?> subito però in contrasto con un sorrisetto pervertito.
Thomas connetté i neuroni e, notando di essere nudo come mamma lo aveva fatto (con, tra l'altro, succhiotti sul collo e sulle clavicole) su un Jonathan nel suo stesso stato... scattò. Emise un miagolio spaventato e si tirò la coperta fin sopra le orecchie.

Il cacciatore, a quel rapido movimento delle lenzuola (e al sentire il leggero sul petto svanire) aprì le palpebre, mettendo piano piano a fuoco. Notò le due cameriere vicino alla porta con dei volti poco rassicuranti, si girò verso sinistra e notò un fagotto di coperte sotto il quale il fidanzato si nascondeva e infine notò a terra i vestiti suoi e del fidanzato.

Ricordando, ordinò senza vera stizza: <Uscite subito. Bah, potevate pure andarvene senza far rumore...>
<Scusi Jonathan, ma il nostro lato fangirl ha avuto la meglio!> si "scusò" Cassandra con un sorrisetto dipinto in volto.
Intanto Elizabeth prese uno dei due vassoi e puntualizzò: <Se vi possiamo dare la colazione, poi leviamo le tende e potete fare tutto quello che volete, anche se ti ricordo, Jonathan, che dovresti andare a lavoro oggi.>
<Lo so, lo so. Se mi fate mangiare e sloggiate, poi posso vestirmi e andarci, a lavoro.> ribatté il castano mentre le due cameriere si avvicinavano con la colazione. Thomas era ancora sotto le coperte, anche se aveva udito tutta la discussione.

Elizabeth gentilmente lo scosse per dove, sotto le coperte, ei doveva essere la spalla.
<Tommy... suvvia esci. Tanto mica siamo interessate a vederti nudo e poi se lasci il petto scoperto mica è una tragedia. È quasi normale che voi ragazzi lo facciate, sai? Su, esci da lì sotto Tommy prima di rischiare l'asfissia.> tentò la rossa con tono rincuorante.
La testa mora del kitten sbucò da sotto le coperte e, scoperte le labbra, rispose: <Ok...> tentando di sedersi.

Fece uno scatto veloce e, appena era in una posizione simile al seduto, sentì un dolore acuto scuoterlo.
Quella fitta, veloce ma dolente, era partita da appena sotto la zona lombare, era risalita per la spina dorsale e si era propagata per ogni fibra del suo corpo. Con un gemito di dolore, il moro si lasciò andare a peso morto sul letto, provocando un bel tonfo.
<Ahi, che male!> mugugnò il kitten, sofferente in volto, mentre il dolore leggermente scemava.
<Jonathan... ci sei andato così tanto pesante con Tommy ieri? Sembra stare provando le pene dell'Inferno.> chiese Cassandra, sopracciglia alzate dalla curiosità e stupore.
<Ehm... no? Ohi, mi sono trattenuto fino a che non fosse pronto! Poi mica è colpa mia se è largo quanto un tubetto di colla!> si discolpò il cacciatore.

<Strano paragone. C'é qualcosa in casa per aiutarlo?> chiese Elizabeth.
<Non saprei, forse sì, ma ci controllo io dopo. Tommy... riesci a metterti col busto leggermente piegato?> domandò il cacciatore.
<Come?> non capì il moro. Aveva ancora la mente intontita dalla botta di dolore precedente.
Il cacciatore prese il proprio cuscino e lo mise sopra a quello del moro, per poi farlo adagiare con la schiena contro quella soffice barriera. Thomas si rilassò in quella comodità, chiudendo gli occhi beato. Quello non faceva male.
<A quanto pare non senti dolore, meglio così. In questa posizione ovresti riuscire a mangiare, no?> fece Jonathan ed Elizabeth gli poggiò davanti il vassoio con la colazione, stranamente non in precario equilibrio. Thomas mordicchiò un croissant vuoto e annuì, non avendo difficoltà.

<Fiu, meno male. Comunque signor Right...> fece fintamente severa Cassandra posando il vassoio davanti al cacciatore <... la prossima volta stia più attento! Anche perché così per una settimana circa Thomas sarà troppo dolorante per rifare un giro sulla sua giostra...>
<CASSY!> la sgridò Elizabeth con un coppino sulla nuca. La bionda ridacchiò e, alzando gli occhi al soffitto sorridente, domandò fintamente innocente: <Parlato troppo? Ops...> ed uscì dalla stanza, seguita dall'amica sconsolata.

Thomas, rosso alle parole della bionda, fissava la colazione come se fosse la cosa più interessante di quel mondo e impedì categoricamente al suo cervello di provarsi a girare appena Jonathan uscì nudo dalle coperte.
<Thomas... non vuoi vedere la mia mercanzia, adesso?> chiese retorico il cacciatore, facendo il giro del letto e mettendosi davanti al moro che si ostinava a non guardarlo.

<Quanto sei timido... sei sia adorabile che quasi fastidioso così, sai?> domandò retorico il cacciatore, alzando il volto di Thomas e baciandolo sulle labbra con voracità.
Thomas, mentre una mano teneva il vassoio in bilico sulle gambe, l'altra si poggiò sulla spalla di Jonathan, stringendo con leggera forza. Le mani di Jonathan, invece, si posizionarono una sulla spalla e una sul mento del kitten, in modo tale da tendere di più il collo del fidanzato. E ci si avventò quasi subito, ripercorrendo i segni fatti la sera prima e creandone altri. Thomas morse il proprio labbro inferiore per non gemere a voce alta, limitandosi ad un mugugno. Non voleva farsi sentire dalle cameriere mentre emetteva certi versi osceni, poco ma sicuro.

<Jon...> mugugnò il kitten, mentre il castano si staccava per un attimo dal suo collo e chiedeva: <Sì...?>.
Il kitten, in uno scatto di forza, riuscì a usare la mano che teneva sulla spalla del cacciatore per spingerlo leggermente via e dire: <Devi andare a lavoro. Quando ritornerai possiamo coccolarci un po'.>
Jonathan sbuffò stizzito, che gliene poteva fregare del lavoro quando voleva passare il tempo con lui?, ma riconobbe che aveva ragione e si staccò, andando a cercare i boxer sotto lo sguardo attento di Thomas che non era riuscito a resistere alla tentazione.

Quelle spalle, quella schiena, quel culo... tutto quello era una tentazione enorme per resistere una volta, due era proprio impossibile.
<Che gattino perverso mi ritrovo...> ghignò il cacciatore prima di chiudersi in bagno, senza lasciare tempo al fidanzato di replicare.

[...]

Era più o meno metà mattinata lavorativa, e cioè verso le 11:00, che qualcosa interruppe la pacifica giornata di lavoro di Right. Quella stessa mattina aveva avuto una riunione sull'andamento aziendale e delle loro azioni e, con grande gioia del cacciatore, tutto stava andando bene; anche se si pensava di tagliare dei dipendenti per poter trattenere subito più soldi da investire in macchinari avanzati che li avrebbero sostituiti. Jonathan era andato contro a ciò, dicendo che si poteva aspettare ancora del tempo prima di voler tagliare la manodopera in qualche filiale e che, sicuramente, si sarebbe dato a tutti quelli licenziati un liquidamento decente.
Quell'idea aveva fatto storcere il naso ai suoi consultatori aziendali, ma il più diplomatico di loro aveva evitato che la situazione prendesse una brutta piega ricordando a tutti che c'era ancora tempo e che tutto quello che si stava dicendo erano solo supposizioni. E con la ritrovata calma la riunione si era chiusa.

In quel momento Jonathan stava controllando i resoconti delle filiali attraverso i documenti mandati via mail dai direttori che aveva mandato lì sul luogo a presiedere, ma sempre sotto la sua influenza.
Un trillo di campanelle d'argento, rapido e alto, lo distolse dalla lettura e dall'analisi dei documenti sul computer. Riducendo la pagina del documento, vide una notifica nuova segnata nella sua casella di posta elettronica. L'aprì senza far granché caso all'emittente, quasi aspettandosi un semplice pop up di spam.

Ma, letto l'oggetto dell'email in cima al messaggio, sbiancò un poco: "Aggiornamenti sulla grande caccia" e la lettera raccontava di come tutti i loro sforzi avevano fatto in modo di racchiudere ancora il raggio di dove potrebbe essere situato il grande rifugio di kitten. E concludeva con la sentita speranza di essere vicini al scoprirlo.
Jonathan scrisse in automatico una breve mail in risposta, per far capire che aveva ricevuto tutto in modo forte e chiaro.

Forse fin troppo forte e chiaro. La verità gli si era arpionata alla schiena, facendogli risalire le proprie colpe da dentro di sé e che stavano per spillare fuori come sangue, in modo veloce e doloroso per lo stomaco che si stava contorcendo nella vergogna. E questa verità era fin troppo luminosa, fin troppo accecante ai suoi occhi che volevano solo chiudersi al mondo esterno, come per le orecchie ed urlare "La la la!" per evitare di sentire le vocine maligne nella sua testa.

Lui aveva rotto la promessa di Thomas ancora prima di farla, praticamente. Lui non aveva smesso di dare la caccia ai kitten e in quel momento non poteva smettere. Sentiva doloroso tradire al fidanzato, che gli aveva fatto quella richiesta dal cuore (e che aveva capito fosse molto importante).
Però, non poteva.
Troppo sospetto, troppo strano.
Dopo quella caccia, che sarebbe andata a buon fine (e quasi sperava nel contrario), avrebbe smesso e avrebbe pure avuto una scusa: dopo un buon bottino come quello, si poteva pure andare in pausa no?
E poi, era solo per quello.
Thomas non lo avrebbe mai saputo, avrebbe sviato e mentito (purtroppo) ancora, ma solo per il bene del fidanzato, perché non voleva che la sua fiducia si infrangesse davanti ai suoi occhi. Non avrebbe sopportato la vista di quegli occhi verdi che si rabbuiavano e quel viso che, tradito, gli voltava le spalle per non farsi direttamente vedere in faccia mentre piangeva.

No, non poteva vedere il kitten in quello stato, ma non poteva neppure abbandonare tutta quella caccia di punto in bianco, senza una motivazione plausibile che non coinvolgesse la promessa.

"Sono entrambe promesse che mi sono preso. Una materiale e una spirituale e, anche se per me vale di più quella che ho fatto con Thomas... l'altra tirerebbe su un polverone troppo grande. Non voglio un vortice di curiosità attorno a me, sarebbe troppo facile poi per quegli avvoltoi scoprire di Thomas e io NON posso accettare che venga messo in pericolo a causa mia." si disse il cacciatore, come a convincersi che non stava totalmente sbagliando.

"Ma Thomas, d'altro canto, non può sopportare che il suo fidanzato faccia del male ad altri come lui. Thomas è delicato ed emotivo e, tra l'altro, adesso sappiamo il suo passato: deve essere difficile fidarsi di qualcuno per lui, soprattutto della persona che l'ha strappato a tutto ciò che aveva più caro, anche se ti ama nonostante tutto (e questo è tanto quanto strano).
Secondo me é già triste di suo perché, per stare con te, sta buttando al vento anni e anni di amicizie ricostruite su macerie di dolore. Tra l'altro, per stare con te e confidarsi con te ha fatto grande sforzo; lo riconosci, no?
E lui ti chiede solamente in cambio di smettere con quel secondo lavoro e tu che fai? Continui!
E poi sai che ci sono alte probabilità che quel gruppo di kitten sia quello formato dagli amici di Thomas, no?
E lui quando lo saprà come pensi che reagirà?
Come starà appena avrà capito che chi ama non ha mantenuto una promessa e ha venduto i suoi amici, una parte della sua anima?" gli praticamente urlò alla fine quella voce nella testa, che aveva tanto il sapore di coscienza che, come al solito, tiene con sè tutto il dolore.

"Thomas non lo verrà mai a sapere." si disse Jonathan, e fu come se lo volesse dire pure alla coscienza, per farla ammutolire.
Ma questa andava alla carica, ed infatti incalzò: "Sai come dice il proverbio, no?
Le bugie hanno le gambe corte. Prima o poi lo verrà a sapere e se a dirglielo non sarai direttamente tu e se questo discorso si protrarrà nel tempo, più è probabile che lui ci rimarrà male al saperlo e più sarà difficile recuperare la fiducia.
La verità é costituita da una lama che sta precariamente su una tela, che sarebbe l'anima. Se la lama cade, non trattenuta, sulla tela, la squarcerà in qualche punto, è vero, ma sarà quasi sempre un danno contenuto. Se invece tu provi a trattenere la lama con altra stoffa e la fermi, la verità, la lama, si moltiplicherà nel tempo finché non spezzerà tutte le stoffe protettive (tutte le bugie) create. E quella pioggia di coltelli sulla tela sarà un danno ancora più ingente di quello iniziale del singolo coltello non trattenuto dalla stoffa.
La lama è già grande di suo, ma se glielo dici subito hai speranze di rimettere a posto la tela di Thomas. Ma se aspetti e glielo proverai a nascondere... sarà peggio."

"Thomas non verrà mai a saperlo.
Quante verità, quanti segreti, tutti noi uomini ci portiamo dentro fino alla tomba, dove scompariranno con noi? Tante verità, talmente tante che se si provasse a farne una lista per una sola persona, i fogli usati sarebbero pari a quelli di un manoscritto enorme. E io questo segreto me lo porterò nella tomba e poi ho deciso: dopo questo basta con la caccia. In questo riuscirò." ribatté il cacciatore.
Si disse che avrebbe fatto esattamente così.

Quasi gli parve di sentire la coscienza sospirare: "E così, sei deciso ad andare fino in fondo con questa tua scelta, eh?". Silenzio.
Non si sentiva in vena di rispondere, anzi, gli sembrava solamente una do quelle frasi che solo per sbaglio si dicono a voce alta.

Dopo qualche attimo di pausa, la coscienza riprese: "Io ci ho provato, la scelta finale sta a te. Ma ti faccio notare una cosa: tutto quello che ci si porta nella tomba, è vero, sono verità oscure che nessuna altro conosce (o al massimo un'altra persona, confidente o confidatore che sia); ma sono verità nascoste.
Non sono verità celate. È una differenza sottile nelle parole, ma grande nel significato e nella realtà." e la coscienza si zittì, mentre destabilizzava Right e lo lasciava con la confusione totale in testa e una grande scelta da fare e che entrambe portavano guai...

Ma quali guai potevano essere meglio celati, rimandati o annientati?

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