Capitolo 33

Due o tre giorni, chi li conta quando si è felici?, passarono da quando Jack scoprì la verità su Thomas e su come i due si erano incontrati ed innamorati. In quei giorni Jonathan continuò a lavorare, dovendo pure una volta, al pomeriggio, andare ad una ricognizione come cacciatore nella zona in cui pensavano il gruppo di kittens stesse. 

Aveva detto a Thomas che era dovuto di ri-andare in azienda quel pomeriggio per problemi; mascherando la verità.
Odiava mentire al fidanzato ma altrettanto odiava dirgli "Vado a stanare un gruppo di kittens come te solo per farci più soldi; che, a pensarci, potrebbe essere il tuo gruppo visto che sappiamo che sono sia adulti che bambini, sai?" anche se l'ultima parte della frase gli pareva stupida e senza fondamenta e sperava che rimanesse così.

Però, una mattinata di domenica, si svegliò con quei sensi di colpa e si disse "Io lo sto tenendo al sicuro da tutto per proteggerlo, anche se potrebbe sembrare che di lui non mi fidi; tutto il contrario..." e fissò il vuoto avanti a sé, immergendosi nel ricordo di quel sorriso solare e di quella risata così sincera e dirompente. 

"Forse è ora che sappia il mio passato, che conosca i diversi Jonathan che sono stato e che conosca la mia storia, la storia della mia famiglia; la famiglia dai mille ed uno problemi sotto il tappeto."
E si alzò, mangiò la colazione ancora calda lasciata dalle cameriere prima senza svegliarlo, si lavò e si cambiò, mettendosi una camicia di lino, leggera e bianca, e dei pantaloni neri come la cravatta.

Bussò alla camera dove Thomas dormiva in quei giorni ed aprì al sentire il permesso del moro. Lo trovò spaparanzato sul letto, a guardarsi la TV di cui aveva trovato il telecomando in uno dei cassetti.
<Qui non c'è Netflix...> borbottò infastidito, senza guardarlo.
<E dovrei scervellarmi per metterlo solo per altri tre o quattro giorni?> fece retorico il cacciatore, andandogli vicino.
<Sì!> recitò il kitten lamentoso, sporgendosi a dargli un bacio casto ad occhi chiusi.
Quando aprì gli occhi aggrottò a vederlo vestito con camicia e cravatta.

<Come mai sei vestito elegante? Devi andare a qualche riunione pure la domenica?> domandò.
Jonathan scosse la testa e con tono velato di malinconia fece: <Vestiti bene anche tu. Ti devo mostrare una cosa... non tanto piacevole.> rispose il cacciatore.
<E ci devo andare elegante?> chiese il kitten e il castano annuì dicendo: <Cerca di nascondere di nuovo le orecchie nei capelli e cammuffa la coda da cintura, ok?> e il moro annuì, dandogli un altro bacio casto.

<Cerca di non metterci troppo.> lo avvisò Jonathan a mo' di saluto prima di chiudere la porta e scendere di sotto, a guardare lì un po' di TV per distrarsi.
Quel che stava per fare gli sarebbe costato tanta forza di volontà perché, per raccontare tutto restando il più obiettivo e pacato possibile sarebbe stata un'impresa. Ma lo voleva fare, Thomas aveva diritto di sapere.

Poco dopo arrivò Thomas con addosso un sorriso dolce e si chiese come potesse essere contento, sapendo che sarebbe stata un'esperienza triste e con alle spalle una vita pessima, anche se non ne conosceva i dettagli.
Lo ammirava molto per ciò.

Usciti andarono sull'auto ed andarono verso la città, per deviare subito in una strada secondaria che velocemente divenne acciottolata. Arrivarono davanti un enorme edificio dalle mura di due metri scarsi e un cancello enorme di ferro nero. Jonathan si fermò nel parcheggio quasi totalmente vuoto e scese velocemente, tenendo in mano un mazzo di qualcosa.

Thomas non ci fece granché caso ed avvertì all'istante come quel luogo fosse privo di vociare o vitalità, come gli uccellini cinguettassero più flebilmente e come uma sorta di cappa di tristezza avvolgesse il luogo dalle mura di un giallo ocra spento e rovinato.
<Siamo ad un cimitero...> spiegò Jonathan, mentre entravano nella struttura a cielo aperto dai cancelli socchiusi. 

Anche dentro le mura il terreno era di ghiaia, dai sassi piccoli soprattutto in corrispondenza di leggere cunette sotto le quali stavano bare e corpi col cuore fermo. Il cimitero era infatti pieno di lapidi, di diverse grandezze, più o meno smussate e di grigi più sui toni caldi o freddi.
Si estendevano per metri in lunghezza e larghezza.
Tutte vicine, tutte simili come copia incollate una accanto all'altra ma leggermente ritoccate. 

Ogni lapide recava inciso nome e cognome del morto in caratteri maiuscoli e neri, poco più sotto c'erano la data di nascita e quella di morte e ancora più sotto una piccola dedica fatta mettere lì dai familiari, in caratteri inclinati e più fini.
Poche persone si avventuravano fra le tombe distinte da microscopici tracciati più pianeggianti del resto della ghiaia.

Tra l'altro quasi ogni tomba lapide aveva fiori posati vicino. Alcuni veri e freschi, altri ormai appassiti, altri ancora di plastica o stoffa. Molti erano gigli, altre erano rose, qualcuno forse aveva dei narcisi, ma quasi sempre sui toni del bianco candido o panna, del rosa delicato o del giallino tenue. Nessun colore forte.

Thomas sentì l'aura di tristezza e morte gravargli sulle spalle come un macigno quasi opprimente a vedere tutte quelle tombe, esistenti da chissà quanto e che sarebbero rimaste lì per sempre. Jonathan iniziò ad andare lontano dell'ingresso, seguendo un percorso su cui non indugiava; come se l'avesse fatto mille e mille volte.
"E forse è pure così" si disse il kitten mentre lo seguiva.

Arrivarono in una parte del cimitero dove non c'erano più semplici lapidi ma piccoli casolari di marmo rosa o bianco, e al posto delle bare c'erano cellette in un solo lato del consolare; quello opposto a dove c'era una catena toglibile per entrare. Ogni celletta era fatta di marmo di colore uguale o simile a quello del casolare e su questo marmo c'erano incisi in oro od argento o nero pece le scritte già citate e in più c'era anche una foto del defunto incorniciata.

<Sono cappelle private. Solo se hai molti soldi puoi farle e di solito si fanno per gruppi familiari.> spiegò Jonathan, con sguardo distante.
Poco dopo si fermarono davanti una cappella di marmo così bianco da parere lucente e c'erano due cognomi scritti in alto alla cappella, a identificarne le famiglie appartenenti: Right ed Esposito

Il secondo cognome era meno scuro del primo, che tra l'altro era il cognome del cacciatore, come se fosse stato aggiunto molto dopo l'altro.
<Eccoci arrivati.> sentenziò funereo il castano, togliendo la catenella di ferro che "sbarrava" la strada. I suoi passi risuonavano forti e con leggero eco nella cappella e Thomas si sentì quasi maleducato mentre lui e Jonathan rompevano quella quiete.

Jonathan si inginocchiò davanti una bara in fondo a sinistra e poggiò ciò che teneva in mano dicendo: <Ciao ma'. Scusa se non ti vengo a trovare da tanto però... ehi! Ti ho portato delle violette e delle campanule lillà: sono i tuoi fiori preferiti, no? Spero ti piacciano.> e li appoggiò in un piccolo vaso lì accanto e finalmente Thomas vide quei fiori violacei, così diversi da quelli che aveva visto in giro.

E poi voltò lo sguardo alla tomba accanto e fece un saluto ringhioso: <Ciao pa'. Date tante cose, come il fatto che i tuoi gusti per me erano un mistero e la tanta simpatia che nutro per te, non ho nulla da darti; arrangiati.>
Poi si ricordò della presenza di Thomas e fece: <Tommy, vieni qui.>

Il kitten si mise sulle ginocchia davanti alla tomba con la quale Jonathan aveva "parlato" amorevole e notò il volto di una donna abbastanza giovane (per essere già morta) nella foto.
Capelli ramati, mossi, occhi color miele, pelle abbronzata ed un sorriso sereno. Quel volto lui l'aveva già visto da qualche parte. Oltre ad essere altamente somigliante alla sorella maggiore di Jonathan, Emma, era...

<È la stessa donna del video del CD che avevo visto. Tua madre, giusto?> chiese Thomas e Jonathan annuì per poi dire: <Esattamente. E quel simpaticone accanto è mio padre.> e indicò con la testa.
Thomas volse lo sguardo e poté notare un uomo quasi sulla cinquantina, dai capelli castano scuro ma alla radice più grigiastri, dagli occhi neri come pece, lo sguardo freddo e penetrante.
<Gli assomigli molto di viso. Tua sorella invece sembra tua madre.> notò senza pensare il moro e sentì Jonathan ridacchiare mesto mentre si sedeva per terra, sfiorando con due dita la foto della madre. 

<Tutti dicevano così, eppure alla fine io ero più per gusti mia madre ed Emma mio padre. Ed anche quando tutto è peggiorato lei è stata dal suo lato e ci siamo spezzati. Vabbé, come se il precedente equilibrio non fosse precario...> commentò, con tono triste e rabbioso a tratti.
<Non capisco...> confessò Thomas, confuso.

<Ed infatti siamo qua perché ti voglio chiarire la situazione mia e della mia famiglia, farti capire l'ambiente in cui sono cresciuto. Voglio raccontarti brevemente, per così dire, della mia vita e della famiglia Right, una famiglia divisa. Però, giusto per curiosità, vorrei chiederti di leggere il cognome di mia madre.> illustrò il cacciatore.

<Esposìto, il cognome di tua madre è Esposìto.> lesse Thomas e Jonathan scosse la testa e fece: <È Espòsito. L'accento è sulla prima "o" E cerca di dire la "s" più dura.>.
<Scusa...> si imbarazzò il moro, sentendosi uno stupido.

<Tranquillo, non è nulla. Non sai in quanti hanno sbagliato e poi è comprensibile. È un cognome italiano. Hai presente l'Europa? Hai presente l'Italia? È quello stivale da cui provengono cose come la pizza...> tentò Jonathan.
<Ah sì! Ha anche delle isole, no? Oppure il cartone delle pizze mentiva?> si concentrò Thomas, ripescando dalla mente quella immagine. Jonathan ridacchiò divertito e fece: <No, no. È giusto, tesoro.>

Tossicchiò e riprese: <Comunque... mia madre è italiana. Nata e cresciuta lì fino a che, a 19 anni, non si è trasferita qui con i suoi genitori in cerca di lavoro. I genitori erano riusciti a trovare lavori semplici ed umili in qualche ristorante o scuola come impiegati per le pulizie e basta.
Maria, mia madre per intenderci, era riuscita a trovare lavoro come barista in un locale notturno abbastanza osé e, col suo fascino diverso da quello che sempre si vedeva, attirava molto l'attenzione; soprattutto in un locale in cui si andava a cercare appunto bellezze rare per divertirsi sfruttandole, eccitandosi su di esse e usandole come valvola di sfogo. Fatto sta che in quei locali ci andava pure mio padre e, quando adocchiò Maria, non se la lasciò sfuggire. La corteggiò, vezzeggiandola e riempiendola di promesse dolci e, ogni volta che riusciva a strapparle un appuntamento, la faceva sentire come una regina.  

Finì che ben presto si fidanzarono. Mia madre aveva solo 20 anni mentre mio padre 25 quando Maria presentò mio padre ai suoi genitori. Dopo averlo conosciuto in qualche occasione, sollecitarono il matrimonio, notando quanto mio padre, Josh Right, fosse ricco e con la loro unica figlia accasata con uno così non avrebbero dovuto avere problemi per tutta una vita; nessuno di loro. Okay, potrà sembrare un pensiero egoista ma i miei nonni lo avevano fatto soprattutto per Maria, volendole dare una vita adagiata e piena di soddisfazioni ed amore. E quindi convolarono a nozze solo dopo un anno, quando mia madre aveva 21 anni e mio padre 26 e già un anno dopo mia madre era incinta di mia sorella, Emma. Perciò, alla giovane età di 23 anni, rimase incinta del sottoscritto. 

Per quel che ricordo e che mia madre ha sempre detto, Josh ha provato ad essere gentile e premuroso come un qualsiasi padre; facendoci vivere nel lusso ma non dandoci tutto come se fosse di nostro diritto e per questo aspetto del suo modo di fare, glielo concedo, lo ringrazio. Però, quando oramai io avevo 4 anni, iniziò a ripensare che il lavoro fosse più importante della nostra famiglia e portandosi a volte pure Emma, perché voleva abituarla fin da piccola all'essere la futura gestrice di tutto il suo impero, o quasi, dato che già aveva un testamento in cui diceva che mi lasciava un ramo dell'azienda; anche se piuttosto precario. 

Comunque... se fosse stato solo il fattore "leggermente trascurato" non me la sarei mai presa con lui più di tanto. Lui proprio ci ignorava. Ricordo periodi di quando avevo 6 anni che non lo vedevo per anche mesi e quando ritornava ci trattava sempre freddi, soprattutto mia madre che gli voleva un mondo di bene. Maria tentò di riallacciare i rapporti e di mostrarsi in tutta la sua bellezza da neanche 30enne e lui per un po' c'era pure stato ma poi si era stancato. 

Ormai la sua moglie-trofeo non era più così giovane anche se comunque bella e perciò era ormai inutile, come uno stupido soprammobile come il sottoscritto. L'unico a cui dava attenzioni era Emma ma non me la sono mai presa con lei: con persone come lui volevo solo una cosa, la distanza. Infatti in quel CD che hai visto tu, io e lei, insieme a Jack, eravamo affiatati e tutto comunque aveva ancora un suo fragile equilibrio anche se c'erano enormi fratture.
Mio padre, trascurando mia madre, le fece divenire su millemila complessi di inferiorità; facendola cadere in una depressione velata senza autolesionismo (sia ringraziato Dio) anche se in presenza degli altri era solare come agli inizi di quella vita amorosa con Josh. 

Peccato che io più di una volta la sentii di notte piangere mentre pensava tutti dormissero, e di come dicesse cose come "Non ho amore, se non forse quello dei miei figli. Io devo vivere per loro e quando lasceranno casa... posso dire addio a tutto..". Perciò seppi che solo il mio affetto e quello di Emma la tenevano in vita senza ferirsi; anche perché i suoi genitori erano già morti. Entrambi crepacuore, prima lui e dopo un mese lei. Entrambi sono sepolti qui, in una delle locazioni più in alto. 


Peccato che il Fato volesse la famiglia Esposito riunita in fretta: infatti mia madre si ammalò all'età di 39 anni (io ne avevo 16) di una malattia sconosciuta. Per un anno e mezzo mio padre finanziò laboratori di medicina, sollecitando dispendiose ricerche su quale malattia avesse mia madre, già ricercata perché già riscontrata e risultata fatale in ogni caso. Ma ancora nulla.

Vedendo che le entrate erano molto più ristrette date le cure per la moglie, che non si trovavano per giunta, smise di punto in bianco le cure; dando solo il minimo necessario per evitarle troppo dolore fino alla morte. Io mi opposi con tutte le forze, sperando di avere dalla mia parte Emma (già 18enne e che perciò poteva mandare avanti lei con la parte di matrimonio) ma non fu così.
Lei si schierò dalla parte di quello lì e le sue scuse furono che tanto era buttare soldi nel cesso, che anche lei ne era addolorata ma era una malattia incurabile, come un cancro maligno già troppo radicato. Fu questa una enorme crepa fra noi due, che non le perdonerò mai. Mia madre durò altri sei mesi e non ci fu giorno in cui non la andai a trovare, subito dopo la scuola in cui stavo peggiorando, parlando di tutto e nulla, per avere tanti ricordi di lei. E lei continuava a sorridere e a dirmi che mi voleva bene. Mi faceva male vedere mia madre, così giovane tra l'altro, doversi spegnere così in fretta. E ad ottobre, nello stesso giorno del suo compleanno, si spense definitivamente a 41 anni esatti. 

Quando ci fu il funerale mio padre era impassibile e neppure mia sorella versò una lacrima. Non provai neppure ad essere forte. Piansi, silenzioso, ma piansi praticamente durante tutta la cerimonia.
Venni a sapere dal telegiornale, una settimana dopo, che avevano scovato la cura a quella malattia contratta da mia madre. E fu lì che mi incazzai perché mi resi conto che sarebbero bastati altri due mesi massimo di soldi in ricerche intensive per trovarlo e far guarire mia madre. Anche se ancora vivevo nella loro stessa casa, tagliai più ponti possibili con loro. Gli unici che mi tenevano su erano Jack e... la mia fidanzata del tempo: Ylenia Baudelaire. Esatto, quella stessa modella che hai visto alla cena di gala. Pensavo di amarla... peccato che un giorno ritornai a casa e la beccai a scoparsi mio padre. La lasciai in tronco, senza darle tanto tempo di dare spiegazioni. Anche perché la prima risposta sbottata che mi diede fu che si era messa con me solo per scalare il successo ed in mio padre aveva trovato la miniera. Passarono due anni in cui... feci cose solo in nero. 

Già ero un cacciatore ma su aste illegali ed aiutai pure trafficanti di droga sia dentro che fuori il Paese. In quei due anni ero diventato sadico, cinico, con come unica emozione provabile il divertimento nel dolore altrui.
Ad aiutarmi fu sempre Jack che, dopo due anni passati in silenzio, mi urlò contro una serata che stavo facendo una cretinata. Stavo facendo cose illegali nella rabbia e nel voler andare contro mio padre, ma che così andavo contro pure mia madre. Al pensare mia madre, dal cielo, a guardarmi oltraggiata mi sentii male ed abbandonai tutto; promettendo acqua in bocca e giusto un po' di soldi per non venire ucciso. 

Presi in mano le redini dell'azienda fallimentare e, giusto perché mi aveva preso bene, ero pure rimasto con il secondo lavoro da cacciatore ma legalmente.
Appena ebbi ripreso in mano la mia vita nella legalità, infatti, mio padre morì a 48 anni per l'AIDS contratto a forza di scopare con qualsiasi donna gli aprisse le gambe a suo comando. Al suo funerale non venni ed Emma si incazzò con me perché comunque era mio padre quello morto. Io le risposi che era solo un figlio di puttana, che mi dava fastidio perfino aver il suo cognome piuttosto che Esposito e le dissi di andarsene dalla mia vita perché si era schierato in passato con quello stronzo. E mi accontentò. 

Da quell'evento ci fu solo gelo tra noi, anche perché per entrare in società preferii usare la facciata fredda di mio padre. Era un po' come una mia punizione. Per evitare che un altro Right rovinasse persone innocenti decisi di diventare il freddo insensibile che tanti conoscono. E non innamorarmi più. Così obiettivo e libero dai sentimenti la azienda quasi in fallimento andò in carreggiata e, anche grazie al lavoro da cacciatore, divenni ricco e famoso.
Solo negli ultimi tempi ho leggeri rimorsi con Emma e, affacciato al mondo adulto, in microscopica parte capisco mio padre nel voler smettere le cure. Ma mai gli perdonerò per aver reso triste per tanti anni mia madre. Ma tutto questo Emma non lo saprà mai perché sono un orgoglioso del cazzo.>

Jonathan prese una pausa di alcuni minuti, nei quali Thomas prima vagò con lo sguardo sulle tombe. Vide i due coniugi Esposito vicini, non direttamente sopra Maria ma due "caselle" più sopra. Poi ri-osservò sia le date di nascita e morte di Maria che Josh.
Rispettivamente 41 e 48 anni.
Giovanissimi.

E poi guardò Jonathan, che fissava il pavimento. Doveva essere dura ripercorrere una storia del genere che si aveva provato a seppellire dentro di sè negli anni.
<Beh, ora sai la verità sulla mia famiglia, una famiglia di merda.> e Jonathan alzò lo sguardo sul fidanzato. Aveva la gola secca per il lungo parlare ma si sentiva in dovere di dirgli anche le sue attuali paure.

<Io ho paura di farti male Thomas, come Josh ha fatto Maria perché io sono come mio padre, sono sangue del suo stesso sangue. E tu, senza esserne parente, sei dolce e buono come Maria. Io non voglio che, a causa dei Right, esseri che sono angeli in terra vengano rovinati e distrutti.> fece, con voce tremante, volgendo lo sguardo a terra.

Aveva paura di fare una cazzata e di ferirlo perché conosceva il Fato stronzo e la sorte dei Right. Freddi, insensibili, egoisti... Incompatibili con esseri così solari, empatici, gentili come Thomas e Maria...
Jonathan sentì le sue mani toccate da altre più piccole e calde e qualcosa sfiorarlo sulle labbra. Alzò gli occhi neri e li incrociò con quelli smeraldini di Thomas, che gli aveva preso le mani e che lo aveva baciato a stampo.

<Tu non sei solo tuo padre, sei anche tua madre che si preoccupa degli altri. E poi, per inciso, tu non sei i tuoi genitori. Tu sei un nuovo essere, unico e speciale. Puoi avere qualcosa di simile a loro, ma non credo che hai preso appieno quella cattiveria di tuo padre e... io so che tu mi ami. Io so che tu non mi faresti mai del male.> e Thomas sorrise, radioso.

Right pensò che la vita gli stava dando un'altra possibilità, gli aveva mandato apposta Thomas, e lui non avrebbe gettato al vento quella chance. A quel suo kitten voleva troppo bene.
Lo baciò lui quella volta, in uno slancio di affetto, e approfondì il bacio per qualche secondo.

Thomas si staccò da lui e, rosso in volto, fece: <Ma... siamo davanti alle tombe dei tuoi genitori...>
<Mia madre sarebbe solo che contenta di vedermi innamorato e felice e mio padre può pure andare a farsi benedire...> commentò il cacciatore e lo ribaciò in quella cappella, nell'area del cimitero in cui non c'era nessun altro che loro due.





N/A: e in questo capitolo finalmente si scopre il passato di Jonathan e fra pochissimo saprete pure quello di Thomas.
Spero che sia questo passato (e quello che poi leggerete del mio piccolo gatto-umano) sia scritto come è giusto che gli renda giustizia. E che le azioni di Jonathan siano credibili.

E va beh, dopo questa mia piccola rottura di scatole, vi lascio in pace e noi ci vediamo la prossima settimana!

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