Capitolo 29
La mattina dopo, appena svegli, sentirono la consapevolezza pesare addosso come macigni. Le insicurezze li divorarono, mentre facevano pompare i loro cuori ad una velocità leggermente superiore alla norma per tutto il diavolo di giorno.
Ansia. Stress. Paura.
Queste tre sensazioni parevano predominare sulle altre, anche se una velata trepidazione e curiosità impedirono loro di dare i numeri e di comportarsi come dei nevrotici drogati in astinenza da due giorni.
La giornata fu così vuota e difficile da riempire per il moro senza le due cameriere, cosicché fu costretto a ripiegare sull'astronomia, lasciando dopo poco perdere. I suoi dubbi lo assillavano e, tra l'altro, una domanda spesso si faceva presente "E se Ariana venisse a sapere di tutto ciò?".
Nelle sue paranoie, poteva capitare che Ariana riuscisse a gestire quel problema col filo, lo richiamasse, percepisse all'istante il suo stato d'amore e reclamasse spiegazioni. Aveva paura che lo avrebbe odiato e schifato, rinnegato e gli avrebbe urlato contro parole aspre e dure.
Si sentì tremare a quei pensieri orribili e qualche lacrima gli sfuggì.
<Però... Ariana potrei non incontrarla mai più. È brutto da dire ma è così e poi... è la mia compare, è la persona a cui voglio più bene e la cosa è reciproca, mi accetterebbe sicuramente!> si disse a voce bassa, come a darsi forza.
<E poi... al cuore non si comanda.> aggiunse con un sospiro, buttandosi sul letto in quella casa senza dentro il padrone.
Infatti Jonathan era al lavoro o meglio... era alla sua scrivania ma stava assillando Jack di domande e ansie al telefono. Ogni tanto Jonathan si chiedeva come l'amico potesse sopportarlo sempre e quella mattina fu una di quelle volte. Chiedendolo a voce alta, gli giunse in risposta una risata ed un: <Sei come un fratello per me e un figlio per i miei genitori. Sei parte della mia famiglia, e la famiglia si perdona sempre perché ciò che lega è più forte di ciò che divide.>
<Belle parole... peccato che per me non sia proprio così> borbottò il cacciatore, alludendo alla sua situazione familiare. Sentì Jack come sbuffare e poi aggiungere: <Procediamo per passi Jon. Prima o poi vedremo di occuparci anche della "famiglia", visto che c'è speranza che tu faccia uscire i tuoi sentimenti e ti possa spiegare... Ma per ora pensiamo al problema "amore" che, ehi, questo ragazzo prima o poi me lo dovrai far conoscere!>
<Se mai stupidamente vorrò farlo introdurre alla cerchia dei miei "conoscenti", tu saresti il primo dato che sei mio amico.> si arrese Jonathan, sollevato di morale da Jack.
Diamine, quell'essere era capace di confortarlo come pochi!
<Io sono l'essere più bello e fantastico sulla faccia della Terra, ovvio che dovrei essere il primo! Comunque... ora ti devo lasciare. Devo andare dalla mia Ariadne, che sta per fare una sorta di conferenza in cui esporrà il suo primo libro, cioè una storia fantasy con sottotrame d'amore molto poco stile classici polpettoni rosa. Ah, l'adoro! Sa rendere cose così semplici, trite e ritrite nuove ed originali!> e probabilmente Jack si sarebbe perso a decantare per ore le abilità di scrittura della fidanzata se Jonathan non lo avesse interrotto con un: <Ehi, queste parole dille alla tua fidanzata. In bocca al lupo a lei: in quell'unica volta in cui l'ho vista mi è parsa una ragazza a posto e quindi forse non scrive cretinate, con ogni probabilità. Comunque ciao.>
<Oh, è vero. Ciao.> e con quel tono gaio Jack chiuse la telefonata.
Jonathan, solo con sè stesso e i suoi pensieri, si immerse nel lavoro, sperando di scacciare temporaneamente i suoi problemi.
Entrambi tentarono a fare ciò e ci riuscirono per un pochino, rimanendo comunque con un'enorme agitazione. Quasi speravano che quella sera non sarebbe mai dovuta arrivare ma, si sa, quando vuoi con tutto te stesso che una cosa vada per un verso, essa andrà per l'altro. Infatti la giornata passò velocemente, fin troppo a detta loro, e si fece in poco tempo sera.
Il Sole manifestò il suo solito e poetico saluto di arrivederci, con il suo tramonto dai colori caldi che man mano scemavano. Con quella tenue luce a filtrare dalla finestra della camera, e la luce artificiale ma di toni caldi della lampadina nella stanza, mangiarono in silenzio della pizza d'asporto ordinata dal cacciatore.
Era la pizza di un particolare ristorantino in città gestito da anni da una famiglia di italiani traferitasi lì un decennio prima e che faceva quel tipico piatto italiano in un forno a legna. Quando la madre c'era ancora, prendevano sempre la pizza d'asporto solo da lì, perché lei diceva che era la più simile (se non uguale) a quella vera italiana e che le ricordava casa. E Jonathan aveva voluto condividere con il moro una pizza davvero buona quella sera, aprendogli, senza che l'altro ovviamente sapesse, uno spiraglio di quella che era la sua vecchia vita.
<È molto buona...> commentò estasiato il moro addentando il primo pezzo di pizza.
<È fatta da veri italiani e, te lo posso assicurare, è molto simile all'originale. Questa pizza così buona d'altra parte non la puoi neanche se preghi in dieci lingue diverse.> spiegò Jonathan con punta d'orgoglio, gioendo internamente alla vista del moro così infantilmente stupito.
Il kitten se la divorò in poco tempo. Spazzolata fino all'ultima briciola, si accasciò di più contro la testata del letto ricoperta di cuscini e sospirò soddisfatto per la cena.
Era davvero buona quella pizza, non c'era che dire. Gli pareva di aver assaggiato del cibo divino quella sera.
<Piaciuta, mh?> lo riportò alla realtà Jonathan con ghigno mezzo beffardo. Thomas si sentì imbarazzato da 0 a 100 in due secondi, rendendosi conto della figuraccia che stava facendo. Perciò ritornò a sedersi rigido e col viso rivolto alle lenzuola. Nonostante ciò non si trattenne dall'annuire e sussurrare: <Come ho detto prima, era buonissima.>
Il cacciatore, capendo il disagio che si stava creando, lo scacciò con: <Che ne dici di iniziare a guardare Game of Thrones? Siamo quasi alla fine della sesta stagione, dai.> e andò con il telecomando su Netflix.
Thomas alzò lo sguardo e rispose: <Certo!>
Tralasciando l'immane quantità di scene sessuali e certe immagini crude, l'intrecciata trama della storia gli piaceva molto e oramai si era appassionato.
Negli ultimi tempi avevano un pochino calato le serate in cui guardavano la serie e Thomas si era sentito triste, ma uma settimana prima Jonathan gli aveva promesso che quella sera avrebbero fatto la serata "Game of Thrones" e stava mantenendo la promessa.
Spente le luci e accomodati nel letto, leggermente distanti per l'imbarazzo, Jonathan premette play ed inizio la visione dell'episodio successivo che il moro non riusciva ad aspettare più di vedere.
Ad un certo punto, passati circa venti minuti, partì una scena che fece scattare qualcosa dentro entrambi. Uno dei personaggi della scena aveva iniziato un discorso sui sentimenti e, in particolare, sull'amore. Su come esso fosse di diversi tipi: solo carnale, solo platonico (sentimentale) e su come esistesse quell'amore vero che univa questi due tipi di amore, l'amore profondo, il vero amore «come verrebbe detto in quelle stupide favolette per bambini» (testuali parole del personaggio).
[N/A: quello che andrò a scrivere qua sotto è inventato da me e, in parte, è ciò che penso io dell'amore]
«Può sembrare strano per un essere con il cervello grande quanto un sassolino come te, ma un amore del genere esiste sul serio e anche se non è rosa e fiori come nelle favolette, tutto il contrario.
Può scatenare, mitigare e andare contro guerre di qualsiasi tipo. È capace di ferire, sanare ed uccidere gli innamorati. È capace di farli perdonare, dimenticare e vendicare.
È come un'arma in cui non c'è nessuna elsa, solo lame premute contro i petti dei due. Ma se due persone sono davvero innamorate, saranno capaci di non conficcarsi mai mortalmente la lama nel petto, o di premerla nella cassa toracica dell'altro, saranno capaci perfino di abbracciarsi. Forse si faranno male, è vero, ma le loro ferite saranno solo poi pallidi ricordi sbiaditi da questo forte sentimento.
Ricorda, quest'amore e l'odio sono ai poli opposti, ma ti fanno andare avanti fino allo stremo entrambi anche se il primo è più pericoloso perché la tua vita è indissolubilmente legata ad un'altra.»
In quel momento Jonathan mise in pausa l'episodio, dicendosi "O la va o la spacca" e più o meno era stato il pensiero di Thomas che aveva provato a raggiungere il telecomando, invano, visto che il cacciatore aveva agito prima di lui. Il moro non pronunciò neanche mezza parola, come intuendo che sotto c'era qualcosa di importante. E il cacciatore gliene fu molto grato.
Prese il coraggio a due mani e iniziò con: <Thomas... ti devo dire una cosa...>
<Anch'io, Jonathan, devo dirti una cosa... ed è piuttosto, ehm, imbarazzante> ed arrossì, per il collasso temporaneo del cuore e dei neuroni del cacciatore. Come poteva cercare di restare forte e lucido davanti quella faccia?
Chissà come il castano sorrise incoraggiante e il moro si disse, davanti a quel leggero ma vero sorriso "Dovrebbe sorridere più spesso, gli riesce benissimo...". Il castano lo distolse dai suoi pensieri totalmente sdolcinati e pieni d'amore ammettendo: <Beh, anche io non è che sia totalmente a mio agio con quello che ho da dire...>
Era una scena così surreale, così strana e confusa, ma così aspettata e desiderata da parere perfetta all'ennesima potenza ai due attori e singoli spettatori di quella scena. Niente grandi intoppi, solo grande imbarazzo ed ansia come era giusto che fosse. D'altronde... entrambi avevano il proprio cuore in mano e lo stavano per offrire all'altro con la prerogativa "Facci quel che vuoi".
<E se... ehm... lo dicessimo insieme? Cioè sai, così, tipo, l'imbarazzo diminuisce...> propose totalmente impacciato e dicendo più intercalari che parole per formare un pensiero di senso compiuto.
<Per me va bene...> accettò il cacciatore e, nella mente di entrambi, una domanda carica di speranza risuonava forte: "E se dovesse dirmi la stessa cosa che gli voglio dire io?".
A quel pensiero sentirono una nuova forza invaderli e dar loro coraggio anche se il lato pessimista provò a sopprimere con i suoi "se" e i suoi "ma" quella frase. Per una buona volta, però, la speranza era più forte del pessimismo e quei "se" e quei "ma" scomparvero.
<Al mio via.> ordinò Jonathan, per poi iniziare a contare: <Tre, due, uno...> ecco, mancava una sola parola e poi avrebbe dovuto parlare. Si aggrappò a quella speranza di prima, a quella voce così positiva e decretò: <Via>
<Ti amo!> fecero in simultanea.
Due secondi di silenzio irreali, passati come se non esistessero, come se loro due fossero stati messi in pausa. Poi capirono cosa avevano detto e ciò che aveva detto l'altro.
Entrambi, da lo sguardo basso quale avevano, lo alzarono ed incastonarono in quello altrui. Verde nel nero. Nero nel verde. Due grandi smeraldi e due piccoli buchi neri. Ma non erano in contrasto, erano come uniti, legati.
Tutto ciò era sia assurdo che meraviglioso. Per entrambi pareva impossibile che si fosse avverato il loro più grande desiderio. E lo manifestavano sottoforma di shock, potente e paralizzante almeno all'esterno.
All'interno erano come in preda ad una catastrofe in piena regola, entrambi al medesimo modo.
Il cuore di entrambi batteva andando in giro per la gabbia toracica, chiedendo ai polmoni se stessero bene dato che si erano rinsecchiti come prugne secche senza più permettere la respirazione. Pure lo stomaco era messo male, dato che si era messo a ballare la macarena per i conti suoi, mentre l'esofago si contorceva neanche stesse facendo ginnastica artistica. Ma non c'erano problemi solo nel busto, ma pure nel cranio.
Il cervello aveva organizzato un party hour con i neuroni che, rincretiniti, sbattevano contro la scatola cranica, a gara a chi fratturava per primo un po' l'osso.
Poi tutta quella confusione, che non era un malessere nonostante tutto, sparì in un botto, mentre un calore sfiorava ogni minima terminazione nervosa e una enorme gioia li invadeva.
La concreta idea che l'altro ricambiasse lì rendeva più che eccitati ma... dovevano parlare, chiarirsi ed esprimere al meglio ciò che dentro di loro li aveva portati a chiamare quel mix di emozioni "amore".
<Io... Thomas... Sono serio per ciò che ho detto. Ti amo, davvero. Io... semplicemente mi sono innamorato di te. Non saprei se dall'inizio o da qualche evento ma... ti ricordi quando quel coglione di Kyle era arrivato in camera tua? Quel rosso, quella sera?> chiese Jonathan e Thomas annuì appena, ricordando alla perfezione quella serata anche perché da quella sera si era dovuto "trasferire" nella camera del cacciatore.
<Sai, quella sera... quando Kyle ti aveva sotto il suo controllo ero come impazzito. Ma non solamente perché, come si potrebbe pensare, stava toccando una "mia cosa", cioè tu... ma proprio perché stava toccando te. Kyle che ti toccava mi aveva mandato ai pazzi e, dopo avergli dato quel che si meritava, una vocina nella mia testa mi aveva detto "Tienitelo ancora più stretto" e perciò ti ho ordinato di venire in camera mia... credo di dover ringraziare quella vocina. Tu Thomas... è come se riuscissi a tirare fuori il meglio di me, ed era da tanto che qualcuno non ci riusciva con così facilità dopo diversi spiacevoli incidenti. Thomas, io ti assicuro che sono migliore di ciò che spesso mostro e... voglio provare a maturare con te, se tu me ne darai l'opportunità.> e Jonathan si fermò, sapendo di aver finito.
Era conscio di quanto il suo discorso fosse sconclusionato e passava da pali in frasche in un nanosecondo ma non avrebbe potuto esprimere al meglio tutto ciò che aveva dentro. Era davvero difficile esternare ciò che avevi dentro dopo anni di reclusione e repulsione dei tuoi stessi sentimenti.
Ma ci aveva davvero provato, aveva mostrato a cuore aperto quel garbuglio di emozioni che si provava dentro, come offrendo ciò a Thomas, chiedendogli di districare tutti quei nodi con calma e pazienza.
Thomas lo distrasse dalla marea dei suoi pensieri prendendo la parola: <Io... io ti credo Jonathan.> Era un sussurro, udibile bene solamente per via del silenzio religioso che regnava nella stanza.
<Anche io non scherzo con quel che ho detto. Io credo davvero di amarti e pure il mio corpo spesso mi da dei segnali...> e si prese la coda tra le mani, accarezzandola. Perfino il cacciatore aveva capito che lo faceva in caso di stress ed ansia e poté vedere sul volto del moro tutta quella tensione che gli attanagliava le viscere.
<E quando quella sera mi hai salvato, per un attimo mi sei parso un eroe. Non sembravi uno stronzo umano senza sentimenti ma una persona... davvero preoccupata e spaventata. Ho iniziato a pensare, inconsciamente, che se c'era una parte umana in te volevo vederla ed è stato così. Anche guardiamo Game of Thrones, mi sei sempre parso più rilassato e come se stessi uscendo dai rigidi schemi che avevi di solito, anche se alcune volte per mantenere la facciata ritornavi freddo e stronzo. Ma comunque vedevo che c'era dell'umano e del buono in te. Anche alla cena di gala, quando hai cercato di aiutarmi ad usare le giuste posate.> e fece come una risata soffocata, mentre teneva ancora più convulsamente stretta fra le dita la soffice coda. Jonathan si chiese se non se la stesse stritolando, ma subito dopo accantonò quel pensiero per concentrarsi sul moro.
<Nessuno stava facendo caso a me, nessuno si sarebbe accorto che avessi sbagliato... ma tu hai cercato, ovviamente provando a non farti scoprire dagli altri, di aiutarmi perché... perché mi sembrava che ci tenessi che io non sbagliassi. E poi... anche quando ho visto quel CD del tuo compleanno... non mi hai fatto del male. Hai detto "Siamo pari perché anch'io ho ascoltato qualcosa di tuo" o roba del genere e mi è parso che cercassi anche un modo per avere una scusa per non ferirmi. Anche perché è da tanto che non mi costringi sul serio a fare qualcosa.> e in quel momento il kitten prese un profondo respiro, come a darsi coraggio. Poteva farcela a dire quelle ultime parole, anche se i ricordi che lo assalivano a dire ciò facevano male.
<E anch'io Jonathan voglio provarci. Voglio darti un'opportunità e ti chiedo di non sprecarla o di farmene pentire perché, davvero, ci sono avvenimenti del mio passato che mi hanno portato a chiedermi spesso "Faccio davvero bene a fidarmi?" e se dovessi pentirmene, se tu me ne facessi pentire...> un piccolo singhiozzo ai ricordi doloranti <...potrei farmi perfino del male fisico... e non sto scherzando. Ci ho già provato e mi hanno fermato. Il mio cuore si è legato al tuo e se mi ferirai... io non sarò in grado di curarmi...> e ricordò le urla stupite di Ariana, che gli aveva afferrato il polso e aveva scagliato lontano quel pezzetto di vetro che stava provando ad usare.
"NON TI PERMETTERÒ DI FARTI DEL MALE FINCHÉ IO VIVRÒ E TI STARÒ ACCANTO" quelle parole echeggiavano nella testa. Sentì lacrime formarsi agli angoli degli occhi.Due braccia forti lo avvolsero e lo strinsero al suo petto.
Jonathan.
<Non so cosa tu abbia passato... e tu non sai cosa è capitato a me, almeno per il momento. Ma in qualche modo ci siamo innamorati l'un dell'altro. E or come ora, io ti giuro Thomas che non ti ferirò mai, cascasse il mondo.> gli promise Jonathan, staccandosi leggermente dal moro e fissando quei due smeraldi ancor più brillanti per le lacrime trattenute.
Thomas si perse un attimo a guardare gli occhi del cacciatore, che non gli parevano più buchi neri ma delle notti senza stelle, notti in cui la Luna e le stelle erano nascoste perché ancora più timide del solito. Ma non per questo erano brutte notti, anzi, erano rare e così liberatorie, così speciali. Perché in quel nero ti ci perdevi ma non ne avevi paura, perché sapevi che nulla avrebbe potuto ferirti.
<E io ti prometto che ti aiuterò a maturare, a dimostrare i sentimenti perché è ciò che ci rende vivi. Faremo tutto ciò che vogliamo insieme.> quelle parole Thomas le aveva promesse nella magia dell'amore, come l'aveva fatto Jonathan.
Ma in quelle parole ci credevano, volevano davvero provarci, migliorarsi l'un l'altro insieme.
Dopo quelle parole Thomas, in uno slancio di coraggio inaudito, si sporse verso il cacciatore e lo baciò. Jonathan per un attimo ne fu piacevolmente stupito, ma poi il desiderio ebbe la meglio e si avventò sul kitten.
Lo stese sul letto di traverso e si mise sopra di lui, puntellandosi coi gomiti ai lati della sua testa e con le ginocchia vicino alle sue gambe, per evitare di schiacciarlo con il suo peso. E, se a ciò aveva dato inizio il kitten, fu il castano a proseguirla, approfondendo quel bacio a stampo, passando prima la lingua sulle labbra del kitten, il quale le dischiuse accogliendo con piacere la lingua del castano sopra di sè.
Iniziò un bacio languido, fatto con calma. Le mani di Jonathan si erano leggermente sporte verso il viso del moro, accarezzando la guancia e sfiorando con i polpastrelli le orecchie da gatto, che si mossero come percosse da una scarica elettrica. Il moro, a quella energia che gli passò perfino per la colonna vertebrale, spalancò un attimo gli occhi, mentre evitava di muovere la lingua.
Gli occhi neri di Jonathan lo fissarono qualche secondo, mentre sfiorava ancora una volta le orecchie, dietro e nel punto esatto in cui Thomas era più sensibile. Ma se con Ariana ciò gli provocava gioia e calma, con Jonathan si sentiva elettrizzato, carico. Il moro chiuse gli occhi e sfiorò per primo la lingua del castano, per poi prendere in un gesto di coraggio la mano di Jonathan dalla guancia e poggiarsela sul petto, dove il cuore batteva come impazzito.
Right prese quel gesto come un invito ad approfondire e non se lo fece ripetere due volte, mentre ribaltava la situazione e faceva finire con un miagolio soffocato nella propria bocca Thomas sopra di sè, coricato per intero.
Il castano mise le mani sui fianchi del moro, mentre premeva il volto verso quello del moro, come a divorarlo mentre lo baciava.
Ormai del bacio lento e delicato di prima non era rimasto nulla. Quel bacio era frenetico, caotico, una continua battaglia tra le due lingue voraci che non ne avevano mai abbastanza e che si staccavano per poco tempo, solo il tempo per riprendere fiato, e poi si riunivano, continuando la lotta.
Le mani del cacciatore si infilarono sotto la maglietta del moro, e mentre una rimaneva sul fianco, l'altra alzava la maglietta mentre gli percorreva la schiena e il profilo del busto.
Thomas ovviamente non restò con le mani in mano: le sue finirono una sul petto, mettendola in mezzo ai loro due corpi schiacciati, e una nuca altrui, a stringergli delicatamente una piccola ciocca di capelli.
Anche la coda era bella movimentata di suo e infatti non si trattenne dall'avvinghiarsi alla coscia di Jonathan e muoversi su di essa. Il moro ne fu contento, anche perché stava adorando la sensazione della sua stessa coda a contatto con la coscia del cacciatore e quest'ultimo stava impazzendo a quello sfregare così vicino l'inguine.
Jonathan sentì l'impulso carnale farsi strada nella sua mente e non vi seppe dare un freno, alimentando quell'idea nel giro di un minuto o anche meno. Infatti aumentò la foga del bacio, provando a togliere la maglietta al moro. Ma appena il kitten avvertì le mani calde di Jonathan all'altezza del petto e la pelle della schiena quasi totalmente scoperta si bloccò e si staccò, mettendosi a sedere cavalcioni sul castano. Anche se lievemente rosso in volto per quella posizione (e per il lungo tempo in "apnea" passato a baciarsi) era deciso nella sua scelta e un spiegò il tutto con un secco: <No>, tirandosi giù la maglietta. Troppo presto per quello.
Sarebbe stata la sua prima volta... voleva esserne sicuro....
Jonathan, resosi conto del grande gesto di cretinaggine che aveva appena osato fare, spalancò gli occhi spaventato.
<Scusami tanto, Thomas. Io non volevo davvero farlo, è stato l'istinto che...> ma il castano non si dilungò in inutili scuse perché il kitten, sorridendo, lo rassicurò: <Tranquillo, non è nulla. Forse ho fatto male io a reagire in modo così violento.> e distrattamente giocherellò con il collare che ancora gli cingeva il niveo collo.
Al vedere quel collare lì, Jonathan ebbe voglia di strapparglielo malamente dal collo perché non voleva che colui che amasse avesse addosso qualcosa di lontanamente possibile al concetto di sottomissione, era suo ma alla sua pari. Era già da tempo che voleva toglierglielo ma non aveva mai trovato il coraggio e il momento giusto: ora quelle due cose si erano palesate insieme.
<Potresti toglierti un attimo da addosso, che devo prendere una cosa dal comodino?> chiese dolce e Thomas annuì, divenendo rosso dall'imbarazzo di essere rimasto nel silenzio ancora lì seduto sopra il cacciatore. Il castano trovò adorabile e così innocente quella cosa mentre si sporgeva verso il comodino ed estraeva dal secondo cassetto una piccola chiave di metallo.
Si ritirò su dalla sua posizione tutta allungata sul letto e infilò tra il collo e il collare del moro un dito, tirandolo leggermente per poterlo attirare a sè. Il kitten si avvicinò e Jonathan girò il collare abbastanza per avere sott'occhio la "serratura" del collare e vedere in viso il kitten.
<Questo coso non serve a nulla, è solo un impiccio cretino> decretò il cacciatore, infilando la chiave. Un piccolo click subito dopo, subito accompagnato da un bacio casto sulle labbra, dato da Jonathan che sfilò via nello stesso istante il collare da lì e lo buttò senza vedere verso il comodino. Poté avvertire di aver fatto centro alla cieca.
<E ora, tolta quella cretinata che ti ho fatto mettere come un vero coglione, Thomas ti voglio chiedere seriamente: vuoi essere il mio ragazzo?> chiese a fior di labbra il castano, dato che i loro nasi erano separati da neanche 5 centimetri.
Thomas non si prese la briga di pensarci su neanche mezza volta. Tutto in lui urlava quella risposta, eppure non gridò; anzi, non disse nulla. Fece e basta.
Baciò di nuovo Jonathan, approfondendo il bacio, prima di staccarsi.
<Ti basta questo come risposta?> chiese retorico il kitten, con addosso un rossore ma allo stesso tempo una gioia inaudita. Un enorme sorriso gli incurvava le labbra all'insù. Il castano si disse che le adorava vedere solamente o così o premute contro le proprie e che avrebbe dovuto proteggere quel sorriso così puro e genuino.
<Potresti ridirmelo? Non ho ben capito...> recitò la parte dello stupido Jonathan, ripartendo alla carica e ribaciando il kitten.
Quella sera si scambiarono molti baci, con ancora l'episodio lasciato a metà, prima che il kitten sbadigliasse dalla stanchezza e Jonathan si accorgesse dell'orario leggermente tardi.
E così, uscendo da Netflix con l'episodio lasciato a metà, si addormentarono vicini. Il moro era premuto contro il petto del cacciatore, il quale lo teneva stretto a sè per un fianco, su cui era appoggiato un suo braccio.
Un nuovo capitolo della loro vita stava iniziando... ma non solo di rosa sarebbe stata poi colorata la loro storia. Di rosso e di nero si sarebbero tinte molte pagine, in alcuni punti più sbiadite da lacrime cariche di dolore.
Ma, suvvia, non vi voglio mettere fin da subito così tanta ansia e spavento; perciò godiamoci le quasi totali pagine in rosa che seguono questa svolta positiva.
N/A: e, dopo ben 29 capitoli, finalmente è successo: si sono dichiarati e fidanzati. Beh, meglio tardi che mai; mh?
E, come ho fatto chiaramente intuire nelle ultime righe, dopo questo punto non c'è solo dello smielato e del dolcioso.
Perciò, cari lettori, non pensate di trovare dopo questo capitolo solo cose scontate perché, beh, i pezzi forti devono ancora arrivare!
E dopo questo, vi auguro un buon proseguimento della giornata e ci vediamo la prossima settimana!
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