Capitolo 27
Dopo quella sera i rapporti si erano un pochino congelati da ambedue le parti per qualche giorno. Jack continuava a chiedere via messaggi a Jonathan informazioni e progressi sulla situazione, visto che il castano aveva ammesso quella serata, in un momento di stupidità, che quella persona la vedeva tutti i giorni.
Le due cameriere, invece, erano più che altro in quasi perenne tensione, anche se il moro spesso le rassicurava e le teneva informate sull'andamento gelido nel quale lui e il cacciatore stavano navigando. A quelle continue conferme le cameriere si rassicuravano momentaneamente.
Tutto stava ritornando al proprio ghiaccio iniziale (anche perché il cacciatore aveva evitato il contatto fisico con il moro), fino a che una mattina il Fato fece svegliare con una balzana idea in testa due persone in particolare: Cassandra e Jonathan.
Andiamo con ordine, però.
Cassandra, in quella mattina insolitamente fresca per essere ad aprile, nell'appartamento condiviso con Elizabeth, iniziò la loro conversazione mattutina con un: <HO DECISO!> molto squillante.
A quell'esclamazione, per poco, la rossa non fece rovesciare il caffè rigorosamente stile americano (con concentrazione di acqua al 65%, caffè puro al 35% e il resto zucchero di canna). La liscia bevve un lungo sorso dal suo tazzone di caffè, poi guardò la bionda con uno sguardo che lasciava trapelare la stanchezza ed infine chiese con il tono sconsolato riservato ai bambini piccoli e problematici: <Cosa avresti deciso, scusa?>
<Lo scoprirai solo più tardi!> esclamò giuliva la bionda, mentre intingeva un biscotto nel the che si era appena preparata.
Elizabeth la guardò più che arrabbiata, poi chiuse gli occhi, si massaggiò le meningi e bevve un sorso di caffè ad occhi chiusi. La caffeina entrò in circolo appena dopo che avvertì il piacevole calore della bevanda scorrerle lungo la gola. Quella piacevole sensazione di primo mattino la rilassava sempre, ed in quel momento ne aveva un disperato bisogno; dato come Cassandra si era permessa di romperle i timpani alle 6:00 del mattino.
Finito il caffè, si chiese quando era stata l'ultima volta che aveva dormito oltre le 6:00 per più di un giorno e le venne in mente che era stato lo scorso dicembre, due settimane di vacanza perché il cacciatore era andato in Italia a rilassarsi e aveva concesso alle cameriere quelle due settimane di pausa.
Scosse la testa e si disse di sognare e aspettare, prima che ricapitasse ancora una benedizione del genere. Buttò la tazza nel lavandino e, prima di fiondarsi in bagno, ricordò minacciosa alla bionda: <Prova ad urlare ancora una volta a quel volume alle 6:00 del mattino per una cosa che neppure mi spieghi e giuro che ti ritrovano morta e io mi trasferisco in Messico per non finire in carcere per omicidio.>
La bionda ridacchiò un <Contaci> prima che l'amica scomparisse dietro lo stipite della porta.
Intanto Jonathan, nel dormiveglia in cui si faceva assalire dai suoi pensieri, capitò ancora una volta alla situazione tra lui e il suo kitten; il quale sapeva stare ancora profondamente dormendo dandogli rigorosamente le spalle. Era da quella serata in cui lui era andato a cenare con Jack che gli stava lontano, cercava di evitare contatti ed era freddo e gelido come sarebbe dovuto essere fin dall'inizio.
Ma l'inizio con Thomas non era stato quello e la piega che stava prendendo la situazione gli dava notevolmente fastidio.
Sentiva perennemente un blocco in gola, a cui si aggiungeva a volte un groviglio alla bocca dello stomaco talmente tanto intrecciato che avrebbe fatto impallidire perfino il più esperto marinaio in nodi. E sempre c'entrava il moro.
E si odiava.
Perché stava iniziando a diventare dipendente da quel kitten e... da quelle labbra. Aveva voglia di baciarle, ma non nel modo dominante e violento come aveva solitamente fatto (e che negli ultimi giorni aveva accuratamente evitato). Voleva prima sfiorare ripetutamente quelle labbra con tocchi delicati e veloci, per poi aumentare la durata del contatto per iniziare a passarci la lingua sopra, per concludere in un lungo bacio alla francese; in cui non era il solito possessivo. Voleva che quel bacio profondo fosse dolce e gentile, quasi come si vedrebbe in quelle stupide commedie da quattordicenni mestruate.
La sveglia suonò, interrompendo la dormiveglia.
Lasciandosi indietro tracce di sonno rimanenti, spense l'apparecchio; mentre avvertiva accanto a sè il kitten muoversi nelle coperte; ancora infastidito da quel rumore trillante che gli rimbombava nelle orecchie nonostante fosse già finito.
Per fortuna il sonno lo richiamò e l'ibrido si rimise a dormire, anche se era più sul bilico tra la realtà e l'inconscio, più che essere già nel secondo. Perciò alcuni rumori li percepiva alla perfezione e udì alla soglia della coscienza il sospiro del cacciatore, accompagnato da un <Allora è deciso>.
Non vi seppe dare un significato specifico, non sapendo a che fosse riferito. E non aveva la minima idea che c'entrasse con lui.
L'inizio del volere modellato dal Fato, entrò in azione prima con Cassandra che, accompagnata da Elizabeth, entrò nella stanza del cacciatore a metà mattina; dovendola pulire.
E, più o meno verso la fine, la bionda interruppe la conversazione che stavano avendo su Jess e Nick di New Girl esordendo: <Ragazzi, vi devo dire una cosa che ho deciso stamattina dopo giorni che ci ho riflettuto!>
<Finalmente mi spiegherai per quale motivo hai urlato stamattina? Anzi, ci spiegherai.> si corresse alla fine Elizabeth, anche se il suo sguardo scettico era rimasto per tutto il tempo.
Cassandra annuì e fece: <Thomas, so quanto siano i rapporti freddi tra te e Right dopo quello che ti abbiamo detto noi ma ci ho riflettuto e in fondo... non è solo sindrome di Stoccolma. Anzi. Non c'entra nulla. Tu non ti sei innamorato del lato violento e stronzo di quello lì.>
Elizabeth la guardò a metà tra lo stupita e il dubbiosa, mentre il moro saltava su a sedere dal letto ed esclamava: <EH?!>
Cassandra annuì e continuò prima che i suoi due ascoltatori potessero anche solo dire un'altra sillaba: <Esattamente, e ti spiego il perché. Tu un po' di tempo fa ci avevi detto che Right, secondo te, soffriva di bipolarismo a causa che ogni tanto sembrava pure civile ed ogni tanto era il solito stronzo. Tu secondo me ti sei stordito con quella parte dolce, che forse pure ha sotto quella scorza, quasi dimenticando la "facciata" fredda perché, appunto, nella tua testa è una facciata. Non hai nessun problema Thomas, e nessuna sindrome. Anzi, oltre ad avere avuto fortuna hai una grande capacità; e cioè vedere oltre quello che gli altri mostrano. Tu rompi quelle barriere essendo solamente te stesso. Ecco tutto.>
Elizabeth la guardò male e stava per replicare che un singhiozzo la interruppe. Si voltarono verso la fonte e videro Thomas piangere e subito la rossa si mise ad accarezzargli le orecchie come quest'ultimo aveva confessato loro adorasse e guardò torvo la bionda.
<Thomas... perché piangi? Ho detto... qualcosa di sbagliato?> si preoccupò Cassandra e si sentì sia stupita che sollevata al diniego con la testa del moro.
<Mi hai reso... felice. In questi giorni...> singhiozzo <ho continuato a pensare di essere sbagliato... malato... e, provando ad allontanare ciò che sento, ne ho solo sofferto di più..> e poi i singhiozzi divennero troppo irregolari e forti per continuare a parlare.
Elizabeth lo strinse in un abbraccio carico di affetto e disse con voce materna: <Non sei sbagliato... non sei malato. Ti sei solo invaghito di Right... o innamorato...> sospirò l'ultima parola come se fosse preoccupata, d'altronde non era una cosa da poco.
<Non pensavo che l'avremmo mai ammesso, ma qualcuno si è innamorato di Right!> e la bionda lanciò uno sguardo d'intesa con l'amica.
<O infatuato. Ancora non si sa.> comunque ribatté la rossa.
<In cosa sono differenti?> chiese Thomas.
<Infatuato è una cosa che avverti all'inverosimile, come l'amore. Ma mentre con l'infatuazione solo certe azioni di lui le adori, e non vi trovi difetti, con l'amore trovi fantastico di lui qualsiasi azione e accetti e trovi i suoi difetti. Perché sai che chiunque ne ha, ma tu hai deciso di amare tutto di lui, il bello e il brutto.> spiegò Elizabeth e Thomas annuì pensieroso.
<Non so bene cosa sento... ma ho come l'impressione che il mondo me lo farà capire presto...> decretò infine il moro.
La bionda ridacchiò: <Che sei, un veggente? O hai i sensi da ragno stile Spiderman?>
Thomas aggrottò le sopracciglia al secondo paragone, non sapendo logicamente chi fosse Spiderman.
<È una cosa di noi kitten, anche questa. Anche se voi umani avere una sorta di sesto senso, il nostro però è più attendibile. E spesso non lo seguiamo... per esempio il giorno della mia cattura. Avevo l'impressione che sarebbe accaduto qualcosa di brutto e non ho ascoltato il mio sesto senso.> e il ragazzo si guardò intorno, indicando il luogo attorno a sè con la mano destra protesa <E sono finito qui. Anche se, beh, sono successe cose che vanno oltre a ciò che un sesto senso può predire. E voi due siete persone che sono contento di aver incontrato>
Le due cameriere rilasciarono un <Ahhhhhhhhh!> a quelle parole dolci del kitten, per poi salutarlo e lasciarlo solo nella stanza chiusa a chiave.
La giornata passò tranquilla e pure il pranzo senza troppe stranezze, o almeno per il più piccolo dato che il cacciatore era teso come una corda di violino per ciò che di lì a poco avrebbe fatto.
Quando le cameriere ebbero portato via i vassoi quasi ripuliti per intero dal cibo, Jonathan dovette raccogliere tutto il suo coraggio a due mani, calciare un attimo via l'orgoglio e prendere un grande respiro.
"Ce la posso fare." si disse.
Aspettò il momento propizio, e cioè poco prima di prepararsi e andare a fare jogging, così poi almeno avrebbe avuto tempo per riflettere da solo sulla cazzata fatta.
<Thomas...> lo chiamò con voce incredibilmente dolce il cacciatore, facendo stupire e girare di scatto, sorpreso, il moro.
Sbatté le palpebre ripetutamente, vedendo come il cacciatore si stesse avvicinando a lui con piccoli movimenti ma decisi.
Erano seduti agli estremi del letto opposti e il suo corpo era immobile, non riusciva ne ad andargli contro o scappare via dal letto. Il cacciatore lo tirò per una mano, facendolo distendere a pancia in su e posizionandolo più al centro del letto, mentre lui si metteva sopra di lui. Ginocchia piantate tra le cosce tenute leggermente aperte, mani ai lati della testa e la stanza fu subito elettrostatica.
E io non saprei dire chi fosse il più nervoso.
Però, per certo, sapevo che Thomas era piacevolmente confuso e vagamente curioso ed elettrizzato. Il cuore di entrambi batteva frenetico nei petti, forse entrambi gli organi vitali volevano provare a creare un buco nella gabbia toracica del proprio possessore, per incrociarsi fuori e stare insieme.
Il cacciatore, con una mano, delicatamente accarezzò prima la punta delle orecchie da gatto del moro, poi sentì fra le dita la sensazione morbida dei capelli morbidi e lunghetti della nuca, poi passò alla guancia e con il polpastrello dell'indice percorse le labbra rosee e socchiuse dallo stupore del più piccolo.
[N/A: da qui fate partire la canzone sopra. Lo so, sembra fuori posto ma è carina ed è adatta al contesto, o almeno per una parte in cui rimane, lo giuro!]
Poi prese a baciare quest'ultime in modo delicato, veloce e continuo. Soffocati schiocchi di labbra risuonavano nelle loro orecchie, divenendo piacevole musica. Erano baci sfuggevoli, quasi da fidanzatini delle medie, ma Thomas percepiva le guance paonazze, mentre più che volentieri assecondava quei piccoli gesti. Ad un certo punto Jonathan, mentre sentiva diverse vocine in testa contrastanti, si disse "Oh, fanculo" e leccò le labbra del moro, come a chiedere di voler approfondire.
Quest'ultimo avvinghiò, in un gesto istantaneo, le braccia dietro al collo del cacciatore e si mise a ribaciarlo, mantenendo il contatto dischiudendo le labbra all'istante. Il castano non perse tempo e introdusse la lingua nella bocca dell'altro, venendo piacevolmente ricambiato. Le lingue si toccavano e staccavano ripetutamente, mentre quel bacio umido si dilatava nel tempo. Né uno né l'altro ricordava chi fossero, con chi, dove e in quale contesto. Esisteva solo quel bacio.
Quel bacio alla francese dato ad occhi serrati, mentre ci mettevano dentro tutta la loro frenesia e forza, come se da quel bacio ne dipendesse la loro vita. E forse era pure così, perché quel gesto controllato dai loro subconsci avrebbe cambiato totalmente le idee in testa ai due, dando davvero inizio all'avvento del sentimento laccato di rosa.
Quel bacio sarà durato un minuto, poco più o poco meno, ma a loro parvero anni e quando si dovettero staccare a causa del poco ossigeno rimasto nei polmoni, la piccola parte irrazionale del loro cervello chiese di riattaccarsi all'altro e rimanerci per secoli.
Un secondo di shock, confusione e stordimento.
Jonathan elaborò quasi all'istante e, spaventato da ciò che aveva sentito, si era rifugiato in bagno a cambiarsi e, dopo poco, ne era uscito pronto per andare a fare jogging. Quando si chiuse dietro di sè a chiave la porta della camera, il moro si risvegliò dallo stato di congelamento nel quale era caduto e iniziò ad elaborare ciò che aveva sentito durante il bacio.
Non sapeva dare a quel miscuglio di sensazioni un nome unico e preciso (anzi, non riusciva a darci neppure una sillaba o un suono precisi) ma, al ripensarci, sentì le guance imporporarsi alla velocità della luce e ne ebbe quasi paura.
Strinse la coperta sotto di sè, fissando il soffitto senza davvero farci caso, immerso in una valanga di suoi problemi e pensieri, a volte sconnessi fra loro.
Cosa gli stava succedendo?
Perché aveva sulle guance quel rossore provocato al ricordo del contatto e da in particolare quel bacio del cacciatore?
Davvero si era innamorato del cacciatore, o era solo invaghito?
Nel secondo caso c'erano chance che riuscisse a reprimere tutto ma nel primo caso... avrebbe fatto prima a farsi il segno della croce.
Tutte le spiegazioni razionali che evitassero i sentimenti gli sembravano così impossibili. Non era mai arrossito dall'imbarazzo per cose di così poco conto con il castano da tanto. Quel mostro gli aveva fatto ben di peggio.
Eppure era rosso peggio di un peperone e il cuore batteva all'impazzata; con lo stomaco a dargli corda. Sentiva una sensazione indistinta all'inizio dell'esofago; ma non sembrava propriamente disgusto, anzi, tutt'altro...
L'unica opzione razionale al 1000% era che si fosse preso un malanno; altro non poteva essere! La febbre, un colpo di freddo, un mal di gola, un mal di pancia... doveva essere per forza qualcosa di quel calibro!
"C'è sempre l'altra opzione..." si disse nella testa, scacciando subito quell'idea scuotendo con frenesia la testa per qualche secondo.
Non poteva essere categoricamente quella opzione.
Non l'avrebbe accettato così facilmente, anche perché era del tutto illogico! No, no, no... non poteva! Non voleva fino in fondo credere che fosse quella cosa lì!
Eppure sembrava anche così possibile... ma non sapeva che fare. Però non poteva neppure chiedere alle cameriere, che forse l'avrebbero reso solo più confuso. Tra l'altro neppure sapeva bene come descrivere il tutto se non con quattro parole: "Un fottutamente grande disastro"; e di sicuro non era tanto di aiuto ai suoi probabili interlocutori.
La sua mente vagò ancora una volta a quello successo poco prima e sentì le guance diventare ancor più calde quasi all'istante, con le orecchie che fremevano impazzite e la coda che si muoveva agitata arricciandosi su sè stessa, stendendosi successivamente per scatenarsi ancora, per poi ripetere quel piccolo ciclo di azioni.
Ad accorgersi di tutti quei piccoli fattori alzò la testa di scatto dalle ginocchia, togliendo le mani dalle tempie e distendendo le gambe sul letto. Quel movimento di coda era così chiaro.
L'aveva visto così tante volte da piccino a due adulti in particolare. Sapeva bene cosa significasse, visto che l'aveva pure chiesto.
La sua interlocutrice sorrise a quella domanda e, accarezzando una guancia al piccolo Thomas, rispose: <Se mai, da più grande, le tue orecchie fremeranno come se sentissero mille suoni diversi tutti assieme e la tua coda si agiterà come se non fosse più sotto il tuo controllo...>
<Come succede a voi due!> esclamò precisando la piccola zazzera nera, facendo sorridere la donna con cui stava parlando.
<Esatto Thomas. Se ti capiterà come a noi due, vorrà dire che...>
<...mi sono seriamente innamorato...> dichiarò in un sussurro rivolto al soffitto il kitten, non sentendo più dentro di sè solo quel dolce calore al rievocare il ricordo; ma pure una strizza alle budella inconfondibile.
Aveva paura.
Una paura enorme e fottuta perché si era per davvero innamorato dell'ultima persona al mondo che avrebbe logicamente mai dovuto amare.
Si era innamorato di Jonathan Right.
[N/A: se non vi è già finita, potete pure smettere, comunque, di sentirla se vi va. Diciamo che era consigliata per questa parte di testo ma è sempre una musica, piacevole da tener sotto al testo che si sta leggendo]
•~-~•
Intanto Jonathan, uscito di casa sbattendo la porta di ingresso violentemente, si mise la musica nelle orecchie; iniziando a scarpinare lì intorno per la campagna. I pensieri fluivano veloci coi suoi passi, ritornando lì dentro e rimanendo in tanti ad affollare la sua mente.
Rischiava un'emicrania, così.
Camminare quando era carico di quei sentimenti lo aiutava a scaricare la tensione ma lo estraniava dal mondo. Per fortuna, abitando in campagna, non aveva troppi problemi di traffico e non era così pericoloso estraniarsi dal resto del mondo.
Mentre baciava il kitten aveva sentito emozioni strane nel suo petto, il cuore si era messo a suonare una danza latina sfrenata a cui avevano preso parte, a distanza, mente e stomaco. Era come rimasto incantato dopo quel bacio.
Una voce nella testa gli diceva che avrebbe voluto di più, che non gli bastava un semplice bacio. Voleva che diventasse una serie di baci come quello e che si protrasse oltre, voleva andare a fondo e non solo per puro piacere carnale.
Il cuore batteva impazzito come quello di un inesperto verginello al pensare, adesso, di fare quegli atti con il kitten.
Il bacio aveva confermato i suoi sospetti. Era amore o almeno qualcosa che di sicuro si avvicinava a ciò.
Ma voleva davvero provare a fare quello? Il moro non l'avrebbe mai ricambiato o, se inizialmente lo avesse fatto, si sarebbe rivelato un trucco per ottenere la libertà.
La prima ed ultima volta in cui aveva concesso il suo amore e il suo cuore a qualcuno, una lei in quel caso, si era ritrovato con il cuore e la fiducia spezzati. Ed era proprio in quel momento che il primo Jonathan, quello originale, se ne era andato, per lasciare al suo posto una maschera fredda e insofferente. I ricordi lo assalirono, dolenti come mille aghi.
"Era appena ritornato a casa dopo aver avuto una giornata stancante a quello stupido lavoro al bar che si era procurato, per non dipendere dal padre.
"Visto che non ha speso soldi per mia madre quando ne aveva bisogno lei non userò quei soldi che non mi spetterebbero. Anzi, qualsiasi denaro venga da quel coglione è schifoso." si diceva ogni giorno, quando doveva alzarsi per fare il suo turno, di notte, di giorno o prolungato che fosse.
La madre era morta da ben già un anno. I rapporti con il padre, già aspri, diventarono ancor peggio e rinnegò nella sua mente la sorella, per lui Emma non era più una sua parente.
Lui non era più un Right, o almeno non era un Right di quella famiglia americana del cazzo.
Era il Right della famiglia italiana Esposito.
Era il Right buono di sua madre.
Salì al piano di sopra della enorme casa di famiglia, nella quale doveva ancora rimanere dato che non aveva abbastanza soldi per andare a vivere da solo. Appena passò davanti la camera del padre sentì gemiti rochi e maschili provenire da dentro.
"Starà avendo sesso con una di quelle sue solite puttane. Da quando mamma mi ha lasciato da solo qui non ne sa fare a meno, quello stronzo..." ma i suoi pensieri vennero interrotti da un gemito femminile molto acuto, e quasi intonato.
Riconobbe quel gemito alla perfezione. L'aveva sentito pure la sera prima e anche alcune più addietro.
"No... non può essere davvero lei..." si disse, appoggiando l'orecchio alla porta di legno scuro.
Una voce femminile iniziò ad ansimare: <Oh... oh mio dio! Lì! Lì! Proprio lì! AH!> un gemito più acuto degli altri e altri grugniti maschili.
Quella voce... Era la sua.
Aprì la porta senza difficoltà, il padre non la chiudeva mai, e quello che vide dentro lo pietrificò.
La sua fidanzata, Ylenia Baudelaire, la persona a cui aveva dato il suo cuore e confessato i suoi problemi e ansie, era sotto sua padre; mentre veniva fottuta da quell'essere che odiava con tutto sè stesso.
<TU?!> urlò con la costernazione alle stelle.
E anche il disgusto.
Soprattutto quello.
E si diede dello stupido.
Stupido perché aveva pensato di potersi fidare di una ragazza del calibro di Ylenia.
Col sogno che aveva e con il corpo che possedeva era ovvio, a pensarci a ritroso, che fosse solamente una scalatrice sociale che voleva solo per raggiungere il padre o direttamente i suoi scopi e perciò gli agganci giusti. E lui si era fatto abbindolare come un pollo, contornando il tutto dando sinceramente il suo cuore a quella falsa.
La bionda aprì un occhio e, realizzando chi ci fosse sulla soglia, li spalancò entrambi e fece strozzata: <J-Jon...>
Il castano, in uno sguardo gelido che ancora non era da lui, impose: <Non chiamarmi così. Non ne hai il diritto, puttana.>
Voltò appena lo sguardo verso il padre, leggermente confuso ma maggiormente stizzito dall'interruzione, e disse: <Padre, ti sei scelta una maestra nell'ambito, pagala bene e cerca di darle una bella spinta nel mondo lavorativo dei suoi sogni, mh?>
E poi, con un sorriso tirato, palesemente falso, ma pregno di cattiveria, notò: <Oh, e scusatemi per l'interruzione.> e buttò lì una risata amara come intermezzo.
<Vi lascio ai vostri "affari". Buon proseguimento.> concluse e si chiuse dietro la porta.
Lasciò alle proprie spalle il vecchio Jonathan Right quando si richiuse dietro quella porta.
Raggiunse camera sua, chiuse la porta in betulla gialla laccata color panna e, accasciandosi contro questa, pianse un'ultima volta.
E a lungo.
Pianse, pianse e pianse quel pomeriggio, e quella sera si rifiutò di scendere a cenare o di aprire la porta a chiunque venisse.
Perfino alle chiamate di Jack, che era stato avvertito del fattaccio da Emma nella speranza che almeno lui potesse rinsavire il fratello, vennero ignorate.
Jonathan passò l'intera serata e notte ad alternarsi a momenti di pianto ad autocommiserazione e, verso la mattina, spuntò un nuovo sentimento.
Una gelida rabbia. Un mostro contenuto anni dentro di sé, recondito nel suo DNA di Right stava finalmente sgusciando fuori dalle grandi crepe nella muraglia che avrebbe dovuto contenerlo lontano dal controllo.
Il mostro prese possesso del castano.
Quest'ultimo, quando quella mattina andò in bagno, si lavò il viso e sbatté due volte gli occhi, ma senza riuscire a cambiare mimetica facciale.
Il volto piatto, come lo specchio di un lago in una placida sera estiva, gli occhi neri che parevano due buchi neri capaci di risucchiare qualsiasi cosa e che trasudavano freddezza e inespressività. La bocca, la linea delle labbra, dritta come una riga, e seria; quasi spaventosamente.
Jonathan, nei suoi capelli ed occhi scuri e quei lineamenti facciali rigidi, ci vide il padre.
<Io non mi innamorerò mai più. Oltre alla famiglia rinnego pure quello schifoso sentimento. Anzi, tutte le emozioni. Rendono deboli, e io non voglio ostacoli. Io sono Jonathan Right, sarò l'uomo senza debolezze.> e, dicendosi quelle parole, uscì da lì, pronto ad iniziare una nuova vita."
A ripensarci a Jonathan venne il magone, ma scacciò quella fastidiosa sensazione. Oramai quel Jonathan era passato, ma non senza fare cazzate.
Almeno c'era di buono che avesse "caldamente e gentilmente" mandato a farsi fottere Ylenia. Quella era stata l'unica cosa positiva fatta in quel periodo.
Si accorse di essere quasi ritornato a casa quando la vide nel suo campo visivo, in fondo. Il suo giro di un'ora era già finito.
E lui lo aveva trascorso perso nel mare di pensieri e ricordi ma... era punto e a capo.
Non aveva ottenuto alcuna risposta. Non sapeva che fare. Voleva davvero... buttarsi in un'altra pazza follia.
"Beh, credo che questo Jonathan sia anche durato troppo." si disse, mentre raggiungeva casa e apriva la porta.
In quell'ora di libertà, nel mentre assimilava il concetto dell'innamoramento, Thomas si ritrovò a girare perennemente intorno ad una grande domanda "Che fare?"
E quella domanda poteva dividerla in due opzioni: "Ci provo?" o "Non ci provo?"
Emise un verso frustrato, dopo venti minuti buoni che rifletteva sui pro ed i contro delle due opzioni.
Balzò in piedi e, sospirando pesantemente, andò in bagno a sciacquarsi alla faccia. Vedendosi allo specchio notò alla perfezione l'aria di spossatezza che aveva addosso.
Strinse con forza l'asciugamano di cotone che aveva in mano, frustrato.
<Non voglio essere rinchiuso ancora di più di adesso, ho deciso.> decretò il moro a voce alta; già pentendosi in una piccola parte della scelta fatta.
Era ormai chiaro per entrambi cosa avrebbero scelto dopo quel bacio che aveva concretizzato le teorie degli amici. Era una decisione piena di paure, erano pronti a pentirsene in un angolo della mente e a darsi dei cretini. Ma allo stesso tempo, gran parte della mente, e il cuore stesso, urlavano che era la scelta giusta e ciò li confortava un pochino.
"O la va o la spacca" sarebbe stato azzeccato ai loro pensieri perché era quello che avevano deciso.
Ci avrebbero provato. Si sarebbero buttati.
Volevano provare a non essere schiavi di loro stessi.
Volevano provare ad amarsi l'un l'altro.
N/A: scusate per le ore di ritardo. Sono una persona pessima ma ho avuto una grande quantità di impegni e scrivere settimanalmente capitoli di questa lunghezza, da studentessa di seconda superiore, è tanto.
[E io stupida che voglio provare a portare un'altra storia in contemporanea... che mi dice la testa?!]
Chiedo ancora scusa ma spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi saluto!
Alla prossima settimana!
P.S.: siamo già a oltre 5,5K letture e ogni capitolo ha minimo 100 visualizzazioni... sono commossa. Sono contenta che questa storia vi piaccia e spero che le ore di ritardo possano essere compensate dal capitolo stesso.
Comunque ora smetto di rompervi, ciao.
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