Capitolo 26

[N/A: capitolo di 5000 parole circa. Contro i soliti da 3000-3400. Apprezzate lo sforzo anche se ci sono punti che mi convincono meno di altri. E chiedo scusa per le ore di ritardo. Spero che il supplemento di più di 1500 parole rispetto al solito basti come scusa, anche se questo mattone è venuto fuori senza rendermene conto.]

Quando, la mattina successiva, le due cameriere entrarono e videro i due stretti in un abbraccio e con entrambi un sorriso sereno in volto... fecero diverse cose prima di interrompere quel momento. Prima di tutto appoggiarono i vassoi delicatamente sulla scrivania e poi Cassandra si concesse di unire le mani e fare un'espressione molto equivoca, che fu ricambiata da un sorriso furbetto da parte della rossa.
Poi andarono un attimo in corridoio e la bionda saltellò allegra, producendo un verso stridulo mentre Elizabeth ripeteva come in trance: <Si sta avverando>.

Calmatesi dopo qualche minuto, rientrarono, fecero un servizio fotografico coi cellulari in silenzioso e senza flash per non svegliare i due soggetti ed infine si degnarono di pensare a svegliargli. Rimisero accuratamente il cellulare in una tasca del vestito, chiusa con una zip bene nascosta, ripresero in mano i vassoi e poi bussarono alla porta con certa forza; inscenando di star appena entrando.

Assestato qualche colpo forte sulla porta in legno scuro, le orecchie di Thomas captarono il rumore e così il moro si svegliò. Si rese conto di essere avvinghiato al cacciatore e sentì le guance imporporarsi e il cuore battere forte dall'imbarazzo e non solo. Provò a scostarsi piano per evitare un brusco risveglio al cacciatore ma Jonathan, su quel campo, era sensibile nel sonno e appena il kitten tentò di muoversi venne inglobato con forza tra le braccia del castano.
Quando però questi aprì gli occhi e la sua razionalità si rese conto di essere abbracciato al kitten, sveglio, e che non era presente solo lui nella stanza, lasciò immediatamente la presa e quasi lo spintonò via.

Le risatine mal soffocate delle due cameriere distolsero i due momentaneamente da una vagonata di imbarazzo e disagio, mentre queste appoggiavano i vassoi con la colazione sulle loro gambe; mentre questi cercavano di darsi un contegno mentre si sedevano.
<Buona colazione> augurarono le due con un leggero inchino ed un vistoso sorriso divertito, uscendo subito in fretta da lì; facendo scattare la serratura come al solito.
Quando le due uscirono, la vagonata di disagio arrivata prima venne scaricata su di loro ed un silenzio teso si protrasse nel tempo e nella stanza.

Jonathan non aveva neanche avuto l'illuminazione di accendere la televisione per vedere il telegiornale e perciò gli unici rumori che c'erano erano quelli dei loro vassoi, nel mentre che mangiavano. Beh, uno si affogava nel cibo e uno aveva lo stomaco chiuso.
Con l'ansia e lo stress Jonathan aveva il problema del mangiare tanto come un buco senza fondo, ma per fortuna la sua linea (data ancora la gioventù) non ne risentiva ancora di quel suo modo di fare. Invece Thomas era l'esatto opposto: con quei sentimenti negativi così forti la testa si riempiva, lo stomaco si svuotava e rinsecchiva su sè stesso come una foglia in autunno.
Il cacciatore spazzolò via tutto, mentre il moro ebbe problemi anche solo a mangiare un cornetto e bere un po' di latte caldo. E la situazione si aggravò a causa dei cornetti e dell'ingordigia del cacciatore unita alla sua sfrontaggine, visto che agguantò un croissant dal vassoio del kitten.

O almeno tentò e fallì miseramente visto che il moro aveva provato ad agguantarsi la pasta sua di legittimo diritto nello stesso momento in cui l'altro gliela provava a fregare. Si ritrovarono con la mano del cacciatore sopra quella di Thomas, che stringeva quasi convulsamente il cornetto a causa di quel contatto inaspettato quanto pieno di imbarazzo e confusione.
Jonathan ritirò la mano come scottato e, ripreso un minino controllo su di sè, fece: <Avevo fame. E, nel mezzo del momento, ho provato a prendere il tuo cornetto.>

Non aveva detto espressamente "Scusa", ma era bene sotto inteso e il moro lo capì. Perciò sorrise e gli porse il croissant mezzo premuto: <Se vuoi, tieni. Tanto non ho fame. E... scusa per le condizioni del cornetto. L'ho un pochino schiacciato senza volere.>
Alle sue stesse parole rise poco e nervosamente, mentre però sfoggiava un suo radioso sorriso. Jonathan pensò che quel sorriso fosse particolare e, in un certo senso, magico: era disarmante e probabilmente avrebbe potuto uccidere dalla tenerezza.

Scosse la testa leggermente, dandosi del cretino per fare comunque quei pensieri e rispose: <Nah, tieni pure. Devi mangiare anche tu e pure tanto, visto che sei uno stecco...> rispose il cacciatore, alzandosi dal letto per rifugiarsi in bagno e fare pure una veloce lavata.
<Che ci posso fare se è la mia linea questa...> borbottò il kitten come contrariato, mentre addentava un microscopico lato del cornetto, tentando di mangiare pure quello.
Lo sapeva pure lui di essere abbastanza pelle ed ossa ma, ehi, era certo di essere ingrassato da quando era arrivato lì. Non era diventato tanto più in carne perché il suo metabolismo e il suo corpo non glielo permettevano ancora e poi, anche se non poteva muoversi come quando era libero, faceva del proprio meglio per fare qualche ora di attività al giorno.

La porta del bagno che sbatteva, chiudendosi, riscosse il moro dai propri pensieri. Momentaneamente solo nella stanza, il silenzio era di troppo e gli dava noia, così si sporse verso il comodino dal lato del cacciatore e afferrò il telecomando; andando subito su Netflix e provando ad iniziare "New Girl", l'ennesima serie TV che le due cameriere gli avevano consigliato ma assicurato che avrebbe trovato divertente e bella da vedere.

Intanto Jonathan si stava sciacquando il viso con acqua proveniente direttamente dal Polo Nord a parere suo, tentando di darsi un contegno mentalmente. Si dava ripetutamente dell'idiota per i pensieri che stava facendo su quel kitten. Aveva capito, quel moro aveva iniziato a fare breccia dentro il suo spessore di falsità e freddezza con la sua genuinità, dolcezza e luminosità ma... non gli avrebbe permesso di infrangere quella sua barriera.
Aveva provato a fare il dolce solo per la sera precedente e si era ritrovato in ben due situazioni scomode e che lo avevano scosso da capo a piedi attraverso brividi. Ed erano pure stati piacevoli.
Una parte di lui stava cercando rimanere ciò che era diventato, un'altra parte provava a farlo essere dolce perché era giusto vivere provando emozioni. E non sapeva bene che fare.

"Tentiamo un'altra volta!" ribatté una voce nella sua testa, mentre un'altra urlava "NO! NON INFRANGERE QUELLA PROMESSA"
Jonathan, uscendo poi dal bagno scosse la testa, dicendosi "Le promesse sono impossibili da mantenere, ma almeno per un po' ce l'ho fatta. Ritentiamo. Qualcosa mi dice che non sarà così male."

Intanto il moro era stato assorbito dalle vicende di Jess nel primo episodio della serie, lasciando in secondo piano il problema "Right". O almeno finché il cacciatore rientrò in camera con la maglietta in mano, lasciando il suo petto tonico scoperto.

Thomas, guardandolo solo con la coda dell'occhio, si ritrovò comunque a sentire la morsa sullo stomaco farsi più stretta, la salivazione maggiorata e il viso caldo come un forno. Perciò gli fu difficile ingoiare quel boccone di croissant, ingerendo pure un bel po' di saliva.
Subito dopo, quando il cacciatore gli diede le spalle per prendere la camicia ben piegata sulla scrivania, la sua bocca divenne arida improvvisamente peggio del deserto del Sahara. Le spalle larghe, le scapole sottostanti a prosperosi muscoli e le vertebre appena visibili mentre stava leggermente chinato mandavano il kitten ai pazzi; sentendosi notevolmente inferiore a quella bellezza da statua greca, brutto perfino. E ancora non voleva ammettere che provasse qualcosa, si giustificava con il fatto che stava solamente esaminando e apprezzando l'altro.

A quelle sue stesse cavolate si diede diversi buffetti sulle guance, chiamandosi "Stupido" almeno una ventina di volte prima di rifissare lo sguardo alla TV, sulla quale si stava vedendo il primo tra i mille modi pazzi della protagonista Jess.

Quando Jonathan uscì dalla stanza, chiudendola rigorosamente a chiave, gli rivolse una occhiata che in un primo momento pareva quasi dolce. A quel gesto Thomas sentì il cuore fare un tuffo, ma che non gli pareva, su due piedi, da un vero e proprio spavento. Anzi, era anche peggio.

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Per Jonathan la giornata a lavoro era stata tranquilla e monotona come al solito, per fortuna a detta sua. Arrivato a casa e salito in camera si bloccò sulla soglia. Stava diventando un vizio, si disse in un angolo nella testa mentre fissava il kitten avanti a sè.
Non aveva più i lunghi pantaloni da tuta della mattina, cambiati con dei pantaloncini elasticizzati che gli arrivavano a metà coscia al massimo, risaltandogli il fondoschiena.

E la maglietta... era abbandonata al suo destino sul letto, mentre il moro era di tre quarti davanti allo specchio sull'armadio e si fissava la schiena e passava un dito sul fondo della pallida cicatrice che lo percorreva dalla scapola fino al fianco in trasversale.
Peccato che il moro si fosse girato verso di lui a causa dello scattare della serratura e ora lo fissava, con il busto ancora in torsione, ma completamente rosso in volto e sulla punta delle orecchie.

<La prossima volta che aprirò la porta che cosa mi ritroverò davanti? Ora faccio partire le scommesse tra me, me stesso e me medesimo...> fece ironico il cacciatore, entrando e chiudendo a chiave dietro di sé. Il moro si sbloccò e si girò totalmente verso di lui, ma ancora impossibilitato a muovere i piedi sul serio e arraffare la maglietta per qualche arcano motivo.

Il castano si perse un attimo a guardare il corpo del kitten davanti a sè.
Il petto era glabro, ad eccezione di una leggera penuria che, da appena sopra l'ombelico, scendeva in una linea immaginaria ed andava a sfociare al di sotto del ventre, dove poi iniziava l'elastico dei pantaloncini e nascondeva alla vista il resto della pelle. Quest'ultima era chiara, era vero, ma Jonathan la definiva pallida solo perché lui la comparava con la sua, olivastra dandogli quell'aria di perenne abbronzato. Invece Thomas aveva la pelle rosata e leggermente più chiara sul volto, dando l'aria che avesse un sottile strato di cipria sulle guance, facendo da contrasto a quei pochi peli su ventre/pancia, braccia ed ascelle; ma che non davano il volta stomaco come su altra gente invece dava.

Stettero in silenzio per un minuto buono, poi sentirono dei passi sulle scale e delle voci parlottare ad inizio corridoio.
O almeno quei suoni li percepirono le orecchie iper-sensibili del kitten, che scattò verso la maglietta che si rimise in un baleno. Quel gesto spezzò quella sorta di trance che si era creata tra i due.

<Che stavi facendo?> chiese il cacciatore, non ricevendo risposta perché una mano bussò alla porta.
Il castano si iniziò a slacciare la cravatta mentre decretò in un mezzo sospiro: <Avanti.>

Le due cameriere entrarono leste e lasciarono i vassoi con il cibo caldo e fumante, augurando buon appetito. Solo quando si misero realmente a guardare i due, percepirono la carica e la tensione che si era venuta a creare in qualche strano modo. Ed Elizabeth notò chiaramente come il loro piccolo amico fosse rosso in volto e si stesse tenendo spasmodicamente giù la maglietta.
Un comportamento giusto un pochino insolito e non da "certa" situazione.

Non disse ovviamente nulla finché entrambe non uscirono ed ebbero chiuse a chiave.
Spiegò quello notato in frenesia alla bionda, la quale rispose: <Io invece ho notato che Jonathan non si era per nulla cambiato. Di solito, almeno, si è già tolto la camicia! Qui gatta ci cova e noi lo scopriremo!>
E tutta risoluta scese, non sapendo ancora che quel pomeriggio avrebbe dovuto dannare sè stessa, sia Elizabeth e pure il moro per poter estorcere a quest'ultimo una qualsivoglia informazione.
Ottenuto il resoconto si era messa a saltellare contenta, mentre la rossa la guardava mezza scettica e quasi spaventata. Cassandra era contenta per un motivo ed Elizabeth l'aveva capito: la prima aveva sentito nell'aria l'inizio della sbocciatura del fiore dell'amore, sentimento che stava iniziando a fare radici inconsciamente dentro ai due.

La rossa era invece spaventata da quello perché, in fondo, non era normale una cosa del genere. O, almeno, non lo sarebbe stato con gli altri.
Con Thomas non era malato all'ennesima potenza, ma non troppo lontano ci andava. Comunque rapimento e soprusi erano inclusi nel rapporto tra i due. E di sicuro quello che me sarebbe sbocciato, se fosse nato, sarebbe stato contorto e travagliato. O almeno così pensava.
Ma non ne fece parola né col kitten né con l'amica, che tentò di trascinare fuori dalla stanza da letto ridacchiando fingendo.

E rispose allo sguardo perplesso di Thomas con ironia: <La droga in circolo ha iniziato a farle effetto. Meglio che la sedi con dei Kit-Kat presi da casa prima che degeneri. Alla prossima, compagno nanetto.> e chiuse dietro di sè la porta.

•~-~•

Passarono altre due settimane e ben un mese e mezzo erano trascorsi da quando Thomas era stato catturato dal cacciatore in quella mattina di uno dei primi giorni di marzo. Oramai il calendario segnava il 20 di aprile e la primavera era in pieno svolgimento.
Il grande giardino della villetta, rinsecchitosi durante autunno ed inverno, stava ritornando rigoglioso e Jonathan si stava già organizzando a cercare un giardiniere a buon prezzo a cui chiedere servizio una o due volte settimanalmente.

Il Sole stava ritornando a scaldare la terra e le persone con il suo tepore, soprattutto i kittens nascosti nelle città rischiavano la sorte e la loro stessa libertà per spingersi in orari come il mezzogiorno su tetti ed edifici un po' isolati a riscaldarsi ai raggi solari. Oppure, per godere raggi più dolci e ammirare della magia poetica del momento, si arrampicavano coi loro artigli sui grandi alberi dalla foglia larga come le sequoie e le querce, che stavano pure loro ritornando verdi e brillanti, ad orari come il tramonto o l'alba in cui gli ultimi o i primi raggi solari facevano capolino all'orizzonte e tingevano il cielo di mille colori caldi.

Thomas avvertiva la grande disperazione di non poter fare lo stesso, poteva solo gustarsi i raggi che entravano dalla finestra perennemente chiusa e messa in sicurezza.
Ma non era lo stesso.
La zanzariera e il vetro della finestra stessi erano filtri.
E quindi era rimasto negli ultimi giorni, in cui il sole spuntava sempre senza nuvole ad accompagnarlo, molto sconsolato.

Ma, se da un lato aveva quello sconforto, dall'altro c'erano imbarazzo e disagio; alternati a momenti di divertimento e di piacevole confusione interna.
La sua testa in quelle ultime settimane era rimasta incasinata.
Con Jonathan la situazione, spesso, pareva surreale, dolce e magica e lui che faceva?
Il baccalà imbambolato che arrossiva. Però poi tutto finiva in maniera troppo irruenta e barbara, e lo lasciava con quell'amaro in bocca, lo stordimento nel cranio e il petto in subbuglio.
Da solo non sapeva più che pesci prendere, più cosa pensare e la testa, quando provava a ragionare, gli faceva solo incredibilmente male e doveva desistere dal continuare a scervellarsi.
Oramai aveva deciso, però. Ne avrebbe parlato con le due cameriere, appena possibile.

Poi, per distrarsi da tutti quei pensieri, prese i suoi libri e il quaderno degli appunti, immergendosi in quello studio che lo portava lontano da tutto e tutti, in alto nel cielo che però invece di celeste era tinto di blu e pieno di luci accese che, ai loro occhi, non erano più grandi delle capocchie dei fiammiferi.

Intanto, a lavoro, Jonathan stava facendo il suo personale calcolo di bilancio di metà mese dell'azienda.

Sapeva che i suoi contabili erano affidabili e non erano dei semplici figli di papà che avevano preso la laura pagando contanti profumati, ma era una sorta di scaramantico e preferiva farlo pure da sé.
Si affidava alle sue abilità di calcolo apprese dal padre (una cosa buona gliela doveva riconoscere, gli aveva insegnato bene le basi del mestiere) e faceva minuziosamente i bilanci tenendo conto delle entrate, delle uscite, dei liquidi presenti, del valore delle proprietà e dei macchinari posseduti. Insomma, stava facendo un lavoro coi fiocchi e minuzioso come al suo solito.

Solo quando una emicrania forte prese a tempestargli le meningi si costrinse a lasciare un attimo lì il lavoro.
Si tolse gli occhiali, che non servivano per correggere qualche suo problema da miope o presbiterio, ma erano lenti apposta da ridurre la dannosità della luminosità degli schermi artificiali.
Fin dagli albori del suo lavoro in azienda aveva avuto grande riguardo per la sua vista, che con sua fortuna non si era danneggiata nello sviluppo adolescenziale.

Osservò la scrivania, ingombra più del solito e disordinata. Le uniche cose al loro posto erano una decorativa clessidra con dentro polvere di ferro, molto estetica e rilassante da osservare e la targhetta fintamente dorata con inciso nel metallo "J.Right" e in più piccolo, sottostante al suo nome, c'era scritto "Direttore e capo aziendale".
Il suo laptop, un MacBook di ultima generazione, non era chiuso e riposto alla sua destra o aperto senza nulla attorno; infatti, acceso, troneggiava su un libro aperto su pagine a metà del volume stesso. Il non troppo spesso tomo riguardava il bilancio finanziario aziendale, cosa era e come si calcolava. Era un libro che Jonathan teneva sempre nel suo ufficio, nel primo cassetto in alto.
In diagonale, verso il basso e a sinistra, c'erano diversi fogli con su i risultati avuti dai suoi contabili con annessi commenti, critiche o complimenti che fossero.
A destra, un'agendina rilegata in pelle nera era aperta su una pagina piena di scarabocchi e calcoli freschi di mattinata.

Il cacciatore giocherellò con le dita con la sua MontBlanc che si era voluto prendere per puro sfizio e soddisfazione personali.
E vagò pochi minuti nei suoi pensieri, che purtroppo o per fortuna si focalizzarono su una sola persona... o, per meglio dire, ibrido.
Thomas.

Quel kitten occupava i suoi pensieri da un bel po' di giorni e ormai l'unico modo per levarselo di mente era sovraccaricare quest'ultima di lavoro. I momenti strani capitavano fin troppo spesso negli ultimi tempi e oramai era come in automatico per lui comportarsi in certi modi.
Non c'entrava più nulla il voler ritornare il vecchio o rimanere il nuovo Right. Oramai l'istinto lo portavano a fare quello e solo dopo averlo fatto si rendeva conto di ciò fatto.

Si massaggiò un attimo le tempie.
Aveva bisogno di riposarsi. E la risposta gli arrivò lampante in mente.
Prese il telefono e mandò un veloce Whatsapp all'unica persona che lo conosceva per bene e a cui ancora rivolgeva piacevolmente la parola, prima di ritornare a lavorare; inforcando gli occhiali sul naso.

Quel pomeriggio avvertì le due cameriere, quando esse entrarono in stanza per riprendere i vassoi dopo il pranzo, che quella sera lui non avrebbe cenato lì e che solamente nel loro lavoro cambiava la quantità di persone da sfamare: una sola, il moro.
A sentire quella sentenza il moro sgranò gli occhi, ma aspettò l'uscita delle due ragazze prima di parlare.

<Come mai?> aveva assunto un po' di coraggio in quegli ultimi tempi e riusciva con più facilità a parlargli.
Sentiva come se il cuore avesse bungee-jumping usando la trachea come corda, colpendo lo stomaco in pieno nella caduta e poi andando fino alla fine della bocca nell'inerzia dello slancio in alto. Era una sensazione spiacevole, poco ma sicuro.

<Sono fatti miei.> tagliò corto il castano, sulla difensiva.
E ne risentì. E gli parve molto verosimile il pugno che sentì arrivargli alla bocca dello stomaco quando vide l'espressione abbattuta del kitten a causa sua. Quasi quasi volle che il materasso lo inglobasse in sè e lo facesse scomparire, tanto infimo quale era per aver risposto sgarbato a quel modo.
E solo una sua microscopica parte urlava dicendo che era uno smidollato. Ma, essendo appunto piccolissima, il resto di Jonathan non ascoltò quella vocina o la deliberatamente ignorò mentre si sentiva male.
Ma voleva proteggersi un'ultima volta. Perché se era davvero quello di cui aveva paura... appena gli fosse stata sbattuta in faccia la verità non ci sarebbe stato scampo.

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<Ehi, Jon! Era da tanto che non ti vedevo! Sempre oberato di lavoro, eh?> ridacchiò Jack, gioioso come al solito.
"Eppure é una luminosità diversa da quella di Thomas" paragonò una vocina piccola nella sua mente, mentre ricambiava con un gesto del capo e della mano il saluto del suo migliore amico.
Ecco chi aveva invitato e scelto nella sua mente come consulente emotivo/psicologo per quella serata, mascherando il tutto per una cenata in amicizia.

Andarono in un semplice ristorantino e mangiarono due begli hamburger che non avevano nulla a che fare con quelli schifosi (a detta di Jack) del McDonald's. Scherzarono come due amici, senza che il cacciatore venisse riconosciuto (benedetto il giorno in cui bastava non urlare la propria ricchezza ai quattro venti e nessuno ti riconosceva) e Jonathan gli fu grato.

Aveva bisogno di distrarsi.
E Jack ci riusciva solamente con la sua presenza, irradiante di gioia in ogni singolo momento.
Si chiese come fosse vivere stile il suo migliore amico, e cioè con il sorriso sempre in volto, e la sua risposta mentale fu "Sicuramente meglio di molti altri, tra cui me."

Satolli, Jack si abbandonò alla panca di legno dietro di sè e mentre sorseggiava un espresso lungo per digerire il tutto, fece: <Ed ora, signor Right, mi spieghi cosa ha.>
<Come, scusa?> chiese il cacciatore.
Jack fece un sorriso furbino, con gli occhi che luccicavano divertiti. <Mi sembra ovvio che ci sia qualcosa che non vada. E non solo perché sei stato tu a proporre questa cena...> iniziò Mondpint, nel mentre che Jonathan si malediceva.
Era ovvio in quel modo che ci fosse qualcosa sotto, dannazione.

<Ma anche perché sei stato più espansivo questa sera. Era da tanto che non ti vedevo così e ti farebbe benone esserlo sempre. Devo supporre che hai trovato qualcuno che ti ha cambiato?> chiese infine, cogliendo il centro del discorso, praticamente.
<Ottima deduzione, Sherlock.> lo prese in giro il castano, in leggero sorriso triste in volto.
Proseguì.

<Una specie. Ma... il problema è che non so definire cosa sia! A passare troppo tempo a non provare e sopprimere emozioni che quando ritornano a galla è difficile capirle...> e bevve l'ultimo sorso del suo caffè lungo, chiudendo un attimo gli occhi a far mente locale.
<Mh... vediamo come posso aiutarti.> borbottò a mezza voce Jack.
<È già tanto che tu non mi abbia mandato a 'fanculo. Anche perché pare che io ti stia usando.> fece in un sussurro il cacciatore, ricevendo dietro una sorta di ammonimento: <Sei mio grande amico. Per te commetterei omicidi.>

Poi, con sorriso più allegro e tono più sereno, fece: <In presenza di questa persona... come stai? Sei sempre sia imbarazzato che contento?>
<È come se il mio cuore battesse più forte, contento, e intanto il cervello cercasse di farsi male sbattendo contro la scatola cranica neanche fosse una pallina rimbalzante.> commentò il cacciatore con grande difficoltà, dopo un minuto buono in silenzio.

<Mh. E... quella persona... quando la vedi, non saresti curioso di vedere come è sotto ai vestiti. Intendo, vederla in intimo, senza maglietta o cose del genere?> chiese Jack, con sorrisetto mezzo perverso.
<In realtà l'ho già visto senza maglietta e l'ho guardato come uno stoccafisso per un minuto buono.> ammise imbarazzato il cacciatore, pensando che tutto stava prendendo la piega che pensava. Era quello.
<Da come hai messo il genere hai nomi e pronomi devo intuire che é un ragazzo, mh? Ogni tanto dimentico che sei bisex, Jon.> ridacchiò Jack.
<Che migliore amico con la memoria da pesce rosso che mi ritrovo...> fece sarcastico, causando la risata dell'amico e un suo stesso sbuffo divertito.

<Comunque... Ora ci sarà la prova del nove. La domanda finale. Ciò che decreterà tutto...> iniziò solenne Jack, alzandosi però per andare a pagare.
<Dilla e basta!> sbottò il cacciatore, alzando gli occhi al cielo a quella non necessaria pomposità, mentre seguiva l'altro.
<Tu il patos non sai che é?> borbottò il ragazzo, prima di scuotere la testa.

Pagò lui la cena per entrambi, riusciremo a vincere in un veloce battibecco con Jonathan.
Il fresco che ancora regnava la sera e il cielo già stellato accolsero i due amici all'esterno.

Solo allora Jack si concesse di continuare: <Ok, andrò dritto al punto. Come definiresti tutto questo mix di emozioni? In una sola parola, mi raccomando.>

Jonathan dubitò un secondo prima di dare la risposta.
Forse quella era la domanda che rendeva certo che non fosse quello di cui aveva timore.
Era impossibile con la sua risposta.

<Non lo so. È impossibile da descrivere. È... solo una marea di sensazioni contrastanti ma che, in fondo, non posso disprezzare totalmente. Ed è anche per questo che sto impazzendo.> ecco, lo aveva ammesso.
Ma ancora non sapeva il verdetto, non sapeva se quell'emozione lì si voleva riprendere la vendetta.
<Allora è palese ciò che provi, mio caro.> decretò Jack.

Il ragazzo fissava avanti a sè il cielo buio con pochissime stelle quella sera ma compensava la generosa Luna, faro nel mare oscuro della notte. Un sospiro divertito lasciò le labbra di Mondpint, calciò un sassolino lì vicino e con una piroetta sul posto, fatta su un solo piede, diede il suo giudizio: <Ciò che provi tu è...>

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Intanto, alla villa di Right, la situazione non differenziava troppo.

Pure Thomas aveva deciso di ricorrere a delle neo-consulenti su due piedi per risolvere ciò che una parte di sè già sapeva ma che voleva ignorare deliberatamente e far finta che non esistesse. E infatti stava sbocconcellando qualcosa della cena, con lo stomaco chiuso dall'ansia come negli ultimi giorni; i più intensi e stressanti anche a causa della mancanza dei raggi del sole direttamente sulla sua pelle.

<Quindi... ciò che provi per Right non è più solo odio, mh?> chiese retorica la rossa, mangiando dal suo contenitore la cena che si erano preparate con i loro ingredienti ma in quella casa.
<Ma non credi di sapere che sia...> continuò Cassandra, masticando come un ruminante e con poca grazia dell'insalata.
<Non è che non credo di saperlo... non lo so direttamente!> sbottò il moro.
<Mh. Sì, come no. Secondo me tu dentro di te lo sai, ma non lo vuoi chiaramente ammettere!> balzò su la bionda, sporcandosi la guancia da sola come una bambina.

Se ne rese conto e, ritornando il più composta possibile, si pulì con una mano per poi aggiungere: <Comunque hai fatto bene a chiamare noi due. Siamo le migliori nel campo di "Conforto delle persone e analisi dei loro sentimenti".>

Elizabeth guardava leggermente male la bionda, così apparentemente entusiasta di sentire certe dichiarazioni dalla bocca del moro, mentre lei no. Non voleva ciò, in fondo. Era per certi versi malato.
"Ma in fondo le migliori storie sono quelle più travagliate. E poi... sarà quel che sarà." si disse la rossa e con quelle parole si convinse per qualche minuto anche perché, se c'era qualcuno che aveva chance di far emergere il meglio di Jonathan Right, quello era di sicuro il kitten davanti a sè.

<Quindi... partiamo con la prima domanda: cosa senti nei momenti più particolari?>
<Ehm... quello che sento è confusionario. Potrei provare a fare un paragone.> un silenzio da parte delle due cameriere lo incoraggiò a continuare: <È come se... tutto il resto sparisse. Ci fossimo solo io e lui.> e le sue guance si tinsero di rosso. Dire ciò gli costava e gli pareva che quella martellante vocina gli stesse urlando quella parola.
Il sorriso di Cassandra aumentò.

<Quanto spesso avvengono questi momenti e in quale modalità?>
<Avvengono fin troppe volte al giorno.>
<Quantificalo, almeno provaci.> lo esortò la rossa.
<Almeno... due o tre volte al giorno. Ieri però mi é capitato almeno cinque volte. E anche oggi minimo quattro. Che stia aumentando...?> quasi chiese spaventato.
Le due fecero spallucce e la bionda rincarò: <Non hai risposto a tutta la domanda.>
<Davvero?>
<Sì. Non ci hai detto come avviene, se é scaturito da qualcosa in particolare o meno.>
<Alcune volte per dei gesti dolci che, stranamente, mi rivolge. Oppure per momenti che mi stordiscono come quando si cambia e io mi ritrovo a fare il baccalà. O anche a caso, in cui sono io che, senza accorgermene, penso a lui. Non dico che sia frustrante tutto ciò, ma quasi.> spiegò il moro, mentre voleva sparire sotto terra da quale pomodoro maturo era diventato.

<Ultima domanda: saresti definire in una parola tutto questo?> chiese infine Elizabeth.
Il moro scosse la testa: <É impossibile definirlo.>
Cassandra fece un sorriso ampissimo, mentre la rossa pareva spaventata e non si accorse della falsità di quel gesto di felicità.
<IL TRENO PER STOCCOLMA È ARRIVATO! IL KITTEN THOMAS È PREGATO DI SALIRE E DI NON RITORNARE MAI INDIETRO!> ironizzò urlando la bionda, saltando di nuovo in piedi e porgendo la mano al moro.

Quest'ultimo era parecchio confuso.

Elizabeth notò: <Cassy, potrebbe anche essere confusione e/o infatuazione...>
<Mi dispiace, ma con l'infatuazione sai definire cosa provi, con quello no. E con ciò... Thomas, benvenuto a Stoccolma!> e la bionda sorrise troppo vistosamente, e allora Thomas notò come i suoi occhi fossero lucidi e il sorriso falso.

Anche la rossa se ne accorse e, alzatasi in piedi, scattò dall'amica che abbracciò.
Elizabeth fece passare una mano tra i capelli riccioluti di Cassy.
<Allora anche te eri triste...> notò la rossa e l'altra ribatté, in un singhiozzo <Ovvio.> <È comunque di quella sindrome che stiamo parlando. Eppure per Thomas è una bella cosa, e potrebbe rendere migliore pure Right. Renderebbe a tutti noi la vita migliore>
<Cosa dovrei avere scusate? E che c'entra questa Stoccolma?> chiese il moro, non capendo.
<Non sai cos'é la sindrome di Stoccolma?> chiese la rossa e, alla negazione del moro, si guardò seria con l'amica.

Cassandra spiegò, tenendosi comunque appoggiata ad Elizabeth: <La sindrome di Stoccolma è una sorta di "deviazione" mentale che ti fa provare qualcosa di ben diverso dall'odio o dalla paura verso un colui che ti maltratta, nel tuo caso Jonathan...> però poi il respiro tremolò e a Thomas tutto quello fece paura.

Un tale cambio repentino di umore lo teneva a disagio. C'entrava con lui e Jonathan ed in negativo... nulla di buono. Proprio nulla di buono, e il suo timore non era che maggiorato dai volti solennemente funebri delle due.

La rossa lo distolse dai suoi pensieri, continuando lei a parlare: <È quando per il tuo aggressore provi un sentimento all'opposto dell'odio o del normale che si proverebbe. Ed é...>

<Amore.> dissero sia Jack che le due cameriere insieme, ma in due posti diversi, a persone diverse e con tono diverso.
Jack aveva un tono sognatore e quasi divertito, lo stava dicendo al migliore amico dai tempi delle superiori e lo stava facendo fuori da un ristorante qualsiasi. Elizabeth e Cassandra erano tristi e quasi desolate, funeste in volto davanti al kitten loro amico, mentre erano a casa di un altro.

Ma entrambi gli ascoltatori, e possessori di quel sentimento a detta altrui, reagirono nel medesimo modo: il loro viso fu invaso dallo stupore e la loro voce si levò nell'aria circostante con tono sgomentato. Ambedue dissero una sola parola, carica di sorpresa quasi spiacevole: <Cosa?!> perché entrambi avevano paura di quel presunto sentimento.
Ma, come detto prima, ciò che li differenziava gli interlocutori. L'amico del castano supportava il sentimento detto, le due cameriere lo denigravano e quasi speravano fosse tutto falso.

E, nonostante ciò, niente avrebbe impedito a quella morsa mascherata di rosa e fiori di stringerli nelle sue spire tormentate e spinose.







N/A: zan zan zaaaaaan! Ecco qua il chiarimento dei sentimenti dei due protagonisti, anche se entrambi hanno dovuto avere supporto esterno perché altrimenti ciaone.

Ma mica siamo vicini alla fine, pft! Siamo tipo solo a metà della storia, se non cambio nulla all'ultimo!
[E comunque farò ancora un pochino di complicazioni e pare mentali prima che accada qualcosa di bello ih ih]

E chiedo venia per le ore di ritardo ma la scuola mi uccide e io mi sono ridotta a scrivere solo venti minuti prima e/o dopo cena e in bus, all'andata e il ritorno (se non sono impegnata in importanti discussioni) ed entrambi i viaggi durano 25/30 minuti l'uno. E comunque non è mai abbastanza. Però cercherò sempre di fare del mio meglio per portarvi capitoli della solita lunghezza.

Però, devo dire una cosa. Di questo capitolo sono soddisfatta in alcuni suoi punti, in cui credo di aver descritto discretamente la scena. Se voi avete critiche e commenti su trama, personaggi ed evoluzione di quest'ultimi fatemi sapere, che i suggerimenti sono sempre graditi. E dopo questo vi lascio ai fatti vostri. Ciao.

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