Capitolo 25

Jonathan, entrando in casa, stanco ma contento di essere stato in palestra, non si sarebbe mai aspettato lo scenario che lo accolse quando entrò in camera. Il suo kitten che stava guardando uno dei suoi CD che nascondeva celermente e gelosamente.

E Thomas era molto interessato, con un microscopico sorriso sul volto; come se quei ricordi non suoi lo allietassero. Si incazzò in un nano secondo, "punto" sul vivo e smascherato della sua freddezza. Quel Jonathan era così distante da quello che mostrava e lui non voleva che altri sapessero come era prima dell'inizio del "declino".

<CHE CAZZO HAI FATTO?!> urlò, senza rendersene conto; facendo sobbalzare il kitten che fermò il video nel momento più bello e più doloroso da ricordare.
La madre che, sorridente, gli schioccava un bacio sulla guancia; con lui fintamente scocciato.

Quanto avrebbe dato per poter risentire quelle labbra sulle guance, quella voce che lo chiamava e vedere quei sorrisi rivolti solo a lui. Ma lei non era più lì e quei ricordi erano l'ombra sbiadita di un passato ancora bello e radioso.

<I-i-io... h-h-ho trova-a-ato per ca-caso questi C-C-C-CD e...> balbettò vistosamente il kitten.
<E hai pensato che fosse una buona idea guardare filmati che non ti appartengono, mh?> domandò il cacciatore, avvicinandosi al moro.

Si chinò, lo prese per il colletto e lo tirò in piedi; mentre il moro si comportava da inerme bambola di pezza. Ma questo paragone sfigurava e doventava impossibile da fare per via dei suoi occhi verdi; vividi, luccicanti e pieni di terrore.
Il kitten aveva una enorme paura di ciò che gli sarebbe tragicamente capitato, ma aveva optato per non ribellarsi, sperando in una minore pena.

Jonathan sentì la bile dentro e caricò la mano libera in un pugno; potente e pronto ad abbattersi sul corpo del kitten. Eppure si bloccò: il suo pugno alzato non voleva sentire ragione di abbassarsi. Per quanto la sua mente accecata dalla rabbia volesse; il corpo e quella parte calma e razionale di lui glielo impedivano, materializzandosi nelle sue fantasie in un essere invisibile che lo bloccava.

Ma tutto questo come mai capitava?
Nella sua rabbia non c'erano risposte; e ancora una volta dovette sottostare al potere della ragione che gli fece pensare: "Anche io, però, ho saputo della sua infanzia senza che lui volesse dirmelo. Anche io ho conosciuto una piccola parte del suo passato. Anche io ho fatto ciò."

Infatti, da quando erano ritornati dalla cena, aveva piazzato delle cimici per la stanza in un raptus di paranoia; anche per vedere come il kitten si comportasse. Solo guardando la TV o fissando il vuoto, richiuso in quelle quattro mura che lasciavano un'area troppo piccola per poterci vivere tranquilli, era difficile non impazzire.
E scoprì delle capatine delle cameriere dal kitten, in cui parlavano e il moro, a volte, raccontava del suo passato.

Distese la mano e la lasciò ricadere lungo il fianco, per poi allentare la presa sul colletto del moro. Fece un passo indietro, stupito lui stesso dal suo comportamento.
<Cosa?> fece in un sussurro il moro; sfiorandosi con tre dita il collo, dove c'era rimasto il lieve segno. Notarlo fece male al castano, mentre il corpo desiderava che si desse dei ceffoni da solo.

<Diciamo che, anch'io, sono venuto a conoscenza di alcuni momenti del tuo passato; senza che tu volessi. Con quel video> e accennò con la testa alla TV ancora ferma su quella scena che gli evocava malinconia <siamo ritornati pari, più o meno. Ricordati che però questa è un eccezione; non buttare nel cesso questa tua salvezza.> minacciò.

Diede un calcio alla borsa da palestra, rimasta sullo stipite dopo che l'aveva mollata dallo stupore, chiuse la porta a chiave e si diresse in bagno a fare una doccia calda.

Entrato nella doccia fu inondato dal getto d'acqua calda, mentre i pensieri vagavano e rimbalzavano nella mente.
Perché aveva agito così?
Perché quel kitten smuoveva dentro di lui quella poca pietà che era rimasta dentro di lui?
Quel ragazzo, che potere aveva su di lui?

Era quasi come l'effetto che gli faceva la madre: era sempre felice, in fondo, se lei lo era e pensava al suo benessere prima del proprio. Ma un conto era la madre, un conto era un kitten con cui all'inizio aveva voluto giocare, mentre con cui adesso si comportava in certi momenti in modo "dolce"...

Mentre si sfregava lo shampoo tra i capelli, una idea balzana gli balenò in mente: e se provasse davvero a non essere stronzo?
Che male avrebbe mai causato quella scelta?
Se quel kitten, fin dal primo momento, gli aveva provocato quelle strane emozioni per via di qualche stranezza del Destino perché non tentare?

D'altronde... peggio di così da quel kitten non si era fatto vedere.

E mentre si diceva quelle parole, l'orgoglio dentro di lui scalpitava dall'indignazione. Era contrario.
Per l'orgoglio quello era sbagliato. Ma il primo Jonathan Right, che si stava destando dal suo letargo, frenava quell'orgoglio perché forse c'era ancora speranza che il cacciatore migliorasse.

Nel mentre Thomas aveva tolto il CD dal lettore e aveva rimesso tutto al suo posto, per poi sedersi sul letto e fissare il vuoto. Si era perso in suoi pensieri e si stava chiedendo come mai il cacciatore non lo avesse punito?
Qual era la motivazione che aveva dato?

«Diciamo che, anch'io, sono venuto a conoscenza di  alcuni momenti del tuo passato; senza che tu volessi.» e a quelle parole rispuntate nella sua mente si pietrificò sul letto; spaventato.

Di cosa era venuto a conoscenza?
Forse qualche suo episodio da più piccolo, oppure... era riuscito pure a sapere di quella sera?

A quell'idea si diede dei colpetti sulla guancia, dandosi almeno dieci volte di seguito dello stupido.
Era impossibile! Gli unici che sapevano per filo e per segno come era andata la faccenda erano lui, i suoi genitori (che però dava per morti da molti anni e che, perciò, si erano portati la vicenda nella tomba), quello stronzo che odiava con tutto sè stesso e i suoi collaboratori.

Ma di sicuro quei collaboratori chissà a quante altre vicende simili avevano assistito, perciò anche loro lo avevano di sicuro dimenticato, presi anche da problemi più personali e/o recenti.
Gli unici a sapere e, probabilmente, conservare il ricordo erano lui e quel pezzo di merda. E non c'era motivo logico affinché lo sapesse da lui.

Non potevano avere contatti, se Jonathan ci teneva alla sua libertà e poi come avrebbe saputo che, chiedendo a lui, avrebbe ottenuto quelle informazioni?

"Calmati, Thomas. Calmati. Non c'è possibilità che sappia di quella sera: é impossibile. L'unica soluzione è che abbia origliato, volontariamente o per errore, qualche parte di ciò che ho raccontato alle due cameriere. Sì, non può essere che così." si disse per convincersi.
E, anche se di poco, si calmò.

Quando il cacciatore uscì dal bagno il moro si alzò in piedi di scatto e chiese: <Cosa hai scoperto del mio passato? E come?!>
Il castano rimase un attimo a fare la figura del baccalà, mentre elaborava quella domanda. Non sapeva se rispondergli garbato o meno.

Voleva DAVVERO provare ad essere gentile ma fare un enorme salto da un secondo all'altro gli sembrava inappropriato, perciò optò per un tono neutrale: <Potrei aver messo delle cimici qua dentro, dopo avervi già sentito conversare. Se ti interessa, ho solo seguito i momenti in cui eravate tutti e tre insieme. So anche dei tuoi libri di astrologia e del perché della tua passione.>

E a quelle ultime parole il moro trasalì.
No, non era giusto che Jonathan sapesse quelle cose senza prima aver conquistato la sua fiducia.

Ma... oramai le sapeva; che senso aveva arrabbiarsi?

<Sembra un motivo sciocco ma per me è importante. Ho perso i miei genitori a 9 anni, contro mia decisione e il loro stesso volere. Quello è tutto ciò che li mantiene in vita dentro di me.> ammise il moro e si stupì di quello detto.
Aveva davvero avuto il coraggio di dire quelle parole, chiare e tonde, davanti al castano?
A quanto pare sì.

<Anche se non sembra, posso capire. Anch'io ho perso un genitore, non così da piccolo ma comunque mi ha scosso. E anche tanto. E mi sorprende che, se le tue parole sono vere, tu sia ancora capace di sorridere ed essere dolce. Ti ho visto con Cassandra ed Elizabeth e pari quasi un bambino o comunque una persona gentile quasi fino alla stupidità.> disse Jonathan.

Entrambi sgranarono gli occhi dallo stupore a quelle parole.
Anche se per motivi leggermente differenti.
Jonathan dallo stupore di essersi confidato col kitten; Thomas perché Jonathan gli stava mostrando una parte molto più umana di quella che solitamente mostrava. E gli sembrava una persona che aveva bisogno di aiuto.

Thomas comunque ridacchiò solare al suo solito e notò: <Noi kittens nasciamo, praticamente, con nel DNA una specie di mantra: "Non c'è mai fine al peggio". È brutto da dire, ma è la verità. Siamo emotivamente più forti di molti voi umani, anche se noi le nostre ricadute le abbiamo. Secondo quelli che mi conoscono, dicono che ho abbastanza ricadute ma, con quello successomi, dicono che pare il minimo.>
<Capisco...> rispose solamente il cacciatore e poi si abbandonarono nel mutismo, mentre il castano accendeva la TV e la metteva su un canale qualsiasi.
<Punirai Cassandra ed Elizabeth perché parlano con me?> chiese dopo un minuto Thomas, dando voce ad un suo assillo.

Il castano ci rifletté su qualche secondo, prima di decretare: <No. Avrei potuto farlo se avessero diminuito la qualità del lavoro, ma non é stato così. Anzi, hanno evitato che tu ti annoiassi troppo o impazzissi dalla solitudine. Sembra una cretinata ma capita più spesso di quel che si dice in giro. Anzi, credo che darò loro un piccolo aumento questo mese. Se lo sono meritate.>

E, dopo quella sua decisione, si sentì ripagato dal sorriso radioso del kitten, che fece: <Ne saranno entusiaste! Stanno risparmiando da tanto per una bella TV a casa loro e, con il tuo aumento, probabilmente se la potranno permettere! Non glielo dirò e aspetterò che siano loro a dirmi la buona notizia, per dire loro che lo sapevo già!>

Il moro si maledisse per aver parlato a sproposito ma un piccolo sorriso sincero incurvava le labbra di Jonathan, e gli sembrava la cosa più straordinaria esistente.

<Certo che sei proprio dolce ed ingenuo...> borbottò il castano senza rabbia, sperando di non farsi sentire dal kitten, peccato che avesse dimenticato l'udito sopraffino del moro.
Questi si sentì arrossire sulle guance per un minuto o due, prendendo quella frase come un complimento.

•~-~•

Thomas si muoveva nel letto, aggrappandosi alle coperte e al materasso a momenti alterni. Respirava con la bocca affannato, sussurrava parole incomprensibili, le braccia e le gambe si muovevano scomposte... sembrava impazzito. Il sudore gli imperlava la fronte e il retro del collo.

Jonathan, accanto a lui, si mise seduto sul letto e lo osservò; pensando che tenere una misura di sicurezza fosse la cosa migliore, in quel momento. Ad un certo punto il moro si calmò, respirando con il fiato grosso ed irregolare, ma almeno si era calmato e non sembrava più in preda ad una crisi epilettica.
Provò ad affiancarlo e scuoterlo con leggera forza.

<Thomas, Thomas, Thomas.> ripeteva cercando di svegliarlo.
Il moro spalancò gli occhi, trattenendo il fiato, e fece un salto sul letto; mentre Jonathan si scostava appena in tempo per evitare una testata.

<Che ti è successo?> chiese il castano, dopo che il moro si fu seduto sul letto.
<Nulla nulla...> sviò il kitten. Il cacciatore lo guardò male e notò: <Ti sei agitato nel sonno come un forsennato, hai biascicato parole senza senso, singhiozzato disperato... e mi vieni a dire "nulla, nulla"?>
Il moro abbassò lo sguardo e strinse i pugni sulle ginocchia. Non voleva dire per filo e per segno cosa aveva sognato... perché era ciò di più segreto aveva.
<Ho sognato, di nuovo, quando ho perso i miei genitori. Ogni volta che mi capita ciò non riesco a dormire facilmente...> sussurrò il moro.

E Jonathan sentì male al cuore. Un male strano.
Era come se un filo spesso, e tagliente quanto un coltello, si fosse avvolto attorno al suo cuore e lentamente il filo stringesse la sua presa, stridendo contro la corazza di metallo che aveva messo sopra al suo cuore.
<Mi puoi parlare di cosa hai sognato?> chiese il castano.

Il moro scosse la testa, aggiungendo dopo: <Non voglio. È una cosa mia e non mi è semplice da dire. E poi... perché dovrei dirlo proprio a te?>
Quelle parole fecero male a Jonathan, mentre le corde attorno alla corazza del cuore si stringevano, ma senza scalfire troppo ancora l'armatura, diventata però più debole a quelle parole.
<Ok. Hai ragione. Però, ehi, anch'io posso aiutare: sono dotato di empatia anch'io. Se vuoi, possiamo vedere qualcosa di tranquillo così dormi.> spiegò Jonathan e, guardando la sveglia sul comò, notò che segnava 2:13.
"Vabbe, oggi a lavoro sarò rincoglionito. Anche se, tanto, sono io il capo: posso essere assonnato ogni tanto" si disse mentre afferrava il telecomando e accendeva la TV.

<Grazie...> sussurrò Thomas.
<E di che?> fece apatico il cacciatore.
<Per cercare di confortarmi, anche se io sono solo la tua bambolina.> spiegò il kitten.
La corazza sul cuore di Jonathan si indebolì e il filo fece più incrinature nell'armatura. Quelle parole erano vere e, in quell'atmosfera e da quelle labbra, facevano stranamente male.
<Voglio solo tornare a dormire e se tu stai sveglio non è semplice!> sbottò il cacciatore come infastidito, anche se strinse con più forza il telecomando in uno strano riflesso.

Thomas notò che il tono dell'altro non era totalmente neutrale e un piacevole calore si diffuse da dentro il petto, pensando che ci tenesse (in minima parte) a lui.
Jonathan fece zapping tra i canali, finché non trovò DMAX, che in quel momento trasmetteva "Come é fatto". Per i suoi gusti era abbastanza noioso e la voce che spiegava era una di quelle calde e di tonalità lievemente basse: un mix perfetto per avere la sonnolenza nel giro di dieci minuti.

<Ti va bene questo?> chiese il cacciatore e il moro annuì, contento.
<Mi piace. Sta spiegando pure come fanno i telescopi, sono curioso!> e si rimise sotto le coperte, mettendo il cuscino per metà sulla testata del letto, per tenere la testa più sollevata.
<In realtà avrebbe dovuto...> iniziò il castano, ma notando quel volto sereno e quello sguardo smeraldino brillante, su cui la TV si rifletteva piccola piccola, non volle rovinargli il momento. Se voleva davvero provare ad essere gentile, dopo anni che non lo faceva, doveva darsi da fare e resistere.

Si morse l'interno guancia e, sospirando, si rimise sotto le coperte; girandosi su un fianco per non avere la TV spara-flashata sul volto ad occhi chiusi. Dopo qualche minuto sbuffò: finché la TV fosse rimasta accesa, non avrebbe dormito; sicuro. Perciò si girò un attimo verso il kitten, notandolo sprofondato nel letto a guardare con gli occhi mezzi chiusi la TV. Era vicino all'addormentarsi.
Se lo strinse a sè, facendo poggiare la testa mora sul suo petto, con le orecchie che sfioravano il suo collo.

<C-c-cosa?!> balbettò a mezza voce il kitten, confuso dalla sonnolenza che lo stava assalendo, e in quel momento stava diventando rossiccio in volto. Era imbarazzato.
<Il mio petto è più comodo del letto. E poi sei una stufetta, è piacevole averti addosso.> spiegò il cacciatore con la sua solita calma.
Il moro annuì, non pensando che fosse una così buona motivazione, e decise di concentrarsi una seconda volta sulla TV.

Si fecero le 2:56 quando Thomas finalmente cadde nel sonno e Jonathan si godette un pochino la vista. Quel viso dai tratti delicati, i capelli neri come la pece con due orecchie dello stesso colore che spuntavano da lì, la pelle chiara e delicata come porcellana... pareva un angelo sceso dal cielo.
Il cacciatore passò una mano nei capelli del moro, mentre provava a capire ciò che il cuore gli urlava, ma l'armatura attorno ad esso smorzava il suono e il cervello non lo sentiva.

Sapeva però che era piacevole quella sensazione e si chiese quando lo fosse divenuta o quando aveva iniziato a guardare in una luce diversa quell'ibrido.
E si rispose che lo aveva fatto fin da subito, decidendo di voler giocare con la preda; non tenendo conto che poi la preda avrebbe inconsapevolmente giocato con il suo predatore, lui.

<Mi farai ammattire, piccoletto. Non so cosa sia quello che provo per te, ma tutto è iniziato quando ti ho visto e ho deciso di prenderti con me, provando però prima a giocare con te. E alla fine quello che é rimasto fregato sono stato io. Mi stai facendo qualcosa con quella aria da perenne bambino ed ottimista, anche se forse dentro hai una macchia più scura della mia. Ti chiedo una cosa, anche se non mi sentirai: mentre cerco di capire che mi passa per la testa, cerca di non cambiare; ok?> parlò a bassa voce il castano, per poi sospirare e dirsi: <Che cretino che sono. Ora parlo pure mentre gli altri dormono. Forse dovrei ritornare a dormire anch'io.>
E si mise meglio nel letto, chiudendo gli occhi.

Peccato, o per fortuna, il moro aveva sentito e sussurrò: <Anche io sono confuso come te.> giusto un attimo prima che l'altro cascasse nel lato dell'incoscienza. Entrambi si erano detti una prima forma di ciò che provavano e senza rendersene conto.

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A chilometri di distanza, una ragazza piangeva disperata.
Più che una ragazza normale, era una mezza gatta.
Ariana.

Ariana soffriva senza Thomas, e senza poterlo contattare a causa del malessere enorme che ne sarebbe derivato. E più che altro era perché Nick le aveva fatto fare un voto infrangibile e non sarebbe morta per chiamare il compare e lasciarlo, mentre comunicavano, solo perché lei era morta.
Pensava che al suo dolore non ci poteva essere fine.

E piangeva, soffocando nel cuscino consunto i singhiozzi, mentre l'altro era riuscito a distrarsi per qualche istante totalmente da lei.




N/A: chiedo venia per le ore di ritardo ma la scuola è tornata pure per me con tutto il suo furore.
Lo so che la parte di Ariana sembra una cagata buttata lì a caso (e forse la è) ma diciamo che un piccolo spazio pure a lei glielo ho voluto dare, dopo tanto che seriamente non la prendevo in considerazione.

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