Capitolo 22
Thomas notò che ogni volta che entrava qualcuno degli invitati il tizio dei cappotti faceva una spunta sul suo taccuino. Dopo che un ultimo uomo sui trentacinque/quaranta anni fu entrato, l'impiegato dei cappotti fece una spunta soddisfatto e, guardando l'orologio, cronometrò un certo tempo (secondo lui meno di cinque minuti) prima di andare in uno dei saloni laterali. Ritornò con qualche altro collega in abiti da "pinguino" pure loro e fecero presente ai VIPs che la sala era pronta e che li invitavano gentilmente ad accomodarsi.
Il moro odiava quelle parole pompose, da essere fin troppo servizievole.
Si ricordò, quasi per caso, di alcune parole di Ariana, prima che lei gli raccontasse cosa le fosse accaduto poco prima di incontrarsi a nove anni.
"Thomas, la gentilezza e dolcezza sono una cosa; l'essere viscidi e da sviolinata un'altra. Sappi riconoscere la differenza, perché se cadi nella trappola di quelli del secondo caso... beh, sei fottuto." Scosse la testa mentre seguiva il cacciatore e la massa di umani e kittens in generale.
Ciò che stava vivendo quella serata, anche se filtrata, era una vita da persone popolari nella società e ricche. La sua vita però era da reietto fuggitivo che lottava per vivere ancora un altro giorno, prima di essere cambiata in quella di uno stupido sottomesso.
"Almeno non è ancora arrivato a quello..." pensò rabbuiandosi.
Ci pensò lo splendore della sala a distoglierlo da quei pensieri così cupi e tristi. Il salone alla destra era riservato praticamente solo a loro, quindi era vuota se non per una enorme tavolata composta da chissà quanti tavoli più piccoli tutti messi vicini. Di quei tavoli si intravedevano solo le gambe di legno scuro, nero, d'ebano.
Le tovaglie bianche immacolate ricoprivano la superficie dei tavoli e il tessuto di lino scendeva dai lati lunghi per venti centimetri, drappeggiato in fondo da graziosi e semplici ricami di tessuto panna, colore più scuro e caldo del resto del tessuto.
Per ogni posto c'erano tre piatti messi uno sopra l'altro. Quello più in alto era piccolo e fondo, il secondo sempre abbastanza fondo, meno del primo, e di maggiore ampiezza; l'ultimo era il più esteso e dal fondo piatto.
Le stoviglie erano di porcellana, da far invidia a quei set che in tante case vecchie si vedevano esposte in armadietti dalle ante di vetro. Bianche anch'esse come la tovaglia, ma di una tonalità meno "accecante", una via di mezzo tra il colore della tovaglia e i suoi stessi drappeggi panna. I bordi di tutti i piatti erano decorati con piccoli ghirigori: erano una elegante successione di riccioli dorati e imporporati che si estendeva per il contorno delle stoviglie.
I bicchieri erano di un vetro cristallino, ogni calice risplendeva a sua volta la luce del lampadario a soffitto, uguale identico a quello nell'ingresso (forse un po' più piccolo).
Il set di posate d'argento era come quello dedicato a ristoranti e cene eleganti come quelli. Diversi cucchiai, coltelli e forchette erano disposti un po' a destra e un po' a sinistra.
Al kitten salì lo sconforto, pensando alla lezione sull'uso delle posate con Elizabeth, sotto ordine di Jonathan. Fino a due minuti prima si ricordava tutto, mentre in quel momento...
"O improvvisamente ricordo tutto o devo prepararmi a fare figure di merda." si sconfortò mentalmente il kitten, cercando di distrarsi e accorgendosi solo in quel momento che della musica jazz, calma e rilassante, fuoriuscendo da diverse casse messe ai limiti del soffitto.
"Almeno la musica rilassa... beh, per il problema posate posso sempre guardare gli altri e sperare di aver culo..." ragionò a mente lucida Thomas, avvertendo il leggero tirare della sua camicia da parte del castano, che seguì fino a due posti con un cartellino appoggiato nel piatto fondo in alto.
"J.Right." riuscì a leggere dopo qualche secondo il moro, arrossendo notando che gli occhi neri del dominatore lo stavano iniziando a guardare con cipiglio stizzito, come a dire "Che cazzo stai aspettando?". Il moro, evitando comunque il contatto visivo, si sedette al suo posto.
Jonathan subito voltò la testa e fu rallegrato nel vedere che la sorella si sedeva un po' di posti in là rispetto a lui.
"E la seconda persona, nella mia lista, che odio e che meriterebbe di morire è ad una distanza minima necessaria. Ora dove stracazzo è colei in cima alla mia lista?" si disse guardandosi attorno con una leggera frenesia, accorgendosi che non era né alla sua destra né alla sua sinistra.
<Che fortuna essere capitati vicini, non pensi Jonathan? E' da un bel po' che non ci capitava, eh Right?> ridacchiò divertita una voce femminile vicina. E con tutta la sfiga che il castano neanche sapeva di possedere, si ritrovò Ylenia Baudelaire, la ragazza che quando era entrata aveva guardato peggio della sorella Emma, seduta esattamente davanti a lui. In quel momento il cacciatore si ritrovò a pensare che forse qualcuno da lassù lo odiava, mentre mascherava tutto l'odio che possedeva dietro la solita maschera di freddezza.
<Piacere signorina Baudelaire, vi vedo perfetta e impeccabile come al vostro solito. Avete ragione, era da abbastanza tempo che non capitavamo vicini di tavola a queste cenate e, da quanto posso osservare, ne siete entusiasta o per caso mi sbaglio?> chiese Jonathan dando appositamente del Voi alla ragazza; come a dire "Sei una persona ricca quanto me e che con ciò incontro in questi casi e NULLA DI PIÙ".
<Sei arrivato a darmi pure del Voi, Jonathan? Mi sento offesa, sai? Sei solo infantile così, facendo finta di non conoscermi.> e quella affermazione fu seguita da un risolino della modella stessa, che rimise dietro l'orecchio una piccola ciocca finita fuori posto.
Il castano le mandò uno sguardo gelido quanto il Polo Nord, prima di continuare con quel "teatrino": <Se volete, vi posso dare del Lei. D'altronde io e Voi non siamo che in uno stato di conoscenza l'un l'altro per fama, erro per caso?>
Quella sfoggiò un sorrisetto da far invidia ai ghigni del cacciatore, per commentare con nonchalance: <Vorrei che tu mi parlassi dandomi del tu, ma ho solamente riconfermato per l'ennesima volta che sei solamente il ragazzino viziato troppo cresciuto conosciuto prima di fare il mio debutto in società.> Tutto quello lo disse arricciandosi sul dito la ciocca precedentemente sistemata.
"Pesante..." e Thomas trattenne il respiro, notando che quelli lì vicini già seduti stavano seguendo quella conversazione curiosi, mantenendo una certa discrezione. Poco era il mormorio proveniente da quelli seduti, occupati a notare quella battaglia di parole e risatine, quasi come se trattenessero il respiro. Beh, tutti tranne Emma che osservava la scena con la stessa calma cui si osserverebbe la vernice asciugare. Anzi, era apatica; non come il fratello ma comunque fredda e calcolatrice. "Allora è una cosa di famiglia quello sguardo raggelante!" si esasperò, per così dire, il kitten.
<E' qui che ti sbagli, Ylenia. Io pensavo di conoscerti, però, a quanto parso, conoscevo solo la facciata frivola di Ylenia Baudelaire, ignorando l'esistenza di quella così... come posso dire... disponibile a chiunque di sesso maschile. E tu, mia cara, ti sei persa giusto qualche cambiamento di me medesimo. Adesso io non so niente di te e tu non sai niente di me, comprendilo. E da adesso, se non Le dispiace, riprenderò a darLe del Lei.> concluse Right, versandosi con certa flemma un bicchiere di vino.
Ylenia assottigliò lo sguardo, arrendendosi poi alla sconfitta in quel momento. Come se tutti si fossero disincantati, ripresero a vociare e quelli ancora in piedi si accomodarono ai loro posti.
Jonathan rivolse uno sguardo vittorioso alla "puttana" davanti a sé prima di vedere che alla sua destra si era seduto Marcus Flint che, alzando gli occhi al cielo e ridacchiando divertito, notò: <Tu hai seri problemi con donne che possono essere letali, sai?>
<Hanno avuto a che fare con in rapporti di amicizia o qualcosa di più, e di sicuro hanno avuto a che fare con il me incazzato: si sono ritrovate a diventare letali se speravano di uscire vive da una litigata con me. Nonostante ciò, non saranno mai letali quanto il maestro...> commentò acido il castano.
<Speraci, Right, speraci...> ed iniziarono a conversare tranquilli.
Thomas non vi fece più di tanto caso a quelle loro parole, stupito da una reazione di Emma, la sorella di Jonathan, che aveva a momenti alterni osservato durante la discussione di Jonathan ed Ylenia, semplicemente nutrito dalla curiosità di osservare come reagiva.
E si sbigottì quando vide che, alla "vittoria" del fratello, aveva rivolto al castano un microscopico sorriso sincero, soddisfatto e fiero. Era come se avesse urlato, per quanto entrambi parevano far trasparire le loro emozioni, "Sono così fiera di te, bravo".
E il moro si ritrovò a sorridere un pochino, divertito, pensando che solo lui lo aveva notato. Chissà, a casa avrebbe potuto dirlo al cacciatore e il sorriso derisorio sul suo viso si allargò al pensiero di un Right anche solo vagamente rosso, imbarazzato ed onorato allo stesso tempo.
•~---------~•
Non si sapeva né come né perché, ma la cena stava scorrendo anche abbastanza tranquilla dopo lo scambio di battute tra i due. Thomas aveva mangiato poco e nulla, con il corpo impiegato in faccende per lui più importanti in quel momento del magiare...
Nella sua testa diverse domande si affollavano e le principali erano: come mai il castano odiava la sorella Emma? E perché per quella Ylenia sembrava provare ancora più ira?
Alla seconda aveva collegato delle parole dette dal castano stesso, pensando che fossero una sorta di velato indizio per capire che fosse successo. Le parole "disponibile a chiunque di sesso maschile" gli rimbalzavano nella testa, avendo una pallida idea di cosa volessero velare ma non volendogli dare credito. Non poteva subito pensare a screditare in quel modo una perfetta sconosciuta.
"Anche se a sostegno della mia ipotesi Jonathan l'ha definita, appena entrata, "puttana"... Era solo un insulto detto a casaccio o la stava "descrivendo" per come si era comportata con lui?" si disse, ritornando a tavola quando gli arrivò un calcio non troppo forte contro la gamba.
Si girò dal lato della gamba e intravide lo sguardo severo di Jonathan perforarlo irato.
<Non fare quella faccia assorta, mantieni il gioco.> sussurrò in fretta, per evitare di essere sentito, ma comunque le orecchie del moro captarono alla perfezione il messaggio e lui annuì piano, ritornando con lo sguardo sul piatto. Sentiva già le guance più calde per via della "sgridata" (era una cosa che aveva fin da piccolo), ma per fortuna l'odore di cibo in avvicinamento lo distolse da quel suo stesso imbarazzo e dai suoi pensieri su fatti in cui assolutamente non c'entrava.
Ed in quel momento si ritrovò a mandare giù un singulto, cercando di non farlo troppo rumoroso.
Si era ricordato per miracolo fino a lì, anche se era poco, quali posate usare ma in quel momento... Bianco più totale nella sua mente. Nada de nada. Neanche un brandello di informazione.
"Ok... ehm, se sbaglio IO una posata nessuno se ne accorgerà, no? Comunque... proviamo questa..." e allungò quasi timoroso la mano verso una forchetta qualsiasi.
Stava per prenderla che ricevette un colpo contro una gamba della sua sedia, rimanendo un attimo con la mano a mezz'aria; per voltarsi senza guardarlo direttamente in volto. Il castano stava parlando con quella coppia di signori che aveva avvertito dei paparazzi fuori dal ristorante, ma con la coda dell'occhio stava guardando il proprio sottomesso.
Thomas aggrottò un attimo le sopracciglia, prima di sospirare non capendo che volesse dirgli. Ritentò di afferrare la stessa forchetta ma un secondo calcio uguale al primo fu inflitto alla sua sedia e, serrando le labbra in una linea sottile, si voltò con troppa enfasi. Chinò il capo rendendosi conto dopo che era come una sorta di sfida muta, quella.
Jonathan, dal kitten, volse lo sguardo alle posate del moro e poi alla propria mano; nel mentre che faceva finta di ascoltare cosa i due signori gli stavano dicendo.
Thomas seguì con i suoi occhi il tragitto percorso dallo sguardo del cacciatore, per infine fissare la mano tenuta sotto il tavolo. Evitando di chinare troppo la testa, si mise a fissare lì; bevendo per non dare l'idea di stare temporeggiando o chissà che. L'indice di Right si mosse in senso di negazione, alternandosi al picchiettare sulla superficie della gamba minando poi l'afferrare qualcosa. E il clima ricominciava.
"Forse mi sta dicendo che sto sbagliando..." si disse, tentando una seconda forchetta. Un altro colpo inflitto alla sedia, seguito dal diniego del dito del castano.
<Ma cosa è che crea questo rumoraccio?! È già la terza volta che lo sento!> sbottò Ylenia, attirando l'attenzione delle persone attorno a lei. <Quale rumore, scusa?> chiese Jonathan, facendo finta di niente. <Un rumore fastidioso, come se si sbattessero due oggetti con forza!> si "lamentò" la bionda.
<Tua immaginazione...> deviò il cacciatore, sapendo che era lui il creatore di quel rumorino, maledicendo quella ragazza e l'udito sopraffino... o forse aveva notato quel che stava facendo e voleva solo fermarlo? Poteva darsi.
<Non sono ancora impazzita, sai Right, e allucinazioni sonore non le ho ancora avute.> fece decisa la modella, fissando i suoi occhi magnetici in quei due pozzi neri di colui che aveva seduto davanti. Ghignò divertita. Adorava metterlo in difficoltà. Aveva fatto due più due, notando quelle occhiate complici tra i due e le avrebbe fatte venire a galla per umiliarlo; usando pure gli altri come spinta. D'altronde non potevano essere così cretini da non aver sentito quei colpi, no?
<C'è sempre una prima volta per tutto. E comunque... qualcuno di voi ha sentito un rumore fastidioso, per caso?> e lo sguardo gelido del cacciatore si posò su quello che stavano ascoltando la conversazione. Tutti scossero la testa in diniego.
<Baudelaire mia cara, se lo sarà immaginato. Io non ho sentito niente...> fece rassicurante la signora, seguita in accenno dagli altri.
Allora la modella, sbuffando, si arrese all'essere sola contro tutti e si scusò con una voce melensa e un sorrisino fintamente dolce.
Jonathan ritornò con lo sguardo sul kitten, che allora afferrò l'ultima forchetta rimasta e non sentì nessun colpo alla sedia. Guardò dritto in viso il cacciatore per un secondo, notando gli occhi alzati al cielo ma con comunque un mezzo sorriso accennato ad increspargli le labbra. Il moro fece scendere lo sguardo fino sotto al tavolo, alla mano del castano che stava dando il simbolo dell'ok.
Thomas distolse lo sguardo da lì, lo riconcentrò sul piatto ma, prima di iniziare a mangiare, fece un piccolo sorriso e mimò un "grazie", sapendo che quelle iridi nere diventate abituali lo stavano fissando di sottecchi.
Uno strano leggero calore si propagò dalla bocca dello stomaco. Era una cosa un po' strana da pensare; ma comunque il moro si sentiva "rivolgere attenzioni" dal cacciatore in quel momento. D'altronde lui aveva creato quella piccola "baraonda", rischiando di essere scoperto, solo perché ci teneva che non sbagliasse. Nessuno lo stava guardando nel momento del primo sbaglio; ma il castano lo aveva avvertito prima che errasse lo stesso.
Era un pensiero carino, secondo lui.
•~-~•
La cena era finita e tutti erano di nuovo a parlare, nella piccola attesa che ognuno prendesse il proprio cappotto; e per sfortuna stavano facendo prima quelli arrivati ultimi. Praticamente quelli arrivati dopo toglievano le tende per primi e Jonathan li invidiava, almeno in parte.
Se da un lato era scontento perché era tra i primi come la sorella, dall'altro quella troia biondina era tra gli ultimi e se ne era andata subito. Anche se, andandosene, gli aveva appositamente rivolto un bacio volante che lui, senza farsi troppo vedere, aveva finto di prendere e buttare per terra per poi schiacciarlo.
Almeno era stata divertente la smorfia impettita della modella.
E aveva sentito pure una leggera risatina divertita dal kitten accanto a sè, a cui chiese nell'orecchio: <Ti diverti anche te a vedere la gente soffrire, eh?>
Il kitten fece un passo indietro, mantenendo il capo rosso chino, balbettando un: <La fa-fa-faccia e-e-era buffa... t-t-tu-tu-tutto qui...> E il castano si ritrovò con una piacevole piccola scarica giù per la spina dorsale, provocandogli un po' di pelle d'oca alle gambe.
Lo trovò strano, soprattutto se supponeva che era collegato al sottomesso (giustamente), e si disse una banale scusa: "Era solo un brivido a caso, di quelli senza senso logico che ti vengono perfino quando hai caldo..."
Tra i due era difficile dire chi si ostinava di più a trovare scuse per via di quell'attrazione, solo fisica in quel momento, ancora abbastanza lieve che provavano l'un per l'altro.
Comunque, meglio andare avanti con questa storia ancora lungi dal finire e ancora così piena di problemi...
I pensieri di Jonathan vennero interrotti dalla voce della persona lì dentro che più sgradiva in assoluto e che gli fece una proposta tutto fuorché allettante.
<Possiamo parlare cinque minuti vicino la porta, da soli?> gli chiese Emma, con i suoi occhi castano scuro freddi; anche se la voce tradiva non solo cortesia ma anche una lievissima sfumatura di dolcezza.
Jonathan se ne accorse alla perfezione perché avevano la stessa identica "tonalità" con cui entrambi parlavano fuori nel mondo, pure l'un con l'altro. Era la stessa cadenza: entrambi avevano quel modo freddo e distaccato ereditato dal padre, ma con lievi sfumature di emozioni prese dalla madre così aperta nei sentimenti.
Un'arma a doppio taglio, per entrambi; d'altronde quale modo di parlare sai e riconosci in ogni sua sfumatura meglio del tuo? Nessuno. E loro due sapevano che potevano essere scoperti in ogni momento dal consanguineo se avessero lasciato che l'influenza della madre spiccasse troppo in quel momento.
<Il gatto ti ha mangiato la lingua, fratellino?> lo schernì con un piccolo ghigno Emma, passando in un gesto meccanico una mano tra i propri capelli.
Jonathan avrebbe voluto tanto rifiutare, ma poi cosa avrebbe dato a motivazione? Che era come un bambino mai disposto a perdonare, ancora offeso e imbronciato con lei? Assolutamente no. Doveva essere serio e maturo.
"Proviamoci almeno." si disse prima di rispondere: <Nessun gatto mi ha mangiato la lingua, Emma, e mi va benissimo parlare con te.>
Emma si girò verso la porta, dando in muto l'invito al fratello minore di seguirlo.
<Tu Thomas resta qui.> ordinò il cacciatore in una freddezza abbastanza stupefacente pure per sè stesso. Il moro annuì, appoggiandosi al muro lì vicino; pensando negativamente: "Perché penso che andrà a finire male tra quei due?"
N/A: ok, so che sia questo che il precendente non sono stati molto pieni di azione, ma diciamo che i due personaggi femminili a cui ho dato un po' di rilievo (e con cui ovviamente Jonathan è incavolato... con chi non lo è mai?) avranno un loro perché nella storia.
Spero che comunque dal punto di vista grammaticale e della sintassi sia piacevole da leggere o almeno decente. Se avete suggerimenti/critiche di alcun tipo non esitate a commentare!
Alla prossima settimana con un prossimo capitolo, ciao ragazzi!
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