Il mistero che avvolge Mayumi Kudo

Non so chi mi abbia chiamato. Mi giro e non c'è nessuno.

Sarà. Comunque, leggermente insospettito entro in casa.
- Mayumi
Blatera mia madre, alla ricerca di mia sorella - È uscita. Di nuovo. Shinichi!
Ed ecco che interviene anche mio padre.
- Cosa c'è? - chiede, rivolto a mia madre, mentre mostra ad Heiji la sua nuova edizione di libri di Sherlock Holmes, che ovviamente al Detective di Osaka non importano. Ma mio padre è fatto così.
- Tua figlia è uscita. Di nuovo - ripete - Credo sia il caso di metterla in punizione.
Ma mio padre sembra avere qualche dubbio - Andiamo! - dice aggrottabdo le sopracciglia, e dirigendosi verso la porta d'ingresso, per poi rivolgermi un sorriso scaltro, uno di quelli che offre al pubblico quando ha appena risolto un caso - Sai cosa significa? - mi chiede, indicando l'ingresso.
- Che Mayumi è ancora qui - deduco, vedendo le sue scarpe al solito posto.
Peccato che dentro casa, di lei, non ci sia nessuna traccia.
E, mentre mio padre le da' la caccia, mia madre inizia a sentenziare che casa nostra potrebbe essere invasa dai fantasmi, da cui è terrorizzata, spaventando anche Katshua.
- Ran - La tranquillizza mio padre, guardando sotto le scale - I fantamsmi non esistono
E gli crede, perché mio padre è così. Sa calmarla. Se gliel'avessi detto io si sarebbe agitata ancora di più.
Mi vengono in mente strani ricordi, quando mi hanno raccontato, parecchi anni fa, che mio padre, scomparso per risolvere un caso di cui si rifiuta di parlarmi, era tornato, e mia madre, senza nemmeno guardarlo in faccia, aveva iniziato a piangere.
A quanto pare, a quel tenpo, un suo vecchio fan, si era fatto fare una plastica facciale per essere in tutto e per tutto come lui, e accusarlo di tentato omicidio. Aveva anche finto di avere il raffreddore per camuffare la voce. Fortunatamente la vittima, un'odiosa giornalista, si è salvata, e mio padre ha smascherato il colpevole, che aveva astutamente finto di essere lui, senza memoria.
Ma mia madre l'aveva capito subito, anche prima del suo intervento, anche prima che il finto Shinichi tentasse di uccidere sotto gli occhi di tutti.
Ed è per questo, che solo lui riesce a calmarla, e io no.
Tra loro c'è un collegamento empatico. Si conoscono da sempre, e, da i loro racconti, anche io li avrei shippati. E sì, mi dispiace ammetterlo ma devo dare ragione a quell'oca chiacchierona di Sonoko.
E dire, che secondo me, se le cose fossero andate diversamente, senza quell'oca, o senza il caso di mio padre, quello che lo ha fatto scomparire per anni, io non sarei qui. E forse nemmeno mia padre. Forse Villa Kudo sarebbe ancora intestata ai miei nonni. E non so perché, ma questi aneddoti sulla vita dei miei genitori mi fanno sempre pensare ad Aika, la figlia del Dottor Agasa, se devo dirlo.
La figlia del Dottor Agasa e di una sua amica d'infanzia.
Ed eccomi che, sveglio dai miei deja vu, mi ritrovo solo per strada, ad ammirare il contrasto tra l'alba e la pioggia, sperando di trovare qualcuno di sveglio, nel mio quartiere, al di fuori di casa mia. E qualcuno c'è.
C'è mia sorella, infreddolita, quasi congelata, svenuta, nella strada che divide casa mia da quella di Hiroshi Agasa.
Non so perché, non urlo nemmeno alla vista di un uomo morto, ma vedere mia sorella in mezzo alla strada, priva di sensi, con la brina e qualche goccia di ghiaccio tra i capello, toglie i sensi anche a me.

Appena riapro gli occhi, non sono per strada, né a casa mia, e nemmeno a casa del Dottor Agasa, dove tutto è allegro e colorato, con i suoi marchingegni che svolazzano qua e là.
È tutto bianco, dal muro al pavimento, e anche i muri.
Capisco di essere in ospedale... e dire che sono solo svenuto!
Ma ovviamente mia madre è medico, e da quando lavora, credetemi, è più oppressiva che mai.
Ebbene, sono in ospedale, ma perché?
Ovvio, sono svenuto, ma perché?
E ricordo di aver visto mia sorella, anch'essa svenuta, chissà da quanto tempo (sicuramente più di me), in mezzo alla strada.
Mi guardo intorno. C'è un letto accanto al mio. Ma Mayumi non è seduta lì. C'è solo un sedicenne, con un accenno di barba e la pelle pallida, una mano fasciata, che mi guarda come fossi un extraterrestre. Ma perché non mi hanno messo nella stessa camera di mia sorella?
E se lei fosse ferita gravemente?
Ovviamente dovrebbero metterla in un altro reparto.
Non posso aspettare, devo sapere come sta. Mi catapulto giù dal letto, quando un urlo assordante invade l'aria.
Il mio urlo. Mi rendo conto di avere la gamba ingessata fino al ginocchio.
- Aih! - Esclamo, mentre i miei genitori entrano correndo nella mia stanza. Ma non gli lascio il tempo di parlare.
- Mayumi? - Chiedo preoccupato, e mio padre impallidisce.
- Non l'abbiamo trovata - dice sospirando. Non l'ho mai visto così... stanco? - Sarà uscita in ciabatte - continua lui, mentre mia madre è sull'orlo di scoppiare in lacrime - tua sorella ne sarebbe più che capace -
- Ma, papà - dico, mentre il mio cuore accellera il suo battito - l'ho trovata io-
Lo vedo sbiancare ancora di più, e sono sicuro di avere lo stesso colorito.
- Era per strada. Svenuta -
Sento chiaramente mia madre che singhiozza, ma non oso guardarla, finché non mormora - Shinichi... quella donna sta chiamando te - indicando un'infermiera.
I miei genitori escono, e io mi stendo sul letto, pensieroso.
Credo di aver sentito l'infermiera dire: - Signor Kudo, la stanno chiamando. È un certo Shuichi Akai -

NOTA DELL'AUTRICE
E finalmente mi sono degnata di pubblicare un altro capitolo. Mi spiace, ma ero senza tempo, e anche senza ispirazione a dirla tutta. Comunque, dato che non interessa a nessuno, parliamo del capitolo.
Come è deducibile dal titolo un'ombra oscura avvolge la sorella di Conan, la piccola Mayumi Kudo, di soli sette anni. E poi, cosa vorrà Akai? Vi lascio al prossimo capitolo!

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