IL MIO MIGLIORE AMICO

Chiusi gli occhi e rividi il volto di Nelly. Dolce sorriso e vena ribelle nei suoi occhi. Ogni volta sembrava che le sue labbra evadessero dalla realtà e si perdessero nell'intenso pallore di quelle guance bianche come neve.

Pensavo che tutto fosse rimasto come quel giorno, in cui ci eravamo incontrati. Lì alla fermata dell'autobus, dove senza parlare, esausti dalla giornata lavorativa, aspettavamo che arrivasse quel timido tramonto invernale. Sì, era arrivato subito dopo qualche minuto insieme alla figura gialla e snob del bus, che ci imbarcava verso casa. Ognuno perso nei suoi pensieri, diretti al noioso mondo della propria quotidianità. Chi ero fino a quel giorno? Un automa che viveva di lavoro e sonno. Non vedevo l'ora di arrivare all'inizio della giornata per finirla e ricominciarne un'altra. Giungevo al weekend esausto della routine e me ne stavo due giorni a poltrire nel mio letto senza vedere nessuno.

Quel giorno fu diverso, vidi per la prima volta i contorni del suo volto baciare gli ultimi raggi di luce, i quali battevano pallidi sul finestrino dell'autobus. Da lì cominciammo a non fare a meno l'uno dell'altra. Ora la vita aveva un senso: incontrarla, incrociare i nostri sguardi pieni di solitudine per imprimere parole, che non avevo mai detto a nessuno e baciarci ogni volta che la sera si avvicinava insieme a quel giallo bus, il quale faceva capolino da dietro l'angolo della strada. Le mie mani la sfioravano e attendevano con ansia di averla tutta per me, ma non volevo ferirla e avevo capito da subito che era la ragazza perfetta. La ragazza che tutti avrebbero voluto avere al loro fianco. Non potevo rovinare tutto per la stupida passionalità, con cui la desideravo ogni giorno. Potevamo vederci solo al tramonto, quando entrambi finivamo di lavorare e ancora esitavo a chiederle di passare un weekend da me, visto che era un tipo all'antica.

Volevo farmi considerare tale anch'io, ma era dura da affrontare. La riempivo di regali: piccoli bouquet di fiori di campo, profumi e deliziose confezioni di cioccolatini. Ormai erano diversi mesi che ci frequentavamo attraverso lunghi weekend trascorsi a passeggiare lungo la campagna circostante. Ci raccontavamo di noi, delle nostre passioni e con lei mi sembrava di tornare di nuovo bambino. Già, perché Nelly riusciva ad essere bambina, ragazza e donna contemporaneamente.

Come quel giorno quando un improvviso temporale ci colse impreparati in una sera d'estate. Goccioloni di pioggia scivolavano addosso a quel corpo snello e fragile, ma al contempo così agile e slanciato. L'acqua faceva aderire quel leggero vestito di lino color miele alle sue dolci curve. I suoi capelli ricadevano come morbida seta nera intorno a quelle guance alabastro, tinte dal tenue rossore del tramonto. La guardai e la presi per mano .

«Vieni, andiamo a casa mia, ti darò qualcosa di asciutto da metterti».

Lei sorrise intimidita, ma la scusa di quell'acquazzone la fece finalmente cedere fiduciosa.

Entrammo in casa quasi senza fiato, dopo aver riso come due ragazzini, poi una volta chiusa la porta, la invitai di sopra.

«Questa è la camera degli ospiti, entra pure. Mettiti comoda, ti porterò subito qualcosa di asciutto, anche se sicuramente non sarà della tua taglia».

«Non importa, mi basta soltanto non prendere un raffreddore».

Mi avviai verso l'armadio e cercai una t-shirt a maniche corte, che fosse almeno abbastanza decente per una ragazza.

Poi, mi precipitai subito da lei, ma dalla porta semiaperta, mi accorsi che si stava spogliando e rimasi lì a fissarla estasiato, quando rimase soltanto in slip e reggiseno. Un simpatico completino bianco trasparente, che la rendeva ancora più pura ai miei occhi.

Temevo di poter sbagliare tutto, entrando così senza bussare, ma là in fondo ai pantaloni la lunga astinenza dal sesso si faceva sentire e quella era l'occasione, che avevo sempre desiderato arrivasse, dal momento in cui l'avevo incontrata.

Avevo giurato a me stesso, che non avrei più fatto niente di sbagliato. Mi sarei sicuramente fermato al momento giusto. La giustizia era stata già parsimoniosa con me una volta e mi ripromisi ancora una volta di placare il bollore che stava salendo in me. Lei si voltò inaspettatamente e mi vide, sorrise coprendosi con le braccia e le mani ciò che si poteva intravedere del suo intimo, ma io avevo visto già tutto da lì dietro. Anzi, avevo immaginato tutto e di più.

Sembrava spaventata e quasi impreparata ad una simile situazione, ma cercò di apparire calma.

Mi avvicinai porgendole la maglietta pulita e le cinsi la vita con un rapido movimento. Lei sembrò trasalire per un breve attimo, poi delicatamente fede indietreggiare la mia mano accarezzandola lievemente.

Liberando la mia presa dal suo corpo si lasciò andare, quasi abbandonando la preoccupazione che poco prima l'aveva resa così pudica e timida.

«Vuoi che ti aiuti a cambiarti?»

Il mio sguardo emozionato ed eccitato aspettava la sua risposta.

«Non sono abituata a farmi spogliare da un uomo».

Cercai di rassicurarla senza darle modo di notare il desiderio, che traspariva dai miei occhi verso di lei.

«Ti aiuterò solo a liberarti dei vestiti bagnati».

Nelly sorrise all'idea di quella proposta alquanto strana e impensata. Forse si stava chiedendo cosa avrebbe provato a sentirsi osservata da un uomo. Magari sarebbe riuscita a scoprire lati ben più piacevoli, misteriosamente riposti in un tocco maschile.

Lei con la coda dell'occhio attese che le slacciassi il reggiseno. Io sfiorai il prezioso pizzo che fasciava le sue spalle lungo i lacci, poi di mia iniziativa passai le dita lungo le curve piene dei suoi seni accompagnando l'atteso gesto di liberarla dall'indumento.

Ogni minuto che passava la mia erezione saliva e il sudore imperlava ogni angolo del mio corpo.

Non avrei pensato che fosse nuovamente così bello tornare a toccare la pelle di una giovane donna.

Nelly restò senza fiato quando mi vide gettare a terra il reggiseno con aria compiaciuta.

Mi avvicinai alle sue candide spalle e presi a sfiorarle i capezzoli con un ritmo inizialmente lento dei pollici, poi sempre più eccitato e veloce. Lei quasi inerme sospirava con piacevole fatica.

«Avevi detto che mi avresti soltanto spogliato» sussurrò lei accaldata.

«Lo so, ma sei così bella...voglio solo toccarti» le risposi piano.

La mia bocca scese verso il suo collo, mentre la mia lingua cercò di insinuarsi all'interno del suo orecchio destro, poi scese di nuovo verso la profumata insenatura della sua scapola. Con l'altra mano insinuai le dita nei suoi folti capelli scuri, mentre il mio membro si inturgidiva sempre più al pensiero di quella febbricitante vicinanza.

Mi strusciai contro di lei con eccitazione, mentre il suo corpo stava iniziando a cercare una piccola distanza.

«Non farmi del male, ok?»

Non risposi, perché l'animale che era rinato improvvisamente in me mi chiamava. Era tornato a prendersi gioco di me, torturandomi senza chiedermi il permesso.

La voltai con forza verso il mio viso e cominciai a stringere i suoi seni fra le mie mani come se fossero coppe di champagne. Torturai le punte turgide dei suoi capezzoli con la mia lingua umida e vogliosa, facendola gridare, ma il suo non era più un grido di piacere. Era spaventata e stava allontanando la mia faccia sempre più giù, e ancora più giù. Le dovevo essere apparso come un sadico, preso soltanto dall'eccitazione del momento. Forse, era veramente ciò che ero. Mi ritrovai in ginocchio, spinto da quelle mani lunghe e affusolate, che si insinuavano fra i miei capelli. Loro mi cacciavano e io mi eccitavo sempre di più, quando alzando gli occhi mi ritrovai faccia a faccia con la più forte tentazione, che possa esistere per un uomo. Ero di fronte al centro del mondo, verso l'interno di uno scrigno prezioso, in cui tutti avrebbero voluto entrare. Una miniera piena d'oro e di piacere.

Mi aggrappai senza pietà alle sue gambe e iniziai ad annusare l'odore della sua femminilità, strusciandomi come un cane al morbido cotone dei suoi slip. Poi presi a baciare quel delicato tessuto sempre più velocemente e alla fine la mia lingua si insinuò nell'umido sapore, che le sue mutandine iniziavano ad avere. Gliele tolsi a morsi, e senza nessuna eleganza si ritrovò nuda.

«Non toccarmi..... Vattene!»

Le sue grida si facevano sempre più alte e monotone, ma io non sentivo niente. Ascoltavo soltanto la bestia affamata che c'era in me. Forse, l'avevo davvero promesso? Ne avevo fatte così tante di promesse, da non ricordarle neanche più. Ancora in ginocchio mi tolsi i pantaloni con un gesto fulmineo e tirai giù i boxer in un baleno.

Lei mi guardava terrorizzata, mentre mi masturbavo senza ritegno davanti a lei. Rialzandomi la inchiodai con le mie gambe sul pavimento. Chiusi le sue cosce come in una morsa sotto di me, mentre massaggiavo il mio membro urlando di piacere. Volevo che prendesse la mia virilità con le sue mani, ma lei mi sputò in faccia. Preso da un raptus di disperazione verso quell'evidente rifiuto, la schiaffeggiai ripetutamente, mentre rimase senza fiato, dopo una lunga resistenza, la quale non funzionò al confronto della mia possente presa. Strusciai la mia eccitata virilità sul suo corpo, mentre lei piangeva lacrime ingoiate insieme a forti singhiozzi. Non ancora contento, la presi da dietro con straordinaria veemenza e la cavalcai senza posa, mentre le sue unghie si aggrappavano con dolore alla liscia moquette della mia stanza.

La penetrai senza sentire neanche un accenno della sua ribellione. Poi appagato, ma non esausto, le lasciai qualche minuto per respirare.

«Bastardo! Sei uno schifoso maniaco! Lasciami andare, ti prego».

Non la sentivo, per me non contava più la sua dolce aria innocente, che mi aveva attratto sull'autobus e le sue parole così tenere e comprensive. Ora esisteva soltanto il suo corpo. Stava piangendo senza sosta, mentre i capelli ancora tutti bagnati coprivano come un mantello nero le sue spalle. Una linea sinuosa e perfetta che incorniciava le natiche in un sodo sedere da possedere all'infinito. Quella visione riaccese in me il desiderio. Come un folle, la girai e aprii le sue cosce insinuando il pollice fra le dolci labbra della sua femminilità e infilando l'indice nella sua vagina, già bagnata di piacere.

Ma il suo era tutto, tranne che piacere o felicità. A me non importava, volevo soltanto trarne godimento. Improvvisai una frenetica danza con le due dita dentro di lei, oltrepassando ogni limite di forza. Nelly stringeva le sue cosce disperatamente intorno alla mia mano, ricoprendomi inizialmente di pugni. Ma la sua forza era una carezza per me. Quando sentii il mio pene finalmente pronto ad invaderla, non mi accorsi, preso da un estremo piacere, che si era sporta verso il mio braccio fino a punirmi con un accanito e crudele morso.

«Sei matta! Stupida troietta! Vieni qua, adesso te lo faccio vedere io!»

Ma lei fu più svelta e non so per quale motivo scivolando sul pavimento si diresse verso i miei pantaloni. Estrasse qualcosa dalla tasca e brandì un coltello. Aveva certamente studiato quella mossa, quando me li ero tolti. Era uno di quei coltelli tascabili, apparentemente innocui, ma che con una semplice e scattante molla nascondevano una lunga e tagliente lama.

«Mi stai forse minacciando? Non sai neanche usarlo quel coso!»

Lei con sguardo diabolico indietreggiò. Era ancora dannatamente perfetta ai miei occhi. Teneva le ginocchia piegate al petto come per farsi scherno e proteggere la sua nudità, ormai violata.

«Non avvicinarti...o ti uccido!»

Ma io ero sicuro di me, di quanto potevo essere più forte di lei.

«Non ne sarei così sicura...»

La voce che proveniva dalla mia gola era trasformata dalla repentina rabbia, con cui lei aveva rovinato tutto. Mi aveva fatto accendere di desiderio per poi gettarmi un secchio d'acqua fredda addosso e annullare la possibilità di farmi godere senza sosta.

«Siete tutte puttane, voi donne! Nessuna di voi si salva...rimarrete sempre delle dannate troie!»

Stavolta sputai io sul suo corpo e le presi il polso della mano, in cui stringeva l'arma. Provai a bloccarla, ma con un gesto disperato e fulmineo la lama mi ferì sulla fronte lasciandovi un evidente segno. In quel momento la mia vendetta non aveva eguali. Approfittai della temporanea fragilità, che Nelly ebbe alla vista del sangue sul mio viso, così le strappai di mano il coltello e la seviziai di ferite su tutto il corpo. Stavo ridendo con un sorriso beato di fronte a ciò che stavo combinando, senza provare nessun senso di colpa. Così, mentre ricoprivo la sua pelle così pura di quelle ignobili ferite, continuavo a possederla senza pausa. Ma non appena le sue grida di sofferenza furono insopportabili alle mie orecchie, smisi di penetrarla.

«Stai zitta! Tanto nessuno ti sentirà».

La ragazza ritrovando piccole briciole di forza riuscì con un piede a spingermi indietro, ma la mia mente si offuscò improvvisamente e non seppi se ero davvero io in quegli istanti. Presi il coltello e con un netto gesto del braccio le tagliai la gola. Un ultimo straziante grido di donna mi risvegliò da quell'assassino torpore.

Sbatto gli occhi, aprendoli e richiudendoli più volte, in presa a un misterioso oblio.

«...Lei era davanti a me esanime in una pozza di sangue. Nelly non esisteva più» concludo con quelle parole provando soltanto adesso un misto di rimprovero e di pietà.

La donna che mi sta ascoltando è seduta di fronte a me e proprio in quell'istante mi accorgo di quanto assomigli alla mia cara Nelly.

Ha pazientemente sopportato il mio straziante racconto. Essendo anche lei una donna, le sarò sicuramente apparso un viscido verme, che deve pagare per ciò che ha fatto.

La stanza che mi circonda è fredda e anonima, con una sola piccola finestra sulla parete più alta. Forse vi trascorrerò il resto della mia vita. In fondo, è giusto, è già la seconda volta che sono dentro per stupro e violenza contro una donna.

La donna si schiarisce la voce, ma sembra restare impassibile di fronte all'amara crudeltà dei fatti.

«Bene. Dovresti vergognarti, quando non eri ancora diventato un maniaco, eri un ufficiale della Marina. Poi una volta libero dall'accusa del primo stupro, hai cambiato la tua identità in John Riley e ti sei rifatto una nuova vita. Adesso sei riuscito veramente ad ammettere la verità. Dal tuo racconto sembra che a volte tu non riconosca te stesso nell'uomo violento, che ha compiuto un simile gesto...non è vero?»

Ci penso su per un attimo e riconosco che in parte è così. E' vero, ho fatto di tutto per cancellare ogni traccia della persona che ero, per sentirmi un uomo nuovo, lontano dalla realtà dei fatti. Ma poi mi sorge una curiosa domanda.

«Certo. Ma vorrei chiederle una cosa...anche lei è una donna e non ha nessun timore a stare qui di fronte a me? Insomma, stare in una stanza insieme ad un violento stupratore. Ah, ma forse ho capito. Già, è il suo lavoro. E' una brava strizzacervelli che si prende a cuore le storie di criminali con crisi d'identità».

Lei abbozza un sorriso e accavalla le gambe con garbo.

«Se fossi in lei, non ne sarei così sicuro, caro John. A quanto pare anche i peggiori criminali credono ancora alle favole. Non sono una strizzacervelli. Sono un commissario di polizia che fa parte del distretto di Washington».

Rimango sorpreso, ma ormai nella mia vita non c'è più niente di così curioso o spiazzante.

«E cosa ci farebbe un commissario qui? Io sono già stato catturato, sono in prigione, mentre fuori ce ne sono ancora a milioni di criminali da stanare. Preziosi stupratori da crocifiggere, non è così?»

Lei si alza e si avvicina al mio orecchio sinistro con fare malizioso.

«Certo lo so, lurido pezzo di merda! Soltanto che io ho ancora una questione da risolvere. Sono il commissario Libby Lopez, qui per servirti».

La donna sorride soddisfatta.

«Sì, hai capito bene, ragazzo. Sono la migliore amica della tua cara Nelly. Ma non credere che sia finita qui! So che avevi dei precedenti e purtroppo non sei stato punito a dovere, per questo eri fuori in cerca di nuove vittime. Peccato, che nelle tue grinfie sia caduta proprio la mia più cara amica. Ma io stavolta ho pensato a una piccante e folle idea per farti godere a dovere!»

Mi accorgo di essere in preda ad un attacco di panico e di sudare freddo, ma quel volto mi ricorda Nelly in un lato molto più sexy ed erotico. La fisso con assurda aspettativa, senza pensare a cosa possa avere in serbo per me.

Si prostra verso di me e inizia a palparmi dappertutto fino ad arrivare al mio membro, lì dove ancora la mia ossessiva perversione non ha tregua.

«Sì, continua così, bella. Ancora...»

Lei sorride compiaciuta, mentre io chiudo gli occhi incantato da quel tocco sublime e davvero esperto. Senza rendermene conto, mi apre la cerniera dei pantaloni e tira fuori la mia potente virilità. Sto quasi per urlare di piacere, ma lei mi mette una mano sulla bocca in modo fulmineo.

«So che non riesci a controllarti, ma siamo pur sempre in una prigione, e io sono soltanto la strizzacervelli che è venuta a portarti un po' di sostegno morale. Sono venuta a liberarti dai tuoi incubi».

La guardai con aria maliziosa e audace.

«Certo, lo so. Non sapevo, però che ci fosse anche un sostegno fisico».

Riprende a masturbarmi senza pietà fino a quando i miei pensieri vengono annebbiati dal godimento. Sento una forte calura dentro di me che parte dal basso fino ad irradiarsi in ogni cellula del mio corpo. Poi sempre ad occhi chiusi sento un piccolo sprazzo di frescura scivolarmi dalla fronte verso la tempia destra.

Apro un occhio e vedo scivolare lungo il mio viso qualcosa di metallico, ma la forte voglia di essere ancora piacevolmente torturato mi rimanda in uno stato di oblio.

Percepisco gioia, infinito piacere e mi sembra di volare sopra una nuvola, poi improvvisamente e con orrore sento un fortissimo dolore nelle parti basse, come se qualcuno si fosse appropriato di me per sempre. Come se mi avessero tagliato la vita. Pianto un efferato urlo di estrema sofferenza, mentre copiose lacrime di agghiacciante spasmo mi rigano il volto.

Apro immediatamente gli occhi e vedo a terra un copioso fiume di sangue, che scende lungo le mie gambe.

«Che cazzo hai fatto? Brutta troia!»

Mi tengo disperatamente la testa con un mano e con l'altra cerco di fermare quella orribile emorragia.

«Ti ho semplicemente ripagato di ciò che hai fatto. Non hai il diritto di essere un uomo. Fottuto verme».

In quel terribile momento di strazio, la vedo togliersi un paio di guanti insanguinati e metterli in una busta dentro la sua borsetta.

Resto senza parole, mentre la guardo pigiare con forza sul pulsante di allarme. Il suo volto sembra diventare improvvisamente disperato e preoccupato, però senza abbandonare quella sottile aria glaciale da poliziotto.

Una guardia accorre subito nelle stanza, mentre il commissario Lopez sgrana gli occhi incredula e scioccata vestendo i panni dell'ambigua dottoressa Potter.

«Non so come sia potuto succedere, ma alla fine della sua dichiarazione ha lanciato un fortissimo grido e ho visto tutto quel sangue...non so come abbia fatto».

La guardia mi osserva e guardandosi intorno vede un piccolo e tagliente falcetto insanguinato sotto la mia sedia.

«Che cavolo hai combinato, idiota! Cerca di tenere duro, vado a chiamare subito il medico del carcere, cercheremo di fermare l'emorragia. Anche se credo che per il tuo 'uccello', non ci sia più niente da fare».

L'uomo corre fuori dalla stanza, mentre l'occhiata soddisfatta e piena di vendetta di Libby brilla di luce propria.

«Credevi che ti avessi lasciato morire dissanguato? No, non sono un'assassina come te. Quello che ti ho fatto è troppo poco, ma intanto non potrai mai più approfittare di una donna. Sporco vigliacco. Addio, Mike Fisher. Addio, per sempre».

Se ne va lasciandomi abbattuto dalla mia sofferenza fisica, mentre penso che nonostante tutto quella sia la più giusta vendetta per un sadico stupratore, quale sono. Sì, ero Mike Fisher, un aitante e coraggioso ufficiale di Marina. Lo attesta quel piccolo tatuaggio a forma di ancora appena sotto il mio polso. Il coraggio e la passione verso il mio ormai sfumato sogno di essere una persona dignitosa e stimabile. Un uomo in divisa da apprezzare, ma ora come ora non resta niente del mio vero io. Soltanto un finto John Riley senza futuro.

Non avrei voluto uccidere Nelly, ma era stato "il mio migliore amico" a suggerirmelo. Adesso, il "mio migliore amico" non c'è più. E senza di lui non c'è più motivo di vivere. Non sarei stato mai più un uomo. I miei testicoli e il mio pene sono là a terra così soli e anonimi. Non mi rimane altra scelta. Approfitto della breve assenza della guardia carceraria, che di lì a poco sarebbe arrivata con i dovuti soccorsi. Prendo in mano il falcetto e lo punto alla gola. Deglutisco e chiudendo gli occhi pongo fine al mio tormento. Finalmente avrei raggiunto "il mio migliore amico".

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