55. Una vera insegnante
La professoressa aspettò che tutti gli altri uscissero, chiuse la porta e si sedette. Poi iniziò a sistemare accuratamente la cattedra.
Quel silenzio era spezzato soltanto dal fruscio dei fogli che spostava qui e là.
Il tempo passava e la mia curiosità, per quanto assurda in quel momento, mi uccideva ogni istante di più.
"Mi scusi, non vorrei interrompere il suo minuzioso lavoro, ma avrei un autobus da prendere quindi la prego di essere veloce con la spiegazione della mia punizione, grazie" sapevo bene che stavo solo peggiorando la situazione e mettendo in grave difficoltà la sua pazienza, ma se non si fosse sbrigata non avrei preso nemmeno il bus dopo.
Senza scomporsi nemmeno un po' alzò lo sguardo dai vari fogli e mi guardò.
Nei suoi occhi non c'era rabbia, ma una specie di tristezza provocata da non sapevo bene cosa.
Le sue spalle erano tese, questo significava che quello che mi stava per comunicare la rendeva nervosa, cosa poteva mai volermi dire?
Uno dei miei più grandi difetti era quello di notare tutto, ogni piccolo e impercettibile gesto.
Molti pensavano che fosse una cosa a dir poco straordinaria, ma io sapevo bene che era solo una condanna da cui non sarei potuta scappare.
Vedevo sempre più di quello che volevo e percepivo più di quello che dovevo sentire.
Rendersi conto, anche solo da uno sguardo, di quello che sentiva l'altra persona era estenuante. Negli occhi degli altri riuscivo a percepire le loro emozioni, ma la peggiore era la sofferenza. La assorbivo fino a farla mia, come se il mio dolore non bastasse.
Il peggio, però, arrivava quando mi rendevo conto di non poter aiutarli ad attenuare quel senso di soffocamento. Sapevo cosa si provava e detestavo quando lo riconoscevo nello sguardo di qualcun altro.
"Ti posso chiamare per nome?" mi chiese ad un tratto.
Immediatamente la confusione prese vita sul mio viso.
"Si" risposi non molto covinta.
"Bene" finalmente si alzò e si mise davanti a me.
"Haely, cosa ti fa pensare che io voglia assegnarti una punizione?" mi chiesi se fossi io che stavo impazzendo o lei.
Pensai che forse poteva essere una sorta di tecnica di psicologia inversa, voleva farmi ammettere di aver sbagliato, nonostante lo avessi già fatto nel momento in cui avevo confessato di non seguire la lezione.
"Stavo facendo dell'altro mentre lei spiegava, ignorando completamente la sua lezione. Inoltre le ho mentito cercando di fregarla proprio per non ritrovarmi in questa situazione, ma direi che qualcosa non ha funzionato..." mi stava prestando completamente la sua attenzione, era come se stesse analizzando ogni mia singola parola.
"E pensi che costringendoti a stare qualche ora in più qui a scuola risolverei la tua scarsa, o completa, mancanza di attenzione durante le mie ore?" non capivo dove voleva arrivare.
"Questo dovrebbe dirlo lei a me, non il contrario. Non crede?"
"Mh, giusto" riflettè qualche istante sulla mia risposta.
"No, non penso, anzi, sono sicura che assegnandoti una punizione la situazione non migliorerà. Haely voglio che tu ora mia stia a sentire, ti chiedo solo qualche istante di attenzione" feci un leggero cenno con la testa per farle capire che la stavo ascoltando.
"Sarò sincera, parecchi insegnanti si sono lamentati della tua scarsa concentrazione durante le ore scolastiche, ma io personalmente non ho mai riscontrato questo problema fino a qualche settimana fa. La materia che insegno ti è sempre piaciuta parecchio eppure da un po' ho notato che fai fatica a seguire" quello che diceva era vero, non potevo negarlo più che altro ero stupita dal fatto che se ne fosse resa conto.
"Sei sicura che vada tutto bene?" appoggiò una mano sulla mia spalla con fare quasi materno.
In quel momento quello che leggevo nei suoi occhi diventò molto più chiaro, era preoccupata per me. Questa cosa mi lasciò senza parole, ma una cosa riuscii a dirla, la solita.
"Certo, va tutto bene" lei non sembrò essere stupita.
Allontanò il braccio e si appoggiò alla cattedra.
"So che mi prenderai per pazza in questo momento, ma a me importa veramente dei miei studenti, soprattutto delle persone come te" si, la stavo seriamente prendendo per pazza.
"Ovvero?" persone come me? Era già tanto se sapeva come mi chiamavo figuriamoci se era in grado di definirmi come persona.
"Non so spiegarlo bene, ma ci proverò. Ogni tanto vedo che ti perdi totalmente nel tuo mondo però non è fatto di sogni e cose belle, ma di spine.
Durante le utlime lezioni il tuo viso diventa spesso triste" quella volta le parole le avevo seriamente finite, tutte.
"Non voglio essere invasiva nei tuoi confronti, vorrei solo poterti aiutare un pochino.
Ora ti racconterò una cosa" non dissi niente, ascoltai soltanto.
"Quando avevo la tua età passai uno dei periodi più brutti della mia vita, pensavo di essere spacciata. Vedevo tutti i miei amici essere felici e io non capivo come facessero, volevo esserlo tanto anche io, ma ero sempre giù di morale.
Poi parecchi anni dopo capii che nemmero loro erano così felici come credevo, se gliene avessi parlato sicuamente sarebbe stato meno pesante per entrambi" non capivo se quella fosse una psicologa o seriamente la mia insegnante di matematica.
"Non la riesco a seguire" confessai sempre più cofusa, perché stava dicendo tutte quelle cose a me?
"Tutto questo per dirti quello che io avrei voluto che dicessero a me. Non parlare a me di come ti senti, anche perché sarebbe assurdo non credi? Dillo ai tuoi amici, te lo dice una che ci è già passata. So come ti senti, sono stata anche io giovane proprio come te.
L'adolescenza non è mai facile, ma ti prometto che passerà, come tutto" le sue parole non erano riuscite a dare una risposta alle mie domande, ma ne avevano create altre.
"Mi scusi, ma davvero non capisco. Perché mi ha detto tutto questo?"
"Troppo spesso i miei colleghi incolpano voi alunni e vi danno punizioni futili pensando che questo possa farvi "tornare in riga", ma non capiscono che l'unico modo per aiutarvi è dialogare con voi. Personalmente penso che il ruolo di un insegnate non sia solo quello di insegnare. Come ti ho detto prima ci tengo molto ai miei studenti e di conseguenza ci tengo a te Haely" non avrei mai pensato che dietro a quella donna sempre impeccabile si nascondesse una persona così umana e in grado di immedesimarsi nell'altro.
Chissà cosa vuole in cambio...
Una di quelle tante vocine mi ricordò che la fiducia era una brutta bestia.
"Scusami mi sono dilungata parecchio, ma necessitavo di parlarti e credo che anche tu ne abbia bisogno.
Spero di non averti fatto perdere l'autobus, se vuoi puoi andare" ritornò al suo posto dietro la cattedra.
Da quel momento in poi per me sarebbe stato impossibile vederla solo come un'insegnante, mi aveva fatto capire che era molto di più.
Sta mentendo, non gliene importa nulla di te.
Credi davvero che qualcuno possa davvero ritenerti così importante da preoccuparsi per te? Illusa.
Avrei tanto voluto avere un telecomando per zittire tutto quel rumore nella mia testa.
"Grazie...a domani..." senza dire altro uscii.
Guardai l'orologio e mi resi conto che mancavano cinque minuti all'arrivo dell'autobus, dovetti correre per riuscire a prenderlo.
Mi sedetti nei posti in fondo, misi le miei fedeli cuffiette e diedi libero sfogo ai miei pensieri.
L'unico momento in cui riuscivo a sopportare la sovrapposizione di tutte quelle idee era quando avevo la musica ad attenuare quel caos che altrimenti mi avrebbe sovrastata.
Spazio autrice
Ciao bellissim*, come state? Spero bene.
Cosa ne pensate di questo capitolo? É un po' diverso dal solito.
Ognuno di noi spesso sente il bisogno di parlare, ma non lo fa quasi mai, dico bene?
Ci sentiamo presto.
Vostra Clari🧡
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