3. I primi problemi

Non potevo credere ai miei occhi. L'entrata di casa mia era un disastro. Tutti i mobili erano stati aperti, c'erano un sacco di cose sparse per terra...qualcuno era entrato per rubare.

La domanda che però mi continuava a frullare in testa era perché? cosa volevano rubare? il latte scaduto nel frigo? Le mie pantofole a forma di unicorno? La mia...Il fluso dei miei pensieri fu interrotto da un rumore proveniente dalla cucina.

Qualcuno stava piangendo. Presi un ombrello da usare come eventuale arma e mi diressi alla fonte di quel rumore.

Mia madre era ranicchiata in un angolo, tremava per via dei singhiozzi e aveva il viso coperto dalle mani. Lei era in casa quando erano entrati?

Corsi subito da lei e, appena la sfiorai, di scatto si allontanò. Dopo poco capì che ero io e si tranquillizzò per quanto possibile.

Appena vidi le condizioni del suo viso rabbrividii. Aveva un occhio nero e un altro segno violaceo le contornava lo zigomo destro.

Mi si gelò il sangue alla vista di quella scena. Era stata picchiata.

Non riuscivo a muovermi, rimasi pietrificata davanti a quella scena.

In preda allo shock continuava a ripetere: "loro lo sanno, ci hanno trovate. Scusa, scusa se non sono riuscita a proteggerla. Perdonami ti prego". La confusione si fece strada nei miei pesieri. Non capivo più nulla.

"Mamma di chi stai parlando? Cosa è successo?" non so come, pronunciai quelle parole. La mia voce era fredda, come se non avessi veramente parlato io.

Era come se stessi osservando quella scena dall'esterno. Stavo perdendo il controllo del mio corpo, ma prima che la situazione mi scivolasse di mano ripresi possesso di me stessa.

Mia madre non rispose, continuò a piangere e a ripetere quelle frasi.

Alla fine si alzò e si chiuse in bagno, come se io non ci fossi.

Dopo più di un ora uscì. Se non fosse stato per quei segni sul suo viso, nessuno si sarebbe accorto di quello che era successo prima, che, comunque, non mi era ancora ben chiaro. Era tornata la donna forte e severa che non lasciava trasparire le sue emozioni.

"Mamma, cosa è successo?" le chiesi, ma la risposta non arrivò.
"Tesoro cosa vuoi mangiare per cena? Pensavo di fare un minestrone o qualcosa del genere. Ti va?" domandò, come se fosse normale.

"Stai scherzando?" ero incredula.
"Hai ragione il minestrone è davvero un'idea terribile. Potrei fare una pasta con panna e prosciutto...anzi ho un'idea! Potremmo..." la interruppi prima che potesse continuare.

"Io non ci credo!" esclamai sconvolta.
"Come puoi ignorare quello che è successo prima? Cazzo mamma hai due lividi enormi sul viso. Non puoi fingere!" Mi guardò come se avessi tre teste.

"Haely Cecelia Smith, modera il linguaggio!" non riuscivo a credere alle sue parole. Mi chiamava con il mio nome completo solo quando facevo o dicevo qualcosa che secondo lei non era adeguato ad una ragazza per bene.

Al diavolo le buone maniere! Per poco non credetti di essere pazza. Sembrava che mi fossi inventata tutto. Eppure la casa era ancora sottosopra e il suo viso era ancora sfregiato da quei segni.

"Davvero di tutto quello che ho detto, tu, mi stai sgridando per aver citato un organo maschile?! Io non ci posso credere!" ero esasperata. Come se niente fosse mi ignorò e si mise a cucinare.

Consapevole che tanto non mi avrebbe detto niente, e che avrebbe ignorato il problema finchè sarebbe stato possibile, me ne andai in camera mia, al piano superiore, e mi chiusi dentro.

Non so come, ma mi addormentai. Quando aprì gli occhi fuori stava sorgendo il sole. Avevo un mal di testa insopportabile e così scesi di sotto per prendere una tachipirina o qualsiasi cosa potesse fermare quel dolore costante.

La casa era come nuova. Tutto era tornato al suo posto. Forse stavo davvero impazzendo. Mi tirai anche dei pizzicotti per essere sicura di non dormire ancora, ma ottenni solo un lieve dolore al braccio e, cosa peggiore, la conferma che quella era la realtà.

Alla fine tornai in camera dimenticandomi il vero motivo per cui ero scesa.
Sentivo un fastidio strano agli occhi e così cercai di aprirli. Un raggio di sole filtrava dalla mia finestra cadendo proprio sul mio cuscino.

Guardai l'orologio, erano le 7. Mia mamma non mi aveva svegliata. Tra meno di 20 minuti sarei dovuta essere a scuola.

Mi catapultai giù dal letto. Infilai i primi vestiti che trovai e feci una coda alta di fretta.
Poi corsi al piano di sotto stando attenta a non cadere, dalle scale, come già mi era successo.

Mi misi le scarpe e uscendo notai un biglietto attaccato sulla porta d'ingresso. Era di mia mamma.

Come avevo fatto a dimenticarmi di lei? Il biglietto diceva: "Ciao tesoro, scusa se non ti ho salutata, ma sono dovuta partire per un viaggio di lavoro. Ho fatto la spesa, il frigo è pieno. Starò via circa due settimane. Baci, mamma" staccai il foglietto dalla porta e uscii di corsa.

Dopo la avrei chiamata pretendendo spiegazioni su tutto quello che era successo e sul suo improvviso viaggio di lavoro di cui non ero a conoscienza.

Entrai a scuola di corsa e, grazie alla mia solita fortuna, mi scontrai con quacuno.

Oh, no.
Non era qualcuno a caso. Era quel cretino di Dylan.

Non avevo tempo da perdere, altrimenti mi sarei fermata volentieri ad insultarlo.
Stavo per andarmene quando fui bloccata dal polso.

"Hey, hey, ferma. Dove pensi di andare senza chiedermi scusa?" non ci potevo credere.
ma questo ci è o ci fa?

Al massimo avrebbe dovuto chiedere lui scusa a me, non solo per questo, ma anche per essere uno degli esseri umani più insopportabili al mondo.

"Hai perso la lingua per caso? cos'è ora non parli più?" calmati, calmati me lo continuavo a ripetere per non dare spettacolo.

"Senti, lasciami andare e ti eviterò un calcio dove non batte il sole" ero stata anche gentile considerando il troglodita con cui stavo parlando.

"No aspetta, aspetta. Cavolo questa si che era buona. Allora qualche bella battuta la sai fare anche tu" rise, come se avessi fatto la battuta del secolo. Stavo perdendo la pazienza.

"Ora tu mi stai a sentire. Io capisco che tu sia un essere mitologico con il corpo di un uomo e la testa di cazzo, ma a tutto c'è un limite. La mia pazienza rientra tra questo. Ora mi lascerai andare, dato che devo seguire le lezioni. Lo dico per il tuo bene, fidati" stavo davvero per avere una crisi nervosa. Sarei arrivata tardi alla lezione di storia dell'arte peggiorando il pessimo rapporto che avevo con l'insegnante di quella disciplina.

Inoltre Megan probabilmente si stava chiedendo che fine avessi  fatto, ma che ci potevo fare se suo fratello era tutto steroidi e niente cervello?

"Oh, qualcuno qui si è alzato con il piede sbagliato. Cosa mangi a colazione? Pane e acidità? Ah no, forse ho capito. Hai il ciclo?" continuò imperterrito.

"Lasciami andare. Ora." non mi ascoltò e strinse ancora di più la presa sul mio polso, che iniziò a farmi male, ma questo non lo avrebbe mai saputo. Non gli avrei dato quella soddisfazione. Ormai non mi facevo piegare più da niente.

"Cosa c'è sei diventata anche sorda? Ti ho detto che se non mi chiedi scusa tu da qui non te ne vai" dovevo trovare un modo per andarmene prima di commettere qualche casino.

"Sei proprio una bambina. Che c'é? Il paparino ti dà troppi vizi e non sei abituata a sentirti dire di no?" non ci vidi più, toccò il tasto sbagliato. Di scatto, con una forza inaudita, lo afferrai dal colletto della maglia e lo sbattei contro il muro.

"Azzardati a nominare di nuovo mio padre e giuro che ti faccio piangere come un bambino. Non lo nominare mai più o per te finisce male. Mi hai capita?" ebbe una reazione che mandò in tilt la mia ragione. Si mise a ridere.

Era convinto che io stessi scherzando? Si credeva forte solo perché era più alto di me ed era uomo? Non mi credeva? Bene, gli avrei dato una dimostrazione pratica dato che la teoria non la capiva.

Gli sferrai un calcio nei gioielli di famiglia che gli avrebbero fatto male per un bel po'.

Non ero ancora sodisfatta e quindi, per compensare, gli tirai un gancio sulla guancia sinistra. Poi lo afferrai nuovamente per la maglia.

"Sapevo che fossi un coglione e non capissi proprio un cazzo, ma non pensavo fino a questi punti. Forse con questa prova pratica ti è più chiaro quello che a parole non hai capito" conclusi con una voce che non ammetteva repliche.

Vidi un guizzo sulla sua mascella. Era incazzato parecchio, ma io lo ero molto di più.

Con uno scatto rapido si alzò e la situazione si capovolse. Io ero contro il muro e lui torreggiava su di me.

"Quella che qui non ha capito proprio un cazzo sei tu. Forse non hai bene presente chi sono"
"Sto cazzo" gli risposi con astio.

"Qui qualcuno ha voglia di giocare. Vuoi giocare ragazzina? Allora giochiamo. Però, per giocare meglio, dovremmo trovare un posto più appartato. Non credi?" era matto da legare.

"Uno. Non mi chiamare ragazzina, anzi fai prima, non mi chiamare propio.
Due. Vuoi un'altra dimostrazione di quello che so fare?" stava per ribattere quando qualcuno ci chiamò.

"Hey, voi due! Cosa pensate di fare? Vi sembrano queste le cose da fare in una scuola? Tutti e due in presideza, subito!"

Eh no però!

Poteva andare peggio di così? Chissà questo vecchio cosa aveva capito! Di sicuro niente.

Era convinto che io e quel coso stessimo facendo cose sconcie? Non ci potevo credere. Non bastava mia mamma, adesso ero pure convocata in presidenza per colpa di un imbecille. Bella vita di merda!

Spazio autrice
Hey, questo capitolo è un po' più lungo degli altri. Spero vi sia piaciuto. Cosa ne pensate di quel coso o troglodito o essere mitologico (come lo chiama lei) ? Invece di Haely cosa ne pensate? Fatemelo sapere. Noi ci vediamo al prossimo capitolo e preparatevi perché, questo, è solo l'inizio. Bye, bye. Clari

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