26. Lost myself and I am nowhere to be found

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Sia, Breathe me






«Hai indossato l’altro maglione che ti ho regalato», esclama Jack non appena mi vede entrare in cucina. Sono già tutti qui, con gli sguardi freschi e gli occhi luminoso. Sento lo sfrigoglio del bacon e vedo Danny trafficare davanti al piano cottura, come se fosse impaziente.

«Davvero meraviglioso», borbotta Lydia nascondendo la smorfia dietro la tazza che tiene all’altezza del viso.

«Il cappellaio matto, eh», Rosalyn indica il mio maglione con un cenno del capo. «Mi è stato detto che quando da grandi amiamo ancora le cose che ci piacevano da piccoli, è perché in realtà non siamo riusciti a superare una fase della nostra vita. È un po’ come se tornassimo di nuovo nel posto in cui siamo stati bene».

A Lydia per poco non va di traverso il latte.
«Non è il caso di Nives. A lei piacciono i film di Burton e basta, non si nasconde una spiegazione di carattere psicologico dietro ad un banale maglione», per fortuna Jack ha risposto al posto mio, anche se la risposta non la gradisco più di tanto.

Rosalyn è bellissima anche al mattino; adesso che la stanchezza non le marca più il viso, sembra ancora più frizzante e piena di vita. Ha i capelli raccolti in due trecce e indossa una di quelle tute morbidissime da pigiama con il cappuccio a forma di orso.
«Già, è proprio così», confermo leggermente piccata.

«Oh, ma certo! Non stavo insinuando nulla», Rosalyn mi guarda mortificata, ma poi abbassa subito lo sguardo e assottiglia le labbra.

Qualcosa dentro di me fa un rumore straziante; una vecchia emozione annuncia il suo risveglio e io sto cercando di tenerla a bada.
Ancora non ho avuto modo di inquadrare per bene l’amica di Kyle. Sembra socievole ed estroversa, così pimpante e piena di vita che mi fa sembrare piena di difetti, apatica e infelice.

Nella nostra stanza abbiamo scambiato sì e no due parole. Ho dormito molto di meno, perché ha tenuto quasi tutta la notte la lampada accesa per leggere e non ha fatto altro che sghignazzare, soffocare risate nel cuscino e imprecare a bassa voce.

«Con un conto in banca simile, ti assicuro che è impossibile attraversare delle fasi brutte nella vita. Troveresti una soluzione ad ogni problema», Jack mi fa l’occhiolino e mi fa cenno di sedermi vicino a lui.

Rimango immobile, i pensieri corrono veloci nella mia testa come uno stormo di uccelli. Spiccano il volo, si muovono in sincronia, e si abbattono con forza nei miei occhi. Lui non sa; nessuno sa davvero cosa provo e io non mi aspetto più che qualcuno capisca che questo sorriso non rappresenta esattamente nulla sul mio volto.

«Beh, non è da tutti ricevere in regalo un bonifico da diecimila dollari», Rosalyn ride e io vorrei semplicemente dire qualcosa, tappare la bocca a tutti, e versarle quella tazza di latte in faccia.

Afferro con poca grazia lo schienale della sedia e la tiro verso di me. Prendo posto, mi muovo come un automa. Guardo il suo piatto pieno di uova strapazzate, bacon, e due pancakes. E lentamente inizio ad ispezionare i piatti di tutti.
Prendo i miei soliti tre biscotti e il caffè decaffeinato, che qualcuno ha preparato per me.

«Come fa quella roba a riempirti?», chiede Rosalyn, indicando con la forchetta il mio piattino semivuoto.

«Io-», riesco a dire, ma all’improvviso sento un mattone posarsi sullo stomaco e la fame sfuma.

«Ci tiene alla sua linea», Jack mi accarezza la nuca e io cerco di non pensare.

«Ma sta bene! Ha un fisico spettacolare», ribatte lei con fare indignato, come se avesse già analizzato minuziosamente ogni curva del mio corpo e lo conoscesse perfettamente.

Più parlano, più il mio stomaco si restringe. Più sento i loro sguardi su di me, più mi viene voglia di vomitare.

«Basta», tuona Kyle, senza alzare lo sguardo dal suo piatto. Stringe la forchetta tra le mani, applica un po’ di forza in più. «Ci sono tanti argomenti interessanti di cui parlare, e discutere del fisico di un'altra persona non rientra tra essi».

«Kyle, lo sai che non l’ho detto con cattiveria», si giustifica Rosalyn guardandolo con fare offeso. Incrocia le braccia al petto come una bambina; un gesto che ho fatto anche io un miliardo di volte quando non riuscivo ad ottenere l’approvazione di mia madre.

«Non voglio risponderti male, Ros, quindi chiudiamola qui», lui appoggia la mano sul suo braccio, dandole una piccola carezza e io distolgo lo sguardo. Quella delicatezza… Mi chiedo se qualcuno userà mai quella delicatezza su di me.

Finisco di mangiare i miei biscotti e di bere il caffè e mi alzo.
Il cellulare vibra nella tasca dei pantaloni e lo estraggo trattenendo un lamento.
«Un altro bonifico?», chiede scherzosamente Jack.

Fisso il nome di mia madre e clicco sulla notifica apparsa sullo schermo.

“Tuo zio ti chiamerà tra dieci minuti. Non essere irrispettosa, come al solito. Manchi a tutti, fatti sentire”.

È il momento in cui la nuova Nives smette di esistere, perché viene rimpiazzata di nuovo dalla vecchia. Respiro profondamente, sento le narici dilatarsi.
Esco dalla cucina e corro su per le scale, prendo il mio giubbotto e infilo i piedi negli scarponi, avvolgo la sciarpa intorno al collo, e metto lo zainetto sulle spalle.
Raggiungo l’ingresso, il respiro corto e le gambe deboli. Mi lascio alle spalle una debole frase: «Tornerò presto», e corro fuori.

L’aria fredda si infrange contro il mio viso come uno specchio che va in mille pezzi. Mi riempio i polmoni d’aria e sollevo lo sguardo verso l’alto; fisso le nuvole bianche, poi i raggi del sole che le attraversano, che come fili d’oro scendono in mezzo ai cristalli appesi tra i rami degli abeti.
Inizio a camminare senza avere una vera meta. Il cellulare squilla e io mi fermo.
Decido di rispondere.

«Mia piccola Nives, tesoro mio, quanto tempo è passato!», la sua voce è amara, è pesante, è un sostanza corrosiva che mi distrugge lentamente all’interno.

«Ciao, zio», rispondo monocorde. La bocca diventa asciutta, lo stomaco è un masso che schiaccia tutte le mie emozioni.

«Ti è arrivato il bonifico?», chiede con una vena di trionfo nella voce.

«Non ho bisogno dei tuoi soldi, lo sai», gli dico, cercando di non crollare qui, in mezzo al nulla.
Il segnale è debole, magari sarà dalla mia parte.

«Tua nonna vorrebbe che tu tornassi a casa per il Ringraziamento. Renderesti felici tutti».

«Non saprei, ho ancora un sacco di roba da studiare», un conato di vomito inizia a salire alla velocità della luce. Mi porto la mano davanti alla bocca e cerco di ignorare l’acidità che ho in bocca.

«Verrai, Nives», cambia il tono della voce, la dolcezza di prima si dissolve e lascia il posto ad una freddezza che ha avvolto quella sua lingua disgustosa più di una volta.

«No», asserisco.

«Sai, Nives, ai gatti si possono tagliare gli artigli, quindi spero tu decida saggiamente quando e con chi tirarli fuori. Ti aspetteremo e tu ti farai trovare davanti alla porta. Tua nonna non sta molto bene, non volevamo dirtelo così, ma temiamo che la sua condizione possa peggiorare da un momento all’altro, quindi vogliamo che questo Ringraziamento sia come ai vecchi tempi.»

«Esattamente come ai vecchi tempi?», chiedo con un filo di voce.

«Preciso. Suoneremo insieme prima e dopo aver mangiato. Tua madre farà il video come sempre. La nonna batterà le mani e sorriderà felice e tu ti comporterai da brava ragazza ingenua. Sono stato chiaro, Nives?»

La linea cade e io crollo in ginocchio e questa volta vomito davvero.
Prendo i fazzoletti dallo zainetto e mi pulisco la bocca. Non sto bene. Non sto per niente bene. Ma loro questo non potranno mai capirlo.
Mi sposto a qualche metro più in là. Raggiungo un abete e mi siedo a terra, con la schiena appoggiata al tronco e i rami innevati sopra la mia testa che mi fanno da scudo.

L’aria gelida mi pizzica incurante le mani, lasciando una striscia rossastra sulle nocche.
Nella mia mente scorre lo stesso torrente di immagini, la stessa voce e gli stessi supplizi di anni fa.
Senza alcun preavviso le lacrime iniziano a scendere copiosamente sulle mie guance e io inizio a singhiozzare così forte che sento l’intera cassa toracica vibrare per colpa del mio dolore, che ruggisce come un leone nel mio petto.

Mi prendo la testa tra le mani, non cerco nemmeno di asciugarmi le lacrime, perché sarebbe inutile.
Mi raddrizzo contro il tronco e poi inizio a battere i pugni dietro di me, contro la corteccia, finché non noto delle piccole gocce di sangue macchiare il bianco candido e sfavillante accanto a me.
Ho le nocche sbucciate e i rivoli di sangue continuano a macchiarmi la pelle, ma io non sento niente, a parte un lieve bruciore sulle mani.

Fisso un punto indefinito tra gli alberi, le ginocchia ben strette al petto e le braccia a circondare le mie gambe. In fondo, sono sempre stata l’unica a darmi conforto e sarà sempre così.
Nel silenzio che mi avvolge la mente inizia a fare sempre più rumore.
Inizio a pensare e pensare, e pensare. È una giostra che non si ferma mai, è una tortura che non smetto di infliggermi.
Le lacrime continuano a scorrere sul mio volto e io mi lascio andare, qui, dove nessuno può vedermi e dove le mie emozioni non possono essere giudicate.

Tutto questo avrà mai una fine?
Mentre parlo con me stessa e do adito a tutte le insicurezze e le paure che fino ad ora non ho fatto altro che nascondere dietro ad un sorriso e ad un banale "Sto bene",  mi rendo conto che la maggior parte del tempo mi sembra di guardare la realtà attraverso un frammento di vetro appannato. Il mondo si muove in slow-motion, scorgo facce anonime, occhi vacui e un perfido dolore danzare sulle labbra di chi racconta con entusiasmo quanto è perfetta la sua vita.

E io a volte mi sento come quel dolore che rimane lì in bella mostra, ma che nessuno nota davvero.

Sono troppo orgogliosa per ammettere che in questo mondo io non ci entro, ma troppo debole per farmelo andare bene. Rimango paralizzata in attesa che qualcuno indovini il mio stato d’animo, che mi tenda la mano e mi faccia sentire meno sola. È stupido da parte mia, ne sono consapevole. Dovrei parlare, direbbe lo psicologo. Dovrei sputare fuori questo veleno che continuo a far ribollire nelle mie vene; dovrei lasciare andare questa rabbia che continuo a covare nel profondo. Ma la verità è che ho paura e l’idea che sia qualcun altro a scavare dentro di me e capire ciò che provo senza che io dica una parola, sembra molto più semplice ai miei occhi.

Mi arrabbio quando le cose non vanno come vorrei. Mi arrabbio quando mi arrendo e accolgo dentro di me lo spietato desiderio che la mia mente culla in silenzio. Sarebbe tutto più semplice se io smettessi di esistere, se il mio cervello smettesse di far scorrere fiumi interi di parole, di pensieri sconnessi, di paure. Sarebbe molto più semplice se questa fabbrica di storie poco veritiere che ho in testa si fermasse, bruciasse e si svuotasse all’improvviso.

La mia vita è un granello di sabbia in mezzo all’oceano. Insignificante e uguale a tante altre.

Dalla mia bocca esce una risata amara, quasi macabra.

«Non farò domande», dice una voce calma e calda dietro di me. «Ma a volte mi piacerebbe davvero sapere dove vai e perché lo fai. Perché ti fai del male, Nives?»

Lydia si siede accanto a me, indossa soltanto il maglione di lana e il cappello. Alla vista delle mie mani insanguinate i suoi occhi si riempiono di sincera preoccupazione.
Premo i palmi delle mani sugli occhi, cercando di fermare il mio pianto, ma ottengo l’effetto contrario.

Lydia si mette in ginocchio accanto a me e mi attira tra le sue braccia, stringendomi forte e baciandomi la fronte. «Ti voglio bene, ma sappi che quando fingi di stare bene te ne voglio sempre un po’ di più».

«Sono stanca», dico tra i singhiozzi. «Non sarò mai libera davvero».

«Ogni volta che ti sentirai stanca, ti darò un po’ della mia forza. Permettimi di starti accanto, Nives. Ti prometto che andrà bene.»

Non andrà bene. Non è facile.

«Me lo permetterai?»

Mi aggrappo a lei come se fosse la mia unica ancora. Mento a me stessa ancora, ma in questa piccola bugia ritrovo un attimo di pace.
Mi aiuta ad alzarmi in piedi e mi prende per mano, nonostante sia sporca, e ci dirigiamo verso il chalet.
Il silenzio serpeggia tra di noi anche quando apriamo la porta e le voci dei ragazzi ci raggiungono.

Mentre ci affrettiamo a salire le scale, Kyle si affaccia nel corridoio. Lydia mi tira per il braccio, costringendomi a seguirla, in modo da sfuggire alle domande.
«Aspetta un secondo».
Lydia non intende fermarsi, quindi Kyle inizia a correre su per le scale e mi afferra per il polso.
«Cos’è successo alle tue mani?», chiede preoccupato.

Lydia mi lancia uno sguardo supplichevole.
La sua presa intorno al mio polso è così delicata che mi sento cadere a pezzi di nuovo.

«Vuoi restare?», sussurra Lydia, ma Kyle non aspetta una risposta da parte mia. Mi afferra il gomito e lentamente mi guida verso il bagno.

Chiude la porta alle nostre spalle e la prima cosa che fa è abbracciarmi.

«Non devi fingere sempre, bisbetica. Ti assicuro che il mondo andrà avanti lo stesso, con o senza il tuo dolore, quindi tanto vale buttarlo fuori. C'è  abbastanza spazio anche per il tuo, te lo giuro».

Affondo la faccia nell’incavo del suo collo e appoggio la testa sulla sua spalla. «No», sussurro.

«Va bene», mi stringe un po’ più forte per pochi secondi, poi si allontana da me e mi aiuta a sfilarmi il giubbotto senza sporcarlo.

Mi prende entrambe le mani e le mette sotto il getto caldo d’acqua che scorre dal rubinetto.
Lava via delicatamente il sangue, facendo attenzione a non farmi male e poi apre un cassetto e cerca il kit di pronto soccorso.
«Mi dispiace per quello che ha detto Rosalyn prima. A volte non sa quando fermarsi», inizia a disinfettarmi le ferite e stringo i denti
.
«Non importa», mormoro piatta.

Lui solleva la testa. «Importa, Nives. E non dovresti mai sminuire le tue emozioni in questo modo. Ciò che provi è importante. Qualsiasi cosa tu stia provando adesso lo è. Non permettere che gli altri ti dicano il contrario», mi guarda negli occhi e poi compie un gesto che mi spiazza: avvicina le mani alla sua bocca e mi bacia le nocche.

Mi guarda così intensamente negli occhi che ho paura di annegarci dentro.

«Ti avrei cercata, sai?», mi sposta una ciocca di capelli dietro l’orecchio e con l’angolo dell’asciugamano umido mi pulisce anche la guancia.

«E perché non l’hai fatto?», chiedo con voce traballante.

«Perché? Ti avrebbe fatto piacere rivedere la persona che ti ha fatto del male?»

«No. Penso di no. Quindi è soltanto questo il motivo?», chiedo mentre lui mi pulisce anche l’altra guancia.

«No... Non ti ho cercata perché dentro di me sapevo che non sarei stato in grado di riparare ciò che avevo rotto. Non me l’hanno mai insegnato, ricordi? E tu eri così rotta, Nives... ricordo perfettamente il tuo ultimo sguardo. Non avrei saputo aggiustarti, mi dispiace».

«E io ti ho già detto che non sono fragile», scuoto la testa.

«Nives, stai cadendo a pezzi anche in questo momento e mi sto armando di tutto l’autocontrollo del mondo per non cadere in tentazione e sbatterti contro questo dannato muro e baciarti». Mi solleva il mento con due dita e mi sorride tristemente. «Ma non lo farò, perché hai ragione. Non sei fragile e un bacio non metterebbe nulla a posto. Tu sei forte, vero? Anche quando ti fai del male, e quando gli altri giudicano la tua vita e tu decidi di restare  in silenzio. Sei forte», mi tocca la punta del naso.

«Non andare avanti», dico quasi in un bisbiglio strozzato. «Ho un ragazzo che mi aspetta al piano di sotto», aggiungo, scivolando via dalla sua presa.

«Ne sei sicura, Nives? Ti sta davvero aspettando?»

Abbasso la testa.

«Meriti di più. Meriti qualcuno che sia in grado di aspettarti, anche quando si convincerà che non tornerai più e andrà sempre avanti, ma dentro di sé conserverà sempre uno spazio vuoto che soltanto la tua presenza potrà colmare», mi regala un breve sorriso e io afferro la maniglia della porta.

Lui mi trattiene. «Dove pensi di andare? Devo fasciarti le dita», mi dice. Possiede una delicatezza squisita nel tocco anche quando è arrabbiato e ferito. La mia mente conserva gelosamente la sensazione delle sue mani sul mio corpo, l'emozione che ho provato quando per la prima volta mi ha sfiorata. È l’unico a maneggiarmi con cura anche quando decanto una forza e un coraggio che a volte decidono di soccombere dentro di me.

Rimango in silenzio mentre lui si prende cura di me.
«Grazie, Kyle», sussurro battendo pigramente le ciglia.

«Adoro quando pronunci il mio nome in questo modo, con una nota di rabbia e rimorso nella voce, ma al contempo sembra dolce e calmo», fa un ampio sorriso e io arrossisco.

«Posso andare adesso?», domando, alzando gli occhi al cielo.

«Non posso trattenerti, giusto?», si fa da parte e il mio cuore perde un altro pezzo di sé. «So che ti piacerebbe, ma so anche che hai un ragazzo. Se mi giuri che sei felice, io mi farò da parte», inclina il capo, cercando disperatamente i miei occhi.

«Nessuno ha notato mai davvero la mia cicatrice, a parte te», ammetto, arrossendo fino alle punte dei capelli.

Ci mette un po’ ad elaborare la frase, ma appena realizza mi regala di nuovo un sorriso soddisfatto e annuisce.
«Odio quando ti guarda in quel modo», la sua voce mi blocca di nuovo.

«In quale modo?», mi giro e lo guardo da oltre la spalla.

«Nel modo in cui ti ho sempre guardato io», si morde il labbro e fa un passo verso di me.

«Come se mi amasse?», domando sempre più confusa.

«Come se volesse spogliarti in qualsiasi posto e a qualsiasi ora e non ne avrebbe comunque abbastanza», mi passa accanto e scende di nuovo al piano di sotto.

Vado nella camera da letto, Lydia balza in piedi e viene verso di me. «Andremo sulla pista da sci, te la senti? Come stai?»
Annuisco e mi siedo sul mio letto, accostato accanto alla finestra.
«Non volevo origliare, ma insomma sono arrossita al posto tuo», mi fa sapere e sgrano gli occhi.

«Tranquilla, Jack non saprà niente», si stringe nelle spalle e torna fischiettando verso il suo letto.

Rosalyn entra nella stanza canticchiando a bassa voce il ritornello di una canzone. Apre la sua valigia, prende un oggetto allungato ed esclama: «È arrivata l’ora della doccia! È un regalo da parte di Kyle», mi fa l’occhiolino , prende il cambio pulito e va a lavarsi.

«Le ha… le ha per caso regalato un vibratore?», chiede Lydia scioccata.
Abbasso lo sguardo sulle mie mani fasciate e sorrido tristemente.

Forse, in fondo, lui non è cambiato davvero.

Ecco il nuovo aggiornamento ❤️😍 spero vi sia piaciuto, lasciatemi una stellina o un commento 🌻❤️ vorrei promuovere la storia su tiktok, ma non saprei che format fare o che frasi usare, se avete qualche idea scrivetemi su Instagram 🥲


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