21. If I told you that I loved you, tell me, what would you say?

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The neighborhood, The beach






Non ho mai creduto alle coincidenze.

Nonostante i libri mi abbiano fatto desiderare un amore travolgente e mi abbiano fatto sognare, dentro di me sapevo che non sarebbe mai successo, che il destino con me sarebbe stato crudele.

Ho conosciuto Kyle quando ero appena un fiore che stava sbocciando su campo minato. Dentro di me sapevo che non avrei trovato tra le sue braccia la pace che cercavo.

Ero alla ricerca disperata di ciò che le mie coetanee avevano e che io, fino ad allora, non avevo nemmeno sfiorato.

Dal momento in cui mi sono imbattuta in lui e ho visto quel suo sorriso peccaminoso sapevo che sarebbe stato la mia rovina. Perché il suo sorriso è come lama affilata che ti sfiora per pochi secondi e ti pugne la pelle in modo delizioso.

L'ho sentita, quella sensazione strana, nel profondo, da qualche parte tra cuore e stomaco. L'ho sentita vibrare tra le vertebre, un terremoto inaspettato, un avvertimento.

Per il mio corpo e per la mia mente, in quel momento, Zahra non rappresentava un problema. Volevo essere vista. Volevo essere toccata. Volevo essere come lei. E mi sono sentita ridicola, una pessima amica e una persona indegna di ricevere rispetto. Perché so che quel che ho fatto è sbagliato. E odio ancora di più provare dispiacere per le persone che, dopotutto, si sono prese gioco di me.

E Dio, ho sperato con tutta me stessa di non incontrare più nessuno di loro.

Ho sperato che quel miserabile pacco che mia madre ha spedito da mio padre, sarebbe rimasto anonimo,  che sarebbe andato perso da qualche parte. Sono una scatola vuota. Ho provato a riempirmi da sola, a darmi ciò che la mia stessa famiglia non mi ha dato. Volevo essere capita, ma ancora oggi faccio fatica a mettere in ordine i pensieri.

E lui... Maledizione, con una semplice frase riusciva a farmi tremare le gambe. Con un semplice sorriso mi faceva battere il cuore e con un semplice tocco tutto dentro di me si scioglieva.

E l'ho capito soltanto quando sono andata via: per me lui non è mai stato solo attrazione o semplice sesso.
Nel suo letto mi sentivo libera, protetta, compresa.

Mi stavo innamorando come una vera sciocca del ragazzo sbagliato.

E adesso è davanti a me. E non ha più il sorrisetto da stronzo patentato sul viso. Non ha più gli occhi vivaci di un adolescente, ma ha lo sguardo intenso di un uomo. Forse tre anni non sono stati un grande cambiamento, ma rivederlo davanti a me mi fa mancare il respiro.

Avevo ragione. Nessun altro si avvicina alla sua bellezza. Ed è stupido da parte mia fissarlo come una persona disturbata mentre dentro di me il cuore e il cervello mi urlano di mettermi in salvo.

Bisbetica.

Uno spillo appuntito e amaro preme contro la carne vibrante del mio cuore. Un leggero pizzicotto mi ricorda che sono ancora qui con i polmoni agonizzanti mentre cercano di farmi riprendere il fiato.

Il mio sguardo scende sulle nostre mani, la sua stretta si intensifica leggermente e l'istinto mi dice di ritirarla piano piano e scappare.
Io voglio mettermi in salvo. Nascondermi e non vederlo più.

«Amore a prima vista oppure odio alla prima parola?», Danny rompe il silenzio e io batto velocemente le palpebre, frastornata.

«Disgusto», riesco a pronunciare a bassa voce e poi sciolgo la presa.

Kyle non dice niente. Mi guarda e basta.
Danny apre il portabagagli e io mi abbasso per afferrare la valigia, ma Kyle mi ferma.
«Faccio io», mi dice piatto, senza alcuna emozione nella voce. Ghermisce la mia valigia e la solleva, quasi fosse una piuma.

Chiude il portabagagli e con la coda dell'occhio guarda me, titubante.

Respira. Sei al sicuro. Respira.

Sento un bruciore pizzicarmi gli occhi e un tremolio propagarsi lungo i miei arti.
Non ci riesco. È troppo.

«Bene! Andiamo Nives, Kyle ci seguirà», mi fa sapere Danny.

«I-io non voglio-», riesco a dire, bloccandomi subito dopo.

La testa di Kyle scatta verso la mia e io distolgo lo sguardo, sentendomi all'improvviso di nuovo prigioniera di quegli occhi caldi e ammalianti.
«È stato un piacere conoscerti», mormora Kyle, facendo roteare il portachiavi intorno al dito. Trovo il coraggio e lo guardo di nuovo.

I suoi occhi non mi abbandonano un secondo e riesco ad intravedere in quelle maledette iridi del... rimorso. Dispiacere? No, non può essere.
Sta fingendo di non conoscermi. Sta davvero...
Mando giù il nodo che ho in gola e stringo i pugni mentre sento il mio labbro fremere e incurvarsi verso il basso.

No, non piangerò.

«È di poche parole, ma fidati, è stato un piacere anche per lei», Danny mi afferra per il braccio con fare gentile. «Ci vediamo dopo», lo saluta e attraversiamo la strada. Mi sembra un'allucinazione, un incubo dal quale non riesco a svegliarmi.

Mi impongo di non girarmi verso di lui ed entro immediatamente in macchina, sedendomi accanto a Jack.
«Pensavo non tornassi più», mi dice lasciandomi un bacio umido sulla tempia.

«E invece, eccomi qui», rispondo cercando di essere presente con la mente. Il mio ragazzo allunga il braccio sulle mie spalle e mi attira a sé. Sprofondo nel suo abbraccio caldo e chiudo gli occhi. Sono al sicuro. Sono con lui.

«Abbassa la musica, ho un terribile mal di testa», dice Lydia lanciando un'occhiata torva a Danny.
Chiudo gli occhi e lascio che le braccia di Jack mi tengano al caldo.
Lydia e Danny iniziano a discutere, ma io non riesco a captare nemmeno una parola, perché tutto ciò che ho in testa al momento è lui.







Quando arriviamo in montagna, i ragazzi parcheggiano le macchine e iniziano a scendere tutti tranne me.
Rimango da sola, con le mani strette tra le mie cosce e lo sguardo puntato davanti a me..
Qualcuno mi strattona per il braccio.

«Non penserai mica di lasciarmi da sola con quello lì, giusto?», chiede Lydia indicando con un cenno del capo Danny.

«No, certo che no», rispondo e scendo dall'auto finalmente.

Mi avvicino alla macchina di Kyle per prendere la mia valigia. Lui mi precede e l'afferra, posandola a terra.
Vorrei urlargli contro. Vorrei piangere e prenderlo a schiaffi.
«Permettimi di-»

«No», taglio corto.

«Possiamo parlare, Nives?», chiede finalmente e mi si mozza il respiro.

Sollevo lo sguardo. La sua bellezza è come veleno che mi cola tra le labbra: inebriante, dolce come il miele ma che uccide lentamente. Adesso i suoi capelli sono leggermente più corti, ma ancora arricciati sulle punte.
La ricrescita della barba gli copre leggermente le guance e gli stessi occhi pigri di sempre cercano ancora di leggere le mie emozioni con una semplice occhiata.

Ha le spalle più larghe, i bicipiti più gonfi e le cosce muscolose sono fasciate da un paio di cargo neri.

Indossa una felpa verde oliva, un giubbotto nero e ai piedi ha degli anfibi neri. Mentirei se dicessi che non è bello.
Dio, è bello da morire.

Schiude le labbra piene, pronto a dire qualcos'altro, ma io glielo impedisco.
«No. Non possiamo. Non rivolgermi la parola. Non guardarmi. Non-», mi si blocca nuovamente il respiro e questa volta l'ansia è più violenta.

Kyle fa un passo verso di me, ma non osa avvicinarsi di più.

«Respira, Nives. Respira. Sei al sicuro», sussurra e io indietreggio, trascinando la valigia con me.

«Siamo soltanto noi due qui, Nives. Soltanto noi due. Il mondo non riuscirà a sfiorarci in questa stanza», mi aveva detto e io ci aveva creduto.

Anzi, aveva ragione. Tra quelle quattro pareti, mentre i nostri corpi erano avvinghiati, il mondo non riusciva a sfiorarmi davvero. Non ho più provato quella sensazione, ma va bene così.

Jack corre verso di me, ma Kyle, agile e silenzioso come un serpente, si sposta davanti a me, bloccando Jack.
«Vacci piano, stallone», gli dice Kyle con voce profonda.

«Oh, giusto, non ci siamo ancora presentati! Io sono Jack, il ragazzo di Nives. Tu devi essere l'amico di Danny».

Kyle resta in silenzio e dopo un paio di secondi si sposta di lato. La curiosità mi spinge a guardarlo, ma ciò che vedo nei suoi occhi mi lascia senza parole. Il nulla più totale galleggia in un mare di ambra dalla tonalità più scura.

«Kyle Davis», risponde mantenendo un certo distacco. Non allunga la mano verso quella di Jack. Non gliela stringe, ma lo guarda dritto negli occhi con una freddezza che rispetto a quella che ci circonda non è niente.

«Bene, Kyle, adesso devi perdonarmi ma la mia ragazza ha bisogno del mio aiuto», gli dice e qualcosa dentro di me si spezza come un ramoscello secco. Non ho bisogno di aiuto. Voglio soltanto allontanarmi.

«Non avevo comunque intenzione di portare avanti questa conversazione», ribatte, poi prende le sue cose e si allontana a passo spedito, raggiungendo Danny.

«Tutti gli amici di Danny sono così scorbutici?», mi chiede Jack e, non so per quale motivo, ma un mezzo sorriso vibra sulle mie labbra.

«Soltanto lui», dico in un bisbiglio, temo lui non mi abbia sentita.

Jack mi cinge la vita con un braccio e iniziamo ad incamminarci verso lo chalet.
Gli altri sono già entrati dentro, il mio cuore invece scricchiola ad ogni mio passo e ad ogni centimetro di distanza che viene accorciato.
Lo spazio ricoperto di bianco intorno a noi mi fa sentire in pace con me stessa. I miei occhi abbracciano con curiosità il bosco di pini e abeti innevati intorno a noi e poi lo sguardo si posa nuovamente sugli scalini di legno che conducono all'ingresso.

Jack mi stringe la mano gelata e mi fa entrare.
Un calore accogliente si infrange contro le mie guance, sciogliendo i fili di ghiaccio tra i miei capelli ma non la tensione che preme sulle mie spalle.

Il pavimento è in legno e lo chalet è dotato di arredi.
Il focolare è già acceso, prova che qualcuno è stato qui prima di noi.
Danny ha lasciato la sua valigia in soggiorno, accanto al tavolino in legno.

Mi sfugge un sussulto quando i miei occhi incontrano quelli della testa di un cervo, appesa al muro.
Non sono una fan di queste decorazioni.

«Ho una fame da lupi», grida Danny dalla cucina. «Non c'è un cazzo, ragazzi».

«Meraviglioso», borbotta Jack.

«Non ne abbiamo ancora parlato», dico all'improvviso, girandomi verso di lui con un cipiglio.

Lui pare confuso. «Come?»

«Perché sei qui?», domando.

Jack inclina il capo, il volto si incupisce. «Sei la mia ragazza, Nives», asserisce.

«Lo so. Ma avresti dovuto avvisarmi. Ti sei presentato alla mia porta con una valigia senza dare spiegazioni».

«Volevo farti una sorpresa. Davvero dobbiamo discutere di questo proprio adesso? Cazzo, pensavo fossi felice di avermi qui», sospira profondamente e si passa le dita tra i capelli corti neri.

«La tua presenza è stata inaspettata. Tutto qua. Volevo...», lascio la frase in sospeso non appena intravedo la schiena di Kyle a qualche metro di distanza da noi. «Pensavo che avrei passato del tempo insieme ai miei amici, tutto qui».

«Se la metti così, posso tranquillamente andarmene domani mattina», risponde trattenendo a stento la rabbia. «C'è qualcos'altro che vorresti dirmi? Perché all'improvviso la presenza del suo migliore amico ti va bene, ma quella del tuo ragazzo no?»

La sua frase mi fa indietreggiare di pochi centimetri.
«Stai scherzando, spero», sibilo. «Se ci tenevi così tanto ad unirti a noi, ad essere con la tua ragazza, avresti dovuto dirmelo. Tutto qua. Non amo le sorprese», chiudo la conversazione e faccio per andare via, ma lui mi trattiene per il polso.

Kyle sta trafficando davanti al piano di cottura. Sta aprendo la caffettiera, ma con la coda dell'occhio guarda me, poi il mio polso.
Posa con forza la caffettiera, quasi lanciandola, sul bancone e si gira per guardare me, dritto in faccia.
Gli do la schiena alla velocità della luce e guardo Jack.

«Mi dispiace, va bene?», sussurra, prendendomi le mani tra le sue. «Sono stato un coglione», mi tocca la punta del naso, facendomi sorridere. Lo fa sempre quando vuole farsi perdonare.

«Va tutto bene. Ho esagerato io», mi mordo il labbro e abbasso lo sguardo. Lui mi attira a sé e mi accarezza dolcemente la schiena.

«Odio litigare con te», dice al mio orecchio. La sua mano si muove piano fino a posarsi sulla mia nuca.

«Ehi, amico», grida all'improvviso Jack e sento il cuore schizzarmi fuori dal petto. «Ci stai guardando un po' troppo. C'è qualche problema?».
Non oso girarmi. So che sta parlando con lui.

«Un problema c'è, in effetti», risponde Kyle e percepisco del sarcasmo nella sua voce.

«Ah, davvero?», ribatte Jack, stringendomi a sé un po' di più.

«Sì. Non trovo il caffè. Pensavo potessi darmi una mano a cercarlo», gli dice e per poco la saliva non mi va di traverso. Sta scherzando?

Jack scioglie la presa, rilassandosi. «Ma certo», si allontana da me, io sono un blocco di ghiaccio.
«Nives, vuoi unirti a noi?», chiede Jack e annuisco, raggiungendoli.

Guardo il cassettino sospeso sul muro e mi alzo sulle punte per aprire l'anta, ma rimango con la mano sospesa nell'aria non appena sento la presenza di Kyle dietro di me.
Vedo il suo braccio allungarsi nella stessa direzione. Apre l'anta e lo sento piegarsi verso di me. Smetto di respirare.

«Per favore, possiamo parlare?», sussurra.

Prende il contenitore del caffè, esclamando poi: «L'ho trovato. Grazie, Nives».

«No. No», dico quasi con il fiatone e percepisco un leggero tocco sul mio fianco, i suoi polpastrelli sfiorano il tessuto pesante della mia felpa.

«Se pensi che dopo tre fottuti anni io e te non parleremo di ciò che è successo, ti sbagli», si allontana da me, le mie gambe continuano a tremare.

«È sempre così brava a trovare le cose», dice Jack, venendo verso di me. Mi abbraccia da dietro e mi lascia un bacio sulla testa.

Kyle ha entrambe le braccia posate sul tavolo, il busto inclinato in avanti e i suoi respiri sono pesanti e profondi, le narici dilatate e gli occhi in fiamme.

Sfuggo alla presa di Jack e per fortuna Danny e Lydia spezzano la tensione.
«Ho scelto la nostra stanza», esclama lei, posando le mani sulle mie spalle.

«No, un secondo», interviene Jack. «Io e Nives dormiremo nella stessa stanza, mi sembra ovvio. Rossa, non mi interessa dove dormirai, ma qualsiasi camera tu abbia scelto, adesso appartiene a noi».

Lydia per poco non sputa fuoco. «Senti, senti, parla colui che si è auto-invitato. Davvero pensi di avere qualche potere decisionale qui?».

Sospiro. «Andiamo, non litigate di nuovo».

Entrambi si girano verso di me. «Sei la mia ragazza, dove diavolo dovrei dormire?»

«Lo so, ma io e Lydia-»

«Nives, maledizione, ma cosa diavolo ti prende oggi? Sembra che tu abbia perso il lume della ragione. Sei dannatamente-», si blocca non appena sente la sedia strisciare contro il legno sotto i nostri piedi.

«È cosa?», chiede Kyle, guardando dritto in faccia Jack.

«Lo so, oggi sono-» sono cosa? Irascibile? Arrabbiata? Ferita perché il ragazzo che mi ha spezzato il cuore è qui, dopo tre anni? Perché il passato ha bussato di nuovo alla mia porta e quella vecchia ferita si è riaperta di nuovo? Io sono cosa?

«È okay, non importa. So che quella cosa è difficile da tenere sotto controllo e ti rende frustrata. Non è colpa tua», mi prende di nuovo le mani tra le sue e mi acciglio. Quella cosa? Odio quando si riferisce alla mia malattia in questo modo.

Danny guarda con insistenza il suo migliore amico e poi me. Ha capito qualcosa. So che è così. «Okay, ragazzi, qualcuno dovrà dormire sul divano e non sarò di certo io».

«Avrei un suggerimento», dice Lydia con un sorrisetto astuto.

Jack alza gli occhi al cielo. «Sei più fastidiosa del cinguettio degli uccelli alle sei del mattino».

«Jack, prepara il caffè! Renditi utile, amico», Danny gli passa il contenitore.

«Come cazzo-», bofonchia mentre cerca di capire come fare.

Lentamente sparisco dal loro campo visivo e vado a prendere la valigia che ho lasciato a terra.
Inizio a trascinarla su per le scale, ma Kyle mi raggiunge. «La porto io»

«Ce la faccio», ribatto, trascianandola appresso a me e incurvandomi ad ogni passo.

«Dannatamente testarda», Kyle scuote la testa e poco dopo me lo ritrovo accanto, con la mia valigia in una mano. «Ti sto soltanto aiutando. Non farò nient'altro».

Odio averlo così vicino, ma accetto il suo aiuto.
Intravedo una porta aperta e vedo la valigia di Lydia accanto ad un cassettone.
«Qui», indico la stanza e lui la lascia a terra, poi chiude la porta alle nostre spalle e l'ansia mi divora.

«Voglio soltanto parlarti per pochi secondi».

«Stiamo già parlando», dico, cercando di fermare il tremolio alle mani.

«No, Nives. Sai cosa intendo».

Sì, so cosa diavolo intende. Ma io non voglio ascoltarlo.

«Da me non riceverai più niente. Né il mio tempo, né il mio perdono, né la mia compassione», decreto, stringendo le braccia al petto per nascondere il nervosismo che mi scuote gli arti.
 
«Ho già tutto, bisbetica. Non devi darmi più niente».

«Non chiamarmi così», rispondo caustica. « E cosa diavolo intendi dire?»

«Ho te davanti a me. Non mi serve nient'altro al momento».

Vorrei aprire la bocca e dire qualcosa, magari urlargli contro, ma non esce neanche un suono.
«Respira. Siamo soltanto noi due qui», fa un passo verso di me. Di nuovo questa frase. Di nuovo quello squarcio al petto che diventa sempre sempre più profondo.

«Lo so. È questo il problema», gli dico con voce strozzata.

«Non è andata come pensi. Non mi hai dato il tempo di spiegare. Sei semplicemente... Sparita», sussurra l'ultima parola e strizza gli occhi, come se provasse dolore.

«Non c'è bisogno che tu mi dia spiegazioni», mi sfugge una risata nervosa. «Dopotutto, non ero la prima».

Kyle fa una smorfia e distoglie lo sguardo. «Non eri la prima in quel senso, ma sei stata la prima ad avermi fatto-»

«Non osare dirlo», gli punto il dito contro.

«Cosa? Che con te stavo bene? Che non ti ho mai presa in giro? O davvero, dopo tre anni, preferisci credere a Zahra?»

Il suo nome è un pugno nello stomaco.

«Mi disgusti e adesso voglio che tu vada via».
Lo squillo del glucometro nella tasca posteriore dei jeans attira l'attenzione di entrambi.

«Ho il cellulare scarico», mi affretto a dire.

«Non c'è bisogno che trovi scuse per mandarmi via, Nives. Non intendo starti addosso, come invece fa qualcun altro».

Sbatto velocemente le palpebre, confusa. Esce dalla stanza, chiudendo la porta e io mi siedo sul letto.
Prendo il glucometro tra le mani e sospiro, ma la porta si riapre e infilo l'oggetto sotto il sedere.

Kyle si acciglia, poi dice: «Dubito che il caffè del tuo ragazzo sia venuto buono, quindi se vuoi, vado a prepararlo io».

«Lo bevo soltanto decaffeinato, quindi no».

«Oh», riflette su un momento. «Non ce l'abbiamo».

«Non importa. Vattene».

«Cosa stavi guardando prima?», chiede riducendo gli occhi a due fessure.

Prendo un cucino e glielo lancio contro. «Vattene».

Le sue labbra fremono mentre afferra al volo il cuscino e mi guarda. «Bel tentativo. Prova con qualcosa di più duro la prossima volta».

«Annotato», rispondo tra i denti.

«Bisbetica», dice ridendo e il mio respiro rallenta. La risata si spegne e lui va via.

Rimango da sola con il suono della sua voce a farmi compagnia.

La parola "bisbetica" è rimasta impigliata tra i miei pensieri e cerco in tutti i modi di non sorridere, di non permettere al mio stupido cuore di reagire di nuovo come se avesse sentito la sua mancanza.
È soltanto la malinconia, Nives... Niente sarà più come prima, mi dico.



C'è un'aria serena tra Kyle e Jack. 👀 Secondo voi Nives dovrebbe lasciarlo parlare e avvicinarsi di nuovo? O prima gli faremo passare le pene dell'inferno? 👺
Spero vi sia piaciuto, non vedo l'ora di rivedervi qui al prossimo capitolo 🤧😍 grazie per il supporto, mi mettete di buonumore ❤️

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