2. You know it's not the same as it was
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Taylor Swift, Blank Space
Sollevo lentamente le palpebre e rimango per un paio di secondi così, con la mano sotto il cuscino e la guancia schiacciata contro il materasso. I miei occhi vengono investiti dal colore niveo delle pareti e da un raggio di sole che si riversa nella mia stanza, creando una scia d’oro nella quale riesco a vedere le particelle di polvere fluttuare nell’aria.
Agguanto il cuscino e lo trascino più in basso, facendo sprofondare la mia testa nel tessuto morbido e pulito che lo riveste.
Dio!
Avevo chiesto esplicitamente che la mia stanza fosse accogliente, non di certo così triste e asfissiante.
Rotolo su un fianco e osservo la moquette grigia accanto al letto, sulla quale giacciono le mie pantofole viola.
Come di consueto, allungo la mano, afferro l’iPhone dal comodino e apro tiktok con l’intenzione di guardare qualche video prima di alzarmi dal letto, ma la voce squillante di mia madre, dall’altra parte della porta, blocca qualsiasi mia azione: «Svegliati, Nives, la colazione è pronta! Ti sei già lavata e cambiata?»
Le mie dita scavano nella morbidezza dell’altro cuscino e con una mossa aggressiva lo sollevo e lo appoggio sulla mia faccia, sopprimendo un urlo di frustrazione.
La porta viene aperta e il grido di terrore di mia madre mi fa rizzare perfino i peli delle braccia.
La brutta piega sulla fronte e la rabbia cristallizzata nei suoi occhi non sono per niente un buon segno. Mia madre è entrata direttamente in modalità furia omicida. «Ma cosa stai facendo?», il ticchettio dei suoi tacchi si confonde al respiro accelerato che le scuote il petto e le dilata le narici. «Sam, vieni qui! Nives si è svegliata di nuovo con uno dei suoi istinti suicidi e io non so come gestire tutto questo!», si porta le mani curate sulle tempie e cerca di ammansire la bestia selvaggia dentro di lei.
Lancio il cuscino dall’altra parte del letto e mormoro con aria scocciata: «Mi dà fastidio tutto questo bianco, tutta questa luce! Voglio l’oscurità», mi sollevo e affondo le ginocchia nel materasso, continuando poi a dire con aria drammatica: «Voglio sentirmi all’inferno, voglio sentire le tenebre fluire nelle mie vene, essere prigioniera del freddo e della neve».
Mia madre schiude le labbra e si gira con un’espressione sconvolta verso Sam. «Ma io, che cosa avrò mai fatto di sbagliato per meritare una figlia come lei?»
Un sorriso compiaciuto danza sulle mie labbra, ma Sam mi lancia uno sguardo di rimprovero.
«Mamma, tranquilla, se un giorno deciderò di farla finita, sicuramente non lo farò alle otto del mattino. Sperando che non capiti di lunedì. In tal caso potrei cambiare idea», scendo dal letto, infilo i piedi nelle pantofole e mi trascino pigramente in bagno.
«Questa tua ironia non mi è mai piaciuta! Non si scherza su queste cose, Nives. Quante volte te lo devo dire? Dio, il male alberga in quell’involucro vuoto e tetro che chiami anima».
«Beh, probabilmente ci scherzerò su fino alla mia morte effettiva, mamma», rispondo mentre mi lavo i denti.
«Non si parla con lo spazzolino in bocca!», continua a rimbrottarmi, poi fa qualche verso esasperato ed esce dalla mia stanza.
Finisco di prepararmi, raccolgo i capelli in una crocchia e mi dirigo in cucina. Sam è seduto sullo sgabello, ha lo sguardo divertito ma cerca di non darlo a vedere. I suoi occhi languidi scivolano sullo schermo del cellulare, cercando in tutti i modi di non scontrarsi con i miei.
Mia madre invece incrocia le braccia al petto e fa scivolare quel suo sguardo inquisitore sulla mia figura.«Carina la maglietta. Per caso ti sei dimenticata che esiste la lavatrice?».
«Non è logora, è proprio fatta così», spiego.
Sam si schiarisce la gola prima di inserirsi nella nostra conversazione. Ormai è diventato una specie di arbitro.
«Sai, ne avevo una anche io, sempre dei Nirvana».
Alzo il pollice. «Tu sì che mi capisci!».
«So anche io chi sono i Nirvana», esclama mia madre con aria offesa. «Mangia e dimmi se sono venuti buoni. È una nuova ricetta», mi guarda, gli occhi brillano di una strana luce.
«Questa volta con cosa li hai fatti?», domando e inizio ad annusare e analizzare i pancakes che ho davanti.
«Yogurt greco e cocco», batte le mani come una bambina, ma io già al primo boccone vorrei rimettere.
«Sanno di cartone», mando giù un sorso di spremuta per mandare via il sapore sgradevole delle frittelle.
«Sei cattiva, Nives! Non fai altro che lamentarti. Sono stata costretta a licenziare il cuoco per colpa dei tuoi stupidi capricci, soltanto perché vuoi che sia io a cucinare per te!», lancia il grembiule sull’altra sedia e si siede, puntellando con forza i gomiti sul bancone della cucina.
«Anche tu sei cattiva, visto che mi costringi a mangiare questa roba poco calorica come se avessi il triplo dei miei chili!», la rabbia inizia a montare dentro di me. «E non ti ho chiesto di cucinare per me! Io voglio imparare a farlo, ma puntualmente tu mi costringi a mangiare quello che tu vuoi, dannazione!»
«Tu perché non dici niente?», chiede a Sam.
Lui si stringe nelle spalle e guarda me, alla ricerca di un po’ di aiuto da parte mia.
«Che ne dici di accompagnarmi a fare compere? Magari trovo qualcosa di carino da mettere nella mia stanza. Qualche dipinto fatto col sangue e ossa spezzate», ghigno e mia madre sussulta nell’udire le mie parole.
«Magnifica idea!», esclama Sam. «Prima però vogliamo mostrarti una cosa», dichiara guardando con sguardo fiero mia madre.
«Quindi sarà per forza qualcosa che mi darà sicuramente fastidio», brontolo.
Si lanciano un’occhiata complice e Sam mi fa cenno di seguirlo. Attraversiamo il corridoio e raggiungiamo la porta che dà sul retro.
Appena apre la porta, mia madre grida alle mie spalle: «Ta-daahh!», indica la piscina e io getto le braccia in aria, esasperata. Ieri sera non ho voluto esplorare i dintorni perché ero troppo impegnata a stare con il naso tra le pagine di un nuovo romanzo, ma non mi aspettavo di trovare questo. «Avevo detto niente piscina. Casa normale!», protesto.
«Ma a San Francisco amavi la nostra piscina, ci passavi un sacco di tempo insieme ai tuoi amici».
Quello che mia madre non sa è che molti di loro erano miei amici soltanto perché amavano la nostra piscina e Guendalina, perché aveva le mani magiche e riusciva a preparare i tramezzini più buoni al mondo e serviva tutti senza dare di matto ad ogni loro richiesta. Quella donna meritava un aumento.
«Certo…», sospiro e guardo le sdraio intorno alla piscina, gli ombrelloni bianchi, la ciambella galleggiante a forma di alpaca e il gonfiabile a forma di fetta di anguria.
La mia migliore non ha mai visto la mia precedente abitazione. Sa che economicamente sto bene, ma forse non così tanto da potermi permettere la piscina in due posti diversi.
«Va bene, almeno saprò dove affogare la mia anima e i miei dispiaceri», mi stringo nelle spalle e faccio marcia indietro.
Mi arriva un messaggio.
Zahra: Dove abiti? Vengo da te, mi manchi!
«Mamma, Zahra vuole venire a trovarci», la informo mentre digito già la risposta.
«Spero non si presenti di nuovo truccata come se qualcuno le avesse tirato fuori i bulbi oculari», commenta inacidita.
A mia madre non piace particolarmente Zahra. A detta sua, io e lei siamo completamente diverse.
Zahra è più esuberante, scorbutica, ha uno stile particolare che invidio, mentre io ho sempre un aspetto sobrio e pulito.
Non mi sono mai ubriacata.
Non ho mai indossato una maglietta maschile. Zahra invece ne ha tantissime! Ama fare shopping nel reparto maschile a volte.
Io non ho mai fatto sesso, Zahra invece mi ha perfino descritto nei minimi dettagli ciò che si prova e qual è secondo lei la posizione migliore in cui farlo.
Non sono mai riuscita a finire una birra, anche se il marchio della nostra azienda è di una bevanda alcolica. Mia madre dice che l’alcool imbruttisce, oltre che a rovinarmi gli organi.
Non sono mai andata in una discoteca e non ho mai esibito un documento falso.
Non sono mai tornata a casa oltre il coprifuoco.
Sono la brava ragazza che tutti i genitori vorrebbero avere. O forse no.
Mia madre ha saputo plasmarmi a suo piacimento. Non sono esattamente come lei vorrebbe, ma cerca di farselo andare bene la maggior parte del tempo.
Continua a rammentarmi almeno una volta al giorno quanto io sia identica a mio padre, perché a quanto pare tutte le cose brutte di me le ho ereditate da lui.
Ricordo quelle poche notti trascorse a parlare con lui su quel dondolo consunto posizionato davanti alla finestra della cucina, su quel portico dal legno scricchiolante e poco curato. Ricordo le nostre conversazioni, quelle brevi risate che mi ostinavo a soffocare dietro il palmo della mano mentre lui mi raccontava con sguardo malinconico, ancora e ancora, del loro primo incontro, del loro primo bacio. E grazie a lui so che alla mia età lei non era una santa come vuole, invece, far credere. Evidentemente qualcosa nel corso degli anni è andato storto.
Pochi minuti dopo sentiamo il citofono suonare e mia madre va ad aprirle. Scosto la tenda della finestra e seguo la sua figura esile. Zahra si guarda intorno con aria spaesata, analizza ogni angolo del nostro giardino.
Mia madre le apre la porta.
«Salve, signora Candice! È un piacere rivederla», l’abbraccia forte. Mia madre però non vede l’ora di staccarsi da lei.
«È un piacere anche per me, cara».
Vorrei farle sparire dal volto quella sua espressione giudicante, ma non posso.
«Ehi!», vado da lei con le braccia allungate. Il suo sorriso illumina e riempie questo posto vuoto e anonimo.
«Cazzo, non mi aspettavo una casa così grande e pulita. L’erba del tuo giardino è più ordinata dei miei capelli», sussurra al mio orecchio facendomi ridere.
Ecco perché le voglio bene.
«Ti piace la nostra modesta casa?», chiede mia madre.
«Modesta?», ribatte Zahra con una risata nervosa.
«Sì, non è nulla di che rispetto al nostro attico a San Francisco, ma Nives voleva una casa più normale», muove una mano davanti al viso con fare teatrale e va in cucina. «Vieni, cara, ti offro qualcosa?»
«Non è nulla di che?», squittisce Zahra. «Porca puttana, Nives! Per caso hai anche la piscina?», chiede.
«Ehi, Sam, che ne dici di accompagnarmi a fare shopping? Zahra verrà con noi», cambio discorso.
«Quando volete», risponde.
Tre ore più tardi entro in casa con decine di buste sulle braccia. Zahra e Sam mi aiutano a trasportarle nella mia stanza.
La mia amica estrae un quadro astratto dalla busta e lo osserva, increspando le labbra in una smorfia di disgusto. «Non voglio sapere quanti soldi hai dovuto spendere per roba che spacciano per arte».
Rovescia il contenuto delle buste sul mio letto e guarda i diversi poster che ho preso, tra cui quelli di Lana del Rey.
«Stasera ti va di uscire con me e alcuni amici? C’è una festa e io devo assolutamente sfoggiare questo vestito sexy che mi hai regalato», mi fa l’occhiolino e la vedo sparire in bagno. Inizia a rovistare tra i miei trucchi e strilla non appena prova il mio nuovo rossetto. «Cazzo, è una bomba! Ed è di YSL!».
«Puoi prenderlo, se vuoi».
Corre da me stringendo il rossetto tra le mani e mi stampa un bacio sulla guancia. «Io penso di amarti», dice euforica. «Allora, verrai?»
«Mi piacerebbe molto, ma sai, mia madre e le sue regole», alzo gli occhi al cielo.
«Non deve scoprirlo per forza», solleva le sopracciglia e mi sorride con malizia.
«Non posso usare l’uscita principale, ho il cancello automatico, lo sentirebbe e inizierebbe a farmi il quarto grado», spiego sedendomi sul bordo del letto.
Zahra scosta la tenda della finestra e fissa il muretto. «Scavalcalo».
«Sei impazzita?», la guardo stranita.
«Non è così alto, e in ogni caso hai una scala là fuori», la indica con fare ovvio.
«Va bene, va bene. Magari mi inventerò una scusa».
Zahra apre il mio armadio e prende il primo vestito che le capita davanti agli occhi. «Questo potrebbe andare bene».
«È molto attillato e non sembra molto comodo. Sai, dovrò scavalcare un muretto», le ricordo.
«Va bene, Miss America, scegli da sola il tuo outfit super costoso». Chiude le ante dell’armadio e poi si butta a peso morto sul pouf.
Scelgo un vestito nero, semplice, che ho comprato da H&M.
«Tu compri da H&M? Perché vuoi fingerti povera?», chiede ridendo.
Non voglio fingermi povera, vorrei dirle. Semplicemente mi piaceva e l’ho comprato.
«Però sono sicura che ti starà d’incanto», si morde il labbro con aria pensierosa. «Sai, sono davvero felice che tu sia qui».
«Anche io», rispondo, ma sento una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
«Ho visto la tua TV, è enorme! Ti va di guardare di nuovo Stranger things? Dev’essere un’esperienza unica vederla su uno schermo simile. Io l’ho vista sul mio portatile da quattro soldi e sul cellulare. Bastarda fortunata», si alza e mi dà una gomitata, ma il disagio dentro di me non fa altro che aumentare.
«Certo, vieni. Vuoi qualcosa da stuzzicare?»
«Sorprendimi!», come una bambina felice mi segue in cucina e io sorrido genuinamente.
Qui sarà diverso, me lo sento.
Dopo cena mi rifugio nella mia stanza e inizio a prepararmi per la festa.
Il vestitino nero non è aderente come quello che aveva scelto Zahra per me, ma è sicuramente molto più comodo. Le bretelle sono sottili e la scollatura a cuore evidenzia il mio seno in una maniera non troppo volgare, mentre la parte inferiore del vestito è composta da una gonna corta a ruota. Indosso un paio di tacchi neri che mia madre mi ha regalato per il compleanno, ma non ho mai avuto l’opportunità di indossarli.
I miei capelli ondulati cadono morbidi sulle spalle mentre l’eyeliner e il rossetto rosso mi donano quella sfumatura sensuale che mia madre continua ad impedirmi di mostrare.
Soltanto quando guardo la finestra della mia stanza mi rendo conto che scavalcare il muro con i tacchi ai piedi sarà molto, ma molto difficile.
«Maledizione», borbotto e li tolgo, tenendoli stretti in una mano. Salgo sul davanzale e poi salto sull’erba bagnata e cammino in modo furtivo verso la scala.
Sam deve averla dimenticata qui dopo aver sistemato le lucine sugli alberi.
Salgo su finché non raggiungo il muretto. Allungo la gamba e mi ci posiziono a cavalcioni. Guardo l’altra parte del muretto. «Merda, a questo non ci avevo pensato», dico. Dovrò per forza saltare, ma io non sono mai stata brava a stare in equilibrio e so che cadrò con la stessa grazia di una mucca sotto effetto di droghe.
Faccio un bel respiro e poi salto giù, cadendo dritto sulle ginocchia.
«Merda, merda, brucia», dico ad alta voce. Apro la borsetta e prendo un fazzoletto, pulendomi le ginocchia. È rimasto il segno, ma per fortuna non esce il sangue. Indosso di nuovo i tacchi e guardo di nuovo l’indirizzo su Google Maps. Dovrò chiamare un Uber. Zahra è già lì insieme al suo ragazzo.
Aspetto vicino alla fermata dell’autobus. Alcune macchine suonano il clacson e io afferro l’orlo del vestito, cercando di abbassarlo ancora di più.
Avrei preferito che Zahra fosse qui con me.
Quando arrivo a destinazione i miei occhi seguono la direzione da dove proviene il trambusto. Cammino sicura di me, con la borsetta sulla spalla e il cuore che minaccia di uscirmi fuori dal petto.
Sono davanti al cancello e in mezzo alla gente stipata nel giardino, cerco di intravedere Zahra. La trovo. È aggrappata al collo del suo ragazzo. Lo stesso ragazzo che io ieri sera ho abbracciato come se fosse un vecchio amico. Se solo lei sapesse, probabilmente mi farebbe fuori.
Appena varco il cancello, una ragazza minuta e su di giri grida: «Hai messo delle cazzo di Louboutin ad una festa dove i ragazzi pisciano sugli alberi e le ragazze scopano dietro i cespugli».
Guardo i tacchi semplici che indosso e aggrotto le sopracciglia. Non ho mica guardato il marchio.
Alcuni si girano per guardarmi, la ragazza davanti a me appoggia una mano sulla mia spalla e continua a dire: «Hai coraggio, amica! Ti va un bicchiere di birra?»
«Uhm, va bene, grazie», rispondo incerta. Lei mi prende per il polso e mi trascina con fare goffo verso il lungo tavolo pieno di alcolici. Cerco di nuovo Zahra, ma lei sembra sia scomparsa nel nulla.
La ragazza mi sorride e mi passa un bicchiere rosso di plastica, poi singhiozza. «Accidenti, ho superato il limite di nuovo. Ma sai che c’è? Chi se ne frega! I miei neuroni funzionano ancora».
Ha due trecce graziose, le ciglia impregnate di mascara e la linea spessa di eyeliner indurisce di poco il suo sguardo dolce. Indossa un paio di pantaloncini neri strappati e un top del medesimo colore che le arriva sopra l’ombelico. Ai piedi ha un paio di converse consumate e al collo ha una catenina color argento.
«Io sono Leah, comunque», allunga la mano per presentarsi e gliela stringo, sentendo il suo palmo sudato. «Non ti ho mai vista da queste parti. Sei nuova? Sei qui con qualcuno?»
«Con Zahra, la mia migliore amica».
Appena lo dico lei scoppia a ridere.
«Zahra Scott? Quella che salta da un cazzo all’altro?»
Oh, bene, non mi aspettavo che Zahra avesse questo tipo di reputazione.
«Ha una relazione stabile», cerco di difenderla.
«Ah, davvero? E con chi?», inarca un sopracciglio.
Mi rendo conto di non conoscere nemmeno il suo nome completo, quindi dico: «Un certo Kyle».
«Kyle Davis?», scoppia a ridere di nuovo. «E Kyle sa di essere in una relazione?»
«Cosa vorresti dire?», chiedo, confusa.
«Niente, lascia stare», scuote la testa divertita.
Mando giù un sorso di birra e sospiro, quasi rassegnata. Decido di mandare un altro messaggio a Zahra, ma non ricevendo risposta, inizio a cercarla in mezzo alla gente. Non sono venuta a questa festa per passare la serata da sola.
«Sai, hai un outfit abbastanza strano. Guardati intorno», indica le altre ragazze. «Hai delle Louboutin ai piedi, maledizione! Da dove spunti fuori? Da una rivista di moda?», continua a dire Leah.
«Perché, ti sembro ridicola?», le chiedo.
«Affatto! Su, muoviti a mandare giù quella birra altrimenti tra poco ti sembrerà di bere piscio di cane».
Paragone disgustoso.
«Vieni, balliamo», mi prende bruscamente per il braccio e il bicchiere mi vola via dalle mani. «La tua birra», fa una faccia sconvolta. «Te ne porto un altro, aspetta qui».
Appena si allontana ringrazio tutti i santi del paradiso di essere rimasta da sola. Leah parla decisamente troppo.
Però adesso mi sento come un pesce fuori dall’acqua. E cosa c’è che non va col mio outfit?
Mentre il mio sguardo vaga confuso da una parte all’altra, incontro gli occhi di Kyle. Sono assottigliati e profondi, le labbra strette in una linea fredda. Ha lo sguardo di un predatore.
Ha una spalla appoggiata ad un albero e una sigaretta accesa che gli penzola tra le labbra. Infila una mano dentro la tasca dei jeans neri e continua a fumare indisturbato senza staccarmi gli occhi di dosso.
«Eccoti, finalmente!», grida Zahra venendo verso di me. «Chi stavi guardando? Sembravi molto presa».
«Oh», inizio a balbettare. «L’albero. Amo la natura. Gli alberi e tutto il resto».
Zahra scoppia a ridere. «Ma quanto hai bevuto?»
«Sono fatta così…», ammetto. Sono impacciata.
«Stavi guardando l’albero oppure Matt?», indica un ragazzo, dove fino a pochi minuti fa c’era Kyle. Tiro un sospiro di sollievo.
E parlando del diavolo, il suo ragazzo si presenta alle sue spalle come un fantasma e l’abbraccia da dietro, posando il mento sulla sua spalla e congiungendo le mani davanti alla sua pancia. E mentre guarda me, dice: «Ciao, bellissima».
Spalanco gli occhi.
«Ciao, amore», risponde Zahra.
Oh, stava salutando lei.
«È la tua migliore amica?», le chiede e Zahra annuisce.
«Nives, lui è Kyle. Kyle, lei è Nives», ci presenta e lui allunga la mano per stringere la mia, ma Zahra assottiglia lentamente lo sguardo, seguendo ogni mia mossa. Decido di non sfiorarlo. Zahra mi sta mettendo alla prova.
Non infrangerò quella regola. Non temere.
Kyle ritira la mano, infastidito.
«Piacere di conoscerti», mento.
Lui alza un sopracciglio e mi guarda con un sorrisetto divertito, poi le bacia il collo e io vorrei semplicemente teletrasportarmi da un’altra parte.
«Secondo round?», le chiede e Zahra ridacchia.
«Prima vado a prendere qualcosa da bere».
La mia migliore amica si allontana e io rimango da sola con lui.
«Non mangio le persone, puoi stare tranquilla», inclina il capo per osservarmi meglio.
«Menomale, perché l’ultima volta che ho controllato il cannibalismo era illegale», rispondo facendolo sorridere. Un sorriso talmente sincero da sembrare surreale. Non penso di aver mai fatto sorridere in questo modo una persona, soprattutto un ragazzo. Non uno come lui.
Si accende un’altra sigaretta e mentre butta fuori il fumo, pronuncia il mio nome: «Nives», assume un’espressione pensierosa. «Significa neve?»
«Sì».
Fa un passo verso di me. «Ma tu non sembri affatto fredda come la neve, Nives. Anzi, a me sembra che tu sia sul punto di scioglierti». Mi soffia il fumo in faccia con arroganza e inizio a tossire.
«Stronzo!»
«Sì, è il mio secondo nome, ma se ti sforzi ancora un po’, sicuramente riuscirai a chiamarmi col primo», mi guarda dall’alto verso il basso.
«Preferisco il secondo, ti si addice di più».
Scuote la testa e smette di sorridere.
«Pensi di venire qui con la tua aria da principessina e insultare chi ti pare, come se nulla fosse? Mi hai dato dell'imbecille e dello stronzo a distanza di due giorni», riduce gli occhi a due fessure. «Non sei più a San Francisco e se vuoi fare parte del nostro gruppo, dovrai fare meno la schizzinosa. Ci siamo capiti?»
Deglutisco di fronte al suo sguardo serio e annuisco.
Lui sorride in modo forzato. «Brava. Adesso dimmi, com’è che mi chiamo?»
«Kyle», dico guardandolo negli occhi. E mentre pronuncio il suo nome io mi chiedo cosa abbia trovato di bello in lui Zahra. È spregevole, esattamente come mia madre.
«Brava, bambina», gli angoli della sua bocca si sollevano lentamente all’insù, ma la sua frase attraversa la mia mente come una saetta.
«Brava bambina, adesso non urlare più».
Sento lo stomaco contorcersi dentro di me.
Kyle fa per andare via, ma si ferma. I suoi occhi marroni si posano con veemenza su di me, curiosi e violenti, ma io catturo con la coda dell’occhio quella piccola scintilla di preoccupazione che danza sul suo viso, poi mi giro, dandogli le spalle e prendendo le distanze da lui.
«Scendi dal piedistallo, stupido bastardo», brontolo tra me e me.
E niente, cosa ne pensate? Il rapporto tra Kyle e Nives sarà MOLTO strano, ma piano piano riuscirete a capire meglio i loro caratteri!
E beh, Zahra... Prima impressione?
Spero vi sia piaciuto, grazie per i voti e i commenti, continuate così 💃non vedo l'ora di postare il prossimo!
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