19. She's falling from grace, she's all over the place

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Avril Lavigne, Nobody's home







Un suono metallico attira la mia attenzione.

Abbasso lo sguardo sulla forchetta sotto il tavolo e batto lentamente le palpebre.
Non mi sono resa conto di essere stata io ad averla fatta cadere.

Lydia rimane con la sua forchetta a mezz'aria e la bocca semi aperta. L'abbassa lentamente e la posa sul piatto, poi allunga la mano per afferrare la mia.

«Tutto okay?», mi chiede con sincera preoccupazione.

«Sì, ero soltanto sovrappensiero», ammetto con una punta di imbarazzo. Non mi capitava di estraniarmi in questo modo da un bel po' di tempo.

Ma adesso, mentre guardo il ragazzo seduto a due tavoli più lontano da noi, dai capelli biondi e arricciati sulle punte, con i tatuaggi che fuoriescono dalla felpa e lambiscono la pelle del suo collo, la paura che si tratti di lui mi attraversa il petto, squarciandolo in due.

Si muove sulla sedia, inclinando il busto di lato e poggiando l'avambraccio sullo schienale. Getta la testa all'indietro, abbandonandosi ad una risata. Il suo interlocutore ha un'aria serena, divertita.

Serra le dita intorno alla bottiglia di birra e piega di nuovo il capo, trangugiando una lunga sorsata.

«Chi hai visto?», Lydia si gira, seguendo il mio sguardo. «Lo conosci?».

Scuoto la testa e poi allungo il braccio, fermando la cameriera. «Mi potrebbe portare un'altra forchetta, per piacere?».

«Certo, arriva subito», mi regala un sorriso e io la guardo mentre si allontana. Le sue trecce bionde sono tenute ferme da un nastro scarlatto, che solletica l'aria ad ogni suo movimento.

«A cosa pensi? E non dire niente», tira fuori la cannuccia dal bicchierone di Coca-Cola e me la punta contro come se fosse un'arma.

«Mi ricorda qualcuno, tutto qua», mi stringo nelle spalle, fingendo di non provare nulla per lui. Ma a chi voglio prendere in giro? Il mio cuore sussulta soltanto all'idea di intravederlo anche solo per un misero secondo.

«Qualcuno di molto sexy, deduco», gli lancia un'altra occhiata curiosa. «E di cui tu non me ne hai mai parlato. L'unico ragazzo che ti gira intorno è Jack. E ti conosco da tre anni ormai, quindi posso affermarlo con certezza».
La cameriera mi porta la forchetta e la ringrazio.

«È qualcuno che fa parte del tuo passato e che ti ha spezzato il cuore», incrocia le braccia sotto il seno; il tessuto della camicetta beige si tende e per poco non salta via un bottone.

«Non è così importante. Lui non merita tutta questa attenzione», arriccio il naso e abbasso lo sguardo sul mio piatto. Sposto gli asparagi da una parte all'altra con fare annoiato.

Non merita che il suo nome scivoli di nuovo tra le mie labbra. Non lo pronuncio da anni, ormai. Non ho parlato ad anima viva di lui. È rimasto sepolto dentro di me, tra le macerie di quel che lui ha distrutto con una semplice frase.

E odio il fatto che, nonostante siano passati anni, continui a vederlo intorno a me anche quando non c'è.

Lo vedo quando Jack mi afferra per la vita e le sue dita premono contro le mie costole. Non sa farmi il solletico come lo faceva lui; non sa che sotto la seconda costola sotto il seno si trova il mio punto più sensibile.

Lo vedo in ogni ragazzo biondo scuro. In ogni ragazzo tatuato. Ed è stupido da parte mia, lo so. Perché basta poco per fare riaffiorare nella mente il suo viso e io provo con tutta me stessa a cancellarlo dalla mia mente. Il dolore sa rendere certe mancanze indelebili. Provi a cancellarle, ma all'improvviso ti ritrovi con le lacrime agli occhi e un vuoto nel petto.

Non mi manca lui. Forse mi manca il modo in cui mi faceva sentire.

Non provo niente per lui, a parte un enorme disgusto.

Ma ogni tanto, di notte, la sua voce mi infesta la testa e mi sembra ancora di percepire il suo tocco sulla mia pelle nuda.

Lydia mi tira un calcio da sotto il tavolo. «Hai intenzione di finire o no? Non voglio rimproverarti di nuovo».
Annuisco e mando giù un altro pezzo di omelette. «Un giorno ti parlerò di lui, te lo prometto», le dico con un filo di voce, come se neanche il mio cuore fosse pronto a sentirmi pronunciare di nuovo il suo nome.

Il ragazzo biondo si gira e il cuore si ferma per un secondo.
Non si avvicina minimamente alla sua bellezza.

In realtà, non so nemmeno se sia cambiato molto fisicamente o meno. Mi sono cancellata dai social. A volte la tentazione di riattivare il mio profilo su Instagram è tanta, ma non ho voglia di rivedere i loro nomi e le loro facce. E so che la mia curiosità mi spingerebbe a sbirciare tra i loro profili.

«Dev'essere stato importante», esclama all'improvviso Lydia, leccando con la punta della lingua il ketchup all'angolo della bocca. «Una persona triste la si riconosce subito, Niv», abbassa lo sguardo. «La riconosci dal modo in cui guarda il mondo. Tutto si spegne tranne la sua mente. Tu sei un involucro privo di vita in questo momento, ma la tua mente è un costante campanello d'allarme. Dico bene?»

Un brivido rotola velocemente tra le vertebre e risucchio una boccata di ossigeno.

Lydia non chiede, lei già sa.
Lydia non mi fa sentire sbagliata. Lei non giudica il mio corpo, ma se ne prende cura senza troppe pretese. Non insiste, non mi assilla, non mi sta addosso.

Lei non è Zahra.

Non è Zahra, mi ripeto.

«Adesso stai guardando me. A cosa pensi?»

Inizio a strapparmi le pellicine intorno all'unghia.

«Grazie di essere così carina e premurosa con me».

Appoggia gli avambracci sul tavolo e si protende verso di me. «Se non finisci di mangiare, non sarò più così carina».
Mi strappa un sorriso.

Mi prendo il viso tra le mani. Un'ondata di tristezza mi travolge, facendomi mancare il respiro.
Continuo a ripetermi questa bugia: non mi manca niente, ma in realtà mi manca tutto.

Mi manca un amore che in realtà non ho mai ricevuto.

Mi manca sentirmi a casa.

Perché mi manca mia madre? Perché? Mi ha fatto a pezzi più volte e io adesso sto ancora cercando di cucire gli strappi che mi porto addosso.

E questi strappi rappresentano il mio corpo imperfetto. Sono sempre stata questo per lei: l'imperfezione che non riusciva a depennare.

E la odio. La odio perché per colpa sua mi sono sentita soltanto un pezzo di carne, un mucchio di ossa scricchiolanti, un banale numero sulla bilancia e basta. E ancora oggi ne pago le conseguenze.

A mezzanotte mi presento davanti all'appartamento di Danny. Fisso le mie pantofole imbottite e seguo il movimento della mano. Le nocche colpiscono la sua porta ripetutamente, poi ritiro la mano e aspetto che mi apra.

Odo il rumore dei suoi passi e poi la catenella della porta che viene tolta. Gira il pomello e poi la apre di qualche centimetro, sbirciando attraverso la fessura.

«Accidenti, per un attimo mi è parso di vedere la morte», strizza gli occhi e poi apre di più la porta. Ha un plaid verde scuro sulle spalle e una scatola di popcorn tra le mani.
«Desidera, signorina?», chiede sollevando le sopracciglia.

«Ce l'hai un biscotto?», gli chiedo cercando di calmarmi. «Li ho finiti e se mangio ancora un'altra caramella o quel cazzo di pane raffermo, finirò per vomitare anche il pancreas».
Increspa le labbra, leggermente confuso.

«Ti do tutto quello che vuoi. Ma domani mattina sarò davanti alla tua porta, sappilo. Stranamente ho finito il caffè».

«Lydia non è tornata a casa», gli anticipo la delusione.

«Forse ne ho ancora giusto per una tazza. E dov'è andata?», chiede guardandomi con la coda dell'occhio, scandagliando con occhi vispi la maglietta logora dei Led Zeppelin che ho addosso e i miei pantaloni di flanella a quadri.

Mi fa accomodare sulla poltrona, in salotto, mentre lui va in cucina. La stanza è illuminata dallo schermo del televisore. Guardo le diverse lattine di Monster sul tavolino e le confezioni di noccioline ormai vuote.

Danny torna da me con un'intera confezione di biscotti tra le mani.  Sono semplici, poco dolci. Perfetti.

«La prossima volta però ricordati di fare la scorta», mi tocca la punta del naso, facendomi sorridere.
Si lascia cadere sul divano e prende il cellulare tra le mani.

«Eri impegnato?», indago.
Guardo lo schermo della TV, ha messo il film in pausa.

«No, stavo guardando un film horror da solo e il mio migliore amico mi sta rompendo il cazzo», sbuffa sonoramente. «Quando beve diventa estremamente coglione, ma per fortuna scrive a me e non alla ragazza che gli ha distrutto cuore. Per fortuna non gli risponde. Se lo merita», fa spallucce, quasi come se provasse sollievo nel saperlo sofferente.

«Gli sei davvero di grande aiuto, allora», commento facendo trapelare una sfumatura sarcastica nel tono.

«Lo sono. È da un anno ormai che stiamo progettando questa dannata vacanza in montagna. Non ci vediamo spesso, come puoi vedere».

«In montagna? Dev'essere una figata», esclamo con enfasi, lui si gira lentamente verso di me.

«Ti vuoi unire? Cerca di convincere Lydia, grazie», emette un colpo di tosse.

«Non demordi mai, non è così?», sospiro.

«Sono nato per combattere», si batte il pugno sul petto. «Non fisicamente, però. Il mio migliore amico sì, io no, non mi piace tirare cazzotti».

«Cosa fa il tuo amico?», do un morso al biscotto, alcune briciole cadono sui pantaloni del pigiama.

Danny fa ripartire il film. «Incontri di boxe. È molto bravo, anche se prima o poi le prenderà sul serio. Ne sono sicuro».

«Non ti conviene farlo arrabbiare», lo stuzzico.

«È un duro, ma ha diversi punti deboli».

Tiro le ginocchia al petto e finisco di mangiare il biscotto.
«Vieni qui, Bunny», batte il palmo indicandomi lo spazio libero accanto a lui.

«Smettila di chiamarmi così», sbuffo sonoramente.

Danny getta la testa all'indietro e ride. «Non posso. Quando mangi i biscotti sembri un coniglio».

«Non sono sicura che questo sia un complimento».

«Io non ti faccio mai i complimenti», mi ricorda.

Mi alzo soltanto per spostarmi accanto a lui. Mette il plaid sulle mie spalle e mi stritola in un abbraccio.

«Si sta alzando?», mi chiede e scuoto la testa.

«Ancora no, ma tra poco starò meglio».

«Se fossi al posto di Jack non riuscirei a stare calmo un secondo».

«Non è una cosa carina da dire. Mi fa sentire una bomba ad orologeria », gli do una gomitata nel costato.

«Perché lui è troppo tranquillo. L'ultima volta non è stato bello vederti in quelle condizioni», mi arruffa i capelli. «Quindi scusami tanto se non sono indifferente come lui».

«Non è indifferente... Semplicemente si è abituato», lo difendo.

«Nives, io e il mio migliore amico ci siamo già passati. Non ne parliamo quasi mai. L'argomento lo turba. Se mi preoccupo è perché quella persona è morta. La sua glicemia è scesa troppo, è entrata in coma, e il suo cuore non ha retto più. L'abbiamo trovata troppo tardi. Era da sola. Era sua sorella. Ancora oggi si dà la colpa per questo», mostra un sorriso un po' malinconico. «Ecco, lui sì che sarebbe spaventato a morte intorno a te.»

«Sai, di solito non vado in giro a dire che sono diabetica. Resterà tra di noi», allungo la mano verso la sua e lui me la stringe delicatamente.

«Affare fatto», mi fa l'occhiolino, poi prende il mio glucometro e controlla la mia glicemia. Vedo il sollievo nei suoi occhi, anche se cerca di non darlo troppo a vedere.

La sua confessione mi ha fatto venire un crampo allo stomaco.
Ultimamente non sto gestendo la malattia benissimo.

Essere diabetici e avere un disturbo alimentare è la cosa più brutta che mi potesse mai capitare nella vita.

Per il diabete non incolpo nessuno.
Per il disturbo alimentare incolpo mia madre. È stata lei a rovinarmi. È stata lei a lasciarmi questa maledetta cicatrice addosso; un marchio che porterà sempre il suo nome. Non riuscirò mai ad estirpare completamente dalla mia testa la sua voce squillante e arrabbiata mentre mi rimprovera per ogni cosa che introduco nel mio stomaco.

E non dimenticherò mai il modo meticoloso in cui organizzava i miei pasti.

Lo sa soltanto Lydia. È grazie a lei se non ho ancora mollato.
Ho omesso la dose di insulina qualche volta. Volevo soltanto mangiare di meno. Le parole di mia madre a volte rimangono incastrate nella mia testa e ogni boccone diventa difficile da mandare giù; è come se della sabbia mi graffiasse la gola. L'appetito si affievolisce piano piano.

Le sue frasi sono ancora oggi un continuo promemoria.

Troppi grassi. Troppi carboidrati. Troppo tutto.

Devo avere la vita stretta. Le gambe lunghe e toniche. Devo avere la pancia piatta e dura come il marmo.

Devo. Devo. Devo. Devo.

Quel continuo "Devi mangiare di meno" si è trasformato in una malattia.
Non che a lei importi più di tanto... Per lei i disturbi alimentari sono soltanto dei capricci.

«Grazie, Danny», sussurro cercando di trattenere le lacrime.

«Terrò sempre una confezione di biscotti in casa. E ti assicuro che quelli non finiranno mai. Lo zucchero sì, però», ride e mi stringe a sé. Mi accoccolo accanto al suo corpo caldo.

«Passa da me domani pomeriggio. Dirò a Lydia di offrirti un caffè».

«Spero che un giorno sarà così amabile da offrirmi il suo cuore», sospira con aria trasognata.

«Non illuderti troppo, Romeo», gli do una pacca sulla coscia.

Il suo cellulare vibra sotto il suo sedere.
«Merda, per un secondo mi è sembrato di avere un vibratore nel culo», bofonchia e riduce gli occhi a due fessure non appena la schermata si illumina.

«Si è bevuto completamente il cervello», scuote la testa. «Consigliami un libro».

«Uhm... Hai in mente qualche genere?»

«Qualsiasi cosa. Non ha importanza».
Ci rifletto su un attimo.

«Kafka sulla spiaggia?». Non l'ho mai letto, ma tutti ne parlano bene.

Digita il nome rapidamente e spegne la schermata, rivolgendo di nuovo l'attenzione su di me.
«Continua a comprare libri da mesi, ma non ne ha letto neanche uno», spiega.

«Come mai?».

«Non sono sicuro di volerlo sapere davvero. Non gliel'ho mai chiesto».

«Strano, questo tuo amico».

Assottiglia le labbra. «Tutti diventiamo un po' strani quando qualcuno o qualcosa ci fa soffrire, no?».




Ecco il nuovo capitolo ❤️ sì, so che non vedete l'ora di rivedere Kyle, ma il tutto deve avvenire in modo graduale, non posso semplicemente piazzarlo alla sua porta ☠️ anche SE in questo capitolo dovreste aver già capito qualcosa 😏

Beh, finalmente avete capito cosa ha Nives.

L'idea della malattia mi è venuta dopo aver passato del tempo con la mia amica diabetica di tipo 1. Ho visto le sue difficoltà, ho percepito il suo sconforto, la sua ansia, il modo in cui ha dovuto affrontare il tutto, essendo una cosa nuova anche per lei (lo è da un anno).

E niente, un caldo abbraccio a chi si trova in questa situazione 💜

Ricordatevi di supportarmi con una stellina 🙌 mi fa sentire meno incapace😅

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