16. People can go from people you know, to people you don't
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Cigarettes after sex, Apocalypse
Capelli come cioccolato fondente solleticano l'aria intorno a noi, mentre il soffio delicato del vento si posa sul mio viso, facendomi chiudere gli occhi.
«Non ti sembra un po' noioso stare qui?», chiede Zahra mentre continua a saltellare sull'erba, cercando di non farsi sfiorare dalle farfalle.
«Cosa sarebbe noioso, esattamente?», le chiedo, sollevando lo sguardo dal libro che tengo tra le mani.
«Leggere. Diamine, leggi sempre», fa una smorfia e urla, sventolando una mano e cercando di mandare via una mosca.
«Ti avevo avvisata che ti saresti annoiata, ma sei venuta lo stesso», mi stringo nelle spalle e allungo la mano verso l'acqua fresca sul tavolino.
Zahra si siede sulla sedia e allaccia le dita intorno al bicchiere di Martini. Se lo sapesse mia madre, la farebbe fuori. Fortunatamente non è a casa. Ma se dovesse controllare le telecamere, lo scoprirebbe senza problemi e probabilmente bandirebbe ogni goccio di alcool che c’è in questa casa.
Manda giù un sorso e chiude gli occhi, lasciando che la luce del sole coli come oro sul suo viso senza imperfezioni, rendendolo ancora più luminoso.
Mi porto automaticamente i polpastrelli sulla guancia, esattamente nel punto in cui la mia acne mi ha fatto odiare il mio riflesso allo specchio.
La mia pelle non è liscia come la sua. Dio, solo a guardarla mi viene voglia di accarezzarle la guancia, la sua pelle è uniforme.
Mi passo la mano sudata tra i capelli, spostando all'indietro le ciocche che continuano a ricadermi davanti al viso.
Zahra sospira profondamente e schiude gli occhi, guardandomi con un mezzo sorriso, come se si fosse appena svegliata.
Non riesco nemmeno a guardarla negli occhi a lungo.
Quel sorriso è come uno spiffero d'aria gelida che si infrange sulla mia schiena, facendomi rabbrividire. E non in senso piacevole.
Sono andata a letto con il suo ragazzo. E lei forse non lo saprà mai.
E io non sono sicura di voler davvero sapere cosa ha fatto contro di me.
Fingo di non sapere e lei finge che sia tutto a posto.
«Non è tutto okay», dice all'improvviso, come se mi avesse letto nel pensiero.
«Come?», chiedo, sento una morsa allo stomaco.
«Hai lo sguardo perso. A cosa stai pensando?», chiede, piegandosi in avanti con fare curioso.
«Mi manca San Francisco», mormoro fingendo di trovare interessante la pagina davanti ai miei occhi.
Penso di aver riletto la stessa frase almeno dieci volte. Le parole si confondono tra di loro, niente ha senso, non capisco ciò che sto leggendo. Non riesco a fermare i miei pensieri.
«I tuoi vecchi amici?», inarca un sopracciglio e la presa intorno al bicchiere diventa più ferrea.
«Anche».
In realtà, non c'è un misero posto nel mondo che sia in grado di farmi sentire a casa.
Perfino stare all'aria aperta sembra soffocante. E i sensi di colpa non aiutano.
La paura non aiuta.
La preoccupazione che si annida dentro di me annienta ogni altra emozione.
Zahra trangugia il resto del drink e con un gesto scocciato posa il bicchiere sul tavolino. Si lecca gli angoli della bocca e incrocia le braccia sotto il seno, messo in risalto dalla scollatura del top bianco aderente che indossa.
«Allora perché non sei rimasta lì?», chiede con una punta di acidità e io la guardo, ma non vedo più lei.
Cerco di captare un suo sorriso sincero, ma tutto ciò che vedo è una lieve curva d'odio che si traveste da gioia.
Vedo due occhi perfidi scrutarmi, come se volessero scoprire i miei segreti più oscuri e venderli al primo sconosciuto che incontra per strada.
Non vedo più la persona per la quale ho suonato per minuti infiniti durante le nostre videochiamate notturne. Mi diceva che lo trovava rilassante, che l'aiutava a dormire.
E io suonavo... Suonavo come facevo per lui. Fino a quando non diceva "basta così".
Suonavo perché... Perché per una volta lo facevo per un motivo diverso.
Sento le lacrime pungermi gli occhi e sollevo il libro all'altezza del viso, nascondendomi.
«Non fermarti, Nives. Te lo dirò io quando ne avrò abbastanza. Solo... Non fermarti. So che sei stanca, ma mi stai facendo del bene. Dico davvero... Hai le mani magiche», mi aveva detto. E io le avevo creduto. Con tutto il cuore. E adesso quelle note si sono dissolte tra i ricordi e il mio stomaco adesso è un po' più pesante, l'acidità mi brucia la gola.
«Ti-ti piaceva davvero quando suonavo per te?», chiedo all'improvviso, abbassando di poco il libro.
Zahra emette una risata divertita, come se avessi fatto una domanda stupida.
«Non eri niente male», risponde e sento l'urgente bisogno di abbracciarmi e chiudermi nella mia stanza, sedermi in un angolo, precisamente accanto all'armadio, nascosta, come facevo da piccola.
«La musica mi piace, ma il piano rende qualsiasi canzone depressa. E tu suoni solo roba simile», dice e sorrido debolmente, accettando ogni sua frase. Perché non dovrei?
«Eri tu a chiedermelo», rispondo a bassa voce. I miei occhi si sollevano verso le chiome degli alberi; filamenti del tramonto si attorcigliano intorno ai rami, riversando una cascata di fuoco sulle foglie verdi.
«Lo so. Ma eri felice quando lo facevo, quindi ecco perché lo chiedevo così spesso», confessa e mi mordo il labbro, frenando tutte le parole che vorrei vomitarle addosso.
Sii ingenua.
«È stato molto carino da parte tua», le dico invece, sorridendole.
«Lo so. Sono sempre stata una buona amica con te», prende gli occhiali da sole e se li mette sul naso. Non sembra molto felice di guardarmi in faccia.
«Non lo metto in dubbio», rispondo con la stessa calma di prima e chiudo il libro.
L'erba solletica i miei piedi nudi mentre mi dirigo verso la porta.
Zahra mi segue silenziosamente dentro casa.
«Dunque, quella festa...», dice, lasciando la frase in sospeso.
«Ho detto che va bene. Si farà», rispondo piccata. Lo farò, dopodiché metterò un punto a questa cosa. Di qualsiasi cosa si tratti.
«Sei la migliore», mi lascia un bacio sulla tempia, io fisso un punto indefinito fuori dalla finestra.
È come tutti loro.
Nessuno è diverso.
Tutti i miei vecchi amici… Lei è come loro.
Volevo che fosse diverso per una volta. La distanza ha nascosto la sua vera persona, i suoi veri pensieri, ma adesso è tutto così cristallino.
Posa il mento sulla mia spalla e mi abbraccia da dietro. «Ti voglio bene», sussurra. Un suono così soave e al contempo così velenoso. Rimango ferma come una statua.
Sento il cuore scalpitarmi nel petto sempre più forte e quella dannata vocina risale in superficie, bisbigliando in un angolo buio nella mia testa: È davvero lei la cattiva della storia? Sei una pessima amica, Nives. Davvero pessima. Forse meriti di non avere amici veri. Sei finta.
Deglutisco e poso le mani sopra le sue.
Inganno per l'ultima volta il mio cervello e mi prometto che la prossima volta sarò più brava. Sarò più ingenua. Sarò più -
«Sono a casa e non sono per niente felice», esclama mia madre entrando in cucina. Ha due buste appese al braccio e gli occhiali da sole sulla punta del naso. Li alza velocemente, incastrandoli sulla testa, e guarda me e Zahra con aria scettica.
«Ciao, Candice», la mia migliore amica muove le dita in segno di saluto.
«Ciao», mia madre ricambia il saluto con voce piatta e riduce gli occhi a due fessure.
«Stavo giusto andando via, non c'è bisogno che mi guardi come se volessi cacciarmi fuori a calci nel culo», dice Zahra, ridacchiando.
Mia madre resta in silenzio, la guarda imperterrita seguendo ogni suo movimento.
La mia migliore amica mi saluta e dopo essersi chiusa la porta alle spalle, mia madre fa un bel respiro e poi dice: «Odio davvero tanto il modo in cui si atteggia. Mi chiedo cosa tu abbia trovato in lei di così magnifico tanto da appiccicarle addosso l'etichetta di migliore amica», alza gli occhi al cielo.
«Imparerò dai miei sbagli», mormoro lanciandole un'occhiata veloce, il suo sguardo si illumina.
«Stai dicendo che ho ragione?», posa le buste sul bancone e mi stringo nelle spalle.
«Non smettiamo mai di conoscere davvero una persona, no?», ribatto infastidita.
«Neanche quando quella persona ti mostra il lato peggiore di sé. Tienilo a mente», mi arruffa i capelli come se fossi una stupida bambina. «Neanche allora la conoscerai davvero. E sai perché?», apre il frigo e si versa nel bicchiere il frullato di verdure che è avanzato stamattina.
«Illuminami, mamma».
Lei mi guarda oltre la spalla con una tale freddezza da farmi provare timore. «Perché a volte mostriamo agli altri i nostri demoni, ma gli stessi demoni a volte si moltiplicano e alcuni rimangono nascosti. Ecco perché».
E la sua frase sembra così personale. Come se stesse parlando di qualcuno in particolare; come se stesse parlando di se stessa.
Ma ho paura di porle questa domanda. Non voglio toccare alcun tasto dolente . Finirebbe per riportare in superficie quel suo lato stronzo che io odio.
«Ma tornando a noi», posa con forza il bicchiere sul piano di lavoro, attirando la mia attenzione. «Sai, odio controllarti in questo modo e odio ripeterti ogni maledetto giorno cosa devi mangiare, cosa devi fare, come bruciare ciò che mangi e bla, bla, bla», arriccia le labbra in una smorfia di disgusto. «Vorrei che tu mi dessi retta per una volta, senza fare tanto la difficile. Ho detto a Rosemary di prepararti un determinato menù, e tu cosa fai? Ordini cibo thailandese!»
«Ho fame. Qualsiasi cosa io mangi, continuo a sentirmi affamata. E quella roba che mi costringi a mangiare non mi sazia. Ho i crampi allo stomaco, mamma. E Dio, sto bevendo tre litri d'acqua al giorno, non mi sento bene», butto fuori tutto d'un fiato, ma la mia rabbia non la scalfisce minimamente. I suoi lineamenti rimangono inalterati.
«Beh, è ottimo! Bere tanto fa bene. Un giorno mi ringrazierai. Almeno quando arriverai ad una certa età non sarai una vecchia con la faccia raggrinzita e pallida come un cadavere. Ricordati di mettere sempre la protezione solare, non vorrai mica ritrovarti con le rughe già a trent'anni», finisce di bere il frullato, prende le buste e va nella sua stanza.
«Fottiti, stronza», dico sotto voce, prendendomi il viso tra le mani.
Il cellulare squilla e mi affretto a rispondere, sorridente.
«Grazie per il bonifico».
Neanche un ciao. Neanche un come stai.
«Prego, papà», dico, cercando di mandare giù il nodo che mi serra la gola.
«Sei gentile, a differenza di tua madre. Per fortuna hai preso da me», ride sommessamente.
Continuano a ricordarmelo ogni volta che ne hanno la possibilità e io vorrei tanto non somigliare più a nessuno.
«Mamma non ti deve niente», la voce è gelida, innaturale. Mi sembra di non essere stata io a pronunciarla.
«Oh, beh, questo lo so. Ma per fortuna ho contribuito a metterti al mondo», ride di nuovo.
«Ma non c'eri quando ho avuto davvero bisogno di te», gli dico, non riuscendo più a trattenermi. «Non c'eri quando suonavo senza fermarmi un attimo. Non c'eri», emetto un singhiozzo strozzato e mi porto il palmo della mano sulla bocca. Ho parlato troppo.
«A te piace suonare. Ancora non capisco perché a volte te ne esci completamente a caso con questa frase. Cresci, Nives! Lo sai che ti voglio bene ed essermi separato da tua madre è stata la cosa più bella che ti sia mai successa, credimi».
Chiudo la chiamata e stringo il cellulare tra le mani fino a sentire le nocche bruciare.
Apro Instagram, vado sul profilo di Zahra e cerco tra i suoi amici il suo nome.
Kyle Davis.
Clicco sul suo nome e gli scrivo.
"Possiamo vederci?"
Do uno sguardo veloce al suo profilo. Dalle foto che mette non sembra molto attivo.
Apro di nuovo la sua chat.
Ha visualizzato.
"È una richiesta oppure un ordine?"
Mi acciglio. Fa sul serio?
"Ho messo il punto interrogativo. Almeno le basi della grammatica le conosci?"
"Qualcuno è di cattivo umore, vedo. E perché mai vorresti vedere proprio me?"
Mi manca il fiato. Perché voglio vedere proprio lui?
Non so cosa dirgli. Perché diavolo gli ho scritto?
"Fammi indovinare... Qualcosa di tremendo ha disturbato la tua quiete interiore e adesso hai tanta voglia di scoparmi per sfogarti".
Spengo la schermata.
Dio, è disturbante il suo modo di parlare. Non gli ho affatto scritto per questo.
O forse sì?
Sono sempre stata così masochista?
Le mie mani iniziano a tremare.
La schermata lampeggia di nuovo.
Leggo il suo nuovo messaggio.
"Puoi venire da me, bisbetica. Ho casa libera".
Batto la fronte contro il bancone e trattengo un urlo di frustrazione. Perché mai dovrei tornare dalla persona che mi ha fatto sentire un inutile pezzo di carne?
Raccolgo tutta la stupidità che ho nel corpo e chiamo un Uber.
Beh, spero che almeno questa stupidità mi porti a qualcosa di buono. Qualcosa che faccia meno male per una volta.
Quando arrivo a casa sua, sono tentata di fare marcia indietro e tornare a casa.
Potrei sfogarmi in un qualsiasi altro modo: suonando, disegnando, correndo, facendo yoga, leggendo. Ho così tante opzioni a disposizione eppure... Nella mia testa c'è soltanto lui.
La mia unica opzione valida porta il suo nome.
È davanti alla porta, bello come un dio greco. Ha le braccia strette al petto e la prima cosa che noto sono i suoi bicipiti marchiati dall'inchiostro scuro dei tatuaggi.
Indossa una semplice maglietta bianca e un paio di pantaloncini da basket.
Man mano che mi avvicino sento le mie gambe abbandonarmi sempre di più.
Mi fermo sugli scalini, confusa e titubante.
«Se devo essere onesto, non pensavo che mi avresti più rivolto la parola», dice contraendo la mascella.
«Non lo pensavo nemmeno io», ammetto.
L'angolo delle labbra si solleva leggermente. «Così crudelmente sincera».
Il mio cuore ha un tuffo.
«Preferiresti una bugia?», gli chiedo, sento la rabbia montarmi dentro di nuovo.
«Amerei essere mentito da te», adesso il suo sorriso diventa più evidente.
Salgo il resto degli scalini e adesso ci troviamo faccia a faccia.
I miei occhi cadono sulle sue labbra piene e sulla sua lingua che scivola tra di esse, bagnandole.
«Penso tu abbia qualche problema allora».
«Ho tanti problemi, Nives, e uno porta il tuo nome», il suo corpo torreggia su di me, i suoi occhi pigri mi fissano in un modo che non riesco a decifrare. Si sposta di lato, facendomi entrare.
Conosco la strada.
Vado dritta nella sua stanza, lui mi segue senza dire una parola.
Chiude la porta a chiave e io inizio a togliermi la maglietta. La lascio cadere a terra. Le dita tremano sempre di più.
All'improvviso le sue mani si chiudono intorno ai miei polsi, fermandomi. Rimango in reggiseno davanti a lui, scossa e con lo stomaco sottosopra.
«Parlami ancora di te», la sua voce è ferma, decisa.
«Stai scherzando?», chiedo, sconvolta. «Non sono venuta qui per... per parlarti di me. Diamine, neanche ti importa di me. Non ti importa, altrimenti non mi avresti trattata così di merda ieri e-», mi lascia i polsi e mi prende il viso tra le mani. «Respira, bisbetica. Stai tremando. Per quale razza di animale mi hai preso? Se pensi che ti scoperò mentre hai un attacco di panico, ti sbagli».
Mi manca l'aria. E lui ha ragione. E io odio dargli ragione. Odio lui. Il suo comportamento. Il suo modo di parlare. Odio tutto di lui, eppure ne sono attratta come una calamita.
«Ti sei mai sentito come se in un mondo così vasto non ci fosse posto per te? Insomma, sei in mezzo agli altri, ma non esisti davvero».
Lascia una mano sulla mia guancia e l'altra la posa sulla mia schiena. Mi spinge delicatamente verso il letto, facendomi sedere. Rimane in piedi davanti a me.
«Quelli come me se ne fregano del mondo, Nives. Qualsiasi angolo di questo pianeta a me accessibile diventa la mia dimora. E posso dire con certezza che tu», mi solleva il mento con due dita. «Sei uno dei posti in cui mi piace esistere e basta».
Batto piano le palpebre. Poi mi sfugge una risata.
«Era anche una frase a doppio senso?», gli chiedo, stupefatta.
«Ha importanza?», ribatte, togliendo la mano dal mio viso. «Stai meglio, no? L'importante è questo».
Sto meglio, sì. Ma le mie mani tremano ancora. Forse questa volta non è colpa del panico, ma della sua vicinanza.
Si inginocchia davanti a me. «Sentiti potente, Nives», sorride maliziosamente. «Mi hai messo in ginocchio prima del previsto».
Mi prendo il viso tra le mani e rido. «Sei un idiota».
«Ne vale la pena», risponde e la sua mano si posa sul mio ginocchio e inizia a salire lentamente lungo la coscia.
«Cosa?», sussurro, guardandolo negli occhi.
«Esserlo soltanto per vederti esibire di nuovo quel tuo delizioso sorriso», ghigna. Serro la sua maglietta in un pugno e lo attiro verso di me, premendo la bocca sulla sua disperatamente.
Non si tira indietro. Lascia che io lo baci come se fosse la cosa più buona al mondo.
Mi sdraio sul letto, lui si china sopra di me. Mi divarica le gambe e il suo ginocchio affonda nel materasso. Un fuoco arde al centro del mio petto. Il calore si propaga velocemente nel resto del corpo, facendosi spazio tra le mie gambe.
Kyle risucchia il mio labbro tra i denti e io gemo. Sorride contro la mia bocca e io ricambio non appena le sue dita mi solleticano le costole. Si ricorda?
«Mi dispiace averti fatto sentire in quel modo», mormora lasciandomi un bacio sulla guancia. «Per un attimo mi è sfuggito dalla testa che tu non sei come le altre».
Apro gli occhi e rimango immobile.
«In che senso?», gli chiedo.
«Fragile», sussurra sul mio collo. Il mio corpo non reagisce più.
Kyle si tira su per guardarmi di nuovo negli occhi. «Non mi hanno mai insegnato a tenere tra le mani le cose fragili senza romperle. Non intendevo ferirti».
«Non sono rotta», dico con voce soffocata.
«Ma sei piena di crepe e stai per romperti tra le mie mani, Nives... E io-», chiude gli occhi, appoggiando la fronte contro la mia. «Io non sono neanche in grado di mettere a posto ciò che rompo. Quindi devo essere sicuro che è ciò che vuoi».
«È quello che voglio», dico quasi senza riflettere e lui annuisce.
Mi sta spezzando come una promessa. Si sta spingendo oltre i suoi limiti. E io sto infrangendo qualsiasi regola dell'universo per lui.
Perché ad ogni tocco delle due labbra sul mio corpo io mi sento colpevole, ma nel modo più malato possibile e non me ne importa.
Quando le sue mani mi tengono stretta e la sua bocca è su di me, tutto il testo non ha più senso.
Siamo soltanto noi due. Niente potrà farmi del male. Nemmeno la più triste delle melodie.
«Fammi vedere dove vuoi essere toccata», ordina con voce roca e sento il mio viso andare a fuoco.
«Io n-non-»
Lui sorride. «Fallo, Nives. Fallo per te, senza vergogna».
«È che non so se tu-»
Scuote la testa. «Ti assicuro che non vedo l'ora di toccare qualsiasi centimetro di pelle che tu mi indicherai».
Inarco la schiena e slaccio il reggiseno. Kyle mi aiuta a sfilarlo e lo lancia per terra. Il mio indice scivola dolcemente sul mio seno, sopra il capezzolo e lui segue ogni mio movimento senza battere ciglio.
«Voglio sentire te», sospiro e lo guardo negli occhi.
«E chi avrà la meglio?», fa passare il pollice sul mio seno e chiudo gli occhi. Sento il suo fiato sull'altro seno e poi la sua bocca si chiude intorno al mio capezzolo. «La mia bocca o la mia mano?».
Inarco la schiena, sentendo il bisogno folle di fare scontrare i nostri bacini, di sentirlo contro di me, di percepire il suo rigonfiamento, il suo desiderio.
Inizia a baciarmi l'addome e mi abbassa i pantaloncini.
«E qui? Vuoi essere toccata qui?», il suo sguardo rimane immobile sullo slip nero che indosso.
Annuisco.
Il suo pollice si muove lentamente su quel grumo di nervi e mi mordo il labbro.
«Ma a nessuno dei due basta questo, non è così?», chiede e poco dopo mi strappa le mutande. Letteralmente.
Strabuzzo gli occhi. «Hai idea di quanto costi l'intimo femminile?», gli chiedo.
Posa di nuovo il pollice sul mio clitoride, poi le sue dita scivolano tra le mie pieghe bagnate. «Sono certo che il tuo portafoglio non piangerà», risponde con un sorriso malizioso.
E io lo guardo e mi perdo in quegli occhi color cioccolato.
Ha ragione.
E in fondo penso mi sia perfino piaciuto.
«Quei suoni che fai ogni volta che ti tocco… Saranno la mia fine, bisbetica », mormora baciandomi la coscia e penetrandomi con un dito.
E silenziosamente nella mia testa, sussurro ancora: «Infrangerei qualsiasi regola per te», e questa volta non più in modo ironico.
Al mio corpo lui piace. Al mio cuore pure. E alla mia testa… Dio, riesce a incasinarmela nel modo più bello possibile e io glielo lascio fare.
Lui è la voce stonata in un coro perfetto.
Il problema senza una soluzione.
Il desiderio che spezza la mia monotonia.
«Sei bellissima. Non coprirti», dice all’improvviso. Non mi ero nemmeno resa conto. Sposto le mani dalla pancia e accenno un sorriso.
Il suo bacio è il cerotto perfetto per una ferita che non sanguina più, ma che ormai fa male da anni.
«Devo confessarti una cosa», bisbiglia, il suo fiato caldo sul mio ventre.
«Cosa?», chiedo cercando di restare lucida.
«Da quando sono stato dentro di te, ti ho pensata ogni cazzo di minuto e ho desiderato di farlo ancora. Con vestiti o senza, Nives, mi hai fottuto il cervello».
E io sorrido. Questa volta davvero.
Scusate l'attesa, ma ero entrata nel mood divoratrice di libri. Ormai ho il blocco del lettore un mese sì e l'altro pure 😭 ho letto 5 libri, ma adesso che sto finendo il quinto mi chiedo cosa leggerò ancora 🥲 se avete magari dei fantasy da consigliarmi (No Sangue e cenere perché proprio questa l'ho finita. No Acotar perché l'ho già letta, ma libri simili).
Manca poco al cambiamento della storia 💃
Supportatemi vi pregooo💓
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