13. Welcome to the panic room
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Au/Ra, Panic Room
«Questi leggings ti stanno troppo stretti in vita. Stai per caso ingrassando?», chiede mia madre non appena mi vede entrare in salotto.
«Sto perdendo peso, è diverso», le faccio notare con una smorfia.
«Ora che ti guardo meglio, forse hai ragione. Brutto risveglio, tesoro?», stende il tappetino da yoga a terra e si siede, incrociando le gambe e unendo pollice e indice delle mani sulle ginocchia.
Io mi siedo sul mio tappetino e chiudo gli occhi, facendo un bel respiro.
«Sembro una pentola sotto pressione», ammetto serrando ancora di più le palpebre. Cerco di togliermi dalla testa le ultime parole di Zahra. Potrei dare seriamente di matto.
«Arrabbiarsi fa venire le rughe. Tieni gli occhi chiusi, inspira ed espira. Inizia ad immaginare il tuo elefante, che ti porterà pace interiore e serenità. Guardalo negli occhi e sentiti a casa».
«L'elefante finirà per schiacciarmi», commento con una vena ironica nella voce.
«Sei un albero forte, stabile, le tue radici ti tengono ben salda a terra. Concentrati!»
«Non ci riesco, mamma. Questo albero sta per prendere fuoco», apro gli occhi e mi massaggio le tempie.
Mia madre solleva una palpebra e mi guarda male, poi la richiude. «Sei un dannato albero stabile! Niente riuscirà a scalfirti, né la pioggia, né il fuoco e né il vento».
«Al momento sono un cespuglio», brontolo. Mi alzo per prendere il cellulare dal tavolino. Papà mi sta chiamando.
Mia madre continua a fare yoga. Quando è così concentrata nient'altro potrebbe attirare la sua attenzione.
Trascino il dito sul pulsante verde e mi porto il cellulare all'orecchio.
«Nives, è da tanto che non ci sentiamo! Come va? Hai iniziato la scuola?»
«Non è ancora iniziata la scuola, papà. Va tutto alla grande», mento.
Non posso dirgli che va tutto di merda, altrimenti dovrei poi fare i conti con la sua ex moglie.
«Tu come stai?», gli chiedo mentre faccio avanti e indietro per il salotto.
«Tutto bene. Però mi stavo chiedendo, sai, Nives... Avrei bisogno di un piccolo aiuto. Non riesco a pagarmi l'assicurazione sanitaria...»
«Oh», lancio un'occhiata veloce verso mia madre. «Va bene, tranquillo!»
«Tua madre come sta? Quella stronza menefreghista», sbuffa una risata.
«Oh, mamma sta bene», qualcosa mi colpisce la gamba e faccio un salto all'indietro. Mia madre mi guarda con una furia omicida negli occhi e in una mano ha l'altra scarpa.
«Io sto benissimo. Mai stata meglio, soprattutto senza QUELLA TESTA DI CAZZO», le ultime parole le dice gridando, assicurandosi che mio padre le senta.
«Dolce e gentile come sempre, Candice», ridacchia mio padre facendomi alzare gli occhi al cielo.
«Che ha detto?», chiede lei strappandomi il cellulare dalle mani. «Che cosa hai detto, stronzo?»
Cambia espressione in modo repentino, poi stringe il pugno e grida: «Grassa lo dici a quella vacca che ti ha messo al mondo!», poi gli chiude la chiamata in faccia.
«Ti ha detto che sei grassa?», la guardo con un cipiglio.
«Mi ha detto "La tua pancetta è finita ancora sul culo o te ne sei sbarazzata?", quel coglione buono a nulla», si abbandona ad una risata nervosa e poi lancia il mio cellulare sul divano.
Come hanno fatto, due persone così, ad innamorarsi l'una dell'altra e finire per odiarsi così tanto? E io, che cosa sono? Uno sbaglio, il frutto del loro odio o del loro amore? Non lo so. Mia madre mi ha definita uno sbaglio, ma penso lo abbia detto in un momento di rabbia.
E nonostante lei viva circondata da un'aura di menefreghismo, perfino ai più forti crolla la maschera e finiscono per mostrarsi vulnerabili. Mia madre ha sempre odiato far vedere le sue insicurezze o la sua fragilità. Molto spesso appare come una donna forte, intrattabile, crudele, dal cuore di ghiaccio. Sa farsi rispettare e io sono completamente diversa da lei.
A volte penso le dispiaccia di avermi concepita. Perché sono banale, sono fragile e tutto ciò che lei ha sempre odiato adesso si riflette su di me.
«Bene, sabato vuoi unirti alla nostra cena di beneficenza? È stata organizzata da alcuni amici di Sam», si passa la mano tra i capelli castani e fa una smorfia di disgusto quando sente il sudore scivolarle tra le dita.
«Sabato? Pensavo di restare a casa a vedere un film», mento. Agosto sta finendo e il sabato è la giornata perfetta per organizzare una festa.
C'è soltanto un problema: io non ne ho mai organizzata una.
Non farò entrare nessuno in casa mia fino ad allora.
Dio, trenta persone! Se mia madre lo venisse a sapere, mi farebbe fuori seduta stante. Odia gli adolescenti e ancora di più se sono ubriachi o fatti.
«Tu e la tua monotonia», ruota gli occhi azzurri al cielo. «Cambia la tua routine, Nives!»
«Infatti inizio da adesso. Vado al supermercato», la informo.
«Ci andrà Rosemary».
«No, mamma, ci andrò io. Ho bisogno di camminare un po'».
Lei non replica. Fa spallucce e mormora: «Io vado a farmi la doccia e poi esco con Sam. Fai la brava», mi manda un bacio.
Infilo le Air pods nelle orecchie e cammino mentre Lana del Rey mi tiene compagnia.
Canticchio mentalmente e mi fermo davanti ad un semaforo, aspettando che diventi rosso.
Sento qualcosa premere contro la mia schiena e sgrano gli occhi non appena sento una voce sussurrarmi all'orecchio: «Odio le persone che pensano di essere così furbe fa prendermi per il culo, Nives. Sono stato anche parecchio buono fino ad ora e mi stavi pure simpatica, ma dato che non capisci con le buone, vediamo se capisci così».
Inclino di poco il busto, intenta a girarmi verso di lui, ma preme l'oggetto ancora di più contro la mia schiena e trattengo il fiato.
«Hai una pistola puntata contro, quindi non provare ad urlare altrimenti ti sfracellerò il cuore. Dove sono i miei soldi? Sono stato abbastanza paziente e pensavo che mi avresti dato ascolto», allunga un braccio intorno alla mia figura e simula un abbraccio romantico mentre mi stringe a sé.
«Io-io ti pagherò, lo prometto», balbetto con la vista completamente appannata.
«Brava, bambina», mi accarezza dolcemente i capelli e aggiunge: «Domani sera alle dieci, al molo. E se lo dici a qualcuno, non mi farò molti scrupoli a farti fuori. I soldi non mi mancano, ma non sono stupido. Mia madre ha visto la macchina, Nives. E sai cosa mi ha detto?», mi attira a sé ancora di più. «Ha detto che mi farà lavorare per colpa tua, piccola stronza, così pagherò per ogni cosa che ho rotto fin'ora. Quindi o paghi o ti distruggerò la vita».
Mi spinge in avanti e per poco non perdo l'equilibrio.
Non oso girarmi verso di lui, ma sento i suoi passi mentre si allontana.
Sono stata minacciata di morte con una pistola in pieno giorno.
Sono stata-
Attraverso la strada in preda al panico e cammino senza avere una meta precisa.
Qualcuno suona il campanellino dietro di me, ma sono troppo scossa per girarmi.
«Ehilà, dovrei passare», dice Leah. La guardo obliquamente e lei spalanca gli occhi non appena vede che sono io. Scende dalla bici e viene davanti a me, guardandomi con circospezione. «Ehi, Nives, va tutto bene? Hai una brutta cera», mi fa notare.
Inizio a tremare così forte da non riuscire più a reggermi in piedi.
«Oh, attacco di panico in corso! Va bene, è tutto okay, guardami negli occhi, su», mi prende il viso tra le mani e lentamente mi fa sedere a terra. «Non è successo niente, Nives. Siamo soltanto io e te, visto? Sei al sicuro».
Prende la borraccia dal suo zainetto e mi costringe a mandare giù un po' d'acqua.
Si siede accanto a me e fa scorrere la sua mano su e giù sulla mia schiena, tranquillizzandomi.
«Va meglio?», chiede e annuisco. «Ti va una caramella gommosa? Gli zuccheri fanno sempre bene», sorride con aria malinconica.
Il suo cellulare inizia a squillare e se lo porta all'orecchio.
Mi offre le caramelle e io ne prendo una a forma di coccodrillo.
«Kyle, sto arrivando. C'è stato un piccolo imprevisto».
La caramella mi scivola direttamente in gola e per poco non mi strozzo. Dio!
«Ho incontrato Nives, è in preda ad un attacco di panico», gli dice e mi sfugge un lamento.
Sento ancora il formicolio alle mani e un terribile nodo alla gola.
«Va bene, fai come ti pare», chiude la chiamata e mi sorride. «Okay, mio fratello ci raggiungerà tra poco».
«Perché?», le chiedo, abbracciandomi.
«Kyle è molto presente in queste situazioni», si morde il labbro. «È uno stronzo la maggior parte del tempo, però si è preso cura di me quando ho avuto il primo attacco di panico e tante altre cose».
«Non viene qui per me, vero?», le chiedo.
Lei scuote la testa. «Ha paura che io non sia in grado di gestire la situazione e si preoccupa per me.»
«Adesso sto meglio. Grazie di essere rimasta con me», mi alzo in piedi, sento le gambe ancora molli, ma lei mi afferra per il braccio.
«Aspetta, non ti lascio tornare a casa da sola».
«In realtà devo andare al supermercato, quindi meglio che io vada», insisto guardandomi intorno.
«Sembri ancora spaventata, Nives», mi fa presente.
Dopo un paio di minuti Kyle accosta la macchina davanti a noi e abbassa il finestrino. Guarda prima me e poi Leah. «Tutto okay?», chiede.
Leah risponde: «No».
Io invece dico: «Sì».
Kyle spegne il motore e scende dalla macchina, raggiungendoci.
«Mi hai fatto spaventare. Pensavo stessi male», rimbrotta la sorella, dandole un pizzicotto sul braccio.
«Non fare lo stronzo. Ho fatto il suo nome», mi indica con un cenno della testa.
Mi sento a disagio.
«Tutto bene, bisbetica?», chiede avvicinandosi di più a me.
Stringo i pugni sulle ginocchia e annuisco. Le parole di Taylor rimbombano nella mia mente. Non posso parlarne. Non posso.
«Cos'è successo?», indaga mentre cerca di stabilire un contatto visivo con me.
Non sono brava a mentire, dunque distolgo lo sguardo. «Niente. Non è successo niente. Sto alla grande, adesso tornerò a casa e sarò al sicuro».
Kyle però non crede ad una singola parola. Lo capisco dal modo in cui serra gli occhi e mi fissa scettico.
«La accompagni tu? Io ho la bici. Ci vediamo a casa! Voglio che lei arrivi a casa sana e salva, hai capito?», Leah minaccia il fratello e io sorrido.
«Sparisci, nanerottola», le dà una spinta, facendola ridere.
Mi piace il loro rapporto. Quando uno dei due sta male, l'altro c'è sempre. È bello.
Leah inforca la bicicletta e sventola una mano in aria per salutarci mentre si allontana.
Kyle si abbassa per guardarmi negli occhi e con una serietà mai vista prima, pronuncia: «Cosa te lo ha scatenato? Sembri spaventata».
Faccio spallucce con nonchalance. Lui sembra esasperato.
«So che non me lo vuoi dire perché non ti fidi di uno stronzo come me, però sfogarti potrebbe farti stare meglio. Per quale motivo hai provato un forte senso di paura? Una macchina stava per metterti sotto?»
«Sì. Esatto», annuisco vigorosamente.
«Sei una pessima bugiarda», mi afferra per le braccia e mi aiuta ad alzarmi.
«Non pensavo che in un nerboruto come te ci fosse un cuore così grande», lo prendo in giro.
Kyle si abbassa sulle ginocchia per essere alla mia altezza. «Sai, bisbetica, forse quella maledizione è reale».
Sgrano gli occhi. Oh mio dio! E se avesse ragione?
Dopotutto quella veggente se l'è presa soprattutto con me.
«Prego», indica la sua auto. «Ti porto a casa. Non voglio che ti vengano a prendere con l'ambulanza».
«Non sei affatto divertente», incrocio le braccia al petto e salgo in macchina.
Kyle accende il motore e si mette la cintura di sicurezza.
Alza il volume della musica. La canzone è Knee Socks.
«Ti piace, non è così?», prende gli occhiali da sole dal cruscotto e mi sfiora le ginocchia con le nocche.
«Sì, mi piace tanto».
Kyle fa scivolare con una mossa fluida gli occhiali sul naso e mi sorride sghembo.
«Sai, c'è una cosa che non ti ho detto quella mattina», ingrana la marcia e gira lo sguardo verso di me.
«Cosa?», guardo la sua mano e una parte di me vorrebbe tanto che la spostasse sulla mia coscia.
Dio, non dovrei volere la sua mano schifosa sul mio corpo. Non dovrei desiderare di provare di nuovo quel brivido lungo la schiena.
«Che con la mia maglietta addosso eri bellissima», stringe la presa sul volante. «Cazzo, se eri bella!»
E non so perché, ma il desiderio che lui faccia scorrere la mano lungo la mia coscia aumenta a dismisura, così come il disgusto che provo verso me stessa.
Mi dispiace, Zahra. Dio, mi dispiace così tanto.
«Siamo arrivati», ferma la macchina davanti a casa mia. «Il destino non smette di metterti nel mio cammino, a quanto pare».
«Probabilmente il destino mi odia», bofonchio.
«È il prezzo da pagare per esserti presa una cotta per il ragazzo della tua migliore amica», mi fa l'occhiolino.
«Tu non mi piaci, Kyle.»
«Non ti piaccio, eppure continui a desiderare le mie mani sul tuo corpo, Nives», la sua frase mi fa arrossire.
«Non è vero», mi mordo il labbro.
«No? Allora smettila di stringere le cosce in questo modo. Smettila di immaginare la mia mano tra le tue gambe. Smettila di morderti il labbro quando ti parlo in questo modo».
Maledetto stronzo! Come diavolo fa?
«Grazie per il passaggio», slaccio la cintura di sicurezza, ma prima che io scenda le sue dita avvolgono il mio polso in una presa delicata.
«Non so cosa ti sia successo, ma mia sorella soffre di attacchi di panico da qualche anno e so quanto possano essere forti e fastidiosi. Se vuoi, parlane con lei. Ti capirà».
«Ho abbastanza soldi da potermi permettere uno psicologo, Kyle», apro lo sportello e me ne vado.
«E lo stronzo sarei io?», dice e se ne va, ma io non mi giro per guardarlo.
Ho infranto la nostra regola più di una volta. Non ho intenzione di farlo ancora.
Ciao ragazzi, scusate l'attesa ma sono presa dall'altra storia, che sto per finire. Mi mancano 2 capitoli per finire Boyfriend Un ragazzo in prestito, e poi mi dedicherò a questa❤️🥰 spero vi sia piaciuto
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