Capitolo 4
I miei passi tracciarono orme sul brecciolino che portava all'entrata della mia casa. Tutto intorno a me si trovava un piccolo pratino verde contornato da cespugli, alberi e pietre con strani simboli incisi sopra. Da piccola avevo speso ore a cercare di capirne il significato ma ormai avevo altro a cui pensare.
La mia mano sfiorò il braccio nel punto in cui Leo mi aveva stretto. Un fastidioso bruciore mi accompagnò fino ai due gradini che davano sul portico in pietra della mia casa. Sul muro, una decina di acchiapa sogni si muovevano mossi dal vento.
Mi fermai di fronte alla porta in legno di quercia rossa, dunque cercai nel mio zaino la chiave. Fu facile trovarla, persino tastando alla cieca, aveva una forma singolare, simile a quella di un quadrifoglio. Un 'clack' e riuscii finalmente ad entrare.
♥
Un piccolo spazio quadrato per togliersi le scarpe precedeva un gradino che dava su un corto corridoio. Al muro erano appesi due ombrelli, quattro paia di giacche in quattro materiali diversi (Tutte e quattro di una diversa tonalità di marrone) e un quadro raffigurante un mucchio di chiavi ammassate.
Un leggero miagolio attirò la mia attenzione, distogliendomi dai miei pensieri. Passai la mano destra nella mia tasca per poi tirare fuori un piccolo rettangolo di plastica tutto spiegazzato. Quella che per qualcuno poteva sembrare la cartaccia di una caramella alla menta, per altri poteva rappresentare un ambito tesoro.
«Tigre, sono a casa» Sussurrai, piegandomi leggermente.
Da un angolo al termine del corridoio, due enormi orecchie pelose e un minuscolo faccino da felino apparvero timidamente. Un luminoso smeraldo si posò su di me mentre l'altro occhio del gatto era coperto da una piccola benda in pelle.
L'animale mi fischiò contro, come se quella fosse stata la mia prima volta a varcare la soglia.
«Ah si...?» Protestai, guardando il soffitto «E pensare che ti avevo fatto anche un regalino»
Non appena sventolai quel pezzo di plastica a mezz'aria, il gatto scattò verso di me e, a due metri di distanza, si lanciò in un salto. Senza poter far niente, l'ambito tesoro mi fu sottratto.
Scoppiai in una risata notando la passione con cui tigre stava esaminando quel pezzo di carta. Dunque, dopo essermi chinata, la mia mano si posò sul suo morbido pelo. Fu allora che me ne accorsi.
«C'è puzza di bruciato» Sussurrai. Anche Tigre sembrò accorgersene e, senza fare rumore, scappò con quel pezzo di plastica tra le zanne.
Camminai nel corridoio, ai miei fianchi si trovano diversi quadri larghi meno di metro ma alti quasi due. Rappresentavano vicoli deserti che davano sulle strade delle più importanti città del mondo, da New York a Shanghai, da Berlino a Gerusalemme. Mio zio doveva avere una passione per quel tipo di soggetto, vi erano almeno una ventina di quadri simili in tutta casa.
Alla fine del corridoio, alla mia sinistra, si trovava un accogliente saletta e sulla mia destra la cucina.
«Ha provato a cucinare di nuovo...» Deglutii, ricordandomi di quanto mio zio potesse essere sbadato. Non aspettai un secondo e con la stessa rapidità di Tigre corsi ai fornelli. Da una pentola d'acciaio provenivano feroci nuvole grigie scure come la notte.
Non feci in tempo ad accendere il lavandino che un fischio acutissimo mi costrinse a tapparmi le orecchie con i palmi della mano.
In un battibaleno fui completamente zuppa. I due impianti antincendio avevano portato la pioggia dentro casa e non potei far altro che stringere i denti.
Subito dopo sentii le suole d'un paio di Oxford sbattere più volte contro il pavimento. Una figura si affacciò all'entrata della cucina senza perdere, per miracolo, l'equilibrio. Fu solo aggrappandosi al muro che riuscì a non cadere.
Un uomo sulla trentina, lineamenti delicati, e occhi incredibilmente preoccupati. Almeno in quell'occasione. Nelle altre, infatti, il suo sguardo aveva fatto impazzire tutte le mogli nel quartiere.
«Ci sono, ci sono, non stavo dormendo!» Si giustificò, aprendo le mani come a chiedere perdono.
«Ti sei addormentato di nuovo lavorando, zietto?» Sbuffai, guardandolo in cagnesco.
«Potrebbe essere» Le sue mani scivolarono nei suoi capelli bruni, portati corti e ben pettinati. Sul suo volto comparve un sorriso infantile «Scusami.»
Per un attimo valutai di rincorrerlo con un coltello. Poi, mi accorsi che stava indossando un completo nero.
«Perché indossi...» Prima che potessi terminare la frase, mio zio mi fermò.
«È quel giorno dell'anno... non ti sarai mica dimenticata?» Sussultò lui.
«Ops» Risposi timidamente io.
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