Capitolo 2
Non riconosco il suo profumo ma devo ammettere che mi piace. Elegante, ma allo stesso tempo selvaggio, come una foresta.
Le prime tre ore di lezione passano velocemente. Sul mio lato del banco un quaderno rosa e tante penne dai colori diversi, sistemate maniacalmente, la fanno da padrone. Su quello di Michael, al contrario, si trova un semplice taccuino e una matita affilata come un ago.
Non aveva preso neanche uno stralcio di appunti.
"Bello scemo" Pensai dentro di me, sistemandomi gli occhiali da vista. Dopo essersi seduto non mi aveva degnato di uno sguardo, al contrario aveva assistito alle lezioni con le braccia incrociate e una postura troppo rilassata per un liceo.
"Già lo vede, fra qualche mese, sommerso dai debiti" E in quel momento la campanella suonò. Solo allora si voltò verso di me, guardandomi dall'alto verso il basso.
«Dove andiamo, quattrocchi?» Domanda, con un tono sicuro.
"Sul serio? Una battuta sui miei occhiali. E il premio per l'originalità va a..." Sbuffo e mi alzo, dandogli le spalle «Seguimi.» Gli ordino. Ma Michael guarda in basso.
Ci metto qualche secondo a capire cosa sta guardando. Dunque mi volto e gli schiocco le dita di fronte «I miei occhi sono più in alto. Voi ragazzi siete tutti uguali.» Gli dico, stringendo i denti.
«Non incolpare me» Michael si alza spalancando le braccia, come a volersi scusare. Ma il suo sorrisetto malizioso sembra voler dire il contrario «Non dare la colpa ai 'ragazzi'. Non tutte hanno un sedere del genere.»
Per poco non gli tiro uno schiaffo. Ma mi contengo. Non potevo attirare attenzioni, non dopo quello che era successo qualche anno fa. Scuoto le spalle spazientita.
«Michael Montoya. Seguimi... al mio fianco.» Ordino, e lui ride, mostrando denti bianchi come l'avorio. Poi mi incammino fuori dalla classe.
♥
Tenendo gli occhi verso il basso riesco a scortare Michael nel cortile centrale della scuola evitando incontri indesiderati.
Il liceo Guido Levi era una struttura rettangolare al cui interno era stato adibito un chiostro con tanto di cortile in erba e alberi. Diverse panchine e tavoli di legno erano stati disposti in tutta l'area. Eppure, non a tutti gli studenti era concesso di sedersi in uno di questi.
Un tacito accordo aveva spartito queste sottospecie di troni ai vari gruppi della scuola.
«Sediamoci» Ordinò Michael, indicando un tavolo vuoto.
«No, quei tavoli non sono per noi» Risposi.
«Cosa intendi?»
«Solo chi appartiene ad un determinato gruppo può sedersi in questi tavoli. Quello che hai indicato è il tavolo dei giocatori di Basket, ad esempio.» Spiegai. Conoscevo bene il capitano della squadra di basket, era uno dei miei migliori amici. Ma in quel momento era assente.
«E gli altri?»
«Là ci sono le Arpie...» Indicai con una mossa del capo delle bellissime ragazze sedute intorno ad uno dei tavoli. Quando mi accorsi che mi stavano fissando guardai a terra imbarazzata. Poi mi voltai verso Michael. "Non stanno osservando me, stanno osservando lui".
«E gli altri?» Lo spagnolo le salutò e poi si voltò verso di me.
«Oh beh, ci sono i giocatori di calcio, i nerd e tanti altri. Evitali tutti se vuoi avere una vita tranquilla. Specialmente I figli di Romolo.»
«Figli di Romolo? Cosa sono? Una fan base di qualche cantante?» Rispose lui, sorridendo.
Stavo per rispondergli quando qualcosa mi colpì alle spalle facendomi perdere l'equilibrio. La mano di Michael afferrò la mia maglietta evitando di farmi cadere.
Si trattava di un ragazzo palestrato, alto una spanna più dello spagnolo, il suo cranio era rasato. Dietro di lui si trovavano altri due ragazzi, anche loro sembravano più muscoli che cervello. Indossavano jeans, stivali e una giacca in pelle nera su cui era impresso un lupo bianco dagli occhi rossi.
«Loro sono i figli di Romolo.» Imprecai, forse con un tono di voce troppo alto. Uno di loro si voltò verso di me e subito dopo anche gli altri fecero lo stesso.
Il più alto socchiuse gli occhi facendo un passo verso di noi.
«Andiamocene...» Afferrai la mano di Michael e cercai di trascinarlo via. Ma non riuscii a smuoverlo.
«Quattrocchi, sai cosa differenzia l'uomo dalla bestia?» Sussurrò lui, guardando dritto negli occhi il gigantesco pelato.
Questo sembrò non gradire. Tutto intorno a me calò il silenzio, potevo percepire la tensione nell'aria.
«Le bestie percepiscono la paura.» I tre arrivarono di fronte a Michael, guardandolo in cagnesco. Non dissero nulla. Al contrario strinsero i pugni e dopo qualche secondo se ne andarono «E scappano quando non ci riescono.»
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