Il giardino segreto

Faccio un sospiro, mentre esco dalla mensa insieme a Ken, con cui, assieme ad Iris, ho passato il pranzo. Entrambi ora dobbiamo dirigerci al club di giardinaggio. Non avevo dubbi che avesse scelto la mia stessa attività, se c'è una cosa che ci accomuna è l'incapacità nelle attività fisiche, perciò sicuramente non avrebbe mai optato per il club di basket.

Abbiamo appena girato l'angolo che porta al corridoio principale, che ci scontriamo con il solito trio.
Tento d'ignorarle, ma è proprio Ambra a rivolgerci la parola.
«Eccoli qui i due fidanzatini che vanno a piantare fiorellini assieme. Chissà perché non mi sorprende che abbiate scelto il club di giardinaggio.»

La guardo male, cercando in qualche modo d'intimarle di andarsene e lasciarci in pace, chiedendomi intanto come cavolo sia possibile che la voce del club che abbiamo scelto sia girata così in fretta.
Lei sembra cogliere appieno la mia minaccia, ma questo sembra non intimorirla per niente, anzi, ricambia quel mio sguardo con uno di sufficienza, come a sfidarmi a continuare. Poi però si rivolge a Ken di fianco a me.
«A proposito quattrocchi, grazie mille per il pranzo, era ottimo.» butta lì, per poi superarci e andarsene.

Vedo Kentin curvare le spalle e ingobbirsi, umiliato dal ricordo dell'evento di quella mattina. Sospiro, mettendogli una mano sulla spalla.
​«Non pensarci Ken... Andiamo.» dico semplicemente, per poi ricominciare a camminare.

Arriviamo all'uscita e questa volta è Castiel la persona che incrociamo. Visto che non conosco così alla perfezione il cortile e la zona esterna dell'edificio, ne voglio approfittare per chiedergli dove si trovano i giardini. Insomma, meglio lui che quella vipera di Ambra.
​«Ehi Castiel, dobbiamo andare al club di giardinaggio, mica sai dov'è?» chiedo semplicemente, senza nemmeno immaginare la reazione che stava scatenando in lui.

Trattiene una risata, guardandoci come se fossimo delle bamboline di porcellana pronte a romperci e lui fosse in attesa che accadesse così da ridere ancora di più di noi.
«Club di giardinaggio?! - chiese, più come una domanda retorica e derisoria, alzando il sopracciglio - È una cosa da femminucce, - dice, soffermandosi qualche secondo in più su Kentin, che ricambia quello sguardo con uno intimidito, sollevandosi meglio gli occhiali sul naso - quindi non ne so nulla.» concluse.
Un po' mi irrita che guardi Ken a quel modo. Insomma neanche io lo digerisco più di tanto, soprattutto per certi suoi comportamenti, ma in questo liceo sembra che l'etichetta di "nuovi" corrisponda a quella di "prendeteci a calci" o insulti che dir si voglia.

«Certo... Come se tu non fossi in questo liceo da più tempo di noi e non sapessi dove si trova il giardino...» gli dico piccata io, alzando il sopracciglio e guardandolo con aria parecchio ironica.
Ken, di fianco a me, sta zitto, lo sguardo basso e le spalle curve, come terrorizzato di quello che potrebbe succedere se intervenisse.
«Ehi, piccoletta... Non ti innervosire! Mi dispiace, ma delle piante non ne so proprio niente.» conclude, per poi farmi un sorrisetto divertito e allontanarsi da noi.

Sbuffo, siamo solo al secondo giorno e già comincio a sentire questo liceo stretto. Spero davvero che questa sensazione passi, nel momento in cui non sarò più quella nuova, perché altrimenti, qualsiasi cosa dica mia madre, me ne torno alla mia vecchia scuola.

«A quanto pare nessuno vuole aiutarci.» dico, più a me stessa che a Kentin, sempre al mio fianco, come un bravo cagnolino.
«Se... Se vuoi vado a chiedere io d-dove si trova...» mi suggerisce con voce sommessa.
Dubito che lui possa essere più fortunato, ma tanto vale lasciargli la possibilità di fare l'uomo per una volta.
«Ecco, bravo, provaci tu.» dico, in un tono forse un po' troppo scontroso.

Lui allora si allontana ed io lo seguo con lo sguardo, vedendolo entrare in sala delegati. Maledizione, Nathaniel, certo. Lui sicuramente sa dove si trova il giardino, perché non ci avevo pensato io?
Non sono passati che un paio di minuti, forse anche meno, che lo vedo uscire dalla sala, con un grosso sorriso e un allegria incommensurabili, manco avesse appena vinto una fortuna alla lotteria.
​«Mi hanno detto dov'è. Vieni, è proprio a destra del cortile!» esclama tutto euforico, non appena mi è vicino.

Dopodiché mi supera e va verso l'uscita del liceo. Faccio un sospiro e lo seguo, sperando che quella sua felicità insensata sparisca presto, perché lo vedo davanti a me, mentre cammina, quasi saltellando, manco fosse Heidi in mezzo ai monti.

Usciti nel cortile, svoltiamo a destra, proprio come ha riferito lui e, dopo aver attraversato un bel pezzo di strada, ci ritroviamo davanti a un cancelletto nero in ferro battuto, con un semplice gancio a chiuderlo.
​Lo apriamo e oltre c'è quel piccolo paradiso che ancora per me era sconosciuto prima di questo momento. Mi guardo intorno, completamente ammirata da ciò che mi circonda. Devo ammetterlo, questo è sicuramente un punto a favore di questo liceo.

Sto ammirando una delle tante aiuole del giardino, quando la voce di Ken mi riporta con i piedi per terra e mi ricorda che, purtroppo, c'è anche lui.
«Qui però non c'è nessuno... Sai per caso cosa dobbiamo fare?» domanda.

Discosto quasi subito lo sguardo da lui, storcendo la bocca e guardandomi attorno pensierosa.
​«Forse conviene che ce la caviamo ognuno per conto proprio ora...» dico, nel tentativo di scollarmelo.

So di essere alquanto antipatica e soprattutto scostante nei suoi confronti, ma è più forte di me, nel momento in cui si avvicina troppo devo allontanarlo un po', non ho proprio voglia che qualcun altro dica che stiamo insieme o una cosa simile. Diavolo, per quanto possa voler bene a questo sgorbietto i miei canoni di ragazzo sono ben diversi, insomma Lucien era un figo da paura, forse il migliore della scuola.

«Ma... - comincia lui, tirando un po' su col naso - Ok, vado a cercare qualcuno che ci dica cosa dobbiamo fare...» dice, allontanandosi e chinando la testa.
​Questa volta non lo seguo nemmeno con lo sguardo mentre s'inoltra nel giardino, andando verso la serra poco più in là.

Sono indecisa se andare anche io da un'altra parte e magari visitarmi tutto il giardino e trovare qualche altro membro del club che mi dica cosa fare. Sto per andare in direzione dell'altra serra, ma il mio sguardo cade su un mazzo di mimose e un ficus con un bigliettino a fianco.

Mi chino, afferrando il foglietto di carta e osservandolo. Sopra, scritto con una calligrafia veloce, ma particolarmente leggibile c'è scritto: "Mettere in aula A e in sala delegati".
Faccio un leggero cenno con la testa e, dopo aver messo il biglietto nella tasca dei jeans, prendo il mazzo di mimose, poggiandolo sul vaso del ficus, per poi afferrare questo con entrambe le mani e sollevarlo.

Non pesa così tanto come credevo, ma ovviamente la mia visuale è limitata dal fogliame della pianta.
​Facendo attenzione a dove metto i piedi, mi dirigo di nuovo verso il cancelletto e poi verso l'ingresso della scuola, facendo il percorso a ritroso.

Arrivata al corridoio cerco di fare mente locale di dove sia l'aula A. Se non sbaglio è quella dove ho fatto lezione di matematica ieri. Mi dirigo verso la porta e, dopo essermi assicurata di essere nel posto giusto, controllando la targhetta di fianco alla porta entro. Poggio subito il ficus, riprendendo un attimo fiato, mentre comincio a guardarmi attorno, indecisa su cosa lasciare lì.
​Non ricordo nemmeno se le mimose hanno bisogno d'acqua, alzo le spalle e afferro il mazzetto, scrollandolo un po' dalla terra che può essere rimasta attaccata, poggiandolo nel vaso, dopodiché lo metto sulla cattedra, sistemandolo in modo quantomeno grazioso e decorativo.

Afferro di nuovo il vaso del ficus e faccio dietrofront, dirigendomi verso la sala delegati, ma prima che riesca ad uscire ecco che il mio piccolo incubo ricompare.
«Che fai di bello?» mi chiede, come se non ci fossimo visti nemmeno due minuti prima.
​Insomma è mai possibile che in questa scuola mi trova solo lui? Lui e quell'odiosa di Ambra con le sue due ancelle al seguito.

Nonostante tutto però gli rispondo educatamente, anche se il peso della pianta e l'esasperazione nel suo continuo cercarmi credo siano evidenti nella mia voce.
​«Devo sistemare questa pianta in sala delegati e ho messo le mimose lì.» dico, indicando con un cenno della testa proprio la scrivania.

«Io ora vado ad annaffiare le piante in cortile.» dice, come se davvero m'interessasse quello che fa, oltretutto vorrei sapere cosa ci fa allora dentro l'istituto quando invece dovrebbe essere in cortile.
«Bene, allora se vuoi poi ti dò una mano. Ora scusami ma pesa, devo andare.» dico, ormai mi pare anche inutile tentare di scollarmelo di dosso, tutte le volte che ci provo ritorna, più convinto di prima.
​«Non ti preoccupare, ci metterò poco, ma grazie comunque dell'offerta! Buon lavoro.» conclude, lasciandomi passare e, voltandomi, lo vedo dirigersi nuovamente verso l'uscita.

Entrata in sala delegati, mi aspettavo di trovarci Nathaniel, invece questa volta non c'è. Forse è a lezione, oppure doveva fare qualcosa fuori da qui.
​Attraverso tutta la stanza, poggiando il vaso vicino agli armadietti, valutando se è il posto migliore in cui tenere la pianta. Credo di sì, visto che entra la luce del sole dalla finestra laterale.

L'ho appena sistemata e mi sono tirata su, osservando con una nota d'orgoglio il mio lavoro, anche se, alla fine dei conti non è niente di che, insomma mica l'ho piantata io, l'ho semplicemente spostata.

All'improvviso una voce dietro di me, attira la mia attenzione.
​«Ma che stai facendo?»

Mi volto e vedo il delegato degli studenti che mi guarda stranito e, mi pare, anche scocciato o arrabbiato. Improvvisamente mi domando se non ho fatto qualche cazzata. Non è che ho capito male il biglietto e dovevo mettere la pianta da qualche altra parte?
Decido di tentare comunque di spiegarmi, magari semplicemente non ci siamo capiti entrambi. In fondo lui non frequenta di certo il mio stesso club.
«È per il club di giardinaggio, ho trovato un biglietto che diceva di mettere una pianta qui e una in classe.» spiego.

Lui sospira, mantenendo quell'aria un po' stranita e corrucciata che, devo ammetterlo, su di lui è quasi brutta da vedere. Quel bel visino angelico stona con l'espressione arrabbiata.
«Cosa hai messo qui?» mi domanda.
Io alzo le spalle, continuando a non capire perché stia facendo così tutto all'improvviso, sembra quasi che sua sorella l'abbia posseduto.
​«Ho pensato che il ficus stesse bene qui... Perché, qual è il problema?» chiedo, insomma a questo punto voglio sapere il perché di questo suo improvviso cambio di comportamento.

Lui però a questa mia risposta e domanda, tira un sospiro di sollievo e, improvvisamente, come se non fosse successo assolutamente nulla, mi sorride di nuovo, illuminando così il suo viso di quella luce che mi aveva attratto fin da ieri.
​«Scusami. - mi dice - Siccome sono allergico ai pollini, volevo accertarmi che non mettessi in questa sala delle piante a polline... Sennò non smettevo più di starnutire!» mi spiega.

Tra me e me tiro un sospiro di sollievo. In qualche modo ho fatto la scelta giusta a portare il ficus qui e lasciare, invece, la mimosa in classe.
​«Effettivamente a questo non avevo pensato. - dico ridendo - Credo non ti convenga entrare in aula A, allora.» mi raccomando, sorridendogli di rimando.

Lui scoppia a ridere. Una risata spontanea e quasi melodica, tanto che cattura completamente la mia attenzione, lasciandomi a dir poco incantata. Ma un ragazzo può mai essere così carino? E dire che ero convinta mi piacessero di più i duri, invece, questo liceo mi sta facendo scoprire un mio lato che ancora non conoscevo, quello dolce e incantato dalle persone educate e a modo come Nathaniel. O forse semplicemente è lui che mi piace e basta.

«Non preoccuparti, - dice lui, riportandomi coi piedi per terra -  ci starò lontano. E comunque una pianta a foglie larghe non mi da nessun problema. Anzi, servirà a rallegrare un po' la stanza.»
«Lo penso anche io.» dico con un altro sorriso, voltandomi verso la pianta e poi nuovamente verso di lui.
«Grazie allora.» dice, avvicinandosi a me e mettendomi una mano sulla spalla, per poi superarmi e andare alla fotocopiatrice.

Io lo osservo per qualche secondo, dopodiché lo saluto ed esco, tornando nel corridoio, decisa ad andare nuovamente al giardino e fare qualcos'altro finché non finirà l'orario scolastico.

Stavo per uscire dall'edificio, quando Ambra l'odiosa torna all'attacco, senza nemmeno darmi la possibilità di evitarla.
​«Spostati, passiamo noi.» dice semplicemente, con quella sua voce di superiorità che mi fa salire la rabbia.

Questa volta mi rifiuto categoricamente di fargliela passare liscia.
«Spostati tu Principessa, perché io proprio non mi muovo, il corridoio è abbastanza largo.» le dico, rispondendole a tono e indicando a lei e alle sue amichette l'altro lato del corridoio.

A lei però non va giù questa mia risposta, lo si vede chiaramente dallo sguardo, prima accigliato e poi furioso, che mi rivolge.
«Non ci credo... Ma chi ti credi di essere? Torna a fare la schiavetta al club!» dice, con quell'aria scocciata per poi spintonarmi.
​Perdo l'equilibrio e faccio due passi indietro, onde rischiare di cadere per terra.

Questa volta è il mio turno di guardarla male. Quasi le ringhio addosso per quanta rabbia mi fa questo suo comportamento e quest'aria da piccola snob. Vorrei tanto sbattere quella sua testolina bionda contro al muro, ma tra me e me so che sono troppo buona per farlo, pure se lei è così odiosa. Una cosa è certa, un giorno o l'altro la metterò in riga e si pentirà amaramente di avermi scelta come valvola di sfogo per i suoi capricci da regina del pollaio.

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