Undercover boss
Sei fantastica, forte come il rock'n roll
Una scarica, uno shock elettrico
Sei la fonte di energia più potente che ci sia
Bomba atomica dritta nello stomaco
-''Sei fantastica'', Max Pezzali
Secondo Leibnitz siamo costituiti da monadi, ovvero delle unità psicofisiche immateriali che contengono in sé tutto quel che è successo e tutto quello che accadrà un giorno. Con lo scorrere del tempo, semplicemente, ciò che è già scritto nella storia, viene allo scoperto attraverso particolari meccanismi. E' un modo curioso di vedere la vita filosoficamente parlando, in quanto ammette sia un meccanicismo che un finalismo. Di fatto ogni evento influenza l'altro, ma questo non implica che non vi sia un fine di fondo. Ho sempre creduto a molte teorie fantasiose secondo le quali talvolta percepiamo quello che sta per succedere perché di fatto è successo anche se non l'abbiamo percepito fisicamente. Credo che una parte di me avesse sentito sin da subito che Victor non fosse un turista, una comparsa nella mia stramba opera teatrale. Quando l'avevo visto la prima volta una scossa elettrica aveva attraversato il mio corpo, come un impulso esterno che diventa interno e che grida ''ricordati questo momento''. Un'elettricità che scombussolò momentaneamente il mio corpo, intorpidendo gli arti e risvegliando i sensi.
Ripenso alla reazione terribile di ieri e poi al dolce incontro con lui mentre sto seduta sulla scomodissima sedia nel mio Cubo formato lattina per il tonno. La mia anima colpevole non riesce a perdonarsi la freddezza con cui l'ho trattato ieri sera. E' stato un po' invadente e troppo sicuro di sé? Certamente. Ma non penso potesse neanche lontanamente immaginare la mia tragica situazione familiare.
E se sapesse tutto? E se fosse stato mandato da qualche servizio segreto per mandarmi in manicomio?
Comunque più ragionevole del fatto che sia realmente interessato a me. E poi, sarebbe molto sexy con la divisa da carceriere. Ah, e ultimo ma nemmeno importante, non dovrei più vedere Cassie con il pigiama abbinato a PP.
Inizio a sbattere con forza la testa contro alla superficie fredda della mia scrivania, poi è questione di un attimo. Il telefono inizia a squillare prepotentemente e schizzo lontana dal tavolo, perdendo l'equilibrio e cadendo dalla poltroncina. L'urto col suolo è abbastanza doloroso, non importa quanto il mio sedere attutisca la caduta. Probabilmente mi verrà un livido grande come tutto il Cubo. Come se qualcuno dovesse guardarlo, suvvia. Intanto il telefono continua a fare rumore, imperterrito. Sarà uno di quegli svitati dell'Oracolo.
E invece no.
''Sono l'assistente personale del Capo della rivista. Ha richiesto di vederla immediatamente nel suo studio, che è situato all'ultimo piano come probabilmente già sa. Mi ha detto che è urgente, ragion per cui è pregata di abbandonare all'istante qualunque sua occupazione, utile o futile che sia. Non ha specificato perché desiderasse vederla, ma dal suo tono risoluto suppongo sia molto importante, oserei dire grave. L'ascensore la condurrà direttamente lì. A presto, Tina'' la sua voce acuta sembra molto soddisfatta per il nuovo dramma.
Non so ben spiegare la mia reazione precisa a quelle parole. Sono più che certa di essermi guardata intorno, in cerca delle telecamere. Devono avermi ripresa in un momento imbarazzante. Ma io dico, tra tutte le sale dell'edificio, questo stronzo deve proprio guardare nella mia? Come quando dicevano che i bambini cattivi Babbo Natale li metteva subito nella lista dei cattivi, e chi cazzo è, una spia?
Passo in rassegna ogni possibilità, adagiandomi sulla mia sedia per gli ultimi istanti: vuole licenziarmi. Non so bene come l'abbia capito o quanto i suoi folletti siano capaci, ma penso abbiano notato che rubo ogni giorno una decina di caramelline dalla reception. Per non parlare di quella volta che ho cercato io stessa di dare i consigli ad una signora della rubrica. ''Non si preoccupi, io sono molto brava nel dare consigli, signora'' dissi ''no, non sono laureata, ma se lei ne ha bisogno, l'ascolterò quanto vuole cosicché se la sua storia non venisse scelta, lei avrebbe comunque ottenuto il suo aiuto''. Non avevo certo idea del fatto che qualcuno ascoltasse le telefonate.
Mi incammino mogia verso l'ascensore, pronta per la mia ultima salita. Quando si ferma, sono con l'umore a terra. Mi dirigo con passo sciolto verso l'enorme stanza che mi si presenta davanti. Lo dirò onestamente: questo ufficio sarà almeno cento Cubi. Le enormi finestre, alte fino al soffitto, filtrano la luce della mattina, debole a causa delle nuvole nel cielo plumbeo. Una grande scrivania è piazzata al centro della stanza. E' bianca, non molto grande; le sue dimensioni modeste esaltano l'ampiezza dello spazio circostante. Un divanetto grigio vi è piazzato di fronte. Alle pareti candide sono appesi graziosi quadretti in bianco e nero ed alcune foto. Un ambiente decisamente freddo. Sempre meno del cuore dello Scrooge che mi vuole licenziare. Rimango ferma nel bel mezzo della stanza, nella speranza che limitare le prove della mia presenza possa renderlo più caritatevole. Tuttavia la mia attenzione è completamente rivolta verso una grande cornice. Mi avvicino di poco a quella gigantesca parete per osservare meglio quella bella immagine. Due bambini abbracciati alla mamma, un bel giardino semplice ed il sole alto nel cielo. La genuinità rende queste figure più attraenti delle altre, quasi violente. Sento dei passi avvicinarsi ed arrestarsi a mezzo metro di distanza da me.
''Bella immagine, non trovi? Forse la mia foto preferita, anche se i quadri sono decisamente più eleganti.'' Quella voce. Mi giro di scatto, alla ricerca di una falla nel sistema. E invece eccolo lì, Victor in persona. Lo guardo con la bocca spalancata, senza capire bene cosa stia succedendo. Poi tutti i pezzi si incastonano perfettamente nella mia testa: com'è che non l'ho capito subito?
''E dai, non dirmi che non l'avevi capito!'' inizio a scuotere la testa e lui ride di gusto, stupito ma felice. Mi fa cenno di seguirlo verso il divanetto, poi continua: ''Allora, quando impacchetti le tue cose? Non penserai mica che ti abbia invitata qui per una rimpatriata, spero.''
Mi guarda curioso dalla grande poltrona dietro alla scrivania, mentre io mi accomodo di fronte a lui. Sta scherzando o dice sul serio? Nel dubbio rido.
''Guarda che sono serio.'' Pessimo attore. Sorride bonariamente e si sporge un po' per accorciare le distanze.
''Mi sa tanto che alla fine quello poco professionale sei tu, Scrooge!'' esclamo felice. No Clara, questo è poco professionale, dato che è il tuo capo. Non sono sicura che non voglia licenziarmi, quindi cerco di giocare la carta della bimba ingenua. La speranza è l'ultima a morire.
''Come hai fatto a trovarmi?'' aggiungo imbarazzata.
''Questa è l'unica cosa che non ti dirò mai.'' soggiunge seriamente, come se fosse un vero segreto di stato.
''E chi sei, gossip girl?''. Mi guarda stranito, segno che non ha capito un'acca di quello che ho detto. No, Victor, non ci siamo proprio.
Poi si alza dalla poltrona, spostandosi verso di me. Fa per avvicinarsi, ma poi si blocca di scatto, come se avesse ripreso coscienza del suo corpo. Si appoggia al bordo della scrivania, sovrastandomi col grande corpo da palestrato. Quel movimento brusco mi stupisce e mi manda in fibrillazione per un attimo tanto mi risulta inaspettato. Ha uno sguardo concentrato e serio, sembra che si sforzi di trovare le parole giuste. Dopo qualche istante, senza togliermi mai gli occhi di dosso, domanda:'' Vuoi uscire con me?''. E' rilassato ora, ma il respiro lievemente accelerato tradisce quella sua incrollabile sicurezza. Mi ricordo di tutti i miei dubbi e dei buoni propositi. Voglio chiarire ogni errore passato prima di commetterne nuovi in futuro.
''Mi dispiace per come mi sono comportata ieri sera. Io...io...non sono abituata ad aprirmi con le persone. Non su certi argomenti.'' annuisce in silenzio, come se avesse già immaginato le mie parole milioni di volte prima di averle sentite. E' un'artista nel comprendere quando sia arrivato il momento di spostare l'attenzione da un argomento all'altro, senza mai perderne di vista l'originale. Apre una breve parentesi e dal suo tono capisco che è veramente dispiaciuto per come sia terminata la serata.
''Non volevo pressarti... non sta a me decidere come e quando scoprire qualcosa di te. Non sono stato un gentiluomo. Ma voglio che tu sappia che, se mai dovessi volerne parlare, io mi siederei su quel maledetto bancone tutta la notte. Aspetterei con qualche bicchiere di vino il momento giusto per discutere di ogni cosa, buona o cattiva che sia. E se mai non dovessi volerne parlare mai, a me andrebbe comunque bene. Ti guarderei e basta. Con un muffin addosso, possibilmente.''
Le sue parole mi colpiscono profondamente e i nostri sguardi si incrociano, mentre combatto col mio corpo per non avvicinarmi alle labbra che le hanno pronunciate. Ha un'espressione vulnerabile; non lo conosco abbastanza da esserne certa, ma sono sicura che se volessi potrei colpirlo ora nel suo tendine d'Achille. Io, però, non voglio fargli male.
''Si, mi farebbe piacere uscire con te. Anche se uscire col capo è moralmente scorretto.'' Le frasi mi escono dal corpo senza che io riesca a controllarle. E' ciò che intimamente volevo dirgli. Sorride soddisfatto e definiamo i dettagli. Tempo: domani alle sette, dato che oggi lavoro (incredibile che sia io quella impegnata, non mi era mai capitato prima). Luogo: sarebbe passato a prendermi a casa, quindi indefinito.
Quando mi allontano da lui, sento un vuoto colmarmi il cuore. L'effetto della scarica è esaurito ed ora non riesce a battere così forte. Mi giro e lo guardo un'ultima volta prima di uscire definitivamente dalla sala. Le pulsazioni salgono nuovamente: è rimasto lì ad osservarmi.
Il resto della mattina passa velocemente, lentamente, non ha importanza. Il tempo è scandito dal pensiero fisso di lui. Non so bene cosa provi, che sensazione sia. So solo che è forte e invadente. Forse non è la più giusta, ma è rinvigorente. Forse non è la più razionale, ma mi rende felice. Dopo un milioni di sensazioni calme e tiepide, questa nasce per sé e cambia tutto quel che ci sarà dopo; è un fulmine a ciel sereno, un nervo che tocca il cuore.
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