Il mio demone
Si parlava di sushi.
Le loro voci erano distanti, rumori sordi, indistinguibili dal ronzio del ristorante.
Il demone era lì, le mani ossute sulle mie spalle, il mento scheletrico accostato alla mia guancia.
Sentivo chiaramente solo la sua voce, e mi ci cullavo dolcemente...
<<Vera!>>
Con estrema fatica, distolsi lo sguardo dal pavimento e lo piantai negli occhi preoccupati di Martina.
Conoscevo quello sguardo, e mi odiavo per averlo causato.
<<Vera, eri assorta>> mi dice, lei << Si può sapere cosa hai oggi?>>
No, non si può sapere, sussurrava il demone nelle mie orecchie. Lei, loro, loro non dovevano sapere. Non potevo vedere gli occhi neri della creatura alle mie spalle, ma immaginavo chiaramente il ghigno soddisfatto di fronte al mio imbarazzo.
Improvvisai un sorriso o, meglio, mostrai i denti in una smorfia che appena ricordava un sorriso <<Niente. Davvero>> aggiunsi, affogando le labbra in un bicchiere di acqua gelida, che mi scavò l'esofago. Un visibile brivido mi attraversò la schiena, non so se per il demone, o per l'acqua.
Percepii i suoi occhi sulla mia pelle: come attrice sono sempre stata pessima.
<<Se non ne vuoi parlare , é okay. Ma non mi dire che non hai "niente" quando é evidente che hai qualcosa. Dimmi che é così, se é così, e che non ne vuoi parlare. Lo accetto di più, Ma non mi dire che stai bene>>
Avevo perso il conto di tutte le volte in cui Marti mi chiedeva una fiducia che non ero ancora pronta a darle, di tutte le volte in cui mi ero ridotta a mentirle, avere segreti con lei pur di non mostrarle una parte di me: quella più buia, dove si era annidato il demone.
Per un attimo desiderai che potesse vederlo anche lei: ma, se così fosse stato, ci sarebbe stato non uno, ma due folli ad un tavolo da quattro. Le voglio troppo bene per augurarle la pazzia.
<<Okay: non sto bene, ma non me la sento di parlarne>> sentenziai, infine, tutto di un fiato.
<<Riguarda Capodanno?>> chiese Laura, seduta alla sinistra di Martina. A fatica ricordai i vari battibecchi su come festeggiare la fine dell'anno, da lì a due giorni. <<Assolutamente no>>
<<Riguarda quello stronzo?>> chiese Marti, con fare inquisitore.
<<Ma anche no!>>
<<Forse é qualcosa che é successo la settimana scorsa?>> chiese Claudia, alla mia destra.
<<Sono in questo stato da circa due mesi>>
La raffica di domande ebbe termine: fortuna che non avevo voglia di parlarne!
<<Sentite, é una cosa che riguarda me e soltanto me. Passerà>>
La creatura mostrò un sorriso sicuro: aveva colto il dubbio nelle mie parole.
Di solito, passava.
Di solito, vincevo io.
Erano settimane che aspettavo che passasse, ma il demone era sempre lì, a gioire mentre il mondo crollava sotto i miei stessi piedi, e io diventavo meno reale, meno viva.
<<Vado in bagno>> annunciai, ben consapevole di essere poco credibile: raramente uso le toilettes dei locali. Coprii quei dieci metri che mi separavano dal bagno con fare sicuro, simulando una serenità che avevo appena ammesso di avere perso.
Sapevo esattamente cosa sarebbe successo nel frattempo al nostro tavolo.
Marti avrebbe chiesto alle altre due se avevano una pallida idea di cosa mi stesse succedendo.
Laura avrebbe raccontato di quanto era successo a Natale: lei mi aveva chiamato per parlarmi di capodanno, e mi aveva trovato fredda e sgarbata. Poco dopo, le avevo mandato un messaggio in cui mi scusavo, ammettendo che ero incazzata per ben altro. Lau in quel momento doveva aver pensato al sinistro che avevo fatto la settimana precedente.
Mentre l'acqua gelida mi scorreva tra le dita, ripensai all'incidente, e alla sfiga che avevo avuto: graffiare un auto lussuosa, parcheggiando, e trovare il suo proprietario ancora al posto di guida!
<<Nonamenonamenonamenonoranonoranonamenonamenonora>> avevo detto, coprendomi il volto con quelle stesse mani, con cui adesso lo rinfrescavo.
Claudia: anche lei era certa che stessi male per i soldi. Sapevano che non navigavo nell'oro, e che in cinque minuti mi ero mangiata un quarto della borsa d studio di un anno.
Ma Marti avrebbe fatto notare che non poteva essere quello, perché mi aveva sentito strana anche la domenica precedente all'incidente, quando mi aveva chiamata per metterci d'accordo per vederci lunedì mattina, il 24 dicembre.
E poco prima aveva letto nei miei occhi: per un attimo, avevo perfino creduto che potesse vedere il demone alle mie spalle, il quale, ovviamente, mi aveva seguito in bagno.
Quell'essere immondo era sempre con me: a volte, raramente, mi scordavo perfino della sua esistenza, e così si eclissava dalla mia vista, tornando in quel mondo freddo e oscuro da cui veniva; altre volte, c'era, ma non dava problemi, limitandosi a fare da spettatore inerme alle gioie che la vita mi stava offrendo negli ultimi anni.
Infine, in certi periodi, come quello, il gelo del suo mondo entrava nel mio: tutto, allora, diventa più grigio e sordo. La vita perde quel sapore speziato, un raggio di sole non riesce a darmi più tepore.
Le gocce d'acqua scivolarono dal mento fino al collo. Rabbrividii, impotente.
Uno specchio ovale offriva alla ma vista l'immagine di una ventenne che aveva tutto nella vita, ma non riusciva a goderselo veramente. Pochi, in effetti, hanno questo dono, ma la maggior parte della gente ha qualcosa di cui lamentarsi. Non nel mio caso: non c'era giustificazione per quello sguardo segnato. Il marrone dei miei occhi era sempre più scuro, più simile al nero. Si possono avere le iridi nere?
Tanto rimasi ferma, lì, come un imbecille, a guardare il demone allo specchio, che la luce del bagno, dotata di un sensore di movimento, si spense. Il buio mi avvolse: non lo considerai un problema.
Almeno al buio, non dovevo fingere.
<<Andiamo?>> fece Marti, non appena tornai al tavolo. Annuii: non ricordavo una serata peggiore di quella. Non solo il mio malessere, ma la consapevolezza mia, di non trovare cura nemmeno nei miei migliori amici, e quella dei miei amici, di non godere della mia piena fiducia, o, peggio, di essere completamente impotenti di fronte al mio demone, rendevano quel sabato ancora più amaro.
Quell'essere stava lì, le sue mani scheletriche sulle mie spalle. Guardava le altre, e poi me, e poi ancora loro. Cosa sarebbe successe quando mi avrebbe vinto? Sarebbe morto con me, me lo sarei portato nella tomba, o avrebbe perseguitato anche loro, dopo me?
Avrei dovuto fingere di stare bene: se ci fossi riuscita, avrei dato una soddisfazione in meno a quel mostro.
Circa tre metri ci separavano dalla cassa. In mancanza di cambio in monete, optammo per conti separati, come sempre.
Come mi aspettavo, mi si fece vicino.
Prese a giocare con le dita, il suo sguardo passava dal mio viso, alla cassa, a quelle falangi tanto spesso mordicchiate.
<<Perché non ne vuoi parlare?>> fece, con due occhi per cui sarei potuta morire. Stava male a causa mia. Il demone sorrise, la sua morsa sempre più forte nel mio petto.
<<Devo risolverla io, Marti. 'E una cosa che dura da una vita>>
Non riuscii a guardarla negli occhi. Stavo male, volevo urlarlo al mondo intero, volevo gridare aiuto contro quella bestia che mi divorava da una vita e che presto, molto presto, avrebbe lasciato di me solo un involucro vuoto.
<<Di solito va via da sola. Questa volta, no, e mi sto preoccupando>>
<<Ma sei sicura che non ti possiamo aiutare?>>
Avrei voluto abbracciarla, dirle che le volevo un mondo di bene, ma le dita ossute del demone me lo impedivano: la mano destra rimase in tasca, e la sinistra lungo il fianco. Una solenne idiota.
<<No>> dissi, confondendomi con le parole.
<<Quindi posso aiutarti?>>
Amai la cassiera, quando si rivolse a noi. Mi fiondai a pagare il conto, consapevole che ora non solo la creatura, ma anche Martina mi guardavano le spalle.
Volevo dirle tutto. Poi lei mi avrebbe temuto, o quantomeno avrebbe cominciato a cercarmi un manicomio. Ma almeno avrebbe avuto la mia fiducia.
Quando anche lei pagò, lasciò andare avanti Clauda e Laura e, con una dolcezza di cui solo lei era capace, mi restò affianco, in attesa di quella confessione che non tardò ad arrivare.
<<Mi sento sola>> sussurrai, nel terrore che la creatura potesse sentirmi.
Tutto mi aspettavo, da un banale "perché" a una risata in faccia.
Trenta. Contai tipo trenta lentiggini sulle sue guance.
<<Succede anche a me>> disse, invece. Non lo credevo plausibile: insomma, sapevo che anche lei aveva periodi di leggera depressione, ma ero convinta che fosse totalmente diverso, quindi cercai di spiegarmi meglio. No, non poteva che essere diverso, il mio problema.
<<Mi sento fuori posto. Ovunque, anche a casa mia>>
<<Ti capisco>> fece lei, mentre attraversavamo la soglia <<Meno male! E io che credevo di essere l'unica!>>
Il giorno dopo, al telegiornale, avrei sentito un servizio sull'"empatia": la capacità di comprendere cosa sente l'altro, una connessione emotiva tra due persone. Allora, avrei ripensato a lei, e a quello che successe dopo, in auto.
Quando Marti mi chiese di sedermi dietro in macchina, capii che quel dialogo sarebbe durato ancora. E, segretamente, sperai che così fosse. Il demone era appena meno esagitato: non potevo non approffitare della tregua.Eppure, quando mi sedetti sul sedile posteriore della seicento di Cla, cercai di sprofondare nei cuscini, mentre gli occhi castani di lei mi osservavano, in attesa di vedermi per quella che sono realmente.
Mi sovvenne di Pirandello, un letterato di cui odiavo la narrativa -estremamente lenta- , apprezzavo il teatro ma in assoluto condividevo il pensiero. Parlava di maschere: ognuno di noi si veste di un suo ruolo, che segue minuziosamente, finché la maschera non cade sotti gli occhi delusi delle persone che lo amano.
Avevo perso la mia in quel pessimo ristorante giapponese.
Non credevo che il pesce crudo potesse fare questo effetto; a saperlo, avrei optato per una pizza.
Un conto, era la Vera solare, forte, ironica, che le chiedeva come stava, che la cercava, che faceva di tutto per farla sorridere, e che di poco sorrideva.
Un altra cosa era il fantasma che si era seduto su quell'auto.
<<Dovevo vedere Dani, ieri>> dissi, nel vano tentativo di dare un senso logico all'oceano di sentimenti che mi attraversavano.
<<Ieri, con Federica?>>
Annuii, sommessa. <<Non è venuto. L'ho chiamato: segreteria. Gli ho mandato un sms, non ha risposto. Ho seriamente pensato di bussargli la porta di casa ma, non so perché, alla fine non l'ho fatto>>
Evitai di dirle che quel messaggio lo avevo mandato anche allo stronzo, per attaccare bottone, fingendo di avere sbagliato numero. Semplicemente patetico, lo so.
<<Di solito mi passa, quando vedo Fede. Questa volta non é bastato, Marti>>
I nostri erano sussurri nascosi dal ronzio del motore: Cla e Lau non sentivano una sola parola, e questo creò una certa sintonia con Martina. Per la prima volta, le stavo mostrando il lato più buio di me.
E lei non ne era terrorizzata, nemmeno la metà di quanto lo sono io.
<<Cosa é successo?>>
Le raccontai di come, il venerdì precedente, fossi uscita con Fede e colleghi: la mia migliore amica, nota nemica della matematica, in una banda di fisici. Ammisi le mie colpe per un tale errore di valutazione, ma mostrai anche l'altro lato della mia amicizia con Federica: il lato più buio, sempre.
<<Lei si é sentita male: le ho chiesto cosa avesse, mi ha detto che stava per scoppiare a piangere>>
Gli occhi di Marti si inumidirono, ma non disse nulla.
<<Nel giro di dieci secondi, ho salutato i colleghi, anche gente a cui tengo e che non avrei rivisto per settimane, e l'ho riportata a casa.
L'unica serata, dopo mesi, in cui stavo bene, in cui non mi sentivo "fuori posto" , andata in fumo, nel giro di una manciata di minuti>>
Presi a tremare, i miei occhi si ridussero a sottili fessure: la luce filtrava dal lunotto, mostrando solo i nostri occhi castani, e lasciando nell'ombra il resto dei nostri visi.
<<Non mi mancava. Non la vedevo da mesi, e non mi mancava. Lei é la mia migliore amica,una sorella -e, visto che ho un fratello, so di cosa parlo, lei potrebbe farmi qualunque cosa e io la saprei perdonare- e non mi è mancata. E mi sento una merda, per questo>>
<<Non puoi sentirti in colpa per qualcosa che senti>> fece lei, che tanto spesso avevo accusato di avere i senti di colpa di un gesuita -il ché, per un'atea, é grave.
<<Io non ho sensi di colpa. Me ne sono liberata molti anni fa>>
<<Ti senti una merda, Vera. Sono sensi di colpa>>
<<Accidenti!>> sussurrai, strappandole un sorriso <<credevo di essermene sbarazzata!>>
Mi accorsi che eravamo già a Quartu. Sentii il bisogno di dirle tutto, di aprirmi completamente, come se non ci saremmo più riviste, come se non ci sarebbe mai stata un'occasione come quella.
Mai avevo sentito il demone tanto lontano.
A tratti arrivavo a pensare che non fosse mai esistito.
<<Dani... io ieri avrei voluto vederlo>>
<<Perché non è venuto?>>
<<Non lo so... è come se gli avessi fatto qualcosa. Ma non pensa che anche io ho bisogno di lui? Dove é lui ora che ho bisogno di vederlo? Ora che é tornato, perché non ci siamo ancora visti?>>
D'un tratto, mi resi conto che lei mi aveva preso la mano. Non era fredda, nonostante fossimo a fine dicembre, ma calda, e mi dava tranquillità.
Era com se stesse cercando d colmare quell'abisso che mi separava dal resto del mondo.
Quando vide che guardavo le nostre mani, le ritrasse, consapevole che di solito sono restia al contatto fisico. Invece, sorpresi lei e me stessa: le fece un cenno, e di nuovo quella mano venne a salvarmi dal baratro in cui stavo precipitando fino a pochi minuti prima.
<<Una volta>> continuai <<io e lui ci siamo guardati negli occhi per alcuni minuti: sono sicura che ha capito tutto quello che stavo pensando. Io lo volevo per quello: mi capisce. Lui e Fede, di solito, mi sottraggono alla solitudine. Dani non si fa vivo. Lei, poi ...la vita non me l'ha mai semplificata. Lei me la complica>>
Sapevo quanto quelle parole la dovessero scioccare. Io e Fede al liceo eravamo davvero inseparabili: più volte, Martina era stata messa da parte perché Federica stava male e io volevo pensare prima a lei. Ora, veniva a scoprire questi sentimenti constrastanti in me: da un lato, un affetto profondo, paragonabile a un legame di sangue; dall'altro, la consapevolezza che questo legame non mi faceva stare meglio. Non sempre, almeno.
<<Di solito>> dissi << mi basta vederli o sentirli per stare meglio. Questa volta non sta funzionando, sono in questo stato da mesi .... ho paura>>
La sua presa tra le mie dita si fece più salda: non mi avrebbe lasciato precipitare.
<<Anche io ho questi momenti. Credo che sia l'età: ci stiamo autoaffermando, le nostre certezze cominciano a vacillare... >>
<<Marti, io sono sempre stata così. Infanzia, adolescenza... è una costante>>
Eravamo arrivati a Mara, e per un attimo pensai che Claudia mi avrebbe scaricato lì, di fronte alla mia auto, prima di riportare le altre a casa, a Sinnai. Invece, no: decise che il mio viaggio non era ancora finito, e per questo le voglio molto bene.
<<Devi solo trovare qualcosa che non ti faccia sentire sola>> aggiunse Marti, sempre con il nostro linguaggio sussurrato-semilabbiale <<io, ad esempio, guardo telefilm>>
Anche io ne guardavo, ma non facevano che peggiorare il senso di vuoto.
Quando ? Quando era iniziato quell'incubo? Quando il demone era entrato nella mia vita?
Negli occhi di Martina ripercorrevo il mio passato, cercando, nelle vare diapositive, il primo incontro con il demone.
Non lo trovai.
Era proprio insito in me.
Ma c'era stato un tempo, in una spiaggia lontana, in cui mi aveva dato pace.
Un lampo. Direttamente dal mio passato, la soluzione.
Un sorriso sincero e colmo di speranza di dipinse sul mio volto, tanto che lei dovette notarlo.
<<L'hai già trovata?>>
Annuii, con il mio sorriso sicuro, proprio di un fisico che scopre la soluzione al suo problema. Il sorriso che lei mi aveva visto mille volte stampato in faccia, quando risolvevo i prolemi all'ora di matematica.
Le indicai il vetro alle mie spalle: impiegò un po' a capire.
<<Solo le stelle mi possono aiutare a questo punto. Quando le osservo... sto bene. Sono mesi che non tocco il telescopio>>
Arrivammo a Sinnai. Presto l'avrei dovuta salutare. Le dissi qualcosa che lei mi aveva già detto, ma non ero stata capace di dire lo stesso, solo, di pensarlo.
<<Ti voglio bene>> dissi, augurandole sinceramente tutto ciò che di buono questo mondo ha da offrire. Lei replicò lo stesso: non credevo che potesse fare tanto piacere sentirsi dire una frase tanto banale, fosse anche sussurrata.
Quando arrivammo sotto casa sua, dovetti scendere anche io, per far passare lei. E ne fui felice: quando mi offrì il palmo della mano, battei il cinque, per poi tirarla a me in uno degli abbracci più sentiti della mia vita.
Il demone si allontanò per le strade di Sinnai, dandomi tregua per quella notte.
Ci saremmo rivisti a casa, tanto.
Quando solo lei poté sentirmi, il mio "grazie" si sovrappose alle sue parole, tanto che non concepii subito quanto mi aveva sussurrato all'orecchio. Ci misi alcuni secondi a afferrare, e parecchi minuti a metabolizzare; entrai in macchina, aspettammo che entrasse in casa e, infine, il motore si riaccese.
Le avevo raccontato anche una storia davvero strana: una bambina, che parlava con la Luna! Che nel suo viso pieno e tondo leggeva la comprensione di un dolore innato. Che, nella sua luce, vedeva l'unico vero antidoto al demone che cresceva con lei e in lei. Che, una notte, su una spiaggia semideserta, la implorò di scacciare quel demone, di riavvicinare a lei "il resto del mondo".
Che la implorava di donarle un amico.
<<Per te ci sarò sempre>> aveva detto, lei, in quell'abbraccio.
Schiacciai la guancia sul finestrino.
Volevo assolutamente vederla.
La mia amica.
Brillava piena, in cielo.
Il sole splende di giorno, ma nella notte, quando le certezze traballano e i nostri occhi diventano ciechi, é lei che ci guida.
Sì, forse quel demone non si sarebbe fatto più rivedere. Forse si sarebbe perso per Sinnai e non avrebbe ritrovato la strada di casa.
Forse.
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