Capitolo 2
Mi guardai addosso ancora mezzo addormentato. Cazzo, ero nudo! "Stavo dormendo..." Tentai di giustificarmi.
Ma mio padre sembrò adirarsi ancor di più. "Avanti, mettiti qualcosa addosso. E sbrigati, per l'amore del cielo! Avresti dovuto essere in ufficio già un'ora fa."
Il mio mal di testa si rifece sentire, anche grazie al volume della sua voce. Strizzai gli occhi e senza rispondere lo lasciai lì ad aspettare e mi diressi nella mia stanza. Fu in quel momento che mi accorsi di Elizabeth, distesa sul mio letto. I capelli corti, il suo corpo completamente nudo, quella pelle chiara che spiccava in mezzo alle lenzuola scure. Guardai la curva della sua schiena, fino al punto in cui si congiungeva con il sedere. Da favola. La damigella di Francis non era niente male. E, purtroppo, neanche stavolta ricordavo molto della sera prima, mi chiesi svogliatamente per quale motivo prima d'ora non c'era mai stato niente tra me e lei.
Mi stropicciai la faccia e mi diressi in bagno per fare una doccia veloce. Pochi minuti dopo tornai in camera coperto solo con un asciugamano. Elizabeth si svegliò proprio in quel momento. "Che succede, Brandon?" chiese con la voce impastata dal sonno, stiracchiandosi tra le lenzuola.
"Succede che la pacchia è finita, bambola. Si torna alla realtà."
Si lamentò alzandosi in piedi, poi con una vocetta flebile e infantile la sentii chiedere: "Ti dispiace se faccio una doccia, Brandon?"
Rimasi sbalordito, questa era la sua voce? Ecco perché ero sempre rimasto lontano da lei! Cazzo, sembrava che avesse cinque anni invece di... quanti anni aveva? "No... no, certo che no!" balbettai, confuso.
La vidi fare un sorrisetto altrettanto infantile e avviarsi in bagno, subito sentii lo scroscio dell'acqua. Svanii dentro la cabina armadio, quando uscii vestito con un completo firmato, mio padre entrò a passi rumorosi dentro la mia camera.
"Brandon, non sei ancora pronto? In ufficio il lavoro non aspetta te!" brontolò spazientito, poi sentì il rumore dell'acqua. "Chi c'è nella doccia?" Non feci in tempo a rispondergli che la voce di Elizabeth, infantile e stridula, arrivò alle nostre orecchie con una canzone incomprensibile e stonata. Mio padre gettò uno sguardo verso la porta del bagno e poi verso di me, in fine si voltò e torno nel soggiorno scuotendo la testa, rassegnato.
***
Mio padre decise di non aspettarmi e di andare direttamente in ufficio, soprattutto per non mettere in imbarazzo la ragazza nel mio bagno. Meglio così, almeno potei distrarmi ulteriormente alla guida della mia Lambo. Prima di recarmi a lavoro mi concessi il solito caffè alla caffetteria dall'altra parte della strada, davanti all'azienda. E come sempre, cercai di attacar bottone con Jane, la barista, una splendida mora dalla pelle scura e gli occhi d'ambra. In realtà non mi era mai interessata più di tanto, per me era troppo bassa, io di solito amavo le statuarie. Ma il fatto che, nonostante mi guardasse e mi sorridesse di continuo mi avesse sempre respinto, mi spingeva a continuare a provarci. Sempre a tempo perso, per inteso; potevo permettermi ragazze molto più belle di lei.
Con il mio bicchiere di plastica in mano attraversai la strada. Ammisi di essere in ritardo, erano le dieci e stavo entrando solo in quel momento nella sede della nostra azienda, la "Arcadia Group"; fiore all'occhiello del mondo della moda inglese. Molte delle più importanti top model e case di moda erano passate da lì prima di sfondare. La stessa Arcadia era a capo delle più importanti griffes del panorama anglosassone. Poteva vantare nomi come Dorothy Perkins, Evans, Topman, Topshop.
Avrei dovuto essere in ufficio almeno un'ora e mezza prima ma, a mia discolpa, la sera precedente c'era stata la festa per il matrimonio del mio migliore amico, anche se il mio migliore amico non c'era mi sentivo comunque giustificato.
Salutai con un gesto del capo la signora Iris all'accoglienza. Lei mi salutò di rimando con il suo solito sorriso enigmatico, non ho mai capito se fosse sincero o no dato che sorrideva sempre a tutti nello stesso modo. Da una parte avevo l'impressione che mi biasimasse per il mio comportamento.
Mi strinsi mentalmente nelle spalle, sono il figlio del capo, non possono licenziarmi, pensai. E poi ero il direttore del settore "moda emergente", nonché agente dei principali volti della moda del nostro paese e, modestamente, ero un vero e proprio genio nel trovare nuovi volti. Appena due anni prima fui colui che scoprì il modello per la pubblicità televisiva di "Burton Menswear", il quale apparve nelle televisioni di tutto il regno unito per un anno intero. Fu davvero un periodo formidabile per la "Arcadia Group"... grazie a me!
Entrai nell'ascensore assorto nei miei pensieri e continuai ad avere la testa tra le nuvole fino al dodicesimo piano, quello che ospitava il mio ufficio. Appena voltai l'angolo rimasi un attimo interdetto; Kate, la mia segretaria, non era al solito posto dietro la sua scrivania. Entrai lo stesso nel mio ufficio pensando che fosse solo andata in bagno, ma poi rimasi sorpreso nel vederla lì vicino alla scrivania, in piedi, che mi guardava con aria seria.
"È successo qualcosa, Kate?"
Lei corrugò la fronte. "Ma come, mister Green, non si ricorda? Oggi è il mio ultimo giorno."
"Si licenzia? E perché?" rimasi sbalordito.
"Signor Green..." sospirò, quasi spazientita, "glielo dissi una settimana fa, domani è il giorno del mio matrimonio, credevo che se lo sarebbe ricordato."
"Oh... sì, certo. Certo che mi ricordo!" Mentii. Ripensandoci, sì, ricordai che mi aveva detto qualcosa, ma non mi sembrò molto importante all'epoca. In realtà stavo entrando nel panico. Senza di Kate non sapevo come avrei fatto, il suo aiuto mi era prezioso nel lavoro, quasi quanto quello di un computer.
Lei strinse le labbra. "Senta, in sala d'attesa c'è la mia sostituta scelta dal capo del personale, si occuperà di lei in questi quindici giorni." Il fatto che era una cosa momentanea mi rilassò all'istante. C'erano molte cose che non avrei saputo fare senza di lei. Poco dopo conobbi la dolce miss Tambler, la sua sostituta, era una trentenne avvenente e intelligente ma nessuno poteva competere con Kate. La vidi sparire per firmare i documenti di assunzione nell'ufficio delle risorse umane e mi dimenticai subito di lei.
Per il resto del pomeriggio studiai alcune proposte per alcune modelle da inserire nel circuito televisivo. Come agente per le ragazze non ero un granché, dovetti ammetterlo. Ad un certo punto Kate mi avvisò dell'arrivo di mia madre. Stavo cercando di capire a cosa diavolo fosse dovuta questa visita quando la porta del mio ufficio si spalancò all'improvviso e mia madre entrò nella stanza come un turbine. Il suo tallieur bianco panna senza nemmeno una grinza esaltava la sua bellezza, i capelli biondi perfettamente acconciati ondeggiavano ad ogni passo e gli occhi azzurri e fieri mi guardavano severi, mentre mi alzavo in piedi per andarle incontro. Era tallonata, come sempre, dalla sua "tuttofare" Sue, una ragazza di circa trentacinque anni, bassina e robusta, ma a quanto pare estremamente brava nel suo lavoro.
"Mamma, qual buon vento ti porta qui?"
"Smettila con queste smancerie e stammi bene a sentire." Esordì in tono severo. Si fermò davanti alla mia scrivania, aspettando che Sue le spostasse la sedia per farla accomodare, dopo di ché iniziò la sua filippica: "Tuo padre mi ha parlato di come gli hai aperto alla porta questa mattina, e della vita che stai conducendo ultimamente. Proprio non va, Brandon. Io ti ho cresciuto in un altro modo."
Rimasi spiazzato da quel discorso. "Cosa c'è che non va? Nel lavoro va tutto bene, ieri sera ho solo alzato un po' troppo il gomito. Succede."
Lei accavallò le gambe. "No caro mio, non va affatto tutto bene come dici. Innanzi tutto non è la prima volta che arrivi tardi in ufficio per via dei festini a cui sei dedito durante le tue serate con gli amici, e non guardarmi in quel modo, ti conosco, so cosa fai ogni sera in quei locali poco raccomandabili. E so che ogni sera ti porti a casa una ragazza diversa..." come faceva a saperlo? "...e poi, credi davvero che il tuo stile di vita non si ripercuota nel tuo lavoro?"
Rimasi interdetto. "Non c'è niente da ridire sul mio lavoro!" Ribattei un po' risentito.
Lei scosse la testa, contrariata. "Brandon, io so tutto. Ogni mattina arrivi in ritardo, ti gingilli nel tuo ufficio e non fai niente di concreto. All'inizio ti davi da fare, appena ti eri laureato in scienze della comunicazione uscivi, cercavi nuovi talenti, volti nuovi, ma è da più di un anno che non combini niente di concreto. Te ne rendi conto?"
Sinceramente no. Rimasi interdetto a fissarla, incredulo alle sue parole.
Poi mi resi conto che aveva ragione, ragionandoci era da un anno che il mio lavoro consisteva solo nel sostenere i provini per i nuovi aspiranti modelli. In realtà, erano tre anni che avevo perso la voglia di lavorare... La mia capacità nello scovare nuovi talenti si stava affievolendo. Ma il discorso di mia madre mi diede comunque fastidio, anche se aveva ragione. "Non è affatto per colpa della mia vita fuori dal lavoro che non sto più trovando nuovi talenti," cercai di giustificarmi. "È solo che ultimamente sono stato molto preso!" In realtà non avevo la più pallida idea di cosa dire.
Lei mi guardò incredula. "Senti, non mi interessano le tue scuse. Stasera ti pregherei di venire a mangiare a casa da me e tuo padre. Abbiamo bisogno di discutere con te di questa storia." Si alzò in piedi con aria solenne. "Non voglio sentire altro. La faccenda è seria, Brandon".
"D'accordo, mamma. Verrò a mangiare a casa, stasera." Mi rassegnai. Sapevo che non mi avrebbe lasciato in pace se non avessi accettato.
Lei fece un sorrisetto compiaciuto. "Bene. Lo sai che come tua madre non posso permettere che tu non ti impegni abbastanza nel tuo lavoro." Si allontanò dalla sedia e io aggirai la scrivania per salutarla con un bacio sulla guancia. "Allora a stasera, Brandon".
"A stasera, mamma."
Dopo di ché si allontanò e Sue la precedette per aprirle la porta del mio ufficio. Quando fu uscita, l'aroma del suo profumo aleggiò ancora per qualche istante nella stanza. Era una cosa che la identificava subito, prima ancora di vederla. L'intensità del suo profumo era, per così dire, il suo marchio di fabbrica: Non troppo per non passare da una poco di buono, né troppo poco per non rischiare di non venire ricordati. Questo era quello che insegnava, insistentemente, a mia sorella Chloe da quando ne avevo memoria. Gliel'ho sentito dire talmente tante volte che l'ho imparato meglio di lei.
Poco dopo Kate mi avvisò del ritorno di miss Tambler. Non avevo più la testa per occuparmi di quella faccenda, così la pregai di istruirla a grandi linee su quello che mi sarei aspettato da lei e che da domani sarebbe dovuta venire qui come suo primo giorno da segretaria. Ero sicuro che Kate avrebbe fatto un ottimo lavoro nell'istruire la giovane miss Tambler. Ma in quel momento ero in pena per quella sera; il discorso di mia madre mi aveva scombussolato. Era la prima volta che mi parlava in quel modo. In verità era anche la prima volta che mi facevo beccare da mio padre con una ragazza in casa... ma alla fine il mio stile di vita non aveva niente di sbagliato. Non ero mica gay!
Quella sera arrivai alla villa dei miei genitori in perfetto orario, era il minimo che potessi fare dopo il ritardo della mattina. Dave venne ad accogliermi alla porta d'ingresso, chiedendomi se volevo dargli la giacca. Gliela diedi più per abitudine che per una reale necessità. In effetti l'usanza di mantenere un maggiordomo nel ventunesimo secolo era una cosa che mi metteva sempre a disagio. Quando abitavo ancora con i miei, i miei amici mi prendevano in giro per la presenza di Dave in casa. Anche se sotto sotto sapevo che era comodo anche per loro avere qualcuno che mettesse in ordine la confusione che lasciavano in giro.
Entrai nel salotto, dove mia madre stava parlando con una ragazza comodamente seduta sul divano, mentre mio padre stava fumando una pipa in piedi davanti alla finestra. Non vidi chi era quella ragazza dato che mi dava le spalle, ma riuscii a scorgere i suoi capelli biondi. Feci qualche passo nella loro direzione e mio padre si voltò a guardarmi. "Brandon, sei arrivato!" affermò benignamente.
Mia madre si bloccò a metà di una frase e alzò gli occhi su di me. "Brandon." Disse alzandosi in piedi. "Sono lieta che sei arrivato puntuale."
Aggirai il divano e la salutai con un bacio sulla guancia, poi mi volsi e mi accorsi di Kendra, comodamente seduta sul divano che mi guardava con i suoi piccoli occhi celesti. Era con lei che mia madre stava parlando. "Ciao Brandon." Mi sorrise.
"Caro, ti ricordi di Kendra, non è vero?"
Sospirai mentalmente, come avrei potuto dimenticarla?
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