Capitolo 34: Ma non potrò mai essere una parte del tuo mondo

Due anni prima, 26/12
Città di San Diego

Il freddo sulla mia pelle sta facendo ribollire i miei muscoli, ghiacciandoli e incendiandoli come solo il freddo estremo saprebbe fare. Gli occhi chiusi e solo un paio di pantaloni a coprire il mio corpo, rimango seduto sul balcone della camera ad attendere non so nemmeno io che cosa. So solo che non ho il coraggio di andare a fare colazione con il resto della mia famiglia e rivedere Olly, non dopo quel che è successo questa notte.
Ho bisogno di schiarirmi le idee.
Vorrei alzarmi per indossare qualcosa e uscire a correre con la musica nelle orecchie, ma sembra che le forze mi manchino e tutto quel che riesco a fare è piangere qualche lacrima silenziosa che scorre lenta e fredda sulla mia epidermide. So di aver fatto la cosa più giusta per noi, per lei, ma non riesco a smettere di pensare al dolore che le ho procurato e quando le ci vorrà per dimenticarlo.
Apro gli occhi e osservo il paesaggio illuminato da pallidi raggi solari che si pone di fronte a me, il silenzio è il mio unico compagno, assieme al dolore fisico che mi sto imponendo di provare.
Non voglio smettere di sentire.

L'aria di festa circonda ancora le poche persone che escono dal portone di casa e le decorazioni natalizie ancora tutte accese per allietare chiunque ci posi sopra gli occhi, ma, per la prima volta in vita mia, non riesco a provare quella gioia che solo il Natale è in grado di donare alle persone.
Osservo in silenzio, anche quando il mio corpo pare ibernarsi sotto il peso del vento freddo che mi sferza senza pietà e non mi muovo neanche mentre i miei muscoli si lamentano per la posizione non più comoda.
«Oh, scusa. Non volevo disturbarti.»
Ruoto il collo, o almeno ci provo, ma il freddo rallenta i miei movimenti e mi obbliga a sentire un dolore atroce; non trattengo una smorfia e osservo i suoi lineamenti delicati sferzati dallo stesso vento che colpisce me da ore.
«Non preoccuparti, me ne stavo giusto andando.»
La voce mi esce incerta, roca, traballante per il lungo tempo che l'ho sepolta dentro di me e quel che dice è una mera bugia, perché non ho la voglia o la forza di poter mettere in pratica le parole che ha affidato al vento per portarle fino da lei.
Vedo una lacrima scendere lenta sulla sua guancia e il cuore mi si stringe in una morsa terribile, quasi come se volesse esplodere da un momento all'altro.
Scusami, amore mio. Scusami, se puoi.

Il silenzio torna su di noi, ci avvolge e rafforza le distanze che ci separano, mentre lei fissa oltre la balaustra e io lei. La guardo e vedo il suo dolore nell'occhiaia scura solcata dalle lacrime trasparenti; lo vedo nel modo in cui stringe le mani al petto, in un disperato tentativo di trattenere a sé tutti i pezzi rotti del suo cuore; lo vedo nei tremori che scuotono lenti e costanti il suo corpo. Lo vedo ovunque in lei, anche nei suoi capelli sciolti e liberi di seguire la danza del vento che le procura dei brividi lungo tutta la spina dorsale.
«Dovresti rientrare o metterti qualcosa di più pesante per evitare di ammalarti.»
Sussulta al suono della mia voce e si volta verso di me, come se il tempo si fosse dilatato per permettermi di godere ancora a lungo della sua figura e dei batticuori che solo è capace di farmi provare. I suoi occhi scorrono placidamente sul mio corpo, come se lei cercasse di assimilare quante più informazioni possibili sul mio aspetto per ricordarsele ogni giorno, ma evita del tutto il mio viso; infine, torna a guardare in fronte a sé.
Non ha intenzione di donarmi altre attenzioni e so di meritarmelo, anche se fa malissimo.
Poggio le mani a terra, liberando il mio petto dalla loro prigionia e da quel poco calore che riuscivano a trattenere con la loro gabbia e una scarica di gelo parte dai miei palmi aperti per giungere direttamente al mio cuore, gelandolo in un sussulto di un battito e faccio forza per potermi alzare. Le mie mosse sono meccaniche, i muscoli intorpiditi dal freddo rispondono a scatti ai miei comandi e solo dopo lunghi minuti riesco ad assumere una posa simile a quella di un homo erectus; infilo le mani dentro le tasche della tuta e mi volto, esponendo la mia schiena al sole e al vento che lo accompagna.

«Ho capito che cosa volevi dire ieri sera, ma questo non gli ha impedito di rompermi il cuore in mille pezzi.»
Mi immobilizzo sul posto, diventando ancora la preda perfetta per la bassa temperatura di questa giornata, con la schiena verso mia sorella e il viso rivolto alla mia camera oltre il vetro della portafinestra. Le parole mi rimangono incastrate in gola, ma vorrei solo poterle urlare che lo so, che sono il primo ad aver sofferto per quel che ho detto e che avrei solamente voluto poterla prendere tra le mie braccia e cullarla con i miei baci finché non mi avrebbe chiesto di smetterla; eppure, rimango in silenzio in questa mattina di fine dicembre e torno ad aspettare qualcosa che non so se arriverà mai.
Non ci sono altre parole per il sottoscritto da parte di Olly, ma questo non mi impedisce di inalare il suo buonissimo profumo di pesche, il balsamo per la mia anima scura e rotta in tante parti.
Compio un passo, sentendo i muscoli non collaborare e mettendoci tutto me stesso per allontanarmi da qui; poi ne compio un altro e diventa sempre più facile arrivare alla porta accostata per poter dare una piccola spinta con la spalla ed entrare dentro la mia stanza. Una volta lì, poggio la schiena contro di essa, chiudendola, e prendendo dei grossi respiri, uno dopo l'altro per evitare di sentirmi soffocare dalla pressione e dal dolore che sento dentro queste mura e mi lascio scivolare verso il pavimento. Le mani si stringono sulle mie tempie, mentre il corpo riprende a tremare vistosamente e le lacrime ritornano a scavare le mie guance e il mio cuore.
Scusami Olly.

Buongiorno cuoricini,
Non so se anche voi siete tristi come me dopo questi capitoli, ma io sono priva di forze e piena di lacrime versate.

Se volete lasciarmi un piccolo feedback, o uno grande, io sono qui per voi.
Ci vediamo presto

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