Capitolo 33: E se dicessi che sei stata fatta per essere mia?
Due anni prima, 25/12
Città di San Diego
Compio un passo in avanti e alzo il braccio destro verso mia sorella nello stesso momento in cui lei chiude a chiave la porta del bagno, lasciando i nostri cuori in subbuglio soli a vivere quelle domande che si infrangono su di noi come le onde di un mare in tempesta fanno sugli scogli che interrompono la loro cavalcata maestosa. Gli occhi fissi su quella lastra di legno bianco che mi separa dalla ragazza che amo e i muscoli congelati nella posa che il rumore della chiave che gira nella toppa ha interrotto. Il cervello è impazzito e pensa a troppe cose allo stesso momento, mandandomi ancora nella confusione più totale.
Continuo a rimanere immobile qui, anche se il braccio comincia a dolermi per la posizione in cui l'ho costretto e perpetuo nell'ipotizzare quale sia il motivo dietro a quel bacio.
È impossibile che anche lei mi ami, è mia sorella.
«Sergio? Che ci fai qui?»
Mia madre è dietro di me e sono costretto a voltarmi per parlarle, mostrandole il mio finto sorriso che maschera lo sconvolgimento che sento fin dentro le viscere; le spiego che ero venuto a dare la buonanotte a Olly e che la stavo aspettando, visto che è in bagno.
«Oh, allora passerò dopo a salutarla anch'io.» Compie un passo indietro per tornare nella sua camera, ma poi ci ripensa e mi viene quasi addosso, investendomi con quel suo profumo che racconta di una vita vissuta e mi regala un bacio sulla fronte.
«Sei sotto il vischio.» Mi regala un occhiolino e mi saluta con la mano, sparendo lungo il corridoio.
Torno a fissare la stanza di mia sorella, spaziando lungo tutta la sua superficie per scoprire se è uscita dal bagno, ma la trovo ancora vuota. Compio un passo all'interno e mi chino a raccogliere il regalo che le ho fatto, tenendolo tra le mani per decidere il da farsi: ho paura che si sia rotto, ma allo stesso tempo, non so se è più corretto lasciarglielo sul letto per farglielo aprire quando se la sente o tenerlo con me per darglielo quando vorrà.
I minuti scorrono lenti e la scatola rimane tra le mie mani, assorbendo tutta la mia attenzione fin quando non sento nuovamente girare la chiave nella serratura del bagno; mi volto di scatto verso di essa, rischiando di far cadere ancora il regalo per mia sorella e osservo la ragazza che amo uscire con le mani sul volto e le spalle scosse da tremori.
Senza pensarci due volte, lascio il regalo sul letto e corro da lei, stringendola tra le mie braccia e maledicendo me stesso in silenzio.
Che cosa ti ho fatto sorellina?
Cerca di scostarsi da me, ma non glielo permetto e aggiungo più forza nell'abbraccio che le sto donando; non so a che cosa possa servire tutto questo, se ad allontanarci definitivamente o avvicinarci ancora più di quanto già siamo, ma sento solo che è qualcosa che devo fare.
E se anche tu mi amassi per davvero? Potremo stare assieme anche se condividiamo lo stesso sangue?
Dopo un tempo infinito, anche lei abbraccia la mia schiena, stringendo forte come se volesse che da due corpi divenissimo uno solo e sento la mia camicia cominciare a bagnarsi sotto il peso delle sue copiose lacrime; le stesse che anch'io verso da tempo. Cerco di trattenere il mio dolore, per lasciare spazio al suo e potermi prendere cura di lei nel migliore dei modi: come si merita e come mi sono ripromesso di fare.
Tira su con il naso e cerca di sfilare via ancora da questo contatto del quale necessitiamo entrambi, ma continuo a non permetterglielo: dopo questa giornata, sono sicuro che tutto cambierà tra di noi e non posso far finire l'abbraccio così presto. Porta le sue piccole mani sui miei pettorali e cerca di fare forza, ma non mi muovo di un millimetro, il che la porta ad arrendersi poco dopo, balbettando qualcosa di incomprensibile e zittendosi l'attimo dopo.
«Tu mi ami?»
La sua domanda scava un buco dentro di me, una voragine che sembra implorarmi di mentire perché se lei sapesse la verità scapperebbe da me; una parte di me vorrebbe ascoltarla, ma l'altra, quella più potente, vuole mantenere quella promessa fatta in silenzio sulla corona della Statua della Libertà.
Non voglio più scappare.
Prendo un grosso respiro e la stringo a me ancora con più forza, cercando di impedirle di fuggire da me a gambe levate, sperando, pregando che lei non smetta di guardarmi con quegli occhi che tanto amo.
Annuisco, in un primo momento, ma sento che non è abbastanza e apro la bocca per risponderle, per far uscire tutti quei sentimenti che mi sono tenuto dentro troppo a lungo e che ora stanno chiedendo a gran voce di essere liberati.
«Sì, Olly. Forse non ti ho mai amata come una sorella, forse non ti ho mai visto veramente come parte della mia famiglia, non quella in cui sono nato, almeno.»
Mi interrompo per qualche attimo perché queste parole mi sono costate più energie di quel che credevo e torno a parlare.
«È da tempo che ho capito di amarti come potrei amare una qualsiasi ragazza, ho capito da molto che è con te che vorrei creare la mia famiglia, un giorno.»
La leggera forza che le fa premere contro i miei pettorali interrompe il mio flusso di parole e non sento abbastanza energie per poterle impedire di sgusciare via dal mio abbraccio; così abbasso gli occhi, puntandoli sui miei piedi, denudati prima di entrare in questa camera, impedendomi di guardare lei e il suo giudizio su di me; ma non sono solo in questa stanza e il suo corpo fin troppo vicino al mio me lo ricorda ogni secondo con il suo calore che raggiunge anche le mie ossa.
«Ehi, Sergio.»
Sento la sua voce chiamarmi, ma ho troppa paura di quel che vedrei nei suoi occhi per poter alzare i miei, così rimango a osservare le piastrelle grigie che raffreddano le piante dei miei piedi. La sento sbuffare l'irritazione di non essere presa in considerazione in un momento critico come questo e, un battito di ciglia dopo, i suoi occhi sono fissi nei miei e i suoi capelli sfiorano, liberi, i miei pantaloni scuri come la notte che avvolge il mondo oltre questa porta.
Le sue perle scure, quelle che hanno rapito il mio cuore senza che io me ne rendessi conto, sono lucide, umide di lacrime e rosse per lo sforzo al quale sono state soggette, ma mi osservano con una luce nuova e una scintilla di speranza ad animarli.
«Ehi, voi due, che cosa ci fate ancora in piedi?»
Sia io che Olly ci voltiamo verso la porta, dimenticata aperta da chissà quanto e osserviamo nostro padre con il nuovo pigiama che gli ha regalato Olly proprio oggi fissarci con un cipiglio severo; se le circostanze fossero state diverse, a quest'ora sarei già piegato in due dalle risate nel vederlo dentro un pigiama peloso con tanto di cappuccio e coda di tigre, ma ora riesco solo ad abbozzare un sorriso e portarmi una mano sulle labbra per nascondere questa mia insolita reazione agli occhi di mio padre.
«Non azzardarti a ridere e fila a letto, altrimenti domani ti faccio alzare prima dell'alba.»
Annuisco e lascio la camera di mia sorella in completo silenzio, attraversando il bagno per entrare nella mia.
Tanto, papà, non avevo la minima intenzione di dormire questa notte.
Mi giro e rigiro nel letto, buttando a terra anche il piumone che mi teneva al caldo e tiro dei calci al nulla per la frustrazione, ponendomi ancora mille e più domande sui gesti e le domande di mia sorella. Sbuffo e mi alzo in piedi, sentendo il freddo sulla pianta dei piedi e raggiungo la portafinestra, liberandola dalle tende scure per vedere la notte oltre di essa.
Il freddo pungente di fine dicembre si fa percepire anche oltre il vetro e, preso da non so quale istinto, ci poggio un palmo aperto sopra; forse ho solo paura di non riuscire a sentire più niente. Apro gli infissi e faccio in modo che l'aria notturna sferzi il mio viso e il mio corpo quasi del tutto nudo.
«Ma sei matto? Chiudi immediatamente prima che ti venga qualcosa.»
Eseguo l'ordine che mi è appena stato dettato, spaventato dal sentire una voce a quest'ora della notte nella mia camera, dal sentire la sua voce qui e ora. Rimango a osservare il paesaggio di fronte a me, senza voltarmi verso di lei e sentendo i suoi passi che si avvicinano sempre di più.
Una parte di me spera che lei mi rimanga lontana, l'altra che non smetta di rimanermi il più vicino possibile.
Mi chiama, ma continuo a non voltarmi, appiattendomi maggiormente contro il vetro freddo per tenere a freno la mia voglia di puntare ancora il mio sguardo sui suoi meravigliosi lineamenti e deliziare i miei sensi con la sua figura.
«Guardami, per favore.»
Scuoto la testa, sull'orlo delle lacrime e della disperazione per quanto sento ingiusta questa situazione in cui ci troviamo e stringo con forza la maniglia; il duro metallo gratta contro la mia pelle, quasi come se volesse tranciarla nei punti in cui la mia mano è costretta a modellarsi all'oggetto che stringe in essa.
«Fratellone, ti prego.»
Solo nel sentire tutta la disperazione di cui sono imbevute queste tre parole, riesco a voltarmi verso di lei e vedere che anche lei versa nelle mie stesse condizioni.
La voglia di prenderla tra le mie braccia è tanta, ma rimango con la schiena appiccicata a questo vetro non più freddo perché sento di non meritare il contatto con lei, di non meritare lei.
«Non mi hai chiesto se anche io ti amo.»
Lei compie un altro passo nella mia direzione e io scuoto ancora la testa, chiedendole di fermarsi: di interrompere la sua avanzata e di farmi soffrire in questo modo. Le lacrime abbattono il muro che le teneva rinchiuse agli argini degli occhi e cominciano a scivolare veloci lungo le guance, solcando il mento e precipitare senza paracadute verso il pavimento; porto le mani sul volto per nasconderle il mio pianto, il primo di fronte a lei, ma la sua stretta sui miei polsi mi interrompe.
«Non nasconderti, non da me, te ne prego.»
Le parole rimangono incastrate in gola, così come la mia voglia di scappare lontano da lei e, per la prima volta, lascio che sia lei ad accollarsi il peso del mio dolore, lascio che sia lei a cullarmi e confortarmi.
Il silenzio è assordante in questa camera, lo è talmente tanto che riesco a percepire il suono del sangue che scorre nelle mie vene e il rumore delle ossa di mia sorella che si muovono per donarmi del conforto che non sento di meritare. Cerco di scostarmi da lei, ma questa volta non sono io a forzare il contatto tra di noi.
«Ti prego, amore mio, non allontanarmi. Non farlo ancora una volta.»
Il respiro si interrompe e il cuore sembra aver smetto di battere quando lei mi ha chiamato in quel modo e l'intero mondo mi crolla addosso, anche se vorrei solo saltare per esternare la mia felicità.
Lei mi ama.
La stringo a mia volta, raccontandole tutto il mio amore in questo semplice gesto e sento le lacrime arrestare la loro fuga, lasciando che siano quelle già versate a continuare il loro cammino verso il basso. Il sangue prende a scorrermi più veloce e impetuoso nelle vene, allo stesso modo dei pensieri che hanno iniziato a rincorrersi nella mia mente, in una straziante lotta per avere la meglio sugli altri.
È giusto dare corda a questo amore? Dovrei baciarla ora?
Posso costringerla in una relazione che dovrà tenere segreta per sempre e che, quasi sicuramente, la farà soffrire?
Mi scosto da lei, mettendo tutte le forze che mi rimangono per poterlo fare e la osservo: un timido sorriso fa capolino tra le sue lacrime e, con una manica del pigiama, si asciuga il volto per potermi guardare in maniera più nitida. Non so che cosa fare, non so se rispondere al suo sorriso e rimango congelato nell'osservare la ragazza più bella che io abbia mai incontrato. Un'ultima lacrima scorre, lenta, via dal mio occhio e segna un percorso invisibile e indelebile lungo la mia guancia sinistra.
«Non posso.»
Lo mormoro, ma, per il bruciore che mi secca la gola e il silenzio che ci avvolge, mi è sembrato di averlo urlato a tutti i venti del mondo. Lei mi guarda, non capendo che cosa intendo dire, perdendo però il sorriso.
Forse hai già afferrato quel che sto per affermare.
«Non posso farlo, Olly. Non posso iniziare una relazione con te.»
I miei occhi non lasciano i suoi, ora ancora più lucidi di quando è entrata in questa stanza e la disperazione torna nei suoi occhi; apre la bocca, cercando di controbattere, ma poso una mano sulla sua spalla per fermarla.
«È proprio perché ti amo che non posso farlo: tu forse ora vedi solo il fatto che riusciremmo a stare con la persona che amiamo, ma come posso fingere che questo non porterà delle conseguenze?»
Altre lacrime tornano a bagnare i suoi occhi, ma per la prima volta da quando questi sentimenti mi galoppano nel petto, non mi sento un mostro.
«Continuerò ad amarti da lontano, anche se tu smetterai di farlo e ti innamorerai di un ragazzo che merita davvero di stare al tuo fianco.»
Scuote la testa in maniera vigorosa senza smettere di piangere, ma si scosta da me e scappa lontana da me.
È stata la cosa più giusta da fare.
Buongiorno cuoricini.
Non so che cosa dire dopo questo capitolo che mi ha distrutta psicologicamente mentre lo scrivendo, sono completamente senza forze e senza parole, quindi lascerò a voi ogni commento, se volete lasciarne.
Al prossimo capitolo
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