Capitolo ventitreesimo - Scattare l'attimo

Un'improvvisa brezza voltò la pagina del libro; i capelli di Greta si mossero leggermente, ma ritornarono da soli al loro posto. Non feci in tempo a rigirare la pagina che la scritta era già svanita. Alzai appena gli occhi dal libro e vidi i due con il passeggino che stavano per andare; la bimba aveva ancora il ciuccio in bocca. Li seguii cautamente con uno sguardo attento e vidi che attraversarono nuovamente le strisce pedonali. Ritornati sul precedente marciapiede girarono una curva, poi piano piano l'ombra di una casa li nascose. La bambina mi ricordava me da piccolo; per un attimo cercai di rammentare alcuni momenti passati, come quello in cui avevo fatto un buco nel box dove giocavo con il fumaiolo di un piccolo trenino a vapore, facendo preoccupare mia mamma dopo essermi nascosto, gattonando, in una stanza. Poi aveva riso e pianto dalla gioia, e se questo non può essere possibile, io l'avevo visto con i miei occhi. Suonarono le campane di una Chiesa. Il ricordo sfumò con altri pensieri, e mi venne in mente la frase del libro. In quel momento ci fu un nuovo venticello; il ricorrente freschetto rendeva piacevole la giornata. Qualche nuvola in più era comparsa nel cielo, tuttavia non sembrava affatto volesse piovere, dal momento che continuava a mostrare un certo azzurro fulgido; si stava molto bene. - Cosa volevi dire? - chiesi, poiché non sapevo di preciso cosa significasse essere in coma. Ne avevo sentito parlare poche volte in televisione, e i miei genitori mi avevano accennato fosse un sonno profondo. Tra la loro preoccupazione nel spiegarmelo e la mia curiosità nel sapere il perché, avevo sempre preferito non domandarlo più, ipotizzando miliardi di teorie su quella situazione. Forse era un sonno con continui incubi; che brutta malattia... - Sta dormendo, ma è impossibile svegliarla. - disse. - Alcuni giorni capitava che mia mamma dovesse chiamarmi più volte per svegliarmi. - risposi. Greta inizialmente apprezzò la frase con un piccolo sorriso, poi divenne subito seria. - Si, ma Ciro c'è poco da scherzare: tua mamma rischia di non svegliarsi più! - scrisse il libro. Quella frase cancellò la mia battuta in un attimo. E se in quel momento avevo capito fosse una delle cose più terribili che potesse capitare ad una persona, dall'altro pensai al peggio. Calai la testa e iniziai a singhiozzare, poi a piangere. Mi scese solo qualche lacrima, poiché cercai di non farmi vedere alle persone che passavano, coprendomi la faccia con una mano e lo avrei fatto anche con due; mi vergognavo dell'ingiustizia che aveva preso di mira me approfittando che fossi un debole bambino. Era così: si prendeva gioco di me. Pensai fosse crudele. Delle lacrime bagnarono la pagina del libro sulle mie gambe. Cercai di dire scusa, ma senza volerlo ne scese un'altra restata incastrata negli occhi per paura di cadere. - Ciro. - parlò Greta. - Non piangere. Ci sono poche possibilità che questo accada, anche se devo dire il libro è stato abbastanza cattivo. - continuò e mi guardò cercando di farmi sorridere. - Tua mamma si sveglierà, ma ci vorrà del tempo. - disse. Le sue parole riuscirono a farmi smettere di piangere, e con un timido sorriso, un po' bugiardo poiché non sapeva a cosa credere, volli mostrare il loro buon effetto. Allargò le braccia; immediatamente mi abbracciò, muovendo lentamente una mano avanti e indietro sulle mie spalle; l'altra rimase ferma. Chiusi il libro. Un tenue sospiro da un'espressione di compassione le scostò entrambe poco dopo; Greta si risistemò sulla panchina. Successivamente chinò lievemente la testa, la alzò, poi disse "e adesso che si fa?"; ormai queste domande erano piuttosto scontate. Un uomo, con in testa un cappello di paglia perforato in corrispondenza delle orecchie, e una macchina fotografica tra le strette e screpolate mani, stava attraversando il marciapiede che avevamo di fronte. Una macchina blu passò in quel momento, accompagnata da un cinereo fumo che ingrigì la vista per un attimo; si dileguò piano piano, ma l'uomo era ancora lì: fermo, silenzioso e concentrato. Quando la macchina frenò per parcheggiare, in uno spazio pochi metri più avanti, ultima in una lunga coda, l'uomo ne approfittò per fare una foto. Quella scena fu piuttosto interessante; l'ostinazione dell'uomo, non contento della foto, mi colpì alquanto. Probabilmente era un fotografo, o lo faceva per hobby. E alla ricerca di un nuovo soggetto da mettere in primo piano, trovò interesse in un cane vagabondo che aveva deciso di riposarsi proprio accanto a lui, dopo aver mangiato un pezzo di pane duro, datogli da un panettiere dalla bianca maglietta intento a mangiare una pizzetta e poggiato su uno stipite della porta del panificio. Come si dice in alcune occasioni, fu amore a prima vista, o meglio, una certa felicità gli sgorgò all'instante dal cuore e si manifestò sotto forma di un appagato sorriso. Pensai fosse venuta direttamente dal cuore perché mostrava un'incantevole sensibilità nel scattare quella foto: si spostò prima a destra e poi a sinistra; provò anche a guardare come sarebbe venuta dall'alto, ma sempre sistemando i vari particolari che sarebbero stati presenti, un po' come le signore facevano con i vasi nei balconi, poiché i mariti, compreso mio papà, difficilmente si dedicavano a queste cose. - Fermo, fermo dove sei! - disse con una mano protesa verso il cane, mentre con l'altra si preparò a scattare. - No, qui non ci siamo. - continuò. Visto che se avesse fatto spostare il cane quest'ultimo sarebbe scappato per paura, fu lui a muoversi, ma chinato come era, fece abbastanza fatica. - Click! - borbottò la macchina fotografica; la foto venne scattata. Greta mi domandò se fosse venuta bene. Pure io me lo chiedevo, anche perché la fotografia ha sempre avuto quel qualcosa che mi sarebbe piaciuto approfondire, tuttavia diventare un fotografo non l'ho mai considerato. L'ho sempre visto come un interessante passatempo: qualcosa con cui rilassarsi. Chissà se quell'uomo la pensasse come me. - Sarò complicato, ma questa foto non mi piace! - affermò e il suo sguardo abbandonò il cane, coricato su un vecchio gradino di una casa soleggiata. Questo girò la testa da un lato, poi dall'altro, non sapendo cosa l'uomo intendesse dire. - Secondo me è troppo complicato. - intervenì Greta a bassa voce, avvicinando la bocca alle mie orecchie, ma mantenne comunque gli occhi fissi in avanti. - Saverio! Sempre con la macchina fotografica in mano, eh? - disse una persona, intanto che si avvicinava all'uomo. Si salutarono, e mentre parlavano iniziò a scattare decine di foto al cielo, probabilmente fatte senza la minima cura giacché a lui non piaceva parlare. Quando quello se ne andò, si mise a guardare certe foto, almeno credo, perché piantò lo sguardo su un piccolo schermo della sua macchina fotografica, che intravidi, e certe volte annuiva, in altre raggrinziva i lineamenti della faccia come per dire "questa è venuta davvero brutta!". Continuò così per più o meno un minuto, fino a quando gli venne un'idea non appena alzò sufficientemente gli occhi da quello schermo per osservare delle piante di un balcone che aveva sopra di lui. E pensare che per tutto quel tempo era sempre stato lì, allo stesso modo di una donna in quello a fianco che preparava, come una sarta faceva un vestito, i vari pettegolezzi. Tuttavia l'uomo, accortosi solo allora, cercò di fare finta di niente, dando un'occhiataccia alla signora che forse gli stava antipatica. Si chinò nuovamente già pronto, mettendo la macchina fotografica vicino ad un'occhio. Qualcuno gli passò davanti, ma nessuno di questi fiatò una parola. Solo un bambino, uscito improvvisamente dalla porta di quella casa, con un foglietto in mano, chiese cosa stesse facendo. - Aspetta, e...fatto! - esclamò. Questa volta fui colpito nel vedere cambiata la sua espressione da un piacevole sorriso, dopo che ebbe scattata la terza foto; sembrò soddisfatto. - Ne avrà fatta una bellissima. - dissi con sicurezza, cercando di immaginarla, ma pensai che quella fatta al cane fosse stata più bella: aveva semplicemente fatto una foto a dei vasi con delle piante, e se pur queste fossero carine, non davano l'impressione di qualcosa di incredibile poiché in quel paese vi erano centinaia di balconi simili. - Molto meglio! - affermò, guardando un'altra volta lo schermo della macchina fotografica. - Stavo facendo una foto. Ne vuoi fatta una? - continuò e osservò il bambino, successivamente strinse leggermente un occhio, speranzoso di ricevere un "si". Pensai cosa se ne facesse di quelle foto: l'unica cosa che mi venne in mente è che le vendesse, tuttavia chi doveva mai comprare una foto di vasi? Può darsi quello fosse il suo giorno libero o forse le vendeva veramente. - Devo andare a fare la spesa. Adesso non posso. - disse il bambino, mettendo il foglio stropicciato che teneva in mano nella tasca dei pantaloncini; quasi lo fece diventare una pallina. L'uomo cercò di insistere, dicendo che poi gli avrebbe regalato e stampato la fotografia, però la risposta rimase la stessa. Nonostante avesse già scattato diverse volte, fece intravedere una certa amareggiata delusione: si voltò, cercando di ignorare il bambino, come aveva fatto con il cane, ma in quel momento sembrava sperasse in un ripensamento: con le mani dietro la schiena iniziò a piantare confusi passi sul marciapiede; in alcuni punti si fermava a osservare qualcosa di impreciso o il bambino stesso con uno sguardo giù di corda, poi continuava a camminare lentamente. Sembrava un ostinato ragazzino. - In pochi minuti riuscirò a finire la spesa e poi la facciamo. - affermò. L'uomo annuii, ma dietro quella leggera indifferenza probabilmente nascose un velo di soddisfazione; fece ciò per non apparire troppo impertinente, tuttavia Greta rimase abbastanza impressionata, dando segno di avere già una vaga idea su quell'uomo. Subito il bambino corse verso il panificio, e uscito poco dopo con un filone di pane in una busta a sacco marrone, si inoltrò in una strada che separava due simmetrici alberi piantati vicino a due lampioni. - Sembra molto scortese. Poteva anche dire un "per favore". Andiamo: mi è stufato guardarlo mentre fa stupide foto. - disse Greta, cercando di non farsi notare, e si alzò con calma; con quel solo comportamento l'uomo era riuscito a diventare antipatico ai suoi occhi. In quel momento stava continuando a gironzolare lì intorno, nell'attesa dell'arrivo del bambino. - Va bene. - risposi, anche perché non potevamo restare tutto il giorno seduti. Nell'attimo di alzarmi notai qualcuno che stava per avvicinarsi alla nostra panchina. - Cosa ci fai qui, Greta? - chiese improvvisamente un adulto meravigliato e quasi incredulo. Aveva dei capelli castani corti e una parte, colpita dal sole, assunse un indeciso colore tra il giallo e il marrone. Indossava una camicia azzurra sbottonata in cima da un solo bottone e dei pantaloni neri. Le scarpe puntavano invece ad un blu scuro. Alla vista di quella persona le mani di Greta iniziarono a tremare. Entrambi avevano la stessa espressione, anche se quest'ultima era quasi vicina al pianto. Sembrava non riuscisse a contenere una qualche emozione, come una farfalla quando vede il cielo limpido. Subito Greta gettò le braccia poco più in su dei fianchi dell'uomo, ovvero dove riuscì ad arrivare, e le strinse abbastanza forte; una scia di lacrime di gioia sottolineò il movimento. - Ma...ma Greta! - disse un po' confuso, accarezzandole lentamente i lunghi capelli. Subito anch'egli l'abbracciò ma cercò di non mettere troppa forza. - Papà, mi sei mancato tanto! - esclamò, poi allentò la presa, muovendo leggermente la testa poggiata sulla magra pancia dell'uomo. Piuttosto sbalordito a quelle parole mi risedetti e dopo un'attenta riflessione nel guardarli, compresi che eravamo finalmente salvi. E nonostante volessi segnare quel momento con un grande sorriso contraddistinto da una certa felicità, mi misi a piangere, poiché non riuscii a credere che il viaggio si era concluso. La camicia dell'uomo divenne in breve fradicia dal pianto, che aveva creato una macchia proprio nel punto in cui si trovavano i bottoni principali, e forse qualche goccia si era persa all'interno. L'uomo, probabilmente dopo averne avvertito una, abbassò lo sguardo per controllare, e distese verso destra un punto della camicia con due dita, poiché Greta, che ancora lo abbracciava, gli copriva la vista. La sua espressione di buffa disperazione unita a un tenero sorriso lo portò a chiudere gli occhi; la scena riuscì a farmi smettere di piangere, e anche se mi erano venute giù sono lacrime di commozione, quel nuovo sorriso le fermò bruscamente. Mi bastò passare una manica della maglietta per rimuoverle; lasciarono un piccolo solletico che si addolcì lentamente. - Oh no! E adesso chi pulisce questa maglietta? - affermò scherzosamente, colpendosi la faccia con una mano. - Scusa! - esclamò Greta, appena se ne accorse. Rise guardando la faccia allegra di suo papà, e subito si staccò dall'abbraccio. Questo disse che non si doveva preoccupare, poi le scompigliò nuovamente i capelli con una mano sulla testa, dondolandoli un po' come farebbe una timida brezza. Greta si pulì le lacrime passando velocemente tre o quattro dita sulla faccia. - Ah papà ti devo dire una cosa! Lui è mio amico! - affermò con una certa allegria, voltando lo sguardo verso di me. Greta sembrò piuttosto orgogliosa. - Piacere, mi chiamo Francesco. E tu? - disse l'uomo appena mi guardò. Io abbassai un po' la testa, sia perché non sapevo cosa dire, sia perché ero molto timido, soprattutto con gli adulti. Dissi il mio nome a bassa voce: non capii se lo sentì. - Papà, ma tu sai dove si trova Celvonia? Volevamo andarci. - intervenì. Pensai avesse molta voglia di parlare con suo papà, e anche io l'avrei avuta con i miei genitori. - State scherzando? Ma sapete quanti chilometri sono? E poi ancora non ho capito come siete arrivati a Foerville. - rispose; la sua espressione divenne seria, e mostrava di essere abbastanza perplesso. Notai che la camicia era quasi asciutta: la macchia si stava attenuando, e in breve sarebbe scomparsa, visto il bel sole che vi era in quella giornata. - Un attimo, ma...Celvonia è più vicina di Foerville al nostro paesino! Sareste già arrivati. - continuò. Questa frase ci lasciò alquanto sorpresi, privi di ogni minimo pensiero che meglio spiegasse l'inspiegabile fatto. La mia mente fu come annebbiata. - Forse non ci siamo accorti di aver superato Celvonia. - affermò Greta, tuttavia l'ipotesi mi convinse poco. La possibilità più plausibile mi sembrò di aver sbagliato strada, ma nel dubbio chiesi al libro, aprendolo davanti a me. - Ve lo avevo già detto: salire su una macchina sconosciuta è da imprudenti. - spiegò. - Credo di aver capito: quell'uomo cattivo ci voleva portare in un altro posto! Per fortuna... - dissi, lasciando la frase in sospeso; avevo paura di pensare come sarebbe finita se la macchina non avesse avuto quell'improvviso problema. Un po' mi sentii in colpa, perché quando mia mamma mi parlava dei ladri che rubavano e di quelli che non rispettavano le regole, non mi preoccupavo molto. Forse pensavo che i miei genitori mi avrebbero comunque difeso, o semplicemente immaginavo queste persone disoneste come personaggi cattivi dei fumetti che leggevo. Come vaghi individui immaginari... Un piccione si posò sulla strada, camminò un po' e volò via prima che arrivasse una macchina. - Siamo scappati giusto in tempo. - asserì Greta. L'uomo, ancora irresoluto, volle sapere quello che ci era successo. In effetti aveva ragione per preoccuparsi e noi non potemmo fare altro che parlare di tutto: dalla partenza a Foerville. Iniziò annuendo ogni due o tre frasi; commentava spesso. Poi calò nel silenzio sempre di più. Pensai che se in alcuni punti non parlò e stette muto, voleva solo dire "guai a voi se rifate questo imprudente viaggio". Finì col dire "basta" nel bel mezzo del racconto, dopo essersi messo una mano sugli occhi chinati. Sembrava quasi stesse soffrendo per qualche dolore, tuttavia capii che erano le parole di Greta a farlo stare male. - Papà... - disse. - Tutto bene? - continuò. Tre passi circa lo separavano da noi. La camicia si era asciugata. - Questo non significa volere bene a tuo papà. - affermò piangendo, mentre cercava di smettere. Delle lacrime gli scesero dalla faccia fino a toccare la camicia; si bagnò nuovamente, ma leggermente: quelle poche lacrime cadenti non fecero molto. La maggior parte si depositò sulla faccia, lasciando un certo rossore che si addolcì piano piano: prima toccò il rosso, poi l'arancione, e alla fine terminò con un giallo delicato che si nascose tra le guance. - Lasciamo stare dai...andiamo a Celvonia. - disse dopo essersi voltato, e iniziò a camminare mentre strisciava una mano sulla faccia angosciata. - Signori un attimo! - esclamò improvvisamente l'uomo con la macchina fotografica appena ci vide. Si mise a correre sulle strisce pedonali, e ci raggiunse ansante. Una macchina stava passando in quel momento; il conducente si lamentò dicendo che per poco rischiava di fare un incidente. L'uomo lo ignorò. - Buongiorno, volete fatta una bella foto? In quel punto lì sarebbe perfetta...quell'aggraziato e magico muro mi ispira molto. - disse, indicando la facciata di un condominio. - Magico? - chiese il papà di Greta, avendolo sentito parlare. - Non ho voglia di fare una foto adesso. Provi a chiederlo a qualcun altro. - continuò, e si rivoltò. L'uomo rimase immobile per un attimo, non sapendo come rispondere, ma proprio in quel momento il bambino che era andato a fare la spesa stava quasi per aprire la porta di casa per rientrare. Oltre alla precedente busta, ne teneva un'altra, e poiché era pesante quasi la strascinava a terra. L'uomo lo vide; subito corse le strisce pedonali e qualcuno si lamentò nuovamente, altri mormorarono sottovoce. La vicina di casa rideva sul balcone sotto i baffi, ma questa volta era in compagnia di un'altra signora. - E quindi adesso? La facciamo questa foto? - domandò. - Sono stanco. E poi voglio andare a giocare a pallavolo dai miei cugini. - disse. Aprì un po' la porta, e si affrettò a rientrare. L'uomo rimase lì come era all'inizio: fermo, silenzioso e concentrato. - Che tipo strano. - affermò il papà di Greta, poi disse di andare, aggiungendo che aveva parcheggiato la macchina in una zona a pochi metri da noi. - Greta, puoi prendere le ciliegie? Ho un po' fame. - asserii.

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