Capitolo sedicesimo - Il pozzo dei desideri

Ci alzammo dalla panchina. Eravamo pronti per continuare il nostro viaggio. Non sapevo quanti chilometri mancavano per arrivare. Gli iniziali dolori alle gambe iniziavano a farsi sentire, ed ero consapevole che non saremmo riusciti a camminare per troppo tempo. In fondo eravamo solo due bambini di dieci anni, partiti all'improvviso, senza neanche portare qualcosa. Ce la stavamo facendo solo grazie a quei piccoli aiuti delle diverse persone incontrate, altrimenti non avremmo nemmeno sfiorato questo paese. Pensare a ciò mi servì per crescere. Uscimmo dalla villa, convinti che in qualche oretta avrei visto di nuovo mia mamma. La determinazione c'era, anche se mancava un po' di forza; i piedi chiedevano pietà. E mi stupiva il coraggio di Greta, che aveva pianto per venire, dopo neanche un giorno di amicizia. In più, si mostrava sempre felice, contenta e in quel cammino mai l'avevo vista abbattuta; sembrava più decisa e certa di arrivare di me. Quasi era lei a darmi coraggio. Mi meravigliai a pensare quanto fosse incredibile l'amicizia. E se una sola amica può fare questo, tanti amici...be', straordinari. L'ombra del cieco, sotto il sole a mezzogiorno, scomparve nell'orizzonte piano piano, e quello che rimase fu la sua immagine nella mia mente. Poco dopo anche lei se ne andò. - Credi che arriveremo entra questa sera? - domandai. - Probabilmente. Ti confesso che anche a me piacerebbe rivedere mia mamma. - rispose Greta. Le sue parole produssero come una scintilla, che colsi nel momento. - Mi dispiace. - affermai con pieno rispetto, e abbassai la testa. - Grazie, ma non ti preoccupare: mio papà ha detto che mia mamma mi protegge sempre, guardandomi assieme agli angeli. - disse. Poi continuò dicendo di incamminarci. Vidi di nuovo quel fruttivendolo ambulante che si aggirava per le strade del paese, questa volta, però, alcune persone si fermarono per guardare cosa vendeva. Sentii solo "per lei uno sconto", poiché ci allontanammo. Un venticello mi accarezzò la faccia, ma era piuttosto caldo; l'estate si faceva sentire. Dalle staccionate dei cortile di alcune case si vedevano bambini che giocavano con una palla, a pallavolo o a calcio, e alcune mamme si affacciarono dai balconi per vedere i loro figli, altre li chiamarono pronunciando i loro nomi, per rientrare a mangiare; qualcuna controllò i panni stesi. Degli insetti svolazzavano di qua e di là, rifugiandosi negli alberi che brillavano di verde, dai cui cantavano uccelli appena nati nei nidi. Ascoltai di sfuggita qualche discorso dei vari pedoni. - Una volpe si aggira nei dintorni. - disse uno, ma pochi si interessarono all'argomento. Dopo aver domandato come raggiungere Celvonia, ci consigliarono di prendere un certo vicolo acciottolato, in modo che saremmo subito usciti da Firrea. Era decisamente più stretto rispetto alla strada principale, che stavamo prima percorrendo, e per questo motivo non aveva dei marciapiedi che altrimenti avrebbero reso difficile il passaggio. Le case erano incollate lateralmente. Non vidi macchine parcheggiate, a parte un motorino un po' arrugginito dal tempo che un ragazzo, forse delle medie, stava cercando di riparare. Delle viti caddero per terra, seguite dal cacciavite che quello teneva in mano. Dopo aver ribadito a bassa voce di non poter permettersene uno nuovo, riprese il cacciavite da terra e guardò una ruota perplesso, come se sperasse fosse il problema del motorino: forse non conosceva bene i vari componenti. Sul lato opposto al ragazzo, l'insegna di una gelateria si muoveva lentamente avanti e indietro, e dal negozio usciva un delizioso profumo di cioccolato. La porta era leggermente aperta; tre con ciascuno un cono in mano si intravedevano. Poi se ne andarono, lasciando una dolce scia nell'aria. Due piccioni camminavano insieme a noi, ma quando li guardammo, uno volò via spaventato, poggiandosi su un lampione attaccato a un muro di una casa, l'altro rimase. Passammo quel vicolo piuttosto velocemente, e subito giungemmo in una piccola piazzetta rotonda da cui partivano altre strade, ma principalmente vicoli. Non credo fosse la piazza principale, tuttavia vi era una discreta presenza di persone, anche sedute nelle diverse panchine in legno che accerchiavano la zona. Riconobbi quelli con il gelato. Dei ragazzini si divertivano lì giocando a calcio con un pallone di cuoio piuttosto consumato. Ciò che mi colpì maggiormente, fu però un pozzo al centro della piazza, con una sovrastante piccola tettoia a falde rosse che lo copriva, sorretta da due pilastrini in mattoni (stesso materiale del pozzo). Un uomo, che teneva per mano una bambina, si avvicinò a quest'ultimo. Prese il suo portafoglio dalla tasca dei pantaloni color sabbia che indossava, e dette una moneta alla bimba, che la guardò con stupore. Successivamente chiuse gli occhi per qualche secondo, infine la buttò nel pozzo. - Adesso è guarito? - disse, mentre io ascoltavo guardandola dal confine tra il vicolo, che stavo prima attraversando, e la piazza. L'uomo rispose che bisognava aspettare qualche minuto. Un sorriso segnò la nuova espressione della bambina. Una donna, dai capelli mori, che toccavano la spalla, e con una borsa nella mano destra, alzatasi da una panchina, avvicinandosi, gettò un'altra moneta. Fu una scena piuttosto curiosa, poiché solitamente un pozzo dovrebbe essere usato per prendere dell'acqua. Anche Greta non sapeva dare una spiegazione a quel fatto, e decisi di domandare informazioni al libro. In fondo lui sapeva sempre tutto; era così bravo da dare una risposta a qualsiasi domanda, anche se alcune volte faceva un po' il furbetto, tenendola per sé. - Credenze popolari, Ciro. - apparve in una pagina. - Come può essere una credenza popolare buttare una moneta in un pozzo? Potevano comprarsi qualcosa di bello. - affermai pensieroso. - Penso si comprino desideri. - affermò. Greta mi guardò abbastanza sorpresa. Qualcosa di scarso valore permetteva di raggiungere facilmente ciò a cui si punta, i nostri sogni. Era incredibile e subito pensai di approfittare del potere del pozzo. Chi non lo avrebbe fatto? Tuttavia non avevamo monete con noi, ma solo uno zainetto con un pacco di biscotti. - Il pozzo li accetta ugualmente? - dissi, mentre Greta si cinse a prenderli. - Non lo so. In ogni caso ti consiglio di non buttare niente. - rispose. Perché mai qualcuno dovrebbe rinunciare a un'occasione simile? Forse il libro non desiderava niente, dal momento che già aveva un suo potere e gli bastava quello. Mi venne improvvisamente in mente mia madre. E se fossi riuscito a guarirla? Sarebbe stato molto bello, ma di più se avessi chiesto di giungere immediatamente all'ospedale. Iniziai a immaginare che l'avrei vista da un momento all'altro, e quasi volli saltare dalla gioia; non vedevo l'ora. Interruppi all'improvviso questi pensieri, non appena la bambina con l'uomo si avvicinò. Chiusi il libro che tenevo in mano. - Anche tu vuoi esprimere un desiderio? - iniziò il discorso guardandomi allegramente; sembrava molto contenta. Indossava un vestitino rosso con dei fiori sparsi che terminava quasi alle ginocchia con una gonna. - Vorrei ma...tu cosa hai chiesto? - domandai abbastanza interessato. - Di guarire la zampetta del mio gattino Baffo; oggi è venuto a casa zoppicando. - spiegò, e Greta rispose dicendo che le dispiaceva. Forse aveva avuto una zuffa, o era semplicemente caduto, tuttavia quello che mi interessava veramente rimaneva il pozzo, e se esso sarebbe stato in grado di soddisfare la richiesta della bambina. Guardai i biscotti e riflettei di potermi pentire facilmente se li avessi gettati, giacché bisognava aspettare la guarigione del gatto per essere sicuri. Purtroppo compresi che la bimba si era avvicinata solo perché stava andando via, e si inoltrò nel vicolo di cui io facevo la guardia all'entrata. L'uomo ci salutò sorridendo e Greta restò un po' delusa; forse si era affezionata. Adesso rimanevano solo due possibilità: dare retta o no al libro. Questo ci aveva sempre aiutato, ma se in quel momento si sbagliasse? E fu proprio questa domanda che mi porsi, a indicare la strada da prendere: dopo aver parlato sulla questione con la mia amica, decisi di scegliere la seconda opzione. "Signore, ha due monete?" era la frase che accompagnava la nostra timidezza a parlare con le persone sedute nelle varie panchine. Soprattutto i primi dissero di avere dimenticato il portafoglio a casa. Man mano che passavamo, indossando un velo di mistero, conducemmo vari occhi sospettosi a indagare su di noi. E quando qualcuno iniziò a intuire, ci diceva sinceramente di non potercele dare, perché gli servivano. Con un "Mi scusi" iniziavamo a parlare, mentre un "Va bene" infelice e spontaneo, unito a una rassegnata alzata di spalle ci faceva andare dal più vicino prossimo interlocutore. Questo spostamento durò fino a quando ricevemmo la risposta che speravamo. - Un secondo. - disse una donna, e prese la sua borsa per poi pescare i due attesi spiccioli. Li presi con cura e attenzione, ringraziando. Ne diedi uno a Greta. Adesso potevamo chiedere qualcosa ciascuno. Subito corremmo verso il pozzo, e vidi in Greta una felicità leggermente più accesa di quella della bambina, che stampò sulla sua faccia delle guance di un colore simile all'arancione, tra il giallo e il rosso, probabilmente per la speranza che andava maturando su qualcosa di parecchio importante. Da vicino, quella massa di mattoni intorno a una cavità parve piuttosto imponente: apparenza animata principalmente dal pensiero della magia. Volli buttare io per primo la moneta, ma prima di farlo, come avevo visto fare a quella bambina, chiusi per un attimo gli occhi pensando a ciò che desideravo: ovviamente di far guarire mia mamma e di rivederla. "Pum" si sentì; il soldo cadde nell'acqua, poi affondò. In quel momento, Greta si preparò a gettare il suo, tuttavia fu fermata dalla vista di un povero uomo in fondo a un angolo della piazza. Anche io lo osservai attentamente, e quasi mi sembrò di rivedere Giuliano Johnson; non era lui. La somiglianza proveniva principalmente dalla presenza, accanto a lui, di un cappello a terra. Greta non buttò la moneta, ma decise di avvicinarsi a quell'individuo. Lo fece piano piano, e il suo modo di camminare mi ricordò quasi quello del cieco. L'uomo aveva la faccia scarna, alzò il suo sguardo pallido quando ci vide. - Tieni questa moneta...per favore promettimi che un giorno riuscirai a fare quello che ti piace davvero. - affermò improvvisamente Greta. Restai a bocca aperta per quelle parole: aveva rinunciato al suo desiderio, per darne uno a un povero uomo. Mi sentii in colpa per aver sprecato la mia moneta, ma nello tempo ammiravo la mia straordinaria amica: ero orgoglioso di lei. L'uomo prese quel regalo con una pietosa soavità, poi scoppiò in lacrime e si tirò in avanti per abbracciare quell'amorevole bambina. Non parve che piange per lo spicciolo ricevuto, ma principalmente per il gesto d'affetto che forse non riceveva molto. La gentile donna detentrice dei due soldi ci osservò fiera dalla panchina, e qualcuno la squadrò con occhi invidiosi. - Sei stata molto brava! - esclamai, dopo che ci allontanammo dalla piazza prendendo un altro vicolo saliente. - Grazie. Almeno so che quella moneta sarà in buone mani. Non mi fido del pozzo... - rispose. - Hai ragione, come anche il libro. Era davvero solo una stupida credenza popolare. - affermai, poi aprii il libro, sicuro di ricevere un rimprovero. - Io ho sempre ragione, caro Ciro. - apparve su una pagina. 

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