Capitolo quindicesimo - Il solitario uomo cieco

Usciti dal cancello della campagna, due lunghe file opposte di fichi d'india, separate dall'asfalto, ci indicavano il percorso da seguire. Dopo qualche metro la strada si divise in due parti e da una passò un trattore. L'uomo che guidava ci salutò con un sorriso che sottolineò le sue rughe sulla fronte, poi, sistemandosi il cappello, guardò avanti. Andava nella nostra stessa direzione e si capiva molto bene che stavamo per entrare in un paese, dal momento che a destra e a sinistra, in fondo alla strada, si trovava una serie di case, abbastanza vicine, raggruppate. Bastarono solo pochi passi per avere la conferma, e ce la diede un cartello stradale che riportava la scritta "Comune di Firrea". Le case erano quasi tutte di tre piani, della stessa altezza, a eccezione di qualcuna che scandiva la monotonia. Tuttavia quest'ultima non si avvertiva mai, perché ogni casa aveva qualcosa che la distingueva dalle altre, come la presenza di molte o meno finestre, la facciata curata o no, alcune erano belle... Ciò che diverse avevano in comune erano però i vari panni stesi sul balcone, che si asciugavano approfittando della bella giornata. Oltre alle case, notai anche una pasticceria, dalla cui vetrina torte e dolci incuriosivano vasi passanti, e un supermercato poco più in là. In particolare, attirò la mia attenzione un fruttivendolo ambulante, che si muoveva avanti e indietro, annunciando, con il suo altoparlante, che vendeva frutta e verdura a prezzi bassi. Rispetto a Brus, la vita in questo paese dette l'impressione di essere parecchio più accesa: vedemmo spesso qualcuno che passeggiava nei dintorni, anche in compagnia di alcuni amici. In questo modo noi non attirammo affatto l'attenzione, anche perché le persone sembravano piuttosto occupate, immerse nei loro problemi, e qualcuno camminava pensieroso. Mentre attraversammo delle strisce pedonali, vidimo sul marciapiede opposto un gruppetto di ragazzini che rideva: chiunque avrebbe detto che si stavano divertendo. Uno si tenne la pancia, e per poco cadeva a terra, sbellicandosi dalle risate, forse per una barzelletta, chi lo sa, ma sembravano comunque veramente felici. Io non avevo mai avvertito quella sensazione in compagnia dei miei compagni di scuola, quasi non mi facevano nemmeno sorridere. In un primo momento, invidiai abbastanza quelle persone, poi pensai che c'era Greta con me. Che avrei fatto senza di lei? Probabilmente adesso non sarei stato lì, bensì solo e triste nella mia camera, a parlare con quel libro trovato in biblioteca, anche se non so quanto mi poteva davvero aiutare. Il libro è stato come un ponte, non la riva, permettendomi di giungere a qualcosa che portasse un cambiamento radicale nella mia vita. E se non lo avessi trovato, cosa sarebbe successo? Greta sarebbe stata comunque mia amica? Non farti domande a cui non sai trovare una risposta...è già la terza volta, piccola testolina... Superammo il gruppetto. Greta si guardò attentamente attorno. - E' un bel paesino. - affermò, e continuò a osservare con cura anche i minimi dettagli. - Secondo te, qui ci sarà una villa grande come la nostra? - domandai principalmente per spezzare il silenzio, consapevole di non ricevere una chiara risposta. - Chiediamo a qualcuno. - rispose. Io annuii, anche perché, se mai avessimo saputo dove si trovasse la villa del paese, avremmo potuto fermarci per pranzare, mangiando i due panini che Carlotta ci aveva dato assieme allo zainetto. La presenza di qualcuno che camminava per quelle vie non era assolutamente scarsa, e decidemmo di domandare a un uomo di mezza età, che si aggirava con un cane dal colore del pelo che andava da un bianco a un marroncino chiaro, e dai forti e vivaci occhi. L'uomo indossava una camicia azzurra con dei risvolti alle maniche, alzate fino al gomito, un paio di jeans e delle scarpe da ginnastica nere e bianche. Ciò che mi colpì fu tuttavia il bastone che teneva l'uomo, ma in particolare il modo in cui lo usava; non pareva fosse zoppo, dal momento che riusciva a camminare, e utilizzava il bastone per toccare dei punti casuali a terra, come se volesse sapere, prima di fare un passo, dove andasse a mettere i piedi. - Signore, lei sa dove si trova la villa? - chiesi, ma me ne pentii piuttosto in fretta, perché avvicinandomi osservai dalla sua faccia la dipendenza al cane, un po' si spaventava, e stringeva la bocca o gli occhi chiusi, ma si faceva guidare lo stesso ed era sicuro che lo avrebbe portato dove pensava. Era cieco; non c'era bisogno mi facesse vedere gli occhi per avere la certezza, ma lo capii troppo tardi. Povero uomo, pensai, e stupido io, per aver fatto quella domanda. - Ragazzo mio, se mi dai la mano, ti ci porto volentieri. - disse. Mi sorprese molto la sua risposta. Io gliela diedi, guardandolo con occhi innocenti e di perdono, mentre Greta ci seguì, mettendosi accanto a me. - Ho l'impressione che non sei di questo paese, o sbaglio? - domandò l'uomo, girando lo sguardo verso di me. Il cane annusò qualcosa a terra, e poi voltò a sinistra. - E' la prima volta che vengo qua. - risposi. L'uomo ebbe un attimo di riflessione, e successivamente cercò di guardare avanti. Qualche volta si fermava, muoveva un po' il suo bastone, e poi ricominciava a camminare: era più che normale per un non vedente, anche se in alcuni momenti sembrava abbastanza convinto, come se conoscesse quel pezzo di strada a memoria. Il cane si girava spesso per osservarlo, preoccupato, ma poi muoveva delicatamente la coda quando constatava che era tutto a posto. Pareva che ci teneva molto. In parecchie occasioni avevo sentito dire che i cani erano buoni amici, e alcuni li ritenevano gli animali più fedeli. Ciò non potevo confermarlo, dato che io non ne avevo uno, tuttavia mi faceva tenerezza vedere quel cane che controllava come stesse l'uomo. Due o tre curve, e arrivammo davanti la villa del paese, il cui perimetro era delimitato da una cancellata in ferro, sopra un muretto di mattoni, che si distinguevano facilmente. L'entrata era costituita da un cancello aperto, il quale riprendeva la forma ad arco a tutto sesto fatto con delle foglie, che lo circondava, e dava accesso a uno spazio erboso in cui si vedevano vari bambini che giocavano e correvano. Strinsi la mano all'uomo, per dirgli che eravamo arrivati. Quest'ultimo fece un leggero sorriso, e muovendo il guinzaglio, il cane si inoltrò all'interno. Quello spazio abbondava di alberi, distinguendosi abbastanza dal resto del paese. La villa era priva di una stradina all'interno, a differenza di quella del mio paese. Di qua e di là si vedevano delle panchine, quasi tutte sotto la chioma di alberi, e il tronco di alcuni era circondato da piccole aiuole colorate che davano una certa vitalità al luogo. Sopra quei fiori svolazzava qualche farfalla. Al centro si trovava un parco giochi, formato da altalene, scivoli, e dondoli in legno, tuttavia i bambini si divertivano anche in altri modi, per esempio facendo delle gare di corsa, o giocando ad acchiapparello. Diversi si inventano altre cose da fare. - Sento le voci dei bambini. Credi anche tu siano molto belle? - disse l'uomo sorridendo. Chissà se sapeva come fossero i bambini...come faceva a immaginarli, se non li aveva mai visti? Povero uomo... Io non risposi alla domanda, anche perché subito dopo chiese se lo potevo accompagnare fino a una panchina, per sedersi. Greta mi aiutò e quando fece per toccargli la mani, egli restò un po' perplesso. Forse non si era accorto della sua presenza. - Ah - fece in tono rilassato - La compagnia mi manca sempre. Per fortuna che oggi ci siete voi... - affermò e quelle ultime parole produssero una strana aria di tristezza. La mano sinistra, che aveva poggiato sulla gamba, improvvisamente iniziò a tremare. Il cane la accarezzò con la lingua per cinque secondi circa, fermandola. Guardai la faccia dell'uomo, che ispirava e sospirava velocemente, e sembrava che si fosse ricordato qualcosa di brutto. Mille pensieri confusi mi avvolsero la mente. Greta aveva la stessa espressione di quando vide quel mendicante a terra. - Essere ciechi è brutto. Quanto pagherei per vedervi! Ma purtroppo non ci posso fare niente...voi avete degli amici? Brave persone, intendo. - disse, con lo sguardo fisso in avanti. - Bè, si. Quella bambina che hai accanto a te è mia amica, per esempio. - risposi. Quel "per esempio" fu abbastanza spontaneo, anche se lasciò intendere che ne avessi molti. - Ho pure un libro molto speciale per me, e certe volte sembra quasi una persona vera. - continuai, sperando mi capisse, perché raramente, anzi, mai qualcuno ci credeva. - Capisco. E' magico? - domandò incuriosito. - Diciamo di sì. Riesce a rispondere a qualsiasi domanda. - dissi. - Sa anche il motivo per il quale io sia nato cieco? - chiese con malinconia. Era solo e infelice. Cosa aveva fatto di terribile per meritare ciò? Una piccola lacrima mi bagnò la faccia lievemente, ma l'asciugai subito con la manica della giacca. Mi abbatteva molto vederlo in quello stato. Aprii il libro, ma non apparve nulla sulle sue pagine, lasciandoci nel dubbio. Dissi che il libro non conosceva la risposta, e l'uomo annuii, ormai angosciosamente consapevole che, anche con una probabile affermazione, non avrebbe potuto cambiare la sua situazione. - Tu mi sai dire come mai Jason ti prendeva in giro? - comparve inaspettatamente su una pagina. Poi continuò scrivendo che alcune volte certe domande non hanno una giusta risposta, poiché spesso è cattiva. Questa cosa però non la riferii all'uomo, per il fatto che non volevo scoraggiarlo ancora più di quanto lo fosse. Calò il silenzio. Ammiravamo impassibili i bambini che giocavano; io pensai a mia mamma. Erano passate due notti e due giorni, il tempo volava velocemente. Magari ci fosse un modo per fermarlo: poteva farlo un orologio con un pulsante magico. Ma chi lo possiede un orologio così? Credo nessuno. - Mi sono dimenticato che mia mamma mi aspetta per mangiare! - esclamò l'uomo. Si alzò improvvisamente, e noi lo salutammo con un ciao; anche lui lo fece, poi mosse il guinzaglio del cane, e andò via. Anche lui se ne era andato, e restammo soli per l'ennesima volta. - Come sta mia mamma? - chiesi, e aprii il libro. - Insomma, ti pensa spesso. Credo che se non ti vedrà...a proposito, tu e Greta come state? - apparve. - Non benissimo. Secondo te, perché tutti ci aiutano un po' e poi scappano? - dissi. Anche Greta sembrava d'accordo. - Forse perché credono siete in grado di farcela da soli. - rispose. - Chissà se ci riusciremo davvero. - affermai. - Come fai a rispondere alle domande? - disse improvvisamente Greta. - Molti libri sono magici. - concluse, anche se pareva non volesse parlare molto di questo argomento. Mangiammo i due panini nello zainetto: ormai mangiavamo solo questo. Notai un bagno pubblico: non ce la facevo più!

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