CAPITOLO 5 (1/1)
Ero stanco per quel movimentato pomeriggio, e decisi di incamminarmi verso casa, ma il libro non sembrò d'accordo. - Che ne dici di fare ancora un'ultima passeggiata? - scrisse il libro sulle sue pagine, e nonostante di voglia non ne avevo, decisi di accontentarlo. Questa volta il paesaggio fu più vario, poiché decisi di entrare nel cuore del paese. Superammo innanzitutto la scuola media, un possente edificio, un po' malcurato all'esterno, in cui sarei dovuto andare dopo le elementari: alcuni la chiamavano "la scuola del terrore", poiché dopo tre intensi anni bisognava fare il temuto esame da tutti gli studenti, altri invece dicevano che era una sciocchezza; proseguimmo passando di fronte a una delle pizzerie del paese: sempre affollata, e anche io, ho avuto l'occasione, qualche volta, di andarci con i miei genitori. Inoltre, la pizza la faceva uno dei migliori pizzaioli della provincia, ovvero Martin Por, emigrato dalla Spagna, per diffondere in tutto il mondo la sua eccezionale ricetta segreta. Il nostro cammino proseguì oltre il cosiddetto "Ponte di Primavera", situato sopra un fiume. Quest'ultimo andava dritto a portare l'acqua nelle varie campagne, per poi sfociare in altri corsi d'acqua, e ramificarsi per raggiungere altri paesi. Il ponte era detto così, perché attraversando si poteva osservare un meraviglioso panorama, caratterizzato da fiori, alberi sparsi e una grande superficie di campi arati e coltivati, inoltre in estate si poteva vedere anche il grano e i vari contadini che mietevano. Al di là del ponte, la prima casa era quella di mia zia Teresa, che spesso andavo a trovare: lei non aveva figli , e io il suo unico nipote del paese, poiché gli altri, già grandi, si erano trasferiti in città, anche se qualche volta trovavano l'occasionare di farle visita. Mia zia era la maestra di matematica della mia scuola elementare, e un giorno mi aveva confessato che lei aveva scelto questo lavoro, non tanto per la matematica, ma soprattutto per vedere i bambini. Infatti, sembra quasi ipnotizzata nel vedere giocare dei bimbi, forse perché è un pò amareggiata per il fatto che non ha potuto avere figli, o forse perché si ricorda la sua infanzia, dal momento che tra i suoi fratelli, lei era la più grande e ha aiutato sua mamma e suo papà a occuparsi dei suoi fratelli. Dopo qualche metro, si arrivava alla villa del paese: una delle più belle della provincia. E visto che ero stanco, decisi di entrarci. Una cancellata di ferro abbastanza arrugginita, ti ospitava nello spazio più verde del posto: esso era separato ai due lati laterali, da uno stradicciola fatta di piccole pietre, e in alcuni punti si notava anche il colore di qualche fiore che era spuntato, da due lunghe file di alberi, che, scendendo verso basso, assecondando l'inclinazione del terreno, letteralmente ti indicavano la strada per arrivare a un parco giochi, dove spesso si trovavano vari bambini che giocavano. Ai margini della stradicciola, c'erano anche delle panchine di legno ogni due o tre alberi, e in una di queste, tra due mandorli fioriti, che erano i miei alberi preferiti, mi sedetti, poggiando il libro accanto a me. Nonostante non erano poche le volte in cui venivo alla villa, mi dava sempre una sensazione di calma e tranquillità, tanto da farmi immaginare di essere un'aquila, di aprire le ali, e di innalzarmi in volo nel cielo, attraversando le nuvole, sfrecciando e volteggiando: lo sognavo sempre, e pensare a ciò mi rilassava molto. - Vieni qui! - disse una bambina, rincorrendo un cagnolino, con un bastone in bocca, dal bianco pelo arruffato, con qualche macchia marrone su alcune parti del corpo e della faccia, un bel collare rosso intorno al collo, e un guinzaglio impolverato che, spinto dal cane, strisciava per terra. - Sei davvero veloce! Ma la prossima volta cerca di non scappare altrimenti mi arrabbio. Capito, Rocky? - continuò la bambina, afferrando il guinzaglio. - Ti ringrazio per averlo fermato - aggiunse, guardandomi e sorridendo. E io, un po' confuso, risposi con un "prego", e poi chiesi come si chiamasse. - Mi chiamo Greta. E tu? - rispose. - Io Ciro - affermai. In quel momento, improvvisamente, le guance della bambina si colorarono di un colore simile all'arancione, ma più intenso, tra il giallo e il rosso, il sorriso scomparve per lasciare il posto a delle labbra un pò confuse, che non sapevano cosa dire, e ritirò le mani indietro. - Vuoi venire a casa mia? Sai, io ho tanti giochi, ci divertiremo. Vuoi diventare mio amico? Mi farebbe tanto piacere. - domandò. - Va bene. - dissi, e mi incamminai insieme alla bambina.
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