CAPITOLO 13 (1/3)

Poche decine di metri e arrivammo davanti un incrocio che sparpagliava la strada in diverse direzioni, e per ognuna c'erano delle indicazioni, che specificavano la città dove si stava andando e quanti chilometri mancavano per giungere. "CELVONIA - 70 km": questo era il cartello a noi interessato. - Settanta chilometri? - domandai, quasi senza voce, la faccia pallida, perché sapevo che quella era una grande distanza, e non ero certo che avrei di nuovo visto mia mamma. Mi ricordai quando mi sgridava, quando facevo monellerie, e avrei preferito fosse lì, davanti a me, a sgridarmi, al posto di non vederla più. E avrei preferito mi sgridasse cento, mille volte, ma era solo una stupida illusione. Per vederla bisognava camminare molto, e quasi mi sentii in colpa per aver fatto venire Greta con me. In fondo, lei cosa ci guadagnava? La mia felicità? Ma cosa se ne faceva della mia felicità? Non lo sapevo e non capivo neanche perché fosse venuta. Quasi mi arrabbiavo per lei, perché ogni cosa che sarebbe successa a me, avrebbe riguardato anche lei. E se qualcuno...lasciamo stare: forse era meglio iniziare a camminare, che rimpiangere il latte versato... - Quanto ci metteremo ad arrivare, secondo te? - chiese Greta, come se non avesse ancora realizzato la grandezza del cammino che ci aspettava. - Non lo so. - risposi, e l'abitudine che stavo maturando, di chiedere sempre ciò che non sapevo al libro, mi fece aprire le sue pagine per cercare una risposta al dilemma. "Dipende da voi: se iniziate a camminare adesso, e continuate la notte, potreste arrivare domani mattina. Con la vostra lenta e rilassata velocità, ci metterete dieci ore circa" scrisse. - Fai pure il simpatico? Non sei divertente. - dissi, in un tono un po' infastidito e arrabbiato. Poi pensai alle dieci ore, e a mia mamma all'ospedale: non ci potei fare niente, ma la mia mente fu avvolta di nuovo da quei chissà. La faccia di Greta era persa nel vuoto, e mi ricordò quella di Johnson, di quel povero vecchietto. Mi sentivo davvero in colpa per averla portata con me, e pensai che avrei potuto benissimo fare questa strada da solo...però è brutta la solitudine. Ci guardammo intorno, alzai lo sguardo al cielo per vedere se avesse cambiato idea di piovere, e iniziammo a camminare. Inizialmente mi misi a contare mentalmente, dato che orologi non ne avevamo, per avere la consapevolezza di quanto tempo rimaneva a raggiungere Celvonia. Dopo aver contato fino a un minuto, tuttavia smisi. Io e Greta camminavamo abbastanza vicini, e spesso le nostre mani penzolanti, che si muovevano avanti e indietro, al passo, si toccavano, e quando lo percepivamo le allontanavamo leggermente, per poi toccarci di nuovo quando ce lo dimenticavamo. La strada, come prima, era divisa in due paesaggi diversi, ma questa volta a sinistra si vedevano principalmente alberi, pochi campi, e qualche stradina, mentre a destra i verdi piedi di una collina, sopra un muretto di pochi centimetri, tra i dieci e i venti. Nonostante l'aperta campagna, qualche casa, anche questa volta, si vedeva sempre, lontana o che affacciava sulla strada. I cassonetti, però, non erano più presenti. La strada, inoltre, certe volte si divideva in altri viottoli, di solito collegati a qualche cancello arrugginito. Il tempo, poi, rendeva il paesaggio piuttosto triste.

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