CAPITOLO 12 (3/3)

Andammo, e lo seguimmo. Attraversammo un'ulteriore stradina di campagna, tra alcuni alberi, che, a differenza della prima, era più piccola e meno curata, lasciata nella mani della natura. Passammo poi in una distesa di grano giallo. Qualcuno ne prese un filo, giocandoci, usandolo come bastone. Dopo poco più di cinque passi, arrivammo in un punto in cui la strada iniziava a salire, voltando una volta a destra e una a sinistra varie volte, fino ad arrivare a uno spazio pieno di erba e fiori gialli e rossi, dominato da una quercia spoglia, dai rami deboli, alcuni spezzati, che penzolavano, privi di vita: non era difficile accorgersene, e anche Matilde, che aveva tre anni circa, se fosse stata lì, avrebbe capito che qualcosa non andava. Era estate, mica inverno, e la quercia avrebbe dovuto brillare di foglie. Le uniche cose che, in quel posto, davano una sensazione di piacevolezza erano il prato attorno alla quercia, e lo stupendo paesaggio da cui si vedeva quasi tutto il paese, i tetti della case. - Eccola qui - disse uno, guardandola con aria triste. - Quante volte ero venuto qui a giocare? Bei ricordi! - aggiunse, e gli altri lo fissarono, chi annuendo, chi raccontando quanto fosse stata importante per lui quella quercia. - Un giorno ho fatto un picnic qui, con la mia famiglia, sotto l'ombra della sua chioma: c'era un bel profumo - intervenì un altro. - Gli animali sono piuttosto diminuiti dopo la sua morte: anche a loro piaceva. Povera quercia centenaria - rispose uno, e toccò il fusto, ormai fragile. - Volete dare un'occhiata alla nuova quercia, che abbiamo piantato un anno fa? - aggiunse guardandoci un po' fiero, e noi accettammo di nuovo, anche se io l'avevo già intravista prima, senza tuttavia darle molta attenzione, nel luogo del picnic. Rifacemmo la stessa strada, ma più velocemente, quasi correndo, ritornando al punto dove ci eravamo incontrati. Guardai sorpreso, la quercia piantata, più piccola rispetto a quella precedente, che ancora stava in piedi ma sarebbe crollata facilmente, tuttavia sembrava sana e forte, accanto alla tovaglia distesa. I ragazzi, invece, apparvero orgogliosi, dal momento che erano stati loro a continuare di far vivere quel simbolo del paese. - Questa è una piccola quercia. L'avevamo piantata durante l'autunno in un vasetto, per poi rinvasarla in vasi sempre più grandi: da un anno, invece, lei sta qui. - disse uno, dai ricci capelli castani. Io e Greta annuimmo. Mi ricordai subito, poiché me lo ero dimenticato, di chiedere informazioni per la città dove eravamo diretti. - Celvonia? Siete sicuri di voler andare lì? E' parecchio distante. Comunque eravate sulla giusta strada: dovete solo andare sempre avanti, poi ci sarà un incrocio...aspetta, ma Nick sto dicendo giusto o sto sbagliando? Mi sto un po' confondendo...- disse, guardando un ragazzo, con un ciuffo nero che gli copriva tutta la fronte. - Si, si, è giusto. Non si sbaglieranno sicuramente, troveranno persino un cartello, con la scritta "Celvonia" in stampatello maiuscolo. - - Grazie - risposi, e salutandoli, mi allontanai con Greta. Riprendemmo il tragitto. - A me sembrava ci stessimo perdendo. Siamo stati davvero fortunati a incontrare quei ragazzi. - disse Greta. - Si, hai ragione. - risposi, e sorridendo le misi una mano sulla spalla.           

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